Maria Teresa Fiorio - Riassunto Il museo nella storia. Dallo \"studiolo\" alla raccolta pubblica. PDF

Title Maria Teresa Fiorio - Riassunto Il museo nella storia. Dallo \"studiolo\" alla raccolta pubblica.
Course MUSEOLOGIA E COLLEZIONISMO
Institution Università di Bologna
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Riassunto dell'edizione 2011 di "Il Museo nella storia. Dallo studiolo alla raccolta pubblica" di Maria Teresa Fiorio...


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MARIA TERESA FIORIO “IL MUSEO NELLA STORIA- dallo studiolo alla raccolta pubblica” MONDADORI INTRODUZIONE Il termine museografia compare per la prima volta nel 1727 nel titolo di un volume di Caspar Friederich Nieckel , colto mercante di Amburgo. Il suo volume si proponeva di offrire un censimento delle principali raccolte europee d’arte e di rarità (ovvero oggetti naturalistici insoliti e curiosi) che erano all’interno, soprattutto, di collezioni archeologiche e artistiche di personalità del Nord. Realizzò questa descrizione dei musei del tempo riferendosi ai lettori profani e a viaggiatori curiosi e desiderosi di apprendere. Solo all’inizio dell’età dei Lumi dilagò l’idea che le collezioni dovessero avere una finalità di pubblica educazione ma non si era ancora compiuto il passo con cui i musei divennero accessibili a tutti. Il fatto che Nieckel abbia coniato la parola museografia indica la sua precocità rispetto al tempo, la sua idea era quella di dare un’immagine d’insieme delle collezioni del tempo, distinguendole per tipologie e fornendo una “giuda per una giusta idea e un utile allestimento dei Musei”. Vengono inizialmente individuate le due grandi classi di Naturalia e di Artificialia (collezioni naturalistiche o oggetti prodotti dall’uomo) e poi precisate le definizioni che queste collezioni avevano assunto nei vari paesi: Schatzkammer (camera dei tesori), Kunstkammer, Wunderkammer e Naturalien und Raritatenkammer in Germania, cabine et gallerie in Francia mentre erano definite antiquarium, camerino, galleria o studiolo in Italia. Il trattato era comunque incompleto e legato troppo alla volontà classificatoria che si basa sulle categorie estetiche del “meraviglioso” e “curioso” quindi sbilanciandosi troppo a favore delle raccolte nordiche. Nonostante ciò alcuni principi del volume di Nieckel rientrano tutt’oggi nella moderna concezione di museo, quei concetti che superano l’essere una semplice giuda per i viaggiatori. Su influenza di Nieckel fino a metà secolo scorso la disciplina che aveva come oggetto lo studio dei musei era detta museografia. Più raramente era usato il termine museologia che con il tempo acquisì caratteristiche sempre più precise, si tratta però di due discipline complementari con confini molto sfumati e talvolta sovrapponibili, si parla per entrambi i casi di scienza dei musei. Questi due termini sono legati per la realizzazione da parte di entrambe le discipline di mostre ma hanno ottenuto, anche se in maniera ancora incerta, due significati differenti. Con museologia si intende la storia dei musei e dunque privilegia gli aspetti teorici del museo e la sua storia, il suo nome deriva da logos ovvero pensiero. Con museografia invece si occupa degli aspetti pratici (architettura,design, degli aspetti illuminotecnici.. ) il museologo si affiderà dunque al museografo per la realizzazione dei suoi progetti, queste due figure infatti devono lavorare a stretto contatto. Questo stretto legame è confermato dalla collaborazione che vi ebbe tra architetti e direttori di museo con il secondo dopoguerra quando fu necessaria un’urgente ricostruzione dei musei che erano stati sconvolti dalla guerra. Anche il significato e concetto di museo subisce continue variazioni e mutamenti fin dall’800 poiché cambia a seconda delle finalità e del ruolo che ha assunto in un determinato periodo. La parola museo deriva dal greco mouseion cioè il luogo delle muse (Strabone usò per primo questo termine riferendosi ad un ambiente della biblioteca d’Alessandria d’Egitto), dove si riuniva una comunità di dotti per discutere di problemi culturali e spirituali (doveva dunque essere un’accademia). Anche in età umanistica venne usato per indicare ambienti dove si svolgeva un’attività intellettuale, posta sotto l’egida di Apollo e delle Muse, protettrici delle arti. Oggi noi parliamo di un museo facendo riferimento alla definizione che venne data dall’ICOM (Internetional Council of Museum fondato nel 1946 con lo scopo di coordinare i musei del mondo) nel 1951: il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e dello sviluppo, aperto al pubblico, che ha come obbiettivo l’acquisizione (deve perseguire comunque l’arricchimento delle proprie collezioni), la conservazione, la ricerca, la comunicazione e l’esposizione, per scopi di studio, di educazione e di diletto (il piacere provocato dalla contemplazione), delle testimonianze materiali dell’umanità e dell’ambiente (sono espressioni delle più diverse tradizioni culturali). L’ultimo punto venne modificato quando si propose di aggiungere alle testimonianze materiali anche quelle immateriali, concetto ormai concordemente accettato, per ciò si estende la tutela.. a tutto ciò che costituisce una tradizione culturale. L’ecomuseo ha come centro d’interesse il rapporto uomo-natura, si pone come luogo dei saperi delle comunità locali e come testimonianza dei valori ambientali, secondo un’idea nata in Francia nel 900 per rispondere all’esigenza di salvaguardare anche l’ambiente rurale minacciato dai cambiamenti sociali,economici e produttivi. Le testimonianze “materiali” e “immateriali” dunque fanno parte del “patrimonio culturale” quei beni la cui importanza storica ed estetica viene riconosciuta e sono di fruizione collettiva. Il concetto di testimonianza non si allontana troppo dal concetto di patrimonio se non per il fatto che introduce un riferimento al valore dei bei che lo costituiscono. Il termine “Beni Culturali” viene utilizzato per la prima volta dall’Aia nel 1954 che aveva definito una convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitti armati ma in questo caso la definizione di beni culturali abbraccia un ambito assai vasto dai beni mobili e immobili di grande importanza(architetture, monumenti..) alle collezioni scientifiche, alle opere d’arte… si deve invece alla Commissione di studio Franceschini (compito di censire il patrimonio archeologico, artistico e paesaggistico) l’indicazione di bene culturale come una testimonianza materiale avente valore di civiltà (oggi superato perché riconosciute anche le testimonianze immateriali).

Il museo è dunque un’istituzione che ha come ruolo fondamentale quello di conservare la memoria del passato attraverso beni che formano le collezioni e di tramandare questa memoria alle generazioni future perché in essa si riconoscano.

CAPITOLO 1 “DALLO STUDIOLO ALLE GRANDI COLLEZIONI PRINCIPESCHE” Le collezioni di cui parlava Neickel era raccolte private che affermavano l’elevato livello raggiunto dai collezionisti del settecento e l’interesse che suscitavano anche al di fuori dell’élite intellettuale. Vi erano varie tipologie di collezioni e vari motivi per cui queste vennero costituite (il collezionista provava felicità nel possedere oggetti di valore, il collezionista voleva esaltare la sua ricchezza o potenza o cultura.. ) costituiscono la preistoria del museo moderno però le collezioni realizzate per l’apprezzamento, svincolati da motivi di culto o da dimostrazioni di potenza. Ci fa comprendere quanto i collezionisti fossero amatori dei loro oggetti per la cura che questi riponevano per il rapporto tra l’oggetto e l’ambiente. La storia del collezionismo del mondo classico è caratterizzata da alcune fratture mentre quella medievale da grandissime lacune ma un esempio importante è sicuramente la collezione di Saint Denis. L’abazia di Saint Denis venne ricostruita su volere dell’abate cistercense Suger e questa divenne un piccolo tesoro che comprendeva le sepolture delle famiglie regie ma anche oggetti preziosi diversissimi come manoscritti, reliquari, cammei, pietre dure.. l’abate Suger in un passo autobiografico ci permette facilmente di comprendere il compiacimento che provava nel possedere un tesoro di tale portata ma affermava anche che la contemplazione delle opere permetteva di cogliere la grandezza divina, stimolava l’elevazione spirituale. La chiesa possedeva grandissime collezioni di cui marcava soprattutto l’aspetto sacro degli oggetti più che il loro valore storico e artistico. Le collezioni della chiesa erano talmente vaste che possono essere considerate delle anticipazioni delle Wunderkammer del Nord Europa. Nel medioevo l’interesse per l’antico era quasi nullo, i materiali antichi veniva riutilizzati per la costruzione di nuovi edifici, un grande centro di questo commercio era Roma. Solamente con Federico II di Svevia si considererà l’antichità come un valore da riscoprire e venne promosso lo stile classico per l’urbanistica e l’architettura. Di grande rilevanza è il promemoria stilato nel 1335 dal notaio trevigiano Oliviero Forzetta (uno trai primi relativi alle collezioni italiane) che ci informa della grandissima biblioteca di cui era in possesso il notaio composta soprattutto da opere classiche ma ci informa anche del grandissimo commercio di opere d’arte che avveniva a Venezia in quegli anni (citando nomi di mercanti, di opere,artisti..). non sappiamo come fosse disposta la collezione di Venezia del notaio e non irrilevante perché proprio tra il 300 e il 400 si afferma l’idea di un luogo concepito non solo per lo studio e le attività intellettuali ma anche per la conservazione di opere d’arte. Si passa dall’antico scriptorium classico allo studiolo che viene concepito in maniera moderna, è un luogo dove praticare l’attività intellettuale e allo stesso tempo circondarsi di materiali di studio e di collezioni, è l’unico ponte con il passato con cui si cerca di recuperare il mondo antico. Poggio Bracciolini possedeva nel suo studiolo delle teste marmoree che sicuramente aiutavano l’immedesimazione nel mondo classico e così anche quello di Francesco Squarcione che possedeva rilievi antichi che dispose in due ambienti differenti. Gli intellettuali collezionavano oggetti classici per cercare di immedesimarsi con i tempi antichi e per supportare i loro studi mentre gli artisti collezionava perché questi oggetti venivano apprezzati per le loro valenze estetiche, stimolavano la creatività, per loro la collezione non diverrà un modo per esaltare il loro prestigio sociale. Diversi invece erano gli studioli delle grandi famiglie nobiliari che possedeva collezioni di grande qualità e quantità e gli studioli veniva decorati con temi che esaltassero l’importanza del committente: studiolo di Leonello d’Este nel palazzo Belfiore a Ferrara era decorato con le 9 muse che erano le protettrici delle arti ma anche il manifesto del buon governo di Lionello; studiolo di Federigo Montefeltro del Palazzo Ducale di Urbino era decorato con una serie di uomini illustri antichi e contemporanei ed è evidente l’appartenenza a questi del duca. Una delle più grandi collezioni del 400 e quella de’ Medici, venne iniziata da Cosimo il Vecchio incrementata dal figlio Piero e poi ancor di più da Lorenzo il Magnifico. Nel 1492, alla morte di Lorenzo, venne redatto un inventario che permette di comprendere sia la consistenza della collezione che la sua disposizione: lo studiolo decorato da Luca della Robbia coni 12 Mesi conteneva dipinti religiosi, oggetti sacri, la raccolta di gemme.. e carte geografiche.. ciò testimonia il loro gusto aperto e soprattutto, a differenza di quello degli umanisti, non classico. La collezione non si limitava poi allo studiolo, si distribuiva anche nei due cortili interni dove venivano messe a confronto statue moderne con quelle antiche e nel giardino esterno di San Marco dove veniva legata l’arte con la natura. Secondo il racconto del Vasari le statue erano state posizionate all’esterno in modo da costituire modelli per la scuola che era stata fondata da Lorenzo, ciò sicuramente trova una prima vera conferma nella creazione dell’Accademia delle Arti e del Disegno fondata da Cosimo I. mentre per i Medici il possesso di una collezione era importante anche come simbolo del loro prestigio per Isabella d’Este era irrinunciabile il possedere una collezione. Lo studiolo era stato decorato con il Parnaso di Mantegna che richiamava il sapere letterario mentre altre scene esaltavano le virtù (Minerva scaccia i vizi dal giardino delle virtù, le cinque tele si trovano al Louvre dopo la dispersione della sua collezione nel 1627), aveva mandato i suoi consiglieri in giro per tutta Italia alla ricerca di “cose antiche”. Lo studiolo si trovava nella torretta di San Nicolò della residenza Gonzaga (Mantova) ma il gran numero di oggetti da lei

posseduti la costrinse a trasferirla nel “vecchio” Palazzo Ducale. Di Isabella si riconosce l’intento di disporre gli oggetti in ambienti vari ma adatti a seconda alla disposizione dei diversi oggetti. Nacque a Roma, per via del mercato sempre più fiorente di antichità, che si sentì l’esigenza di tutelare i resti classici. Fu Martino V Colonna che con la bolla “Etsi de cunctarum” 1425 venne creata una commissione di magistri viarum aventi l’incarico di tutelare gli edifici classici e occuparsi del decoro della città. Papa Pio II Piccolomini con la bolla “Cum almam nostram urbem” del 1462 vietò di manomettere i resti antichi mentre Papa Gregorio XIII nel 1574 emanò la bolla “Quae publice utilia” che istituiva vincoli sui beni privati di interesse storico-artistico. Tali leggi non furono sempre efficaci ma portarono nel 1820 all’emanazione dell’Editto del cardinale Pacca una delle leggi più moderne sulla tutela. Sempre a Roma papa Sisto IV nel 1471 donò le statue del Camillo, la Lupa, lo Spinario e la colossale testa di Costantino, che si trovavano a San Giovanni in Laterano, al popolo romano che divenne il vero depositario delle opere, in questo modo però il papa affermava anche la sua egemonia sul Campidoglio in opposizione alle autorità municipali. Comunque per la prima volta si parlò di restituzione e non di dono, e questo atto costituì la nascita della collezione capitolina. Nel 1500 invece il cardinale Giuliano Cesarini donò la propria collezione di sculture ai suoi concittadini, viene così superata l’idea di mantenere la propria collezione in uno studiolo ma di portarla all’esterno in modo da provocare il godimento collettivo. Nel 1505 papa Giulio II affidò a Bramante il progetto di collegamento tra i palazzi vaticani, l’architetto progettò, al di là del cortile, una seconda villa dove il papa potesse ospitare i pezzi più rilevanti della sua collezione. Nel cortile delle statue vennero poste sculture di altissimo livello come l’Apollo, il Torso, l’Eracle, Anteo, la Cleopatra, il Laocoonte.. e al centro le due statue colossali del Tevere e del Nilo che fungevano da fontane. Diventa predominante l’idea di creare un legame tra arte e natura, che viene ripresa dall’esperimento del giardino di San Marco a Firenze. Lo studio rimane il cuore dove esporre la propria collezione ma i giardini sono i luogo dove si possono esporre opere che mostrino il prestigio sociale del collezionista. Fu Ulisse Aldovrandi che nel 1603 donò la sua collezione alla città di Bologna così rendendo possibile la realizzazione di uno dei primi musei di storia naturale. Il cardinale Andrea della Valle fu uno dei più grandi collezionisti romani e chiamò il Lorenzetto e un architetto per la disposizione della sua collezione che non si limitò ad essere disposta nello studiolo ma in tutto il palazzo, comincia a diffondersi l’idea che non è sufficiente semplicemente porre le opere scelte insieme ma creare un ambiente che possa legare con queste. Su modello della collezione di Della Valle ne vennero realizzate molte altre come quella mostrataci da un disegno di Van Heemskerk del palazzo di Egidio e Fabio Sassi: in un’architettura di sapore medievale si aprono nicchie con statue di grandezza naturale poggiate su alti plinti con stemmi mentre alcuni frammenti sono abbandonati per terra, ciò dimostra la mancanza di regia che invece era caratteristica della disposizione della collezione di Della Valle. Sempre un disegno di Van Heemskerk mostra la collezione del prelato Cesi che si estende per tutto il giardino permettendo di compiere una “passeggiata archeologica”, divisa in zone da archi trionfali. Nell’Antiquarium decorato a croce greca con volta abotte decorato da stucchi e elementi marmorei si trovava la parte più prestigiosa della collezione veniva con l’allestimento esaltata (novità) ed erano innovative le basi girevoli su cui vennero esposte alcune sculture antiche in modo da poter essere viste da ogni parte. Le collezioni come queste spesso seguivano un processo per l’allestimento: veniva dato ordine ai materiali, stabilita una gerarchia di qualità e scelte le opere da tenere all’interno. Nel 1516 Raffaello venne scelto da Papa Leone X come ispettore generale delle belle arti , carica che nasceva dalla consapevolezza della necessità di tutela, il suo compito era quello di rilevare gli edifici antichi e realizzare una pianta della città antica basata su indagini dirette. Di pochi anni successivi è la lettera che Raffaello scrisse al Papa, con l’aiuto di Baldassare di Castiglione, dove enunciava gli scempi che erano statai compiuti distruggendo monumenti antichi, azioni che i papi a lungo cercarono di evitare attraverso l’emissioni di bolle. Molto famosa era la collezione del cardinale Ferdinando de’ Medici di cui venne realizzato un inventario topografico nel 1588 che permette di comprendere la disposizione: all’esterno vi erano fregi e basso rilievi che anticipavano lo splendore delle opere interne. La novità era la creazione di una galleria che venne ultimata nel 1584, collegata alla residenza, ma costruita solamente per ospitare la statuaria antica, è un’anticipazione dei futuri musei. Le gallerie erano già molto diffuse in Francia ma nel 500 si diffusero anche in Italia, ne è esempio la Galleria costruita nel 1570 ca. per i Gonzaga nel loro palazzo di Mantova. Le gallerie recupervano le caratteristiche delle logge accentuando la spettacolarità del luogo che veniva decorato riccamente e scandito da nicchie su più ordini, come avvenne a Palazzo Spada, Palazzo Farnese e nella galleria di Alberto V di Baviera a Monaco. Il curatore della Galleria di Alberto V era il medico belga Quiccheburg che nel 1565 scrisse “Inscriptiones vel tituli theatri amplissimi” primo manuale considerabile di museologia dove spiega che gli oggetti della galleria sono disposti come in una scenografia teatrale rivolta a tutta la realtà e cerca di consigliare un metodo per l’allestimento di collezioni enciclopediche: distinzione degli oggetti in cinque categorie (storia sacra, naturalia, opere d’arte, strumenti musicali e oggetti esotici, dipinti e incisioni), attraverso la suddivisione degli oggetti in questi cinque nuclei omogenei la collezione sarà di maggiore comprensione. Passo importantissimo venne compiuto da Francesco I de’ Medici che decise di spostare la collezione iniziata dal padre negli Uffizi che disponevano di spazi maggiori e maggiore luminosità. Il culmine del progetto è rappresentato dalla Tribuna ottagonale aperta da Buontalenti nel 1584 dove oggetti di vaia natura (opere d’arte, oggetti naturalistici, bronzetti..) erano disposti su “palchetti

d’ebano” e su piedistalli, disposti in maniera armoniosa. Con finalità propagandistica, si voleva esaltare l’assolutismo mediceo, queste meraviglie erano accessibili al pubblico. Nel 1602 una deliberazione del gran duca Ferdinando I proibiva che le opere dei pittori più celebri potessero essere commerciate. Anche Venezia nei primi decenni del 500 venne vide la realizzazione del suo primo museo pubblico che ebbe origine inizialmente dalla donazione della collezione di Domenico Grimani, che l’aveva destinata alla Repubblica di Venezia nel suo testamento esplicitando la sua volontà che venisse realizzato un museo,la cui collezione era iniziata con alcuni pezzi ottenuti dagli scavi nella vigna del Quirinale, questa collezione era poi stata arricchita numerosi dipinti moderni, raccolte di gemme,cammei.. e da una delle più importanti biblioteche della penisola. A questa venne unita quella di Giovanni Grimani posizionata nella Libreria di San Marco e curata da Scamozzi. Venne realizzato un inventario da Zanetti nel 1736 che con disegni in sanguigna rappresenta la collezione di Giovanni che progettava la realizzazione di uno Statuario Pubblico che non vide a causa della sua prematura morte. La collezione venne poi spostata a Palazzo Ducale (800) e successivamente nel Museo Archeologico (900). Nel 500 Paolo Giovio riallestì la sua casa sul lago di Como, su modello della “Comoedia” l...


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