Freud IL Poeta E LA Fantasia PDF

Title Freud IL Poeta E LA Fantasia
Course Letteratura italiana 1
Institution Università degli Studi di Roma Tor Vergata
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Freud IL POETA E LA FANTASIA 1907 Su noi profani ha sempre esercitato una straordinaria attrazione il problema di sapere donde quella personalità ben strana che è il poeta tragga la propria materia – all’incirca nel senso della domanda rivolta da quel tal Cardinale all’Ariosto – e come egli riesca con essa ad avvincerci, suscitando in noi commozioni di cui forse non ci saremmo mai creduti capaci. (…) Potessimo almeno trovare in noi stessi, o in coloro che sono come noi, una qualche attività in certo modo affine al poetare! Ci sarebbe la speranza, indagando tale attività, di farci una prima idea approssimativa della creazione poetica. (…) Dobbiamo provare a cercare le prime tracce dell’attività poetica già nel bambino? L’occupazione preferita e più intensa del bambino è il giuoco. Forse si può dire che ogni bambino impegnato nel giuoco si comporta come un poeta: in quanto si costruisce un suo proprio mondo o, meglio, dà a suo piacere un nuovo assetto alle cose del suo mondo. Avremmo torto se pensassimo che il bambino non prenda sul serio un tale mondo; egli prende anzi molto sul serio il suo giuoco e vi impegna notevoli ammontari affettivi. Il contrario del giuoco non è ciò che è serio, bensì ciò che è reale. (…) L’individuo crescendo smette dunque di giocare, e sembra rinunciare a conseguire il piacere che ritraeva dal giuoco. Ma chi conosce la vita interiore dell’uomo, sa che non vi è cosa più diffìcile della rinuncia a un piacere già una volta gustato. Effettivamente noi non possiamo rinunciare a nulla e solo barattiamo l’una cosa con l’altra, così che ciò che sembra una rinuncia altro non è in realtà che la formazione di un sostitutivo o surrogato. Così anche l’adolescente, quando smette di giocare, abbandona soltanto l’appoggio agli oggetti reali: invece di giocare ora fantastica. Egli fabbrica castelli in aria, costruisce quelli che si dicono sogni a occhi aperti. Io ritengo che la maggior parte degli uomini in certi momenti si dedichi a fantasie. È questo un fatto che è stato trascurato per molto tempo e di cui non è stata quindi valutata appieno l’importanza. l bambino giuoca talora anche da solo o ai fini del giuoco costituisce con altri bambini un sistema psichico chiuso, ma anche quando non giuoca di fronte agli adulti non nasconde loro il suo giuoco. L’adulto invece si vergogna delle sue fantasie e le nasconde agli altri, coltivandole entro di sé come cose assolutamente private e intime: in genere preferisce confessare le proprie colpe piuttosto che comunicare le proprie fantasie. Può darsi che per questa ragione egli si ritenga il solo che inventi tali fantasie, non sospettando la generale diffusione negli altri di creazioni del tutto corrispondenti. Questo diverso comportamento di chi giuoca e di chi fantastica trova il suo fondamento nei motivi di queste due attività, diversi anche se l’una è la continuazione dell’altra. Il giuoco del bambino era diretto da desideri, e propriamente da quello specifico desiderio che è di così grande aiuto nella sua educazione: il desiderio di essere grande e adulto. Egli giuoca sempre a “essere grande”, e imita nel giuoco quel che riesce a conoscere della vita degli adulti. Non ha quindi ragione di nascondere questo desiderio. Nell’adulto le cose stanno in un altro modo: da un lato sa che da lui non ci si attende più che giuochi o fantastichi ma che agisca nel mondo reale, dall’altro fra i desideri che provocano le sue fantasie ve ne sono alcuni che è assolutamente necessario nascondere: perciò egli si vergogna delle sue fantasie, come di cose fanciullesche e illecite. (…) Accingiamoci dunque ad apprendere alcuni dei caratteri dell’attività fantastica. Si deve intanto dire che l’uomo felice non fantastica mai; solo l’insoddisfatto lo fa. Sono desideri insoddisfatti le forze motrici delle fantasie, e ogni singola fantasia è un appagamento di desiderio, una correzione della realtà che ci lascia insoddisfatti. I desideri promotori sono vari, secondo il sesso, il carattere e le condizioni di vita della persona che si abbandona alla fantasia; essi si possono tuttavia raggruppare, senza sforzatura, secondo due direzioni fondamentali: o sono desideri ambiziosi, che servono a elevare la personalità, o sono desideri erotici. (…) Non posso neppure trascurare la relazione delle fantasie con i sogni. I nostri sogni notturni – come si ricava dall’interpretazione – altro non sono che fantasie. Il linguaggio, nella sua impareggiabile sapienza, ha da gran tempo risolto il problema dell’essenza dei sogni, indicando come “sogni a 1

occhi aperti” anche le aeree creazioni della fantasia. Se nonostante tale indicazione il senso dei nostri sogni ci rimane perlopiù oscuro, ciò dipende dal fatto che durante il sonno notturno divengono in noi attivi anche desideri di cui ci vergogniamo e che dobbiamo nascondere a noi stessi: che perciò dunque sono stati rimossi, cacciati nell’inconscio. A tali desideri rimossi e alle loro derivazioni non può essere concesso di esprimersi che in una maniera fortemente deformata. Ma dopo che il lavoro scientifico è pervenuto a dilucidare la deformazione onirica non è stato difficile riconoscere che i sogni notturni sono appagamenti di desideri, al modo stesso dei sogni a occhi aperti, e cioè delle fantasie ben note a ognuno. (…) scegliamo, per il nostro confronto, non i poeti massimamente valutati dalla critica, ma quei più modesti scrittori di romanzi, novelle e racconti, che proprio per ciò trovano un più vasto pubblico di lettori e di lettrici appassionati. Nelle opere di questi narratori vi è un elemento tipico che ci deve colpire; esse hanno tutte un eroe che è posto al centro dell’interesse, per il quale l’autore cerca di guadagnare con ogni mezzo la nostra simpatia e che egli sembra proteggere con una provvidenza particolare. Quando alla fine del capitolo di un romanzo abbiamo lasciato l’eroe sanguinante per gravi ferite e privo di sensi, siamo sicuri di ritrovarlo all’inizio del capitolo seguente amorevolmente curato e sulla via della guarigione; e se il primo volume si è concluso con l’affondamento durante una tempesta della nave recante il nostro eroe, siamo sicuri di leggere al principio del secondo volume la storia del suo salvataggio miracoloso, senza il quale il romanzo non potrebbe continuare. Il senso di sicurezza con cui accompagniamo l’eroe nel corso delle sue paurose avventure è lo stesso di quello con cui nella vita reale un eroe si lancia in acqua per salvare uno che è in procinto di annegare, o si espone al fuoco nemico per andare all’assalto di una posizione avversaria; quel vero sentimento eroico che uno dei nostri migliori scrittori, Anzengruber, ha espresso in maniera stupenda: “Es kann dir nix g’schehen.” Ritengo però che attraverso questo trasparente carattere dell’invulnerabilità si renda senza fatica riconoscibile Sua Maestà l’Io, l’eroe di tutte le fantasticherie come di tutti i romanzi. (…) Anche in molti dei cosiddetti romanzi psicologici mi ha sempre colpito che un solo personaggio, l’eroe, è descritto dall’interno: dentro la sua anima vi è in un certo senso l’autore, il quale invece guarda agli altri personaggi dal di fuori. Il romanzo psicologico deve la sua peculiarità in genere alla tendenza che lo scrittore moderno ha di scindere il proprio Io, mediante autosservazione, in Io parziali, personificando in più eroi i conflitti che agitano la propria vita interiore. (…) tanto l’attività poetica quanto la fantasticheria costituiscono una continuazione e un sostitutivo del primitivo giuoco di bimbi. (…) Non trascuriamo infine di tornare su quella classe delle opere poetiche in cui non sono da vedersi libere creazioni ma elaborazioni di un materiale già dato e noto. Anche qui rimane al poeta una certa indipendenza, che può esprimersi nella scelta del materiale e nelle modificazioni talora profonde che egli vi apporta. Per quel tanto poi che i materiali sono già dati, essi derivano dal patrimonio popolare di miti, leggende e favole. L’indagine su queste formazioni della psicologia dei popoli non è affatto esaurita; tuttavia, ad esempio per i miti, è assolutamente probabile che essi corrispondano ai residui deformati di fantasie di desiderio di intere nazioni, e cioè ai sogni secolari [continuati per secoli] della giovane umanità. (…) Si ricorderà che abbiamo affermato che il sognatore a occhi aperti nasconde accuratamente agli altri le proprie fantasie, giacché ha motivo di vergognarsene. Aggiungo ora che, anche se ce le comunicasse, non riuscirebbe a procurarci piacere alcuno con le sue rivelazioni. Tali fantasie, quando le apprendiamo, ci destano una certa ripugnanza, o tutt’al più ci lasciano freddi. Quando invece il poeta ci rappresenta i suoi drammi o ci racconta ciò che noi siamo inclini a interpretare come suoi personali sogni a occhi aperti, proviamo un vivissimo piacere che probabilmente deriva dalla confluenza di molte fonti. Come il poeta riesca a far ciò, è il suo particolarissimo segreto; la vera ars poetica consiste nella tecnica per superare la nostra ripugnanza, la quale è certo in connessione con le barriere che si elevano fra ogni singolo Io e gli altri. Possiamo supporre due mezzi di questa tecnica: il poeta addolcisce il carattere della sua fantasticheria egoistica alterandola 2

e velandola; e ci seduce con un profitto di piacere puramente formale, e cioè estetico, che egli ci offre nella presentazione delle sue fantasie. Il piacere così ottenuto, che ci viene offerto per rendere con esso possibile sprigionare, da fonti psichiche più profonde, un piacere maggiore, può esser detto premio di allettamento o piacere preliminare. Io sono convinto che ogni piacere estetico procuratoci dal poeta ha il carattere di un tale piacere preliminare, e che il vero godimento dell’opera poetica provenga dalla liberazione di tensioni nella nostra psiche. Forse contribuisce non poco a tale esito il fatto che il poeta ci mette in condizione di gustare d’ora in poi le nostre fantasie senza alcun rimprovero e senza vergogna. UN RICORDO D’INFANZIA DI LEONARDO DA VINCI 1910 in un punto del Trattato della pittura, in cui sembra volersi difendere dal rimprovero di irreligiosità:273 Ma tacciano tali riprensori, ché questo è il modo di conoscere l’operatore di tante mirabili cose e questo è il modo di amare un tanto inventore, perché invero il grande amore nasce dalla gran cognizione della cosa che si ama, e se tu non la conoscessi, poco o nulla la potrai amare. Il valore di queste frasi di Leonardo non va cercato nella comunicazione di un’importante verità psicologica, poiché ciò che esse affermano è palesemente falso e Leonardo lo sapeva certo altrettanto bene quanto noi. Non è vero che gli uomini aspettino di amare o di odiare finché non abbiano studiato e conosciuto nella sua essenza ciò che forma l’oggetto di questi affetti; piuttosto essi amano impulsivamente, secondo motivi sentimentali che nulla hanno a che fare con la conoscenza e il cui effetto è se mai fiaccato dalla ponderazione e dalla riflessione. Leonardo poteva dunque voler dire soltanto che l’amore praticato dagli uomini non è l’amore vero, ineccepibile; che si dovrebbe amare in modo da trattenere l’affetto, da sottometterlo al travaglio del pensiero e da lasciarlo libero solo dopo che avesse superato l’esame della riflessione. E allo stesso tempo noi comprendiamo che egli vuol farci intendere che in lui è così: sarebbe desiderabile che tutti gli altri trattassero l’amore e l’odio nello stesso suo modo. E in lui sembra realmente che le cose stessero così. I suoi affetti erano controllati, sottomessi alla pulsione di ricerca (…) L’osservazione della vita quotidiana degli uomini ci dimostra che ai più riesce di deviare parti molto considerevoli delle loro forze pulsionali sessuali verso l’attività professionale. La pulsione sessuale è particolarmente idonea a fornire contributi di questa natura, perché è dotata della capacità di sublimazione, vale a dire è in grado di scambiare la sua meta immediata con altre mete, che possono essere considerate più elevate e non sessuali. (…) Esaminando la coincidenza che si nota in Leonardo tra la predominante pulsione di ricerca e l’atrofia della vita sessuale, ridotta alla cosiddetta omosessualità ideale [sublimata], saremmo propensi a fare di lui un caso esemplare del nostro terzo tipo. Dopo un periodo infantile di curiosità al servizio di interessi sessuali, egli sarebbe riuscito a sublimare la maggior parte della sua libido in una spinta alla ricerca: ciò costituirebbe il nucleo e il segreto del suo essere. (…) Una sola volta, per quel che so, Leonardo inserisce nei suoi protocolli scientifici una nota sulla sua infanzia. In un punto dove si tratta del volo del nibbio, egli s’interrompe improvvisamente per seguire un ricordo che affiora in lui dai primi anni della sua vita. Questo scriver sì distintamente del nibbio par che sia mio destino, perché ne la mia prima ricordazione della mia infanzia e’ mi parea che, essendo io in culla, che un nibbio venissi a me e mi aprissi la bocca colla sua coda, e molte volte mi percotessi con tal coda dentro alle labbra. (…) Un ricordo d’infanzia, dunque, e invero molto sorprendente. Sorprendente per il suo contenuto e per il periodo di vita a cui viene riferito. Che un uomo possa conservare un ricordo di quand’era lattante non è forse impossibile, ma non si può in alcun modo considerare sicuro. (…) La scena del nibbio 3

non sarà un ricordo di Leonardo, ma una fantasia che egli si è costruito più tardi e ha riferito alla sua infanzia (…) Non è indifferente ciò che un uomo crede di ricordare della propria infanzia; di regola, dietro i frammenti di ricordi che egli stesso non riesce a comprendere, sono celate inestimabili testimonianze delle linee più importanti del suo sviluppo psichico.286 Ora, poiché le tecniche psicoanalitiche costituiscono per noi eccellenti mezzi per trarre alla luce questo materiale nascosto, ci sarà consentito il tentativo di colmare la lacuna esistente nella biografia di Leonardo con l’analisi della sua fantasia infantile. (…) Esaminando però con l’occhio dello psicoanalista la fantasia del nibbio di Leonardo, essa cessa presto di apparirci strana. Ci sembra di ricordare che spesso, per esempio nei sogni, abbiamo trovato qualche cosa di simile, di modo che possiamo presumere di tradurla dal suo linguaggio particolare in parole universalmente comprensibili. La traduzione s’indirizza allora verso la sfera erotica. La “coda” è uno dei simboli, una delle designazioni sostitutive più note per il membro maschile, in italiano non meno che in altre lingue;287 la situazione descritta nella fantasia, un nibbio che apre la bocca del bambino e percuote vigorosamente la coda dentro di essa, 288 corrisponde a un’immagine di fellatio, un atto sessuale in cui il membro viene immesso nella bocca della persona con cui si ha rapporto. È abbastanza strano che questa fantasia abbia un carattere così marcatamente passivo; essa richiama inoltre certi sogni e fantasie di donne o di omosessuali passivi (che nel contatto sessuale assumono la parte femminile). (…) E poi l’indagine c’insegna che quest’abitudine, così severamente proscritta dal costume, ammette la più innocua derivazione. Ripete soltanto, elaborata, un’altra situazione in cui tutti un tempo ci siamo sentiti a nostro agio: quando poppanti (“essendo io in culla”) prendevamo in bocca per succhiarlo il capezzolo della madre o della balia. L’impressione organica di questo primo nostro godimento vitale fu certamente tale da rimaner scolpita in noi in modo indelebile; quando più tardi il bambino fa la conoscenza della mammella della mucca, che per la sua funzione equivale a un capezzolo – ma per la sua forma e la posizione nel basso ventre a un pene – ha raggiunto il primo gradino per la successiva costruzione di quella fantasia sessuale che ci suscita repulsione.290 Ora comprendiamo perché Leonardo traspone il ricordo della presunta avventura col nibbio nel periodo in cui era lattante. Dietro questa fantasia si cela null’altro che una reminiscenza del succhiare – o dell’essere allattato – al seno materno, scena di umana bellezza e con la quale egli, al pari di molti altri artisti, si cimentò col pennello, dipingendo la Madre di Dio col suo bambino. C’è un altro fatto che dobbiamo tener presente, anche se ancora non lo comprendiamo, e cioè che questa reminiscenza, ugualmente importante per i due sessi, fu rielaborata dall’uomo Leonardo come fantasia omosessuale passiva. Lasceremo per ora da parte la questione del nesso che eventualmente congiunge l’omosessualità con l’attività del succhiare al seno materno, e ricorderemo semplicemente che la tradizione attribuisce di fatto a Leonardo sentimenti omosessuali. (…) Da dove viene questo nibbio e in che modo lo ritroviamo in questo contesto? Qui si offre spontaneamente un confronto così poco ravvicinato che si sarebbe tentati di rinunciarvi. Nella scrittura geroglifica degli antichi Egizi la madre viene indicata con la figura dell’avvoltoio.292 Inoltre gli Egizi veneravano una divinità materna che veniva raffigurata con una testa di avvoltoio o con più teste, almeno una delle quali era di avvoltoio. 293 Il nome di questa dea si pronunziava Mut; che l’affinità fonetica con la nostra parola Mutter [madre] sia soltanto casuale? Così l’avvoltoio è veramente in rapporto con la madre; ma questo a che cosa ci può servire? Possiamo forse credere che Leonardo lo sapesse, dal momento che la lettura dei geroglifici è stata fatta per la prima volta da François Champollion (1790-1832)?294 Varrebbe la pena di ricercare per quale via soltanto gli Egizi siano pervenuti alla scelta dell’avvoltoio quale simbolo della maternità. Ora, la religione e la civiltà degli Egizi erano oggetto di curiosità scientifica già presso i Greci e i Romani e, molto prima che noi stessi riuscissimo a decifrare i monumenti d’Egitto, esistevano sparse notizie in proposito, provenienti da scritti dell’antichità classica che si sono salvati e che in parte sono di autori noti, come Strabone, Plutarco, 4

Ammiano Marcellino, in parte recano nomi sconosciuti e sono di origine e redazione incerta, come i Hieroglyphica di Orapollo Niloo e il libro di sapienza sacerdotale dell’Oriente tramandato sotto il nome del divino Ermete Trismegisto. Da queste fonti apprendiamo che l’avvoltoio veniva considerato simbolo della maternità perché si credeva che in questa specie d’uccelli esistessero soltanto femmine e non maschi. La storia naturale degli antichi conosceva anche un corrispettivo maschile di questa situazione; si riteneva che gli scarabei, considerati dagli Egizi coleotteri divini e come tali venerati, fossero soltanto maschi. Ora, come avveniva la fecondazione degli avvoltoi, se tutti erano femmine? Un passaggio di Orapollo ci fornisce in proposito una spiegazione ingegnosa.297 In un certo periodo questi uccelli si arrestano in volo, dischiudono la vagina e concepiscono dal vento. Siamo dunque arrivati in modo imprevisto a considerare come affatto verosimile un’eventualità che fino a poco fa dovevamo respingere come assurda. Leonardo può benissimo aver conosciuto (…) Quindi la favola dell’unisessualità e del concepimento dell’avvoltoio non era affatto rimasta un aneddoto indifferente, come quella analoga degli scarabei; i Padri della Chiesa se n’erano impossessati per avere sottomano, contro chi dubitasse della Storia Sacra, un argomento tratto dalla storia naturale. Se gli avvoltoi, stando alle più attendibili notizie dell’antichità, erano destinati a farsi fecondare dal vento, perché non sarebbe potuto succedere lo stesso, sia pure una volta sola, con una femmina umana? Per questa possibilità di utilizzarla, “quasi tutti” i Padri della Chiesa solevano raccontare la favola dell’avvoltoio, sicché non è quasi possibile dubitare che attraverso così autorevole patrocinio anche Leonardo ne sia giunto a conoscenza. Possiamo rappresentarci la genesi di questa fantasia di Leonardo nel modo seguente. Quando una volta, in un Padre della Chiesa o in un libro di scienze naturali, egli lesse che gli avvoltoi erano tutti femmine e sapevano riprodursi senza il concorso del maschio, emerse in lui un ricordo che si trasformò in quella fantasia, la quale però intendeva significare che anch’egli era stato in fondo un figlio di avvoltoio, che aveva avuto una madre ma non un padre, e a questo si accompagnò, nel modo in cui soltanto impressioni così antiche possono esprimersi, un’ec...


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