L\'io diviso- Laing. PDF

Title L\'io diviso- Laing.
Author Cecilia Bruni
Course Filosofia morale
Institution Università degli Studi di Perugia
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Summary

Appunti presi a lezione di filosofia morale che riassumono il testo di Laing....


Description

L’IO DIVISO- RONALD LAING. Laing è uno psichiatra inglese (Glasgow) di primo livello molto famoso negli anni ‘70. Ha scritto numerosi testi, alcuni di questi sono tradotti anche in italiano. Scrive “l’io diviso” del 1959 all’età di 28 anni (testo interessante, lucido scritto da un giovane). È un testo che ha segnato molto la psichiatria esistenziale degli anni ‘60 in Europa. Laing si colloca nella stessa lunghezza d’onda di Binswanger e di tanti altri autori di questo indirizzo (l’io diviso, ad esempio, inizia con una citazione di Minkovskij). L’opera di Laing approfondisce il senso della critica di Binswanger a Freud. CAPITOLO 1- Le basi fenomenologico-esistenziali di una scienza delle persone. Prima definizione di una categoria importante per chi si occupa di schizofrenia: categoria della scissione. Lo schizoide è una personalità scissa sia nei rapporti con l’ambiente sia nei rapporti con sé. Lo schizofrenico vive un rapporto conflittuale con il mondo in maniera radicale, profonda e dolorosa. Lo schizoide si sente solo, non compreso, non valorizzato, respinto: tra l’io e il mondo si crea una scissione, il mondo non è solo il mondo della natura ma è il mondo degli altri, delle altre persone. Questa scissione non è solo esterna, ma è una scissione che può diventare anche interna all’io, in questo caso è duplice. Una scissione interna all’io si può manifestare in molti modi: può essere una scissione tra l’io e la propria corporeità (siamo tutti potenzialmente schizofrenici perché con l’ossessione per la bellezza viviamo solo in un mondo estetico in cui solo ciò che è bello è degno) o una scissione all’interno dell’io stesso che moltiplica sé stesso in personalità differenti (un io umiliato trova una compensazione nel fatto che contemporaneamente vi sia un altro sé stesso che si sia fatto valere). ... Viene da pensare alla personalità di Nietzsche: chi legge la sua biografia rimane impressionato da quante frustrazioni vive l’uomo Nietzsche, da quella della carriera universitaria dovuta abbandonare per motivi di salute, alla sua stessa salute fisica (disturbi neurofisiologici e gastrici), dalla sua vita amorosa frustrante al fatto che nella vita mondana non fosse nessuno. Tutta questa frustrazione di desideri inappagati poi trova la sua realizzazione nell’idea del superuomo. Il superuomo è la compensazione di Nietzsche: nel superuomo proietta quello che vorrebbe essere e che non è. … Lo schizofrenico può arrivare ad una scissione in sé medesimo perché una parte di sé compensa la parte umiliata, quindi ognuno vive contemporaneamente in due mondi diversi, in due io diversi: l’uno realizza l’altro in una polarità di personalità. Il malato è convinto ora di essere uno, ora di essere l’altro e quindi sembra che l’io si sdoppi realmente e che sia scisso. 3 forme di scissione della personalità drammatica e tragica dello schizofrenico: - scissione con il mondo - scissione tra me e la corporeità - scissione di me con me. In questo primo capitolo si chiarisce la novità del metodo fenomenologico-esistenziale in psicologia rispetto all’impostazione classica della psichiatria clinica e della psicopatologia ufficiale. In qualche modo il quadro è sempre permeato da quella ideologia scientista e spersonalizzante contro cui Binswanger si batteva nel ‘36. Nel ‘59 ancora Laing ribatte sui punti dolenti. Nella fenomenologia esistenziale l’esperienza di sé e del mondo diventa una dimensione essenziale: io non posso capire un altro se prescindo dall’esperienza che quell’altro ha di sé stesso e del mondo. L’altro non è un insieme di facoltà tra di loro giustapposte, non è una classificazione di disposizioni psichiche: l’altro ha un’esperienza di sé che se non sono in grado di decifrare non posso nemmeno riuscire a curarlo, a diagnosticare i motivi della sua patologia. È solo a partire dalla sua esperienza vissuta in quella determinata situazione che io riesco a penetrare nell’interiorità malata dell’altro. Laing usa (nel testo) il titolo della raccolta di Binswanger. L’essere nel mondo è un’espressione Heideggeriana (Sein in der Welt), per Heidegger l’esistenza è sempre essere-nel-mondo, è sempre un essere situato, non è mai un essere svolazzante. Essere nel mondo significa che io reagisco emotivamente con una disposizione affettiva rispetto alla realtà in cui mi trovo. Non posso capire niente dello schizofrenico se non parto dal contesto esistenziale, altrimenti le sue frasi sono frasi sconnesse che non hanno apparentemente nessuna logica, nessuna dimensione di significato comprensibile. Devo fare un’ermeneutica dell’esistenza dell’altro, devo comprenderlo a partire da ciò che egli propriamente è e da ciò che egli ha vissuto, quindi dalla sua vita e non semplicemente dalla sua psicologia in senso astratto. Esiste una transizione dal sano al malato: lo schizofrenico non è l’allievo, è uno di noi che si è trovato in condizioni particolari a cui ha reagito in quel modo. Magari qualcuno di noi avrebbe reagito diversamente: c’è chi è più forte, più corazzato rispetto alle difficoltà della vita e c’è chi è più fragile e reagisce diversamente. Laing dice che molti di noi sono schizoidi, ma non per questo sono psicotici: sono schizoidi in modo “sano”

(tic strani, manie…). Una cosa è essere schizoide sano, un’altra cosa è essere schizofrenico: c’è un confine oltre il quale c’è un tracollo. Il problema è che la psicopatologia e la psichiatria clinica come sono “oggi”, a causa del loro metodo, non riescono ad afferrare queste esperienze vissute dei malati di schizofrenia. Il libro di Laing si rivolge a coloro che usano il metodo clinico a prescindere dalla dimensione personale che invece dovrebbe e vorrebbe essere, qui, al centro dell’attenzione. Se il linguaggio della psicopatologia e della psichiatria clinica è un linguaggio asettico (scientifico, un linguaggio che prescinde dalla nozione personale, come posso descrivere il paziente con un linguaggio che lo mette fuorigioco? E che mette fuorigioco la sua esistenza? Questo è il problema che lo psicopatologo si trova a dover affrontare. Come posso, usando il metodo tradizionale della psicopatologia, rapportarmi a un paziente dal momento che sto usando un metodo e un linguaggio che lo mette fuorigioco? L’esordio di Laing è il una contestazione linguistica che investe anche il metodo. Posso io continuare ad usare un linguaggio neutro e oggettivante che fa del paziente un oggetto clinico? Quando mi devo rapportare esistenzialmente al paziente se voglio minimamente cercare di curarlo? Il linguaggio tecnico della psichiatria clinica è quello di sezionare il caso, quindi è tutta un’opera analitica. Sono tutti bravi nel sezionare, pochi sono bravi nel ricomporre, nel delineare poi l’unità di queste varie parti. In realtà non siamo una molteplicità di pezzi assemblati fra di loro, siamo punti d’identità, di sintesi, di unità. Non potremmo nemmeno parlare di identità dell’io se non ci fosse un punto di unità nell’io, e anzi l’io è l’unità, l’io è proprio la condizione trascendentale sintetica di tutti gli atti che provengono dall’io medesimo (Kant). È per questo che nello schizofrenico lo sdoppiamento dell’io lo chiamiamo “patologia” perché partiamo dal presupposto che l’io è sano in quanto identico a sé stesso e non molteplice. La psichiatria e la psicanalisi sono bravissime nel sezionare, analizzare, scomporre, dividere, ma questa opera di divisione è possibile solo se io possiedo una sintesi, che la psichiatria e la psicanalisi non ci danno. Queste due discipline dividono l’apparato psichico fatto da pezzi, da forze, da impulsi che interagiscono tra di loro, però non hanno un’unità del tutto. Nella psicopatologia, nella psicanalisi l’apparato psichico, il fattore psichico, viene indagato in totale isolamento rispetto al mondo e rispetto agli altri, come se fosse un ente a sé stante che viene indagato e analizzato a prescindere dalla dimensione relazionale dell’io. Non solo viene astratto dal mondo (cosa impossibile visto che non esiste un io separato psicologicamente parlando, siamo costantemente in relazione, ogni reazione psichica è una reazione ad una relazione), ma… Critica a Freud che non tratta mai dell’io in relazione al tu, ma tratta sempre di un io isolato. Una volta superato il complesso edipico l’elemento esterno diventa puramente accidentale, non così significativo: l’elemento esterno è solo ciò che provoca una reazione interna che si svolge secondo la dinamica delle forze. L’altro non è più il “tu”, ma è solo un oggetto esterno, ciò che provoca la reazione perché l’idea è sempre quella del modello della fisica di Newton: come esiste dentro di noi la reazione attrazione-repulsione, così nel mio rapporto col mondo esterno è sempre una questione di azione e reazione. Quest’ultima si ha sempre in relazione ad un oggetto esterno, non rispetto ad una persona esterna a me. L’io viene trattato sempre in qualche modo o dentro ad un isolamento dal mondo o ad una considerazione oggettivante del mondo fuori di me. La psicopatologia parla sempre di interazioni tra apparati mentali, tra apparati psichici (dice Freud), ma non è possibile parlare della relazione tra me e te come se fosse la relazione tra due apparati mentali. In realtà ciò che Laing vuole descrivere è la relazione tra due esistenze, non tra due apparati mentali. Ognuno di noi è sé stesso solo come persona propria, solo come proprio mondo personale perché l’essere personali è essere personali come mondo personale. La nostra vita è il nostro mondo ovvero il mondo dell’esperienza che abbiamo vissuto e che stiamo vivendo: l’esperienza è un mondo, il mondo non è la Terra, questa è il mondo minerale, vegetale, fuori di noi, ma il mondo è ciò che nasce dalla relazione fra noi e gli altri, il mondo è l’insieme delle esperienze intersoggettive che vivono in me, come le percepisco io ed io sono parte di questo mondo, questo mondo è mio, è la mia storia, è la mia vita. Ognuno è sé stesso nel suo mondo personale e in un certo senso questo mondo perirà con noi, quel mondo lì non è ripetibile da un altro, è il nostro. È soltanto il pensiero esistenziale che ha tentato di esprimere l’esperienza originale che si ha di sé stessi in rapporto agli altri. Il pensiero esistenziale corregge la prospettiva naturalistica del modello scientifico di fine ‘800 che inficia così profondamente anche la nascita della psichiatria clinica. Il pensiero esistenziale non rifiuta i risultati della psichiatria clinica, ma li corregge, li amplia, permette di vedere le cose in maniera diversa. Il paziente non è più un oggetto clinico, è una persona, è un’esistenza vissuta che io devo penetrare, comprendere, afferrare, devo addirittura immedesimarmi per cercare di capire. Il pensiero esistenziale capisce sempre l’io in rapporto con altri. La vita non è mai solitaria e anche quando è solitaria è per reazione a qualcosa, io divento solitario perché non sono compreso da altri,

perché sono rifiutato, non sono voluto. L’essere soli non è mai una dimensione originaria,ma è sempre una reazione a. Se io separo scientificamente il paziente dal suo mondo, dal suo essere nel mondo, e quindi studio solo il suo apparato psichico prescindendo dalle sue esperienze vissute con il mondo, allora studio lo schizofrenico con un metodo schizofrenico. Il mio linguaggio ricalca esattamente la patologia dello schizofrenico. Nella scienza ripeto la scissione che è propria della schizofrenia. Se studio lo schizofrenico con un linguaggio che separa nettamente lo psichico dal somatico, l’anima dal corpo, l’io dalla corporeità, l’io dall’Es, come se fossero due dimensioni irriconoscibili fra loro, allora non faccio altro che ripetere (nel modello scientifico) la stessa scissione che vive lo schizofrenico tra sé stesso e la sua corporeità. Laing dice che la scienza è schizofrenica perché ripete il modello dell’esistenza dello schizofrenico. Come potrà la psicopatologia curare lo schizofrenico se opera con un linguaggio che ripete le stesse scissioni che sono nell’esistenza dello schizofrenico? E se la scienza non ha un modello di sintesi e di unità al di là delle scissioni? La psicopatologia parte da un burattino già rotto, che ha già sezionato l’io, l’ha rotto. Se lo schizofrenico è un burattino rotto, allora la psicopatologia è un modello di burattino rotto. L’unità o è all’origine (ma di questo la psichiatria clinica non parla) o non la ritrovo più, non la posso presupporre dopo, non posso ricostruire un apparato psichico separato all’origine. Laing fa ampio uso di studi che lo precedono. L’uomo può essere visto o come una persona o come una cosa: sono due modalità di vedere. La scienza di fine ‘800 nel suo trattare gli uomini come oggetti non fa altro che privilegiare un metodo di visione rispetto ad un altro. Già Martin Buber (?), che è uno dei più grandi pensatori ebrei del ‘900, scrive un’opera dal titolo “Ich und Du”=”Io e Tu” in cui esordisce dicendo che l’io può considerare l’altro o come un tu o come un oggetto. Noi consideriamo gli altri come tu personale quando questi ci sono cari o quando li stimiamo, ma in certi rapporti le persone sono cose, non sempre intenzionalmente, e a volte un rapporto strumentale (quella persona mi serve, ma non ci stabilirei una relazione personale) può diventare una relazione cosificante (l’altro è una cosa). Quindi ci sono vari modi per rapportarsi all’altro, i modi più nitidi sono questi due (l’altro può essere una persona o un elemento del mondo minerale, una cosa), gli altri sono sfumature. Questa diversità che Buber stabilisce in maniera molto chiara viene ripresa anche da altri autori del ‘900 come per esempio Gabriel Marcel nell’opera “Essere e Avere” in cui l’autore dice che possiamo rapportarci alla realtà secondo due modalità fondamentali: quella dell’essere e quella dell’avere. Nella modalità dell’essere io non mi preoccupo di possedere, io sono grato per la presenza degli altri, delle cose e del mondo, l’essere mi è donato, mi è dato, non è semplicemente un mio possesso. Nella modalità dell’avere io mi approprio della cosa, la valorizzo dal punto di vista del tornaconto, dell’utilità, dell’interesse, della ricchezza, della potenza: nell’avere non c’è gratuità, io voglio, non ringrazio, ma possiedo. Una distinzione simile è anche quella che troviamo in un’opera di Erich Fromm che porta anch’essa il titolo di “Essere e Avere”. Fromm, avendo l’eco dell’opera di Marcel, stabilisce questa netta distinzione di atteggiamenti umani fondamentali: ci si può rapportare al mondo a partire dall’essere o a partire dall’avere. Io non posso mai considerare gli altri solo dal punto di vista dell’avere, non posso mai considerare gli altri semplicemente come cose. L’orizzonte dell’essere (del tu) non può mai scomparire, non può mai essere surclassato, eliminato, dissolto dall’orizzonte dell’avere (delle cose). Laing, quindi, afferma che si può vedere e considerare l’uomo come una persona o come una cosa (lo vedo con distacco) e che si può vedere la realtà in un modo o in un altro. “Se ora tu siedi davanti a me io posso vederti come un’altra persona come me, ma senza che tu cambi o faccia niente di nuovo posso anche vederti come un sistema fisico-chimico complesso forse dotato di certe caratteristiche individuali, ma non di meno sempre tale. Visto in questo modo tu non sei più una persona ma un organismo…”. Io posso vedere gli uomini in due modi molto diversi tra loro: nel primo sono coinvolto, sono io in una relazione con il tu, nel secondo mi astraggo dalla relazione umana con l’altro e lo vedo come una cosa, non ho nessuna empatia per lui, non sono minimamente coinvolto, lo vedo dall’esterno, dall’alto con uno sguardo estraniante (come gli aguzzini di Auschwitz che tra di loro si vedevano come persone, ma i deportati venivano visti come sotto-uomini, come cose). IN SINTESI: Laing muove una critica alla psichiatria degli anni ‘50 per il suo linguaggio formalistico, perché si studia la psicologia umana attraverso una classificazione analitica che scompone l’unità personale dell’uomo in una serie di parti. L’impostazione che lui ha criticato spesso resta ancora normativa nella manualistica e nell’impostazione della psichiatria e della psicologia. Se applichiamo questo linguaggio della psichiatria al nevrotico, allo psicotico, allo schizofrenico soprattutto che è già una personalità scissa, allora come potrà una psichiatria di questo tipo avere un valore terapeutico? Come si può studiare un io diviso a partire da una manualistica che divide l’io?

La prospettiva che Laing assume come punto di vista critico rispetto ad una psichiatria naturalistica analitica è una prospettiva sintetica (partire dalla totalità dell’esistenza umana come punto di vista per poter capire le patologie della psiche, le patologie dell’io). Questo punto di vista sintetico è quello dell’essere nel mondo (esistenza concreta nella globalità dei suoi fattori, delle sue relazioni). Psichiatria sintetica Vs Psichiatria analitica. Possiamo vedere l’altro o anche noi stessi da punti di vista diversi, punti di vista che riflettono anche concezioni diverse della vita, della persona. L’uomo può essere visto come una persona o come una cosa perché anche la stessa cosa, se osservata da punti di vista diversi, può dare origini a due descrizioni completamente diverse (vedi sopra). L’intenzione decide della modalità di vedere e di concepire le cose (o le persone). Non è che il malato mentale vede un’altra cosa, vede semplicemente quella stessa cosa ma in maniera diversa da come la vedo io. Il rapporto che si stabilisce tra un organismo e una persona è diverso: un rapporto con una persona è un qualcosa che mi cambia, ma se l’altra persona per me è una cosa (organismo) il rapporto che stabilisco è totalmente diverso. La modalità di concepire e di vedere se l’altro è un soggetto o un oggetto decide della qualità del rapporto. Laing non ha timore di utilizzare la categoria di persona che, invece, una cosiddetta considerazione scientifica della psicologia vorrebbe mettere rigorosamente da parte. In un dialogo mentre l’altro parla cerco di capire il funzionamento del suo cervello, a quali meccanismo obbedisce la possibilità dell’attività verbale, quali zone del cervello sono interessate, quali processi biochimici sono in atto nel momento stesso in cui parla, ma se sono concentrato solo su quest’aspetto del suo linguaggio non capirò niente di ciò che sta dicendo. Se io ascolto l’altro in quanto persona, e non semplicemente in quanto apparato cerebrale funzionale, allora sono attento al significato delle sue parole e quel significato non può essere decodificato a partire dall’attività neurochimica del suo cervello (sono due realtà complementari, ma non sono identiche). Io posso comprendere l’essere umano sia in un modo che in un altro, ma certamente un modo non esclude l’altro. Se io concepisco l’altro semplicemente come un computer lo cosifico, lo riduco a una cosa, e allora tutta la dimensione dei suoi significati diventa per me irrilevante perché ciò che conta è solo la considerazione quantitativa dell’altro, non quella qualitativa. Laing non esclude che io possa considerare l’uomo sotto un duplice aspetto, ma l’uno implica l’altro. Se voglio comprendere l’uomo come totalità devo assumere entrambi i punti di vista. Ci sono due prospettive: l’attività personale viene vista come un insieme delle esperienze dell’altra persona, mentre l’attività organica può essere vista come un insieme di processi biologici, chimici, organici. Ogni esperienza ha una caratteristica di unicità, non è un processo, non può essere mai universalizzata nel suo esserci, è sempre unica. Quindi, in un uomo visto come organismo non c’è posto per desideri, timori, speranze o disperazioni in quanto tali. La prospettiva di Laing non è quella di Freud: non è nella libido organica che starebbe la chiave di volta di tutto l’io e super-io. L’organismo è il neutro, l’Es di Freud, l’”esso”, la terza persona impersonale. Se considero l’uomo come organismo lo considero dal punto di vista dell’Es. In noi vi è sempre una tendenza a spersonalizzare l’altro riducendolo a bios (a fenomeno organico) o riducendolo a robot (a fenomeno meccanico). In ambedue i casi l’altro viene spiegato a partire da: può venire spiegato a partire dai suoi impulsi vitali o a partire dalla reazione delle forze. La tesi di Laing è che si fallisce in una teoria dell’uomo come persona se lo si riduce o a organismo o a meccani...


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