I fiumi Ungaretti - analisi del testo PDF

Title I fiumi Ungaretti - analisi del testo
Author Santa Pennestri
Course Lettere Moderne
Institution Università di Bologna
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Summary

analisi del testo...


Description

Analisi del testo: "I fiumi" di Giuseppe Ungaret I fiumi è un componimento di Giuseppe Ungaret, uscito all’interno di Porto sepolto del 1916 e poi confluito, insieme ai componimenti di Allegria di naufragi (1919), nella raccolta L’allegria (1931). Nell’analisi del testo di I fiumi di seguito, oltre a sviluppare la parafrasi e riconoscere le figure retoriche, all’interno del commento vengono analizzati i temi, i significati, lo stile e la lingua di questa poesia, in cui Ungaret, in un momento di riposo durante il primo conflitto mondiale, riflette sui fiumi che hanno segnato la sua vita.

Scheda dell'opera 

Autore Giuseppe Ungaret



Titolo dell'Opera L'Allegria



Edizioni dell'opera Il primo nucleo di poesie (tra le quali I fiumi) esce nel 1916 con il titolo Il Porto sepolto; nel 1919 esce l'edizione Allegria di naufragi ed infine, nel 1931, tutte le poesie confluiscono nell'Allegria che vede la sua redazione finale nel 1942



Genere Poesia lirica



Forma metrica Versi liberi. I vv. 1-2 possono essere let come endecasillabi, mettendo in atto gli usuali processi di sinalefe e dialefe

Testo della poesia Cotici il 16 agosto 1916 1. Mi tengo a quest’albero mutilato 2. abbandonato in questa dolina 3. che ha il languore 4. di un circo 5. prima o dopo lo spettacolo 6. e guardo 7. il passaggio quieto 8. delle nuvole sulla luna 9. Stamani mi sono disteso 10. in un’urna d’acqua 11. e come una reliquia 12. ho riposato 13. L’Isonzo scorrendo 14. mi levigava 15. come un suo sasso 16. Ho tirato su 17. le mie quattr’ossa 18. e me ne sono andato 19. come un acrobata 20. sull’acqua 21. Mi sono accoccolato 22. vicino ai miei panni 23. sudici di guerra

24. e come un beduino 25. mi sono chinato a ricevere 26. il sole 27. Questo è l’Isonzo 28. e qui meglio 29. mi sono riconosciuto 30. una docile fibra 31. dell’universo 32. Il mio supplizio 33. è quando 34. non mi credo 35. in armonia 36. Ma quelle occulte 37. mani 38. che m’intridono 39. mi regalano 40. la rara 41. felicità 42. Ho ripassato 43. le epoche 44. della mia vita 45. Questi sono 46. i miei fiumi 47. Questo è il Serchio 48. al quale hanno atnto 49. duemil’anni forse 50. di gente mia campagnola 51. e mio padre e mia madre 52. Questo è il Nilo 53. che mi ha visto 54. nascere e crescere 55. e ardere d’inconsapevolezza 56. nelle estese pianure 57. Questa è la Senna 58. e in quel suo torbido 59. mi sono rimescolato 60. e mi sono conosciuto 61. Questi sono i miei fiumi 62. contati nell’Isonzo 63. Questa è la mia nostalgia 64. che in ognuno 65. mi traspare 66. ora ch’è notte

67. che la mia vita mi pare 68. una corolla 69. di tenebre Parafrasi affiancata 1. Sto vicino a quest’albero mutilato [privato dei rami a causa dello scoppio di una bomba] 2. abbandonato in questa cavità [la dolina è tipica delle regioni carsiche] 3. che ha la tristezza 4. di un circo 5. prima o dopo lo spettacolo [quindi si riferisce ad un circo vuoto] 6. e guardo 7. il paesaggio tranquillo 8. delle nuvole sulla luna 9. Stamatna mi sono disteso 10. in una pozza d’acqua [l’utilizzo della parola urna in relazione alla successiva reliquia suggerisce il valore sacrale del gesto dell’immersione] 11. e come una reliquia [=resto sacro] 12. ho riposato. 13. L’Isonzo scorrendo 14. mi levigava 15. come un suo sasso. 16-17. Mi sono rialzato 18. e me ne sono andato 19-20. camminando con difficoltà sull’acqua, passando sui sassi del fiume, come un acrobata. 21. Mi sono accovacciato 22. vicino ai miei panni 23. sporchi di guerra 24. e come un beduino [=nomade del deserto] 25. mi sono abbassato a ricevere 26. il sole 27. Questo è l’Isonzo 28. e qui, più che in ogni altro luogo, 29. mi sono riconosciuto [in guerra il poeta ha modo di approfondire se stesso] 30. come una piccola, docile parte 31. del tutto, dell’universo. 32. Il mio tormento 33-35. è non riuscirmi a sentire in armonia con questo tutto 36. Ma quelle occulte 37. mani [si riferisce alle acque del fiume che, personificate, sono come mani] 38. che mi bagnano 39. mi donano 40. la rara 41. felicità

42. Ho ripercorso con la memoria 43. le epoche 44. della mia vita 45. Questi sono 46. i miei fiumi [vedi il Commento per la spiegazione dei diversi fiumi] 47. Questo è il Serchio 48. al quale hanno atnto 49-51. i miei avi, gente semplice, e mio padre e mia madre 52. Questo è il Nilo 53. che mi ha visto 54. nascere e crescere 55. e ardere di inconsapevolezza [si riferisce all’età adolescenziale] 56. nell’estese pianure 57. Questa è la Senna 58. e nelle sue acque torbide 59. mi sono rimescolato 60. e mi sono conosciuto 61. Questi sono i miei fiumi 62. rievocati dall’Isonzo 63. Questa è la mia nostalgia 64. che in ognuno di essi 65. mi si manifesta 66. ora che è notte 67. che la mia vita mi sembra 68. una corolla 69. di tenebre [la corolla è la parte che avvolge il cuore del fiore, e in questo caso richiama l’idea della morte e della precarietà della vita, in particolare nella situazione di guerra di cui è protagonista Ungaret]. Parafrasi discorsiva Sto vicino a quest’albero mutilato [privato dei rami a causa dello scoppio di una bomba] abbandonato in questa cavità [la dolina è tipica delle regioni carsiche], che ha la tristezza di un circo prima o dopo lo spettacolo [quindi si riferisce ad un circo vuoto] e guardo il paesaggio tranquillo delle nuvole sulla luna. Stamatna mi sono disteso in una pozza d’acqua [l’utilizzo della parola urna in relazione alla successiva reliquia suggerisce il valore sacrale del gesto dell’immersione] e come una reliquia ho riposato. L’Isonzo scorrendo mi levigava come un suo sasso. Mi sono rialzato e me ne sono andato, camminando con difficoltà sull’acqua, passando sui sassi del fiume, come un acrobata. Mi sono accovacciato vicino ai miei panni sporchi di guerra e come un beduino [=nomade del deserto] mi sono abbassato a ricevere il sole. Questo è l’Isonzo e qui, più che in ogni altro luogo, mi sono riconosciuto [in guerra il poeta ha modo di approfondire se stesso] come una piccola, docile parte del tutto, dell’universo. Il mio tormento è non riuscirmi a sentire in armonia con questo tutto. Ma quelle occulte mani [si riferisce alle acque del fiume che, personificate, sono come mani] che mi bagnano mi donano la rara felicità.

Ho ripercorso con la memoria le epoche della mia vita. Questi sono i miei fiumi: Questo è il Serchio al quale hanno atnto i miei avi, gente semplice, e mio padre e mia madre. Questo è il Nilo che mi ha visto nascere e crescere e ardere di inconsapevolezza [si riferisce all’età adolescenziale] nell’estese pianure. Questa è la Senna e nelle sue acque torbide mi sono rimescolato e mi sono conosciuto Questi sono i miei fiumi rievocati dall’Isonzo. Questa è la mia nostalgia che in ognuno di essi mi si manifesta ora che è notte, che la mia vita mi sembra una corolla di tenebre [la corolla è la parte che avvolge il cuore del fiore, e in questo caso richiama l’idea della morte e della precarietà della vita, in particolare nella situazione di guerra di cui è protagonista Ungaret]. Figure Retoriche 

Enjambements

vv. 3-4; vv. 7-8; vv. 9-10; vv. 11-12; vv. 14-15; vv. 15-17; vv. 19-20; vv. 22-23; vv. 24-25; vv. 25-26; vv. 28-29; vv. 30-31; vv. 32-33; vv. 34-35; vv. vv. 36-37; vv. 40-41; vv. 42-43; vv. 43-44; vv. 45-46; vv. 48-49; vv. 50-51; vv. 53-54; vv. 55-56; vv. 58-59; vv. 64-65; vv. 66-67; vv. 68-69; 

Personificazione

vv. 2-3: “abbandonato in questa dolina/ che ha il languore”; vv. 52-55: “Questo è il Nilo/ che mi ha visto/ nascere e crescere/ e ardere d’inconsapevolezza”; 

Metafore

vv. 3-4: “che ha il languore/ di un circo”; v. 10: “in un’urna d’acqua”; vv. 30-31: “una docile fibra/ dell’universo”; vv. 36/38: “Ma quelle occulte/ mani/ che m’intridono” (metafora antropomorfica), 

Metonimia

vv. 13-14: “L’Isonzo scorrendo/ mi levigava”; 

Similitudini

v. 11: “come una reliquia”; v. 15: “come un sasso”; v. 19: “come un acrobata”; v. 24: “come un beduino”; 

Sineddoche

v. 17: “le mie quattr’ossa”; 

Anafore

v. 45: “Questi”; v. 47: “Questo”; v. 52: “Questo”; v. 57: “Questa”; v. 61: “Questi”; v. 63: “Questa”; 

Analogia vv. 2-4: “[…] dolina/ che ha il languore/ di un circo”.

Commento La guerra nel Carso è fonte di grande ispirazione per Ungaretti, il quale scrive in trincea diverse poesie, prima apparse su «Lacerba» nel 1915 e poi pubblicate, nel dicembre 1916, nella raccolta Il porto sepolto: il diario dal fronte. A queste poesie se ne aggiungono altre, confluite prima nella raccolta Allegria di naufragi del 1919, poi nell’edizione dell’Allegria del 1931 e, con altre varianti, in quella definitiva del 1942. Il titolo Il porto sepolto, nasce da un ricordo dell’infanzia del poeta vissuta ad Alessandria d’Egitto: la notizia di un «porto sommerso» in fondo al mare dalla sabbia del deserto, di un’era anteriore alla fondazione della città e di cui si è persa la memoria. Un porto sepolto che è anche, in qualche modo, simbolo del mistero dell’esistenza. La vita, infat, è un mistero così difficile da decodificare che, anche in mezzo alla morte e alla distruzione portata dalla guerra può nascere un’illogica vigoria, dalla quale deriva il titolo definitivo Allegria (molto più chiaro nella forma Allegria di naufragi). La lirica I fiumi si presta alla comprensione dell’intera raccolta, come ci ricorda lo stesso poeta : «meglio di quanto potrei dirlo io in questo momento l’hanno detto i miei Fiumi, che è il vero momento nel quale la mia poesia prende insieme a me chiara coscienza di sé».1 La lirica aiuta a comprendere la sua poetica e ci racconta aspet molto interessanti delle sue vicende biografiche: «vi sono enumerate le quattro fonti che in me mescolarono le loro acque, i quattro fiumi il cui moto dettò i canti che allora scrissi».2 Il poeta ci presenta diversi aspetti della sua esistenza citando alcuni fiumi per lui molto importanti: 

il Serchio, il fiume del territorio di Lucca, la città originaria della famiglia del poeta;



il Nilo che lo “ha visto nascere” perché il poeta è nato ad Alessandria d’Egitto e lì ha vissuto la sua adolescenza, quando ancora non aveva piena consapevolezza di sé e del mondo;



la Senna di Parigi, città nella quale Ungaret ha conosciuto il “torbido” malessere esistenziale (lo spleen di cui ha parlato Baudelaire), e ha acquisito consapevolezza e si è formato come letterato;



l’Isonzo, il fiume che scorre nel Carso devastato, su cui i fanti italiani combatterono dodici battaglie terribili contro gli Austriaci.

Ancora una volta è la tragedia della prima guerra mondiale la vera protagonista del componimento, ed è un paesaggio di guerra quello che ci viene presentato. Il poeta resiste nel paesaggio come un albero mutilato e contempla la natura per ritrovare il senso delle cose. I fiumi, infatti, hanno un valore di «summa poetica (ed esistenziale), nei quali una tregua della saison en enfer [stagione all’inferno] dei combatmenti si concretizza nel gesto archetipico dell’uomo che affida la propria ansia di assoluto al flusso eracliteo del divenire (vv. 61-69)».3 Il poeta è nascosto in una dolina: cavità tipica del terreno carsico, usata dai soldati come trincea, durante la prima guerra mondiale. Ciò che lo circonda è desolante: è un circo senza spettatori, perché è il momento in cui le luci della ribalta sono spente. Il poeta, unico superstite, si sente come una reliquia conservata in un’urna (l’urna d’acqua è l’atto simbolico della morte, se si legge la poesia come una discesa agli inferi) e, dopo essersi alzato cammina in bilico, come farebbe un acrobata (riprende la metafora del circo), sul fondo melmoso e pieno di sassi. S’immerge nelle acque del fiume e dopo si avvicina ai suoi vestiti “sudici di guerra” e come un beduino (similitudine che richiama un nomade arabo che vive nei deserti dell’Africa, terra in cui il poeta è nato) si prostra per ricevere il sole. L’Isonzo è il fiume in cui il poeta si riconosce fino in fondo come una parte piccolissima dell’universo (“una docile fibra dell’universo”), dopo aver compiuto un lungo processo per acquisire la consapevolezza di essere comunque nella soavità dell’acqua, così come nell’angoscia che deriva dal vedere la devastazione del Carso.

La guerra mette l’uomo a nudo e lo porta ad una maggiore consapevolezza di sé e dei suoi rapporti con la natura, a conoscere pienamente la condizione umana. I fiumi ricostruiscono la sua fibra e lo aiutano ad entrare in armonia con il creato e con se stesso, sebbene permanga un forte senso di nostalgia, tanto è che la poesia si chiude come è iniziata: con un paesaggio notturno che riflette l’angoscia e la desolazione che il poeta prova di fronte al mondo sconvolto dall’atrocità della guerra. Questa poesia presenta alcune delle innovazioni stilistiche tipiche del lirismo dell’Allegria di Ungaret: l’indicazione del luogo e della data della composizione; il contenuto autobiografico; la sintassi particolarmente frammentata e una metrica diversa da quella tradizionale, perché i versi sono ridot a brevi sintagmi (i cosiddet “versicoli”) alla ricerca della cosiddetta parola “scavata”. L’Allegria tutta attua una nuova sintassi lirica: le rare parole campeggiano con forza sul foglio bianco. Ungaret si pone, infat, l’obietvo di ritornare ad una significazione autentica, staccandosi nettamente dalla retorica della poesia dei poeti-vati. I fiumi è una della poesie più celebri della raccolta L'allegria di Ungaret. In questo componimento il poeta sembra riassumere i temi della raccolta: la fusione con il paesaggio , il senso della memoria, del ripercorrere la memoria filogenetica, ricapitolando la propria esistenza e origine. Attraverso le immagini di quattro diversi fiumi Ungaret ripercorre la sua storia personale e famigliare: il Serchio, il Nilo, la Senna e infine l'Isonzo, dove la fanteria italiana venne lanciata all'assalto per dodici volte dal generale Cadorna. La tragedia della Prima Guerra Mondiale, tema centrale del Porto sepolto e de L'allegria, sembra essere lo scenario teatrale della vicenda esistenziale del poeta. Ungaretti resiste come un "albero mutilato", unico sopravvissuto di un paesaggio desolato e distrutto. In questa poesia non vengono celebrati i sommersi, ma il poeta celebra se stesso, raccontando la sua biografia. I fiumi quindi si presenta come un'autobiografia scandita dalle immagini dei quattro fiumi, che sono un'immagine di continuità, e preannunciano la ricostruzione nella continuità della natura e della storia. È forse la poesia più celebre e più riassuntiva de Il porto sepolto e de L’Allegria. È un vero riassunto, nel senso che è come se ricapitolasse i temi del libro che poi resteranno i temi di Ungaretti, il quale cambierà radicalmente la sua cifra espressiva e musicale. Dal punto di vista tematico, invece, i sensi profondi della sua poesia restano questi: il senso di una fusione con il paesaggio , il senso della memoria, il senso del ripercorrere una memoria addirittura filogenetica, cioè che risale il fiume delle generazioni, ricapitolando la memoria della propria esistenza, addirittura nel fiume del paesaggio da cui provenivano i suoi genitori: il Serchio della gente campagnola di Toscana; poi naturalmente il Nilo d’Egitto, Alessandria dove Ungaret nasce: è la città del delta del Nilo; la Senna di Parigi: il torbido, il malessere esistenziale in cui Ungaret è cresciuto e ha conosciuto la sua vocazione letteraria; infine l’Isonzo: il fiume tragico, il fiume di sangue del Carso, il fiume su cui per dodici terribili battaglie i fanti italiani furono lanciati all’assalto del sadico generale Cadorna contro le mitragliatrici austriache. Questa tragedia della prima guerra mondiale è l’argomento de Il porto sepolto, ma è come se fosse lo scenario teatrale della vicenda esistenziale del poeta. Il poeta resiste nel paesaggio come un albero mutilato: una “dolina”, cioè il paesaggio scavato e privo di vegetazione, completamente abraso dalla particolare conformazione geologica del Carso, ma anche dalle ferite, dai colpi inferti dalla guerra, dai bombardamenti, dall’uso dei gas, da tutte le altre orribili tecnologie moderne che in quel momento, per la prima volta, il popolo italiano e tut i popoli europei venivano a conoscere nel loro volto più terribile. Questo paesaggio lunare trova un solo rappresentante, un solo sopravvissuto: l’albero mutilato. Rispetto alle altre poesie, quelle più brevi della raccolta dedicate perlopiù ai compagni, ai commilitoni morti, qui Ungaretti non celebra i sommersi, bensì il salvato, cioè fondamentalmente se stesso, raccontando la sua biografia. Il compito del poeta per Ungaret è di scrivere una bella biografia e i fiumi, nella loro brevità che è tipica anche della poesia di Ungaret, sono una vera e propria autobiografia scandita attraverso le immagini dei fiumi. L’immagine del fiume è un’immagine topica della tradizione letteraria, in particolare romantica, ancora una volta simbolista che Ungaret sicuramente conosceva, ma è anche un’immagine naturale di continuità. Rispetto alla disgregazione, rispetto alla musica

interrotta, singhiozzante de L’Allegria, questi fiumi preannunciano il momento della ricomposizione; ricostruiscono il tessuto (la “docile fibra dell’universo”, come la definisce Ungaret) del soggetto nella continuità con la natura e con la storia. Non si tratta solo della storia familiare, di un individuo, ma anche della storia di una comunità. Quell’italianità, quella patria che Ungaret non aveva conosciuto per nascita e che aveva vissuto come estraneità nel suo periodo parigino, viene invece clamorosamente incontrata e celebrata nel momento più difficile, più tragico, cioè il momento della guerra. Per molti intellettuali e scrittori la guerra fu la frantumazione dell’esistenza, la fine della propria vicenda di poeti e di scrittori. Si pensi a un grandissimo poeta, Clemente Rebora, che scrisse poesie, forse ancora più belle di Ungaret, sulla prima guerra mondiale, ma l’esperienza lo travolse, lo distrusse, lo sconvolse a un punto tale che dovette smettere di scrivere, dovette interrompere la sua vicenda di poeta. Al contrario, Ungaret si celebra ed entra nella scena della letteratura proprio in questo momento tragico, celebrando se stesso. C’è un’altra celebre poesia de L’Allegria, cioè Veglia, in cui contrappone il suo destino di salvato con il destino del commilitone rimasto ucciso. Quel destino di salvato di Ungaretti si celebra e si autocelebra nei fiumi attraverso questa musica ormai quasi del tutto ricomposta. La metrica è ancora quella tipica del primo Ungaret: una metrica di spezzature, di interruzioni e singhiozzi, ma già prelude al momento della ricomposizione. Ungaret tornerà finalmente in Italia, diventerà cittadino italiano, si integrerà nel corpo mistico dell’identità fascista e per un momento della sua vita penserà di aver incontrato il suo popolo...


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