allegri, storia del teatro PDF

Title allegri, storia del teatro
Author Matteo Bandirali
Course Storia e tecnica della messinscena
Institution Università degli Studi di Bergamo
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STORIA DEL TEATRO, RIASSUNTO INTRODUZIONE di Luigi Allegri Quando parliamo di teatro la prima cosa fondamentale da fare è definire il contesto culturale e sociale in cui ci troviamo, infatti è evidente che la nozione di teatro e il ruolo che il teatro riveste nella società è del tutto diverso, ad esempio, nella Grecia classica o nella cultura di corte del cinquecento nel medioevo cristiano. Per questo motivo, il manuale verterà sui modelli di teatro nei diversi contesti e sulle definizione delle culture dello spettacolo delle diverse epoche, quindi sulle cosiddette “idee del teatro”. In passato la storia del teatro riservava una posizione privilegiata alla drammaturgia, presupponendo che il testo sia l’elemento più importante per definire una civiltà teatrale. La cultura contemporanea invece, sostiene che il testo non definisce la natura e la struttura del teatro. La struttura del volume presenta due tagli: 1. Cronologico, scandisce la storia secondo partiture tradizionali (antichità, Medioevo, cinquecento..) riservando spazi specifici a due fenomeni importanti, la Commedia dell’arte e i teatri orientali. 2. Tematico, ripercorre la storia delle principali componenti dell’evento teatrale(attori, scenografia, edifici teatrali..) L’impostazione generale del volume è necessariamente eurocentrica. Ci sono momenti e settori in cui la cultura italiana è centrale e dominante, ma la volontà principale è quella di evitare l’italo-centrismo. 1. IL TEATRO ANTICO di Leonardo Fiorentini 1.1 SPETTACOLI IN GRECIA Della complessa produzione teatrale e spettacolare greca e latina sono sopravvissuti pochissimi testi, uno dei motivi di questo fatto è che non tutti gli spettacoli sono stati concepiti per uno spazio dedicato ad essi, ma si sono costituiti per improvvisazione e si sono distinti per occasionalità. Inoltre è necessario tener presente che una gran parte di ciò che fu messo in scena nel mondo antico non è minimamente ricostruibile. 1.1.1 L’EVENTO SPETTACOLARE ANTICO Nel mondo greco theatron, “teatro”, è termine immediatamente trasparente e non ambiguo. Costruito su una radice verbale *thea, la quale indica l’azione di guardare con continuità, di contemplare, mentre il theatron è il mezzo, l’infrastruttura per assistere a un evento spettacolare. Questo termine si manifesta nella letteratura ateniese, cioè dove il teatro si sviluppa, dal V secolo a.C quando le gare teatrali sono ormai abitudine istituzionale. L’evento spettacolare può essere definito da pochi, ma necessari, elementi: la presenza, in uno stesso spazio e nello stesso tempo, di un performer che agisce con il proprio corpo e di uno spettatore. È fondamentale uno spazio, per lo più circolare. Si delinea la necessità di una forma spaziale inclusiva. La forma spaziale arcaica appare occasionale, dedicata a uno spettacolo privato o una manifestazione religiosa, i quali non necessitano di strutture architettoniche fisse. 1.1.2 FESTIVAL DRAMMATICI DI ATENE Dioniso era il dio protettore del teatro, a cui venivano dedicati i festival di Atene, niente a che vedere con gli spettacoli teatrali. Nella Poetica, Aristotele individua le origini della tragedia nel ditirambo, un canto danzato di natura culturale per il dio Dioniso, eppure già dal VI secolo a.C si potrà individuare un primo allontanamento dalle tematiche dionisiache.

Ad Atene gli spettacoli teatrali si svolgevano durante le feste dedicate a Dioniso. La più importante festa ateniese era Dionisie urbane, chiamate così per distinguerle da quelle rurali che si tenevano nelle campagne circostanti ad Atene. Il tempo della festa era nel mese di Elafeboline (tra la fine di marzo e l’inizio di aprile), imponeva le rituali sospensioni della normale vita civile, ad esempio con il rilascio dei prigionieri su cauzione. La processione inaugurale (10 del mese di Elafeboline) aveva un propria regia e una dimensione spettacolare. Durante la processione venivano fatti sfilare dei falli rituali, in segno di fertilità; veniva sacrificato un toro; veniva istituita la gara dei ditirambi, la quale prevedeva l’esibizione di venti cori ciclici di cinquanta elementi ciascuno, precisamente due cori per ciascuna delle dieci tribù dell’Attica. L’11 il 12 e il 13 di Elafeboline si rappresentavano ogni giorno, una tetralogia tragica (tre tragedie seguite da un dramma satiresco o una forma di tragedia conclusa con un lieto fine) e una commedia. Le cerimonie duravano per l’arco dell’intera giornata, fin dall’alba, e la dimensione religiosa era ribadita dal sacrificio di un maialino lattante e dello spargimento degli incensi. Questi elementi hanno un rapporto con la generale dimensione spettacolare, son tratti che coinvolgono sensi con l’olfatto all’occorrenza inclusi nella rappresentazione teatrale. Non risulta chiara la questione compositiva delle opere teatrali, tempi e modalità di allestimento, e la trasmissione e l’archiviazione dei copioni. Un’altra importante festa in onore di Dioniso sono le Lenee che si svolgeva nel mese di Gamelione (periodo tra gennaio e febbraio). Questa festa è preceduta da una processione solenne guidata dall’arconte re e caratterizzata da sberleffi e lazzi. Alcuni Studiosi hanno ipotizzano la presenza di un teatro lenaico distinto e diverso da quello delle Grandi Dionisie (Dionisie urbane), tuttavia la fragilità delle testimonianze porta a concludere che non esistettero, ad Atene, due teatri distinti, ma un teatro soltanto; la diversità tra le commedie di Aristofane si può spiegare solamente per le risorse a disposizione del poeta, differenti sulla base di contesti festivi. La tradizione invernale della festa ha conseguenze sulla struttura degli spettacoli, poiché le cattive condizioni climatiche non permettevano la presenza degli alleati di Atene fra il pubblico, ciò ha condotto a riflessioni politiche peculiari all’interno dei copioni; allo stesso modo l’ammissione della presenza di stranieri residenti ad Atene è stata la conseguenza di un minor prestigio della festa. L’istituzionalizzazione di queste feste ribadisce il tratto politico del teatro ateniese nel suo complesso, motivabile anche per la presenza di un pubblico basto e diversificato, ma civilmente attivo e all’occorrenza attivabile dai vertici dei partiti. Molte figure si occuparono della politica culturale di Atene, uno tra questi fu Pericle, il quale si occupò di avviare una ristrutturazione del teatro di Dioniso (440 a.C.), fece costruire l’Odeion (444 a.C.) e infine costruì il theorikòn , considerato un contributo pubblico per consentire a tutti coloro che ne avevano bisogno di assistere alle rappresentazioni senza perdere la giornata lavorativa. L’organizzazione degli spettacoli ateniesi risultava molto complessa, gli elementi per testimoniare il profondo radicamento del teatro nella società sono la vasta partecipazione popolare e l’istituzionalizzazione stessa di ogni passaggio rilevante e precedente la messinscena. La strutturazione degli agoni occupava ben oltre la metà dell’anno. In questa occasione i poeti non presentavano l’intera opera, ma soltanto una selezione di brani corali. Gli agoni si concludevano con la proclamazione di vincitori, prassi che è alla base delle registrazioni epigrafiche che consentono tuttora di avere notizie aggiuntive sugli spettacoli ad Atene. La selezione dei giudici avveniva per sorteggio, questa modalità veniva dettata dal pubblico, per testimoniare come gli spettatori avessero una parte molta attiva nelle rappresentazioni.

1.1.3 UN TEATRO PER ATENE Il teatro fu traslocato sul lato meridionale del colle dell’Acropoli, presso il recinto sacro al dio Dioniso, per sancire così uno spazio dedicato allo spettacolo. La prima struttura in pietra è stata iniziata per volontà di Pericle, la quale aveva una forma a conchiglia che delimitava l’orchestra con l’antica pianta circolare del choros sacro. Il declivio del colle fu terrazzato per formare strutture lignee per la seduta degli spettatori. Sul lato opposto dell’orchestra rispetto agli spettatori si situava la scena su cui si esibivano gli attori. Sull’altezza della scena, gli studiosi si dividono in quelli che pensano che contempli uno stesso piano per scena e orchestra, altri invece sostengono l’esistenza di due piani differenti. La struttura del teatro greco rivela alcune caratteristiche, non prive di ricadute sulla drammaturgia: non si tratta di una struttura coperta; è concepita per ospitare un corpo civico numeroso e eterogeneo; lo spazio è tripartito (scena, orchestra, cavea) dunque il confine tra pubblico e scena risulta debole e mobile. 1.1.4 IL PUBBLICO DEL TEATRO GRECO L’andamento curvo della cavea costituisce una sorta di apparente manifesto di egualitarismo, specialmente nella democratica Atene. La gerarchia sociale è riprodotta nell’articolazione specifica dei posti a sedere: la proedria, vale a dire le prime file, era composta dalle più alte cariche civili e religiose della città, mentre nelle file immediatamente successive erano occupate dai cittadini di pieno diritto, quelle più lontane dalla scena dai meteci (schiavi che avevano accompagnato padroni e dalle donne). La questione del pubblico femminile presente alle rappresentazioni è ancora molto dibattuta tra chi sosteneva la loro presenza e chi invece la loro assenza. La capienza del teatro dionisiaco era notevole, aveva una capacità di ospitare circa 15.000 spettatori, capienza che avrà determinato anche certe scelte, come i movimenti degli attori e l’impiego della parola. L’impiego del teatro restò essenzialmente politico, inoltre si osserva l’evoluzione dell’organizzazione dei festival ateniesi, in cui la polis centralizzò sempre di più gli aspetti organizzativi, nasce così un parallelismo tra evoluzione della struttura del teatro e monumentalizzazione progressiva. Se il teatro greco è una sorta di metafora spaziale della polis, e non solo di Atene, è evidente che l’evoluzione del corpo civile della polis, costringe a un ripensamento delle prove drammaturgiche e della monumentalità degli edifici che ne permettono la rappresentazione. 1.1.5 IL CORO L’elemento centrale di qualsiasi spettacolo (tragico, satiresco, comico) è il coro. Considerare l’elemento del coro implica considerare tripartita la scena, quindi la suddivisione di scena/orchestra/cavea rispecchia quella di attore/coro/spettatore. Il problema non risiede tanto nella quantità della parti corali, ma nella loro qualità e nella varietà di impieghi che i drammaturghi ne hanno fatto. Il coro assume sempre più la funzione di esecutore di entractes. Il coro non è più una componente drammatica, ma è spettacolare e di intrattenimento. Sul piano numerico, i componenti della compagnie furono di diverse quantità in base al genere. 1.1.6 GLI ATTORI Non sembra che il teatro antico abbia originariamente conferito attenzione agli attori. Gli attori erano tutti uomini liberi e indossavano maschere. Nel IV secolo a.C. era diffusa l’idea che gli attori avrebbero avuto più potere dei poeti, quest’idea restituisce l’immagine di un teatro in cui la specializzazione dell’attore è senza dubbio rilevante, ma non immediata. È solo a partire dalla seconda metà del V secolo a.C. che la figura dell’attore inizia a imporsi come uno dei mezzi del teatro con un’identità e quindi con una consistenza umana.

Originariamente l’attore è solo uno strumento del teatro, un’anonima figura. L’attore greco è senza un nome a segnalarne la professione: hypokrites è il termine utilizzato, derivato da un verbo che indica attività profetica, di interpretazione di un indizio da parte degli indovini. L’attore media la parola e la rende corporea. Il nome dell’attore e il suo originario anonimato e la maschera, rivelano la figura di un officiante, di un corpo come un canale vuoto via via riempito dal contenuto di cui si fa mezzo decifrante per chi osserva e ascolta l’azione. Eschilo introdusse un secondo attore sulla propria scena tragica, esiste la presenza di un interlocutore dell’attore principale; Sofocle introdusse, poi, un terzo attore, naturalmente parlante. Il rapporto teatro-attore è sin dalle origini mutevole: l’attore da antico medium diviene il padrone del teatro. Se la scena “primordiale” del teatro greco è invece essenzialmente nuda, si dovrà riconoscere che il performer nel rappresentare un’azione, ha prodotto la scena con il proprio corpo, scena quindi che si indentifica nel suo corpo. L’importanza dell’attore ha avuto un ruolo decisivo riflesso nella trasmissione dei testi come sono giunti nella tradizione manoscritta. 1.1.7 IL CANTO Uno spettacolo teatrale antico prevede elementi vocali diversificati: Aristotele individua la lexis (il linguaggio) e la melopoiia (la composizione dei canti). Osservando i copioni superstiti possiamo notare come varie parti siano state recitate, altre pronunciate in una sorta di recitativo e altre siano state a tutti gli effetti cantate. Lo strumento convenzionale per l’accompagnamento era l’aulos (flauto), quali altri strumento fossero presenti non è dato a sapersi con sicurezza, sia per la scarsità delle testimonianze, sia perché non è chiara la funzione precisa affidata ad uno strumento o a un altro. In alcuni casi, pare fossero presenti strumenti percussivi, come le nacchere. L’aulos e la lira sono stati strumenti volti all’accompagnamento musicale. Sono strumenti udibili a pubblico, attori e dai personaggi, in quanto strumenti di scena e quindi utili alla drammaturgia. 1.1.8. MACHERE, COSTUMI, OGGETTI E MACCHINE: Maschera: •

rimanda ad un elemento rituale antico, che affonda le sue radici nella preistoria della cultura greca e dunque anche in quella del genere (ha anche un valore principale rispetto al corpo dell’attore in relazione allo spettacolo).



La fissità espressiva della maschera è servita a definire meglio l’ethos (le regole) del personaggio che, nel teatro tragico in particolare, appare spesso immutabile.



Nel caso del teatro tragico, la tradizione attribuisce a Tespi, quale “inventore” del genere, l’impego di machere nella performance→ le maschere, nelle tragedie superstiti coinvolgono tutti i personaggi della tragedia.



Si ritiene che le maschere fossero in lino e poi colorate, da Eschilo, secondo le testimonianze antiche (ma forse il gruppo di “invenzioni” attribuite dagli antichi al drammaturgico è più generoso rispetto alla realtà storica).



La testimonianza letteraria privilegiata per lo studio delle maschere tragiche e comiche è senza dubbio costituita da Polluce, il quale però sembra rifarsi a fonti che risalgono al primo ellenismo e non a un’epoca precedente, magari coincidente con quella cui corrispondono i copioni superstiti→ le fonti di Polluce per le maschere comiche non hanno diversa datazione da quelle per le maschere impiegate nella tragedia.



Maschera-ritratto→ idea che è stata avanzata a più riprese per sostenere l’immediata identificazione visiva da parte del pubblico. Personaggi per cui sarebbero state impiegate le maschere-ritratto sarebbero sulla base delle commedie aristofanee integre (ex. Euripide negli Acarnesi, Socrate nelle Nuvole, ecc.) non ci sono prove di possibilità tecnica adeguata a realizzare le maschere-ritratto.

Costumi: •

Le testimonianze sono asincrone, poiché alcune si rifanno a periodi successivi al V secolo a.C., al punto che i testi tornano a esser gli unici elementi utili per cogliere alcuni aspetti dei costumi antichi.



Da diversi dipinti non molto si ricava per la tragedia, perché non sempre si capisce se il pittore ha rappresentato un momento del mito oppure la forma tragica del mito.



Qualche elemento del costume aveva un valore iconografico, per certi versi, indispensabile a cogliere immediatamente il rango del personaggio o, soprattutto, la divinità interpretata, come la clava e la pelle di leone di Eracle, il tridente di Posidone, la femminea veste color zafferano di Dioniso.



Per la commedia la pittura vascolare, invece, sembra più affidabile nel rappresentare sovente i personaggi maschili dotati di falli posticci e di vistosissimi rigonfiamenti per le natiche.

Macchine teatrali/oggetti di scena: •

Dai copioni superstiti non risulta possibile ricavare tutti gli oggetti presenti, ma, in generale, non sarà fuori luogo ispirarsi a un’economia di principio→ la presenza o meno di un oggetto sarà dipesa non solo dalla sua riproducibilità tecnica, ma anche dalla sua necessità drammaturgica.



Nel teatro Greco nessun oggetto è totalmente diverso da ciò che esso appare nella realtà coeva, cosa che non implica che esso non possa assumere nel corso dello spettacolo nuove ed inedite funzioni o valori simboli.

Esempi: •

La macchina del volo: una gru con cinghie e funi impiegata per far arrivare alla scena e per allontanare da essa personaggi in volo, specialmente le divinità (stando ai testi superstiti e alle testimonianze esistenti, non è possibile affermare con certezza che essa fu impiegata in una delle tragedie superstiti e precedenti la Medea di Euripide, nel cui finale il macchinario fu certamente impiegato)→ le apparizioni di questa macchina nella tragedia si collocano nei finali, cioè nel momento in cui il nodo della vicenda si avvia a scioglimento, sia esso un lieto finale o sia un evento luttuoso e doloroso (si riscontra di più nella tragedia greca).

Secondo Euripide, la macchina del volo serve a realizzare un movimento fisicamente irreale ma scenicamente travolgente, attraverso l’impiego di un mezzo che si vorrebbe invisibile e che il pubblico, di buon grado, accetta come tale. •

È molto diffuso l’impiego, nel teatro del V secolo a.C., del cosiddetto “ekkuklema”, ossia un carrello che usciva dalla zona retroscenica; mentre gli altri hanno pensato a un meccanismo volto a mostrare gli interni retroscenici, una sorta di piattaforma girevole.

Se ci si rivolge a critiche contenute nella commedia e nella trattatistica del IV secolo a.C. ci si rende conto che l’attenzione non si rivolge tanto sul macchinario in sé come espediente scenico, ma sul valore

drammaturgico che esso pare avere assunto nella tragedia, e cioè di intervento della divinità per risolvere un intreccio eccessivamente complesso. 1.1.9. IL DITIRAMBO: Ditirambo→ antichissimo canto culturale per Dioniso, già nel VI secolo a.C. il tema dionisiaco sembrerebbe essere stato affiancato da altri temi mitologici (del ditirambo restano scarse tracce). L’elemento spettacolare consiste nel canto corale danzato attorno all’altare del Dio, in assetto circolare: si tratta di una serie di caratteristiche che determinano un’influenza del ditirambo sulla tragedia. Un significativo punto di contatto risiede negli aspetti più specifici, danza e canto, entrambi soggetti a importanti innovazioni musicali a partire dai primi anni Venti del V secolo a.C.: •

Dai testi tragici si direbbe che i cori euripidei sempre più spesso abbiano seguito evoluzioni circolari nella danza, come nel ditirambo.



Quanto alla musica sono state introdotte novità di tipo tecnico soprattutto sugli strumenti, capaci di conferire alle esecuzioni corali, e specialmente ditirambiche, nuovi e più virtuosi andamenti mimetici di suoni naturali (ultimo quarto del V secolo a.C.).

1.1.10. TRAGEDIA E DRAMMA SATIRESCO: La tragedia e la lirica corale apparentemente possono sembrare simili, ma occorre evidenziare e promuovere i criteri distintivi: Sia nella tragedia che nella lirica corale la dimensione visiva e sonora risulta fondamentale, in quanto l’oralità dell’esecuzione e della ricezione è caratteristica specifica; in entrambe esiste la componente corale. Inoltre la vicenda evocata trae origine dal patrimonio mitico; esiste comunque un legame più o meno esplicito ed evidente con l’attualità storica. Questi punti di contatto giustificano il richiamo all’origine ditirambica della tragedia promosso da Aristotele. Alcune notizie documentarie antiche individuano una “maniera tragica” già in alcuni ditirambi del VI secolo a.C. e nella produzione di alcuni poeti lirici corali, fra i quali Pindaro. L’esistenza di ditirambi dialogici di Bacchilide, e forse di Pindaro, dimostra ch...


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