ll segreto del teatro no PDF

Title ll segreto del teatro no
Author Valery Gogliucci
Course Letteratura giapponese
Institution Università degli Studi di Napoli L'Orientale
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Summary

Riassunto de Il segreto del teatro no - Motokiyo Zeami...


Description

Teatro No Introduzione Generalmente si definisce il no un giapponese; precisando che tra i tre generi classici del teatro giapponese è il più antico. Per Zeami l'essenza del no sta nella danza e nel canto, non nel testo; ironicamente però tale rapporto si è col tempo rovesciato proprio per merito di Zeami, il quale fu più poeta di genio che uomo di teatro. Il no ebbe la sua prima sede nei templi, dove fu per lungo tempo complemento non liturgico delle feste religiose. È uno spettacolo concepito per il divertimento del pubblico, senza alcun fine mistico. Il no è stato , dal XVI al XIX secolo, un'arte praticamente riservata all'aristocrazia, specie quella militare. Oggi la sua posizione è ambigua in quanto limitano la sua diffusione ad un'aristocrazia non più di casta ma d'istruzione. D'altra parte, dopo la riforma dell'insegnamento del 1946, il livello di cultura del Giappone si è velocemente elevato, giovando indirettamente i teatri sempre più spesso pieni di giovani.

Descrizione 1. La scena. Questa si elevava un tempo all'aria aperta, oggigiorno le rappresentazioni si svolgono di norma all'interno di piccole sale che appartengono alle varie scuole di attori. La scena, anche al chiuso, ha conservato la sua struttura trazionale, tetto incluso. È sopraelevata di un metro e mezzo circa rispetto al suolo, si compone di due parti direttamente distinte: da una parte un palcoscenico, butai, quadrato, lungo 3 ken (1 ken= - 1.80 circa), prolungayo in fondo da uno spazio di 1x3 ken; dall'altra parte v'è il ponte hashigakari coperto anch'esso da un tetto, che si estende sulla sinistra e la cui lunghezza, variabile, può arrivare al triplo di quella del lato del palco. All'estremità del ponte, un sipario a righe verticali separa quest'ultimo dalle quinte, gakuya, situate dietro al palco e divise da questo tramite una parete di legno. Una balaustra costeggia il ponte dalla parte del pubblico, interrotta a intervalli regolari dai pilastri del tetto. Il palco è delimitato dai quattro pilastri d'angolo del detto che servono da punto di riferimento al danzatore, sono: il pilastro dello shite dove incomincia la danza, il piastro di riferimento, metsuke- bashira, il pilastro del waki, davanti al quale si trova il posto del waki e, infine, il pilastro del flauto. Dal pilastro del waki a quello del flauto, il palcoscenico è prolungato verso destra da uno stretto balcone chiuso da una balaustra dove siede il coro. Lo spazio che prolunga il palco verso il fondo è riservato ai musicisti; dietro l'rorchestra, contro la parete di fondo, al koken-za, sono seduti i sorveglianti che controllano l'andamento dello spettacolo. In fondo, a destra, una porticina bassa, kiri-guchi, serve di passaggio al coro, ai sorveglianti e a certi personaggi del dramma. All'entrata del ponte , di fronte al pilastro dello shite, si trova il kyogen-za dove predono posto gli attori comici mentre aspettano l'intermezzo tra i drammi. Davanti al ponte, ad intervalli regolari, vi sono piantati dei piccoli pini, i quali servono agli attori per orientarsi. Un altro pino v'è dipinto sulla parete di fondo, immagine emblema del teatro no. Sulla parete laterale destraa vi sono invece dipinti bambù, questi ultimi insieme a pruno e pino sono di fatti tre piante di buonagurio spesso riunite dell'iconografia giapponese. Lungo il ponte e intorno al palcoscenico viene lasciato uno spazio di circa un metro ricoperto di ghiaia in memoria dei cortili dei templi. Sotto al palco, infine, sono sistemate enormi giare destinate a servire da casse di risonanza per i . Gli spettatori sono installati di fronte al palco e alla sua sinistra, sempre rivolti verso il palco. I posti migliori sono quelli centrali dinanzi alla scala (ormai in disuso) 2. Orchestra e Coro. Quando comincia la rappresentazione di un no, in scena entra per prima

l'orchestra; essa è anche l'ultima ad uscire secondo l'ordine inverso di entrata. I musicisti entrano entrano dal ponte sollevando appena il sipario, indossano il costume cittadino d'epoca Tokugawa che consiste in un vestito di seta scuro e kami-shimo. Nelle rappresentazioni solenni portano l'antico costume da cerimonia del XV e del XVI secolo: il katagino, l'hakama dale gambe che strascicano e un copricapo di seta laccata. Il suonatore di flauto giunge per primo e si siede ai piedi del suo pilastro col fue. Poi vengono due tamburi, il grande, o-zutsumi, e il piccolo, ko-zutsumi; i due musicisti si siedono su sedili pieghevoli che portano loro stessi. Infine, nelle opere più animate, giunge un terzo tamburo messo a terra su un cavalletto. La funzione di questa orchestra è essenziale: i rumori ritmati creano l'atmosfera propizia. L'orchestra interviene in tre casi: - per preparare l'entrata dell'attore a inizio spettacolo o della seconda parte - per sostenere il canto nei passi lirici - per ritmare la danza In ogni caso, il ritmo spezzato ed incantatorio contribuisce a creare nello spettatore un diverso stato mentale, quasi ipnotico. Insieme all'orchestra, entrano dalla porticina sul fondo gli attori che compongono il coro. Essi sono 4, 8 o 12 cantanti in costume cittadino che rimangono immobili seduti sulla destra per tutto lo spettacolo. Cantano all'unisono o in risposta all'attore principale, altre volte commentano le azioni di un personaggio o descrivono il paesaggio. Orchestra e coro costituiscono inoltre, con la loro sola presenza, uno sfondo dinanzi al quale si svolge la recitazione dell'attore. 3. Gli Attori. C'è innanzitutto lo shite , il personaggio principale e più complesso, colui che danza, canta e si muove lungo tutta la scena nell'abito più sontuoso. V'è poi il waki, il generalmente un monaco in abiti spenti che entra in scena per primo e, dopo aver raccontato del viaggio che lo ha portato nel luogo d'azione, siede nel wakiza, donde starà per tutto lo spettacolo. L'uno e l'altro possono essere seguiti da tsure, accompagnatori, o tomo, compagni; essi semplicemente rinforzano la voce del proprio capofila o dargli la replica. Sarebbe sbagliato credere che questo quindi sia uno spettacolo con più personaggi o anche solo due: il waki è solo lo strumento che permette la visione al pubblico dello shite, il solo che conta. Shite e waki appartengono a due mondi separati, i primi si reclutano nelle cinque famiglie che fin dal XIV secolo si trasmettono il no; i waki formano scuole a parte prive della stessa reputazione. I kyogen son l'ultima categoria di attori, spesso disprezzati o ritenuti inferiori, ma indispensabili; son loro infatti che allentano l'atmosfera quasi irrespirabile dopo ogni no, recitando farse grossolane che aiutano dopo lo sforzo mentale fatto nel seguire lo spettacolo. I kyogen intervengono anche durante il no per eseguire un interludio che dà modo alla shite di cambiare costume, intrattenendosi col waki talvolta parodizzando lo spettacolo stesso. I kyogen sono raggruppati in scuole distinte rispetto a waki e shite. La loro recitazione è estremamente stilizzata, il risultato è di una intensità comica senza eguali in quanto la buffoneria delle parole e delle situazioni contrasta coi gesti quasi ieratici. 4. Costumi e Maschere. I costumi sono di seta e di broccato; le scuole no ne posseggono ricche collezioni talvolta comprendenti pezzi di epoca Muromachi. Il costume non tradisce alcuna preoccupazione di realismo, indica unicamente il tipo di personaggio, l'età e la condizione sociale, a prescindere dal periodo storico dell'ambientazione o l'argomento trattato. Un particolare curioso riguarda un hakama chiamato oguchi portato da tutti i personaggi che dà all'attore il suo aspetto piramidale. Solo lo shite porta una parrucca che, come il costume, indica esclusivamente il tipo di personaggio: - capelli lunghi scuri legati indicano una giovane donna -capelli lunghi scuri e sciolti indicano un giovane uomo

-capelli grigi e legati indicano personaggi anziani - i demoni indossano lunghissimi capelli rossi - gli dei possono indossare sia capelli scuri che rossi o bianchi, le dee inoltre posseggono una complicata corona coperta di gemme. - gli esseri soprannaturali indossano un copricapo sormontato dall'effige dell'animale/emblema. Davanti al viso lo shite (eccezionalmente anche il waki se interpreta un personaggio femminile) indossa una maschera la cui proporzioni sono leggermente più piccole rispetto al viso di un uomo e creano quindi un effetto ottico che slancia la figura dell'attore. L'uso della maschera ha fortemente influenzato le tecniche del no. Essa obbliga ad una recitazione molto stilizzata; i giochi di fisionomia sono comunque possibili, seppur limitati, attraverso un sapiente uso delle luci. Contrariamente alla maschera greca, la maschera no soffoca la voce e a ciò è dovuta la particolare dizione che caratterizza il no. Anche le apertute degli occhi sono piccolissime e a ciò è dovuta la necessità dei punti di riferimento sul palco. La maschera, come costume e parrucca, serve ad identificare un tipo. Generalmente le maschere umane sono molto semplici, mentre quelle demoniache sono più varie ed hanno meglio ispirato la vena caricaturale degli artisti costituendo l'antologia di tutte le passioni umane portate fino al parossismo. La maschera è rara nei kyogen, ma compare nelle parodie di no, diventa allora un travestimento, spesso alterata da una smorfia. Alcune maschere kyogen sono capolavori di scultura caricaturale. 5. Accessori. Il no non ha bisogno di scenario, tuttavia in più drammi si utilizzano accessori più o meno realistici. Primo fra tutti è il grande ventaglio del danza, abbinato al costume, che nelle mani dell'attore può diventare arma, flacone o ramo di pino; infinite sono le possibilità del linguaggio simbolico che esso esprime. Vi sono poi armi di scena più realistiche quali sciabole e archi con frecce. Più interessanti sono i grandi accessori, generalmente fatti di stoffa e bambù. Uno dei più tipici è la barca, semplice quadrato arrotondato alle estremità. Un ramo di pino sopra un supporto di bambù è una foresta, un soppalco sormontato da un tetto leggero sarà secondo i casi capanna, edificio o tempio. Alcuni di questi oggetti sono riservati ad un dato dramma: tali il campanile in miniatura di miidera e la grande campana di dojoji.

Una giornata di No Una rappresentazione di tipo classico è costituita di regola da cinque drammi, fra i quali si frappongono i kyogen; l'insieme costituito da 5 no e 4 kyogen dura tra le otto e dieci ore. Nelle grandi occasioni possono susseguirsi tre o anche cinque di queste giornate. Ridurre la durata dello spettacolo è abbastanza grave perchè distrugge così la bella armonia stabilita dai fondatori del n, e di cui Zeami analizza l'importanza estetica e psicologica. Il ritmo dell'interpretazione rallenta progressivamente nella prima metà dello spettacolo, per poi accellerare di nuovo nella seconda: questo andamento si fonda sul principio jo, ha, kyu. Jo è l'introduzione, opera rapida e senza complicazioni che attira l'attenzione del pubblico e lo mette in comunicazione con lo spirito del no. Questo risultato è ottenuto con l'interpretazione di un dramma detto di waki, o votivo, ove un personaggio soprannaturale predice prosperità e lunga vita a tutti. Seguono poi i drammi ha, più elevati, elementi sviluppati dello spettacolo. Anche i drammi ha seguono la progressione jo, ha e kyu. Il primo ha (secondo dramma del programma) è un'opera di "ashura" ovvero di guerriero. Alcune tra queste sono capolavori assoluti, quali Kanehira e Sanemori di Zeami. Viene poi l'opera di donna, caratterizzata dallo yugen, "incanto sottile", che è la più rappresentativa del teatro no. Anche per un amatore sperimentato, la terza prova della giornata costituisce una dura prova, dalla quale esce affascinato ma mentalmente stanco. Per "rimontarlo" ci saranno le ultime due opere; l'una appartiene al gruppo ha per cui costituisce l'elemento kyu, "accellerato", e v'è infine il kyu di

chiusura. La prima descrive avvenimenti del mondo reale, è pertanto l'abbozzo di un vero dramma che racconta di un'azione e non più una visione. Bisogna distinguere in questa quarta categoria l'importante gruppo delle "folli". In questa ulima serie di opere i tomo e tsure possono essere numerosi, lo shite inoltre non porta la maschera (ma è tenuto comunque a rimanere impassibile). La quinta ed ultima parte del programma prevede il kuy finale, dramma animato generalmente riguardante un demone o un dio impetuoso quale Inari. Questi personaggi sono caratterizzati da una danza violenta chiamata hatakari, "movimento forzato", in opposizione alla danza mai, tutta di "incanto sottile". Tranne alcune eccezioni, ogni opera è classificata in una delle cinque categorie definite sopra. La progressione Jo, Ha, Kyu si ritrova applicata in modo più o meno rigoroso nella composizione di tutti i no. Essa è particolarmente precisa nella struttura delle opere classiche. I termini sono presi dalla teoria del bugaku, la quale attua un equilibio necessario allo sviluppo armonico di ognu creazione artistica. Zeami non ha applicato tale principio alla cieca, l'ha invece analizzato definendone il significato estetico e la necessità psicologica.

Le origini Dal XVI secolo gli artisti hanno cercato soprattutto di osservare religiosamente le regole stabilite dei primi maestri piuttosto che di comprenderle o di adattarle al loro tempo; almeno fino alla scoperta dei trattati di Zeami nel 1909. Ancora qualche tempo fa si credeva che il no fosse il risultato di una lenta e lunga evoluzione di danze importate dalla Cina nell'VIII secolo. Oggigiorno però possiamo affermare che il no sia più di una tappa transitoria tra danza e teatro drammatico. Tutte le forme di divertimento anteriori al XIV secolo si rifanno a due famiglie: quella del bugaku e quella dei sangaku. Il bugaku era un divertimento di corte cinese giapponesizzatosi in epoca Heian e sottomessosi ai kagura, danze religiose indigene. Zeami considera questi kagura come una delle forme ancestrali del no. Il bugaku tuttavia esigeva da parte di coloro che lo praticavano una cultura estetica raffinata. Abbiamo quindi in contrapposizione i sangaku, divertimenti vari preferiti dalla gente comune. Ben presto il termine mutò in sarugaku (danze di scimmie) e comprendeva molteplici elementi, tra cui anche i burattinai che diedero vita verso la fine del XVI secolo al ningyo-joruri, il secondo dei tre generi del teatro giapponese. Uno dei rami dei sarugaku si trasformò nel sarugaku no no, la cui nobiltà non era inferiore a quella del bugaku. I creatori del no Nel 1374, Yoshimitsu, terzo shogun degli ashikaga, assistette ad uno spettacolo sarugaku di Yuzaki Saburo Kiyotsugu e ne fu così entusiasta che lo chiamò a corte col figlio. Costoro sarebbero divenuti rispettivamente Kanami e Zeami, capostipiti della stirpe Kanami, che tuttora dirige una delle cinque scuole di no. La "maniera di Yamato", ossia di Kanami, fu la sola a sopravvivere poichè quella di Omi e quella del dengaku erano morte a causa di eccesso du yugen, incanto sottile. Se Zeami riuscì a succedere al padre senza soccombere alla vanità e al peso della responsabilità su perchè seguì per tutta la sua carriera gli insegnamenti datigli dal padre, primo fra tutti la regola della "concordanza" (soo), attinta dal dengaku. A Zeami sarebbe dovuto succedere suo figlio Motomasa, ma costui morì prematuramente e perciò fu Zenchiku a succedergli e fu l'ultimo dei grandi attori-autori del teatro no. Dopo un'ultima fiammata sotto Toyotomi Hideyoshi il no finì per scomparire dalla scena pubblica. A causa dell'austerità artificiosa che aveva assunto nel tempo e del suo disprezzo per il popolo il no fu sul punto di morire per ben due volte, nel 1868 e nel 1945.

I testi Nel 1400 Zeami, prossimo alla quarantina, aveva deciso, al fine di tramandare gli insegnamenti del padre, di mettere per iscritto i precetti da lui trasmessigli. Furono i primi tre libri del Fushi-kaden, a cui si aggiungeranno poi una ventina di altri trattati la cui redazione durerà circa quarant'anni. Tali trattati, destinati a rimanere strettamente confidenziali, rimasero effettivamente segreti per cinque secoli. Nel 1909, il filologo Yoshida Togo, in seguito alla pubblicazione di un articolo dedicato ai "discorsi sul sarugaku" si vide affitare da un certo Yasuda Zennosuke, un pacco di manoscritti che questi aveva appena scoperti nella collezione di una famiglia di daimyo. Furono ancora necessarie tuttavia decine d'anni e la scoperta di nuovi manoscritti per far ammettere a tutti l'autencità,a lungo discussa, di questi testi. Kawase Kazuma scoprì inoltre un insieme di antichi manoscritti in un tempio in cui credette di riconoscere l'autografo di Zeami, di fatti tra essi si ritrovarono lettere scritte dal suddetto. Un terzo gruppo di manoscritti importanti è quello di Sosetsu, di mano del settimo capo della famiglia Kanze. Gli autori giapponesi utilizzano ancora, per designare l'insieme dei trattati, il titolo dato da Yoshida Togo: Raccolta dei sedici opuscoli di Zeami. Kawase soltanto ha corretto il numero in 23....


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