Storia del teatro e dello spettacolo-converted PDF

Title Storia del teatro e dello spettacolo-converted
Author Silvia Messina
Course Storia del teatro e dello spettacolo
Institution Università degli Studi di Firenze
Pages 30
File Size 607.3 KB
File Type PDF
Total Downloads 83
Total Views 133

Summary

Download Storia del teatro e dello spettacolo-converted PDF


Description

La tragedia greca Erodoto e Aristotele: origine della tragedia dal ditirambo, un canto con danza, spettacolo e letteratura. Aristotele: gli exarchontes: due cori di cui uno di satiri; due coreuti; un coreuta come regista e solista. Ultima teoria: ditirambo in ritornello, exarchon come improvvisatore per gli intermezzi del coro in terza persona; diventa entità autonoma, un personaggio in prima persona. (Tespi unisce il protagonista al coro, come il poeta alla folla). Erodoto: origine dionisiaca, a sua volta orientale (Clistene dà a Dioniso i cori tragici) rinnovata (c'erano già, ecco perché li assegna) e allontanata dal rito religioso. Tragedia come canto dei capri (il secondo coro ferino, di satiri) o canto per il capro (trofeo finale) o canto dell'eroe (no tragos/capra ma tragos/eroe). L'attore è ipokrites: colui che risponde, che interpreta, ovvero che spiega e racconta secondo suo giudizio, sua analisi. La maschera per rilievo al personaggio dei deuteragonisti e tritagonisti; nessuna identificazione con persona-personaggio (a Roma c’è responsabilità dell’identità). Maschera a base di stoffa, con parrucca (terracotta per rito funebre); caschi completi diverse da quelle della Commedia per migliore visibilità (distanza platea-proscenio di 90 metri!). L' istituzione delle Grandi Dionisie vennero messe in scena nel 534 A.C, mentre quelle comiche nel 486 A.C. Spettacoli allestiti nelle Grandi Dionisie (marzo), patrocinata dall'arconte eponimo, il primo magistrato, e sostenuta dalle famiglie ricche: l'arconte elegge tre coreghi, uno per ogni tragediografo (questi chiede all’arconte un coro simbolico per l’opera), con tre tragedie più un dramma satiresco (prodotto posteriore della tragedia, non stadio congelato dell'evoluzione). Il satiro raffigurato è mascherato, non mitologico; è impersonato e rappresentato in coreografie corali. Il Cratere di Pandora: un coro di satiri sotto danza al suono del flauto, con movimenti ampi e netti; passa agli atti agitati e vitalistici in quella di Boston, o studiati per parodiare la musica, come in quella di Polione, chi tentando di strimpellare e chi suonando narcisisticamente. Oppure in scene drammatiche (sempre coreografiche, come nel Prometeo Piroforo, con la sikinnis secca e rapida), messe in scena da Pratina, il modellatore del dramma. Nella Kylix di Pyrgos i satiri violentano Iride vicino alla thymele, l'altare dell'orchestra, o di sorprendere Hera: i personaggi divini sono meno seri, caduti nel grottesco dei satiri (si veda Hermes). Nel vaso di Richmond, nell'atto dell'accecamento di Polifemo, i satiri fanno da contrappunto alla scena. Mito degradato col modus Pratina: il coro satirico si evolve fuori dall'atto dell'exarchon, il dio eroe. Vaso di Promonos: satiri mitologici, non rappresentanti, attorno ad Arianna e Dioniso. È la scena teatrale, in prova (le maschere in mano): personaggi con lunghi chitoni (Coefore), con fregi decorativi, ricchi e dignitosi non quotidiani, agili per la danza. Maschere tragiche con lineamenti accennati ma realistici (per maschi con alterazione sentimentale) e coturni leggeri, non alti (da epoca ellenista), non coinvolgibili col coro satirico grottesco diversamente vestito e rappresentato (maschere grottesche, dalle linee violente, "caricate", estremizzate). Due elementi distinti, due mondi diversi nello stile: due aspetti antitetici della realtà, tra apollineo e dionisiaco. Eschilo, Sofocle e Euripide, nel grande teatro di Dioniso Eleutero, al di sotto del Partenone, vicino all’Odeon di Pericle. Teatro greco di Dioniso (V-I sec.): cavea trapezoidale, non semicircolare, vicino ai teatri arcaici (Micene e Creta). Prima teoria: le prime rappresentazioni di Eschilo su due piani distinti: coro nell'orchestra, prima trapezoidale poi circolare, tra le gradinate; gli attori su una piattaforma (logheion), con la struttura della skene (camerini). Se fosse così, sarebbe come oggi, ma con frattura coro e scena. Seconda teoria: coro e attori in orchestra, con skene a due piani, e tetto come logheion. Ma nei drammi non c'è la skene. L'orchestra era a terrazza, con parodos per attori e coro, nella stessa scena, con skene successiva. Con Sofocle si adornano con pitture e architettura. Sviluppo del protiro per la porta centrale e delle paraskenie, edifici aggettanti, con colonne e porte. Se fosse così, il coro è personaggio pari all'attore, in collegamento continuo e non inframezzato con l'atto. Terza ipotesi: lo sfondo come polo centrale d'azione, con parodos: estensione dentro l'orchestra, con paraskenie: lo spazio sembra infinito per l'estensione dei paraskenia. Questa è la forma definitiva: orchestra circolare e gradinate dispostevi. Teatro di Epidauro di Policleto il giovane, del 340 A.C.: origine greco ellenista, non classica, con cavea semicircolare e regolare per golfo mistico dell’orchestra e per theatron a rialzo rettangolare. Teatro di Thorikos, Attica, VI-V secolo: classico, conforme al terreno costruito (non geometrico ed ellenista come Epidauro). Primi

palchi e proscenio in legno, poi in marmo dopo primi incidenti. Teatro di Eretria, V secolo, con palcoscenico complesso da skene, logheion e paraskenia, su pietra e legno; questo teatro rientra negli stili del palcoscenico lungo rettangolare, con theatron trapezoidale. Ricostruzione letteraria e pittografica della tragedia, con Aristotele e Polluce (maschere ed espressioni e struttura del coro): spettacoli eccezionali, la tragedia è dialogo tra due o tre attori, con coro di quindici persone a tre file per cinque, col corifero. Attori professionisti costosi, prima di competenza dell’attore, poi con Eschilo a due, poi a tre con Sofocle. Coro come personaggio del dramma (Aristotele) nello stile di Sofocle, non di Euripide. Recita nella zona dell’orchestra e nella skene, gli attori nel logheion. Coro disposto in società e in anagrafe (schiavi e vecchi per le Troiane, o satiri per disarmonia), omogeneo e maschile. Distacco attore-coro con logheion rialzato. Soggetto della tragedia è il mythos, il racconto mitologico o storico degli eroi dell’Olimpio. Preferenza alla tragedia per rendere migliori i cittadini nelle loro comunità, e per effetto catarsi (Cristianità vede l’impurità nel teatro, non nella condizione preesistente). La tragedia non viene riproposta, se non nel Cinquecento. Teatro in episodi (atti attoriali) e stasimi (intermezzi lirici corali tra episodi); l'attore allo stasimo non è in scena, se non nel kommos (spannungh), presente assieme al coro. Inizia col prologos, e poi storia già in medias res, in dialogo o monologo. Parodoi sono sia i corridoi laterali sia le parti d’entrata del coro (30-300 versi). L’esodus è la fine: il coro accompagna i personaggi fuori dalla scena. Recitazione con coro statico durante episodi e stasimi (controversa, le opere dicono il contrario), e mobile nel kommos. In Eschilo il coro è personaggio, centrale il sentimento e le passioni (Sette contro Tebe, i colori delle vesti come espressione vitalistica del movimento corale). Il coro nelle Eumenidi si svolge nelle paraskenie (simultanea medievali?), poi il coro esce dall'orchestra per cercare Oreste, e rientra sparso. Trilogia degli Atridi (unica), spettacolo kolossal con lunghi chitoni con maniche e un himation (senso arcaico), e skene a scenografia positiva (diegetica) e mezzi speciali. Questo è il linguaggio scenico greco. In Sofocle il coro è secondario, centrali sono i personaggi, più potenti e grandi (rilevanza alla sticomitia tra gli attori) e non complessi e sfumati come Eschilo. Con Sofocle (motivi autobiografici) l'attoreautore-regista perde l'attorialità. Utilizzo di comparse a significato preciso. Il coro è funzionale all'azione. In Euripide il coro perde importanza letteraria ma rimane "personaggio" in scena, virtuale (Baccanti e Supplici), anche per suggerire la scena. Il teatro perde di sacralità: dai vestiti ricchi di Eschilo (semidei) a quelli di stracci di Euripide (nessuna distinzione), con diversità di gesti e mobilità. Il drammaturgo è didaskalos, non poeta; da Sofocle si perde l'attorialità, e con Aristofane la regia. Fortuna di Euripide postmortem: paraskenie usate in modi diversi, ma in alcuni casi la skene era neutra, senza valore. Andromeda: prima è legata ad una roccia, poi alle colonne della paraskenia, con gesticolare pacato. Medea: personaggi violenti nel pathos, non "greci" ma "italiani" (vaso del Sud Italia). Aristotele, Poetica: dal dialogo attore e coro della prima fase, al deuteragonista di Eschilo, e al tritagonista di Sofocle, con scenografia dipinta. La tragedia è un'opera squisitamente letteraria, compiuta e autonoma, semplice nella lettura, per pietas e catarsi, con grande valore sociale per elevazione alla nobiltà (Aristofane). Nel governo di Licurgo (338-326 A.C) avviene la copia ufficiale delle opere più importanti dei tre tragediografi, approssimativa ma fedele; sono ora dei classici, dei modelli. Unità aristoteliche: tempo del giro di sole; luogo della singola scena rappresentabile, non contemporanee; azione della mimesi compiuta ed unica. Umanisti pensano a tempo fisso solare, non presupponendo le giornate delle Grandi Dionisie, e del luogo unico fisso, e non della singola scena a volta. Aristotele: la tragedia dal ditirambo, la commedia dalle falloforie, dal komos, alle Lenee (gennaiofebbraio) o nella giornata delle Dionisie. Commedia Antica: Eupoli, Cratino e Aristofane. Forma letteraria libera, in parabasi di coro e attori, con agone (contrasto tra attori) e gli episodi classici. La commedia aristofanesca ha trama esile e tematica varia e ricca, sulla contemporaneità e sulla critica sociale e politica della polis ateniese; il pubblico è preso di mira, in un vero dialogo. La funzione del coro è intensa ben oltre la tragedia, senza soluzione di continuità tra personaggi e coro, con frequente intervento. Si apre con la parabasis, con coro e attori in discussione. Il teatro aveva un'unica gradinata rettilinea, davanti alla skene rettangolare, opposto all'orchestra: il coro apre e chiude e fronteggia i personaggi; era una dimensione fantastica. Vaso di Berlino: i galli mascherati,

statici e poi, tolto il mantello, agili e scatenati. Il coro ha essenza duplice, ferino e umano, con coreuti-caricature dalla mimica intensa (il grottesco era per i nemici). A parte rari casi la commedia ha cori umani, non allegorici: l'unità coropersonaggio è più stretta. Da Alessandro Magno il mondo ellenico si espande: nuove tecniche di spettacolarizzazione e nuova figura dell’attore full-time. Dalla commedia antica alla farsa fliacica: farsa italiota, su un piccolo palco di legno, eretto da colonnine drappate e posta in orchestra o piazza, chiuso da una struttura leggera scenografica, con scala per azioni in orchestra. Relazione con hylarotragedia, parodia mitologica degli eroi messi alla berlina; nella farsa sono resi grotteschi, con accessori caricaturali (Zeus sul seggiolone) e senza coro (scomparso dalla Media), con continuità nella mimica violenta. Scompare il coro con la fine della problematica sociale (Pluto di Aristofane: commedia allegorica senza parabasi, con corifeo occasionale), ripiegando sul personaggio, e sulle sue trame, ora più complesse nella commedia di Menandro (Il misantropo), con rigide strutture. Teatro romano Ogni città aveva il suo teatro, per politica e spettacolo. A Roma, per Livio, il pubblico era in piedi, ma nelle commedie di Plauto e Terenzio la storia è diversa; erano in gradinate lignee. I ludi sono istituiti con Tarquinio Prisco nel 580 A.C. I ludi romani sono feste in onore agli dèi romani, limitate alle esecuzioni musicali, alle gare di cavalle e agli inni. Nelle Histories, nel 364 A.C., per placare gli dei viene fatto un lettisternio ad opera di musici e attori etruschi, ovvero uno spettacolo teatrale, inedito per il popolo dei ludi: senza poesia e gesti, i canti al ritmo del flauto, scomposti, vengono imitati dai giovani, con battute e versi rozzi. Dal rito diventa pratica. Nasce l’istrione, da ister, attore in etrusco: passano dal rozzo improvvisato stile fescennino alla satira ricca di metri e melodica. Il modello dell’istrione è oggi forzato, irreale, nel mondo romano è un sinonimo di attore, sebbene schiavo. Nel teatro alessandrino la skene è in pietra con porticato e pinakes come sfondi; arriva il tetto della skene per gli attori (nel periodo classico c'era un piano anche per le scene divine) e del proskeion per il coro; la cavea diventa semicircolare, in assenza del coro, e le parodoi (per pubblico e coro) vengono chiuse dai cancelli. Per ordinanza senatoriale non si può costruire teatri in pietra, ma solo in legno: il primo stabile è quello di Pompeo, su base del tempio omonimo, violando le leggi e per questo rinforzato, nell’odierno Campo di Fiori, nel 55 A.C; si segue poi il Balbo, nel 13 A.C, e il Marcello, l'unico rimasto in piedi nel Palazzo Savelli, del Cinquecento. Dalla cavea nel terreno all'arco per la struttura sovrapposta. L'orchestra perde metà spazio, ora semicircolare, per la platea (il coro non esiste); la scena frons è la skene, più imponente nell'Impero, su diversi piani, con colonne e pilastri (scena ideale per tragedie) e periatti greci, poi descritti nei testi vitruviani. Dalla facciata ci sono tre porte, la regia e le hospitalia, a cui accanto ci sono le versurae, per i personaggi dal porto o dalla città. Dopo i parodoi ci sono versureae e vomitoria, sbocchi coperti per il pubblico, e il pulpitum, il tetto copribile col velarium. Questo è frutto della rielaborazione di una cultura estranea. Oltre al teatro ci sono l’Odeon, per le esecuzioni musicali, poi l’anfiteatro, a forma circolare per giochi circensi e battaglie teatrali. Aneddoto: all'Hecyra di Terenzio la gente abbandonò il teatro. Il pubblicò non ha interesse culturale o sociale; è per divertimento. Le commedie sono diverse, influenzate da quelle complesse di Menandro. A Roma si rielabora la cultura greca, comica e tragica, per assimilazione e adeguamento sociale: dovrebbe limitarsi al pubblico d'élite per la lettura, con successi ambigui al pubblico nella rappresentazione (cultura doppia, alta o popolare). Come fare? Inserire l'italum acetum (Plauto), il popolaresco, nel contesto neoellenico? O trovare argomenti di meraviglia? La tragedia ha favore a teatro (scenae frons colossale), da Livio Andronico a Nevio e Accio, fino al neroniano Seneca. La maschera tragica è di grandi dimensioni, con pettinatura a riccioli come la barba, la bocca spalancata e gli occhi dal doloroso stupore. I coturni ora sono altissimi, per la maestosità e la lentezza. Il personaggio è imponente, terribile, dal dolore e collera senza limiti, quasi macabri (la morte viene rappresentata), se non grotteschi. Dalla tragedia deriva l'augustea pantomima: un coro cantava i passi della tragedia, un unico attore a plurimaschera interpretava i personaggi. È l'istrione, l'attore virtuoso capace di tutto, pur di saper farsi intendere. Plauto: principale autore della

Commedia, a noi pervenuto in quaranta commedie, copie di opere comiche greche riscritte con la contaminatio. Terenzio: riprende tecniche della Commedia Menandrea, il suo principale traduttore, con storie quotidiane. La commedia è su avventure amorose normali, garantita fino all'Impero. Le maschere raffigurano il topos del personaggio (non era personale), con riconoscimento immediato: il giovane ha i tratti delicati, senza deformazione, come la fanciulla; il vecchio e il servo sono più marcati (sevo a bocca ad imbuto, vecchio con barba bianca). Il servo era gestuale, il parassita, dalla parrucca maschera, era affamato (Zanni?). Altri spettacoli dei ludi romani: satura (lanx), un varietà eterogeneo; atellana, il gioco di personaggi a maschera fisse con caratteri propri, dalle brevi avventure (amata dalle classi alte dell'Impero); il fescennino, dall'omonima città, dura poco per la sua tematica politica (era per festività agresti e matrimoni); il mimo, l'unico greco, si sviluppa a Roma diversamente, con attori senza maschera (rappresentazione realistica), a tematica quotidiana e cittadina, diventando lo spettacolo d'elezione, anche nel Medioevo. Il teatro romano entra nel quotidiano, come divertimento, festivo per offerta dai magistrati. Gli attori greci erano professionisti chiamati dallo Stato, quelli romani sono schiavi, o liberi senza dignità, essendo una professione degradata nei mestieri ma amata dal pubblico e dai colti (Roschio amico di Cicerone). Prima del teatro di Pompeo gli spettacoli sono in pulpiti in scenae frons all'aperto, improvvisate, con gradinate temporanee. Si adopera molto il canto e la musica, in cantica e diverba nelle tragedie e nelle commedie. Le maschere sono poco usate a Roma, per lo più per il rito funebre o per la scultura esornativa (in Grecia solo per teatro, senza sculture). Teatro medievale Dal crollo dell’Impero Romano sopravvivono i mimi, con gestualità del corpo e del volto unita alla parola; non ha una maschera, e il divario attore-personaggio è annullato. Le donne sono impiegate nella nudatio mimarum, lo spogliarello volgare. Si distingue dalla pantomima (erede della tragedia?), dalla trama più complessa e dal plurifaccialismo dell’attore in scena, quasi antesignano del giullare. Cade l'istituzione del teatro nel Medioevo, i teatri vengono depredati dei materiali, ma la funzione è attiva: la theatrica per San Vittore serve a restaurare la letizia persa col peccato, ma deve svolgersi in spazi riservati isolati dal quotidiano: gli stessi chierici devono usare una mimica manuale equilibrata e consona, non legata al teatro, istrionica appunto. Tertulliano parla ne De Spettaculis del teatro, condannandolo per idolatria (esibizione di atti di culto della religione pagana), immoralità (scatto di impulsi violenti, emozioni anti-etiche rivolte alle divinità lussuriose come Venere); falsità (chi trasforma la propria voce, sesso ed età finge anche le emozioni, e anche la natura di Dio). Roma perde il teatro, e anche i combattimenti dei gladiatori e venatori; solo in Oriente sopravvive, ove scappano tutti i teatranti. Lattanzio vede negli attori degli insegnanti della lussuria, imitatori delle prostitute (come infatti Teodora, imperatrice di Bisanzio nonché ex-mima). C'è la teatralità diffusa dei teatranti, professionisti eredi dei mimi latini, gli histriones (danzatori), limitati ai piccoli centri abitati o alle dimore di mercanti e vassalli ed ecclesiastici (i teatri vengono tutti depredati). Lo joculator, il giullare, da jocus, il gioco senza funzione sociale, per puro divertimento. È l’attore girovago per eccellenza, dedito a recitare per sopravvivere, improvvisando senza testi e senza rappresentazioni formali, ma solo col racconto. La chiesa disapprova la rappresentazione teatrale, specie della cultura pagana classica, per l'espressione mondana e diabolica (giullare strumento del diavolo). Inutile: i giullari si diffondono, quasi competono tra di loro, diventando fenomeno popolare nell'immaginario. Le condanne erano tre: girovago, perché senza patria (nomade), senza casa (non rintracciabile), senza classe (popolo e nobile) e senza legami (niente chiesa), e offre lo spettacolo, non l'allestisce (da giullare a buffone di corte se il nobile lo voleva a sé). È vano perché senza teoria, senza vera pretesa morale ma solo artistica (Ugo da San Vittore voce isolata), contro la serietà della catechesi e per il mondano. È turpe (torpet), perché stravolge l'immagine della natura, da sopprimere ma non da cambiare, essendo opera di Dio, perfetta. Il giullare si traveste e fa travestire (carnevale), mettendo il male in scena. Lo stile giullaresco è lo stravolgimento, fisico e verbale, gesticolando e scomponendo mimica e voce, senza controllo, preso dal fremito della follia demoniaca. Oltre ad addestratore, saltimbanco, giocoliere,

era anche affabulatore, professionista della parola, pagato dal committente per essere spirito critico del corpo sociale (a volte contro i contadini, a volte contro i nobili stessi), anche per diffamare i nemici. Thomas de Cabham, estimatore di Ugo da San Vittore, parla di tre giullari: il primo è il trasfiguratore, con maschere orribili; il secondo è l'infame sicofante delle corti; il terzo, o cantore di musiche dilettose per i plebei, oppure, e per questo accettato, è il cantastorie delle fablieaux, delle Chansons de gestes di eroi o degli exempla dei santi. Teatro diventa narrazione, ma il narratore diventa anche a...


Similar Free PDFs