Euridice una madre modello De liberis ed PDF

Title Euridice una madre modello De liberis ed
Course Letteratura greca
Institution Università di Pisa
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Testo in greco e commento in italiano, Pseudo Plutarco...


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Euridice, una madre modello (De liberis educandis 14 B) Nell’ultimo capitolo del De liberis educandis lo pseudo-Plutarco cita una donna, Euridice, come esempio straordinario di amore materno. Qualche breve osservazione ancora e concluderò i miei suggerimenti. Prima di ogni altra cosa è indispensabile che i padri, comportandosi in modo irreprensibile e adempiendo a tutti i loro doveri, si offrano ai figli come un luminoso esempio, perché guardando alla loro vita come in uno specchio essi rinuncino ad agire e parlare in modo vergognoso. Quei genitori che rimproverano ai figli le medesime colpe in cui cadono anche loro, finiscono inconsapevolmente per accusare se stessi sotto il nome dei figli. Insomma, se conducono una vita riprovevole non hanno la libertà di riprendere nemmeno gli schiavi, figuriamoci i figli! Comunque, prescindendo da questo, tali genitori diventerebbero per loro consiglieri e maestri di fare il male. Dove i vecchi sono 1

impudenti, è inevitabile che anche i giovani siano privi di ogni ritegno. Per una corretta educazione dei figli si devono dunque impiegare tutti i mezzi opportuni, prendendo a modello Euridice che, pur essendo illirica e tre volte barbara, si mise a studiare in età avanzata per seguire i figli nello studio.

Chi è questa Euridice «illirica e tre volte barbara», che «si mise a studiare in età avanzata per seguire i figli nello studio» ( ), e che agli occhi del nostro scrittore costituisce un autentico modello di amore verso i figli (

)? Leggiamo il seguito:



E l'amore che portò loro è ben espresso dall'epigramma da lei dedicato alle Muse:

1

Quasi alla lettera le parole di Platone, Leg. V, 729 c. Abbiamo mantenuto il concordemente tràdito , un apparso sospetto a molti editori e comunque di dubbia interpretazione: seguiamo la proposta del Wyttenbach (Animadversiones in Plutarchi Opera Moralia, Oxonii 1810, pp. 155-6), che annette all'aggettivo il valore di «bene notum, celebrem», arguendolo dal suo contrario , «ignotus », e suggerisce di tradurlo con «celebratum» (l'espressione è resa invece da Jacobs con «cupiditas discendi», «desiderio di imparare»). 2

1

Euridice (cittadina di Irra ?) consacrò questo oggetto alle Muse, colto nell'anima il desiderio ben noto. Già madre di figli adolescenti, si sforzò d'imparare le lettere, che serbano delle parole il ricordo.

Una prima osservazione: l’epigramma ha tutto l’aspetto di essere autentico e di essere apposto come ex-voto in un tempio consacrato alle Muse. Euridice vi afferma di essere riuscita a soddisfare il desiderio di imparare a leggere e a scrivere, quando i suoi figli erano già adolescenti. A rigore, la donna non collega minimamente la sua aspirazione con la volontà di assistere nello studio i figli (come asserisce lo pseudo-Plutarco, che senza tale forzatura di senso non potrebbe però nemmeno additare la donna come modello di ). Ma chi è questa Euridice? Due ipotesi: o si tratta di un personaggio storico ben noto e dunque facilmente individuabile per gli antichi lettori, a prescindere dal contenuto dell'epigramma, tant’è che senza ulteriori particolari ne viene indicata l’origine illirica e il suo essere, conseguentemente, tre volte barbara; oppure lo pseudo-Plutarco, e conseguentemente i suoi lettori, ne desumono l’identità dal contenuto dell'epigramma, e in particolare dall'incipit del primo verso, dove la donna si presenta. Qui però sorge un problema: i codici planudei (e le correzioni apportate da un vir doctus, fortasse ipse Planudes secondo il Paton, al codice M, cioè il Mosc. SS. Synodi Gr. 501) danno la lezione

(«Euridice di Ierapoli»), mentre tutti gli altri codici

hanno

. Ciò significa che anche Massimo Planude s’era posto il

problema che ci stiamo ponendo noi e l’aveva risolto introducendo una lectio facilior, dato che nel mondo antico erano note almeno tre città con questo nome.3 Ma l’emendamento planudeo non risolve il problema, sia perché di una Ierapoli in territorio illirico non si ha notizia da nessuna fonte, sia perché non sarebbe in ogni caso automatico il collegamento con l’asserita origine illirica della donna. La proposta planudea,

,

appare dunque da scartare. La lezione dei codici non planudei,

, ha suggerito l'identificazione di

Euridice con l'omonima sposa di Aminta III di Macedonia, madre di Perdicca III, Alessandro II e Filippo II (nonna quindi di Alessandro Magno), di cui Strabone riferisce che era nipote di Arrabeo, re dei Lincesti, una popolazione dell'alta Macedonia, e figlia di un non meglio identificato

o

. Lo confermerebbe un'iscrizione del IV sec. a.C. di Vergina

3

In Frigia, in Caria e nell'isola di Creta: W. Rude, Hierapolis, in A. Pauly - G. Wissowa, RealEncyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Stuttgart, VIII, 2, 1913, coll. 1404. 4 Strabone VII 7, 8, 326. Si veda H. von Gaertringen, Eurydike, in A. Pauly - G. Wissowa, RealEncyclopädie der classischen Altertumswissenschaft, Stuttgart, VI, 1909, col. 1326.

2

, interpretata come «Euridice figlia di Sirras».5

(Ege), in cui appare una

L'origine illirica della regina macedone è ribadita anche da Libanio6 e dal lessico bizantino Suida (alla voce

). Da un frammento di Satiro si ha notizia di un'altra Euridice,

anch’essa di origine illirica: il suo nome era Audata, e fu la prima moglie di Filippo II, che la ripudiò dopo avere avuto da lei una figlia,

o

di qui l'ipotesi avanzata dal

Wyttenbach che lo pseudo-Plutarco possa aver fatto confusione tra le due regine (Euridice, va ricordato, è nome dinastico macedone).8 L'identificazione della nostra Euridice con la sposa di Aminta III è apparsa convincente alla maggior parte degli studiosi moderni. Se si ammette, però, che

(o

, come

9

propone di leggere il Wilhem) sia un patronimico, diventa incomprensibile il nominativo («cittadina») della tradizione manoscritta: per questo il Wilamovitz suggerì di emendarlo nel dativo plurale

, da concordare con

. Tale emendamento fu

poi accolto nelle successive edizioni critiche del De liberis educandis.11 La regina Euridice, insomma, avrebbe consacrato l'oggetto cui si riferisce la dedica (il dimostrativo maschile singolare

potrebbe alludere, forse, a una tavoletta cerata, a un

città, collocandolo come ex-voto nel

), alle Muse della

della capitale macedone. L'ipotesi

sembrerebbe confortata dalla notizia che fa risalire l’introduzione del culto delle Muse in Macedonia alla fine del V sec. a.C., su iniziativa del re Archelao, ospite e protettore di Euripide, anche se nessuna fonte ci attesta culti riservati a Muse «poliadi», cioè di questa o quella città.12 Se la proposta di identificazione è corretta, l’Euridice dello pseudo-Plutarco sarebbe la regina macedone che diede i natali a Filippo II e che fu nonna di Alessandro Magno: una soluzione perfetta, perché si tratterebbe del personaggio noto, e dunque facilmente identificabile anche per i lettori antichi del De liberis educandis, di cui parlavamo. Attenzione

5

SEG XXXIII, 1983, n. 556, e BuEp, 1984, pp. 450-1. Argomenti delle orazioni di Demostene 18, in Libanii Opera, VIII, rec. R. Foerster, Teubner, Lipsia 1915, p. 606. 7 Il frammento appartiene alla perduta Vita di Filippo ed è conservato da Ateneo XII, 557 B (= fragm. 5 in FHG III, Didot, Parisiis 1878, p. 161). 8 Animadversiones in Plutarchi Opera Moralia, Oxonii 1810, p. 155. 9 A. Wilhelm, Ein Weihgedicht der Grosmutter Alexanders des Grossen, in «Annuaire de l'Institut de philologie et d'histoire orientales et slaves», 9, 1949, Mélanges Grégoire, pp. 625-33. 10 Lesefrüchte, in «Hermes» LIV, 1919, p. 71. 11 Quella tedesca di W. R. Paton (Plutarchi Moralia, I, Teubner, Lipsia 1925) e quella francese di J. Sirinelli (Plutarque, Oeuvres Morales, I, Les Belles Lettres, Paris 1987). 12 Forse per questo il dativo è stato interpretato come sostantivo dal Sirinelli, che dà del distico iniziale la seguente traduzione: «Eurydice, fille d'Hirra, dédia ce à ses compatriotes quand par son intelligence elle eut atteint l'objet, cher aux Muses, de son désir» (ed. cit., p. 63); ma è una strada sbagliata, perché in tal modo l'epigramma finisce per non essere più dedicato alle Muse, come esplicitamente affermato dallo pseudo-Plutarco. Verosimilmente questa difficoltà ha indotto la Macurdy a rimuovere il problema tralasciando del tutto la traduzione di : «Eurydice, daughter of Irrhas, offers this shrine to the Muses, / glad for the wish of her heart granted by them to her prayer» (Grace H. Macurdy, Queen Eurydice and the evidence for woman power in early Macedonia, in AJP XLVIII, 3, 1927, pp. 211-2; Hellenistic Queens , Baltimora-London-Oxford, 1932, p. 20).

6

3

però: che fama aveva presso i Greci questa regina e che notizie hanno tramandato su di lei le fonti? Ci aspetteremmo che fosse altrettanto nota la sua natura di madre premurosa e attenta. Non è così, anzi. Lungi dal presentarla come una madre sollecita del bene dei propri figli, Giustino, il tardo epitomatore delle Storie Filippiche di Pompeo Trogo (composte nel I secolo a.C.), riferisce che Euridice tramò, in combutta con il genero Tolemeo di Aloro, di cui era l’amante, contro il marito Aminta III (complotto che fu sventato dalla figlia) e che fece assassinare due dei suoi figli: Alessandro II, salito al trono dopo la morte del padre, e Perdicca III.13 La prima notizia è confermata (Alessandro II fu effettivamente assassinato da Tolemeo di Aloro, con la complicità di Euridice nel 368 o nel 367), mentre la seconda appare infondata, perché in difesa di Perdicca e dell'altro fratello, Filippo, intervenne il tebano Pelopida, col risultato che Tolemeo dovette assumere la tutela di Perdicca e consegnare ai Tebani cinquanta ostaggi, tra cui il proprio fratello e lo stesso Filippo. Perdicca III, raggiunta la maggiore età nel 365, fece assassinare Tolemeo di Aloro e divenne re: sei anni dopo morì in battaglia contro gli Illiri. In questo quadro a tinte fosche è impensabile che lo pseudo-Plutarco possa proporre come modello di

proprio questa Euridice, madre snaturata e assassina. Né vale ad

attenuare il giudizio il quadretto tramandato da Eschine, che presenta la regina che pone il piccolo Perdicca in braccio a Ificrate e gli posa sulle ginocchia il piccolo Filippo, perché è evidente che con quella messinscena la donna mirava a ottenere l'appoggio del generale ateniese contro il pretendente Pausania nel delicato momento successivo all'assassinio di Alessandro II.14 In conclusione, l'identificazione di questa Euridice con l'ambiziosa e spietata regina macedone è improbabile se non improponibile,15 a meno che non si voglia tacciare lo pseudo-Plutarco di grossolana ignoranza.

Seconda ipotesi: supponiamo che la dedicante sia una donna qualunque e manteniamo il concordemente tradito nominativo plurale

, rinunciando all’ipotesi di emendarlo con il dativo

(Wilamowitz) e alla conseguente stranezza di una dedica alle Muse

«poliadi». Ma se consideriamo

un patronimico, il nominativo

resta isolato (e

assolutamente anomalo: cittadina di che città?); per di più nulla dimostrerebbe l’origine illirica della donna. Per mantenere il nominativo

è necessario che nella parola precedente si celi non il

patronimico, ma la città di provenienza di Euridice, e che da questa indicazione lo pseudoPlutarco ricavi l'origine illirica della donna. La domanda diventa dunque un’altra: esisteva in 13

Iust. VII 4, 3-5, 9. Aeschn. 2, 28-9. 15 Dubbi in tal senso sono sollevati anche da N. G. L. Hammond - G. T. Griffith, A History of Macedonia, Oxford, II, 1979, p. 16, n. 1. 14

4

territorio illirico una città che potesse suonare come toponimi

o

? Ebbene, sono noti vari

- in area trace e magnogreca, ma, a ben guardare, esso è presente anche nella

più grande e nota città illirica, Sirmio. Ora, il lessico Suida cita una

(o

, stando al

codice Vossianus), che viene definita («città grande e popolosa, la più importante del popolo illirico»). Nessun dubbio che si tratti di Sirmio: si noti, tra l'altro, che la Suida (che menziona indirettamente, alla voce

), non colloca la voce

quanto la fa precedere da

,

,

nell'esatto ordine alfabetico, in

, e seguire da

esattamente dove ci aspetteremmo di trovare

,

:

cade

. Si tratta di una lezione corrotta o si

può ipotizzare che il lessicografo, volutamente, abbia trascritto il nome «locale», «illirico», della città? Metricamente, tra l'altro, l'esametro non soffrirebbe se ipotizzassimo di scrivere:

con una successione dattilo, spondeo, dattilo, spondeo, dattilo, trocheo, con cesura pentemimere e dieresi bucolica. Ma si possono ipotizzare anche Poco importa che non risulti attestato l'uso di

o il tràdito

o, al maschile, di

.

, preceduto

o seguito dal genitivo del nome della città (ci aspetteremo, semmai, un genitivo partitivo plurale del nome degli abitanti d'una data città, per esempio

). Potremmo

replicare che a una consimile soluzione pensava anche Massimo Planude, quando propose , ipotizzando cioè un unico aggettivo terminante in di scrivere

o anche

. Nulla ci impedisce

: in tal caso avremmo una cesura del terzo

trocheo e dieresi bucolica. La traduzione sarebbe in ogni caso da modificare in:

Euridice (cittadina) di Sirmio consacrò questo oggetto alle Muse, colto nell'anima il desiderio ben noto. Già madre di figli adolescenti, si sforzò d'imparare le lettere, che serbano delle parole il ricordo.

In conclusione, sarebbe la citazione iniziale della città di Sirmio a indicare l’origine illirica e dunque “tre volte barbara” della donna. Euridice sarebbe insomma una donna comune, anche se di non comuni virtù, e non la ricordata regina macedone (sposa di Aminta III, madre di Filippo II e nonna di Alessandro Magno), che tutto fu meno che una madre modello. Giuliano Pisani

5...


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