Nelli - Product placement (appunti 2020-2021)-convertito PDF

Title Nelli - Product placement (appunti 2020-2021)-convertito
Course Economia e tecnica della comunicazione aziendale
Institution Università Cattolica del Sacro Cuore
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Il product placement cinematografico: concetto, evoluzione e condizioni di efficacia Roberto Paolo Nelli Appunti per il corso di Economia e tecnica della comunicazione aziendale dell’a.a. 2020/2021 tratti con adattamenti da R.P. NELLI (a cura di), Product Placement Made in Italy, Edizioni Fondazione Ente dello Spettacolo, Roma, 2013

. Tra le molteplici problematiche che la letteratura accademica e professionale sottolineano vi sono almeno due aspetti, tra di loro strettamente collegati, sui quali occorre concentrare particolarmente l’attenzione: -della costante perdita di efficacia delle forme classiche di comunicazione d’impresa, specialmente se paragonate a quelle emergenti che presentano caratteri di interattività e di pervasività un tempo sconosciuti -della necessità di una riaffermazione della centralità del consumatore, spesso definito ‘nuovo consumatore’ per sottolineare la presenza di dimensioni inconsuete rispetto alle chiavi di lettura tradizionali. Infatti, il ‘nuovo consumatore’ risulta sempre più esigente e selettivo, maggiormente orientato a interpretare il consumo in senso olistico, coinvolgendo contemporaneamente nei propri processi decisionali le dimensioni tangibili (qualità merceologiche e attributi funzionali) e quelle intangibili (valori simbolici e significati sociali) dei prodotti, attraverso le quali esprimere nel complesso la propria identità; di conseguenza, il comportamento del consumatore appare sempre meno prevedibile, perché guidato da motivazioni non più esclusivamente utilitaristiche, ma anche emozionali ed edonistiche. conseguenze di questo scenario :all’Advertising Industry (agenzie di pubblicità e imprese utenti di comunicazione) alla produzione di veri e propri contenuti di intrattenimento, che si spingono di gran lunga oltre i tradizionali spot pubblicitari. interdipendenza tra le imprese industriali e commerciali che investono in pubblicità e le imprese che appartengono alla Media & Entertainment Industry e, in particolare, quelle operanti nel settore dei media sostenuti dalla pubblicità (advertising-supported media industry), da un lato, offrono prodotti editoriali, informativi e di intrattenimento, ai consumatori finali (viewers); – dall’altro lato, forniscono la possibilità di accedere ai propri consumatori (lettori e spettatori) alle imprese che investono in comunicazione commerciale (advertisers). A questo proposito, sin dal 2003 viene utilizzata in ambito professionale l’espressione ‘Madison & Vine’, coniata dalla rivista «Advertising Age», per esprimere nello specifico la convergenza tra il settore della pubblicità – rispecchiato dalla Madison Avenue di New York, sede delle principali agenzie internazionali – e quello della produzione cinematografica e più in generale audiovisiva, simboleggiato da Vine Street di Hollywood, e ciò a testimonianza ulteriore della forte attenzione riposta dalle imprese nei confronti della produzione dei contenuti di intrattenimento offerti dai mezzi di comunicazione di massa, concretizzatasi nel corso del tempo con modalità alquanto

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diversificate, tra le quali la sponsorizzazione e il product placement hanno sin dalle origini rappresentato quelle più comuni e rilevanti. Cio costituisce anche un fenomeno sociale e culturale in senso ampio che, prendendo origine dalla produzione cinematografica, si è diffuso in tutti gli altri mezzi, dalla radio alla televisione, dall’editoria alla musica fino ai videogiochi, senza trascurare le opere teatrali e le altre espressioni artistiche e culturali di una collettività. È da sottolineare che ciò avviene non sempre o, comunque, non solamente per soddisfare finalità commerciali, ma anche per conferire ai prodotti artistici e culturali – senza interrompere il naturale svolgimento della narrazione, ma integrandosi con la trama e valorizzandola ulteriormente – quella aderenza a una realtà che altrimenti gli autori non potrebbero rappresentare, testimoniare, sostenere o contestare. A tale scopo l’autore può decidere di richiedere la fornitura dei beni o dei servizi o l’autorizzazione a usufruirne (si pensi per esempio a prodotti molto costosi, come le auto di lusso, o ad ambientazioni in luoghi pubblici o privati, quali aeroporti, stazioni ferroviarie, alberghi o abitazioni esclusive) a titolo gratuito (barter product placement) oppure di sostenere interamente il costo relativo all’acquisizione degli stessi. In quest’ultimo caso, l’inserimento della marca, gestito in tutti i suoi aspetti dall’autore, può risultare conveniente per l’impresa – in tal caso si parla di gratis product placement –, ma può anche concretizzarsi in un posizionamento sfavorevole all’impresa per le connotazioni che la marca stessa viene ad assumere o a esprimere nel contesto narrativo. In tal senso, la “cultura del consumo” si interseca, grazie alla forza delle sue marche e della relativa simbologia, con la più ampia dimensione culturale di una società e con le rappresentazioni che la caratterizzano. Tra queste il cinema costituisce sicuramente un potente e consolidato motore di immaginario, poiché è in grado di entrare in rapporto con tutte le espressioni artistiche e culturali di rilevo di un’epoca, ovvero con la letteratura, attraverso i best-seller che ispirano la produzione cinematografica, con la musica, tramite le colonne sonore, con l’arte, il design e la moda – attraverso la gestione narrativa dei rispettivi linguaggi e contenuti, dall’abbigliamento degli attori all’interior design delle abitazioni –, con la pubblicità, i videoclip, la televisione e il teatro, mediante il continuo interscambio di professionalità che trasferiscono stili e strutture narrative, e con la cultura del consumo, proprio attraverso i prodotti proposti nelle sceneggiature. 1. L’origine e l’affermazione del product placement L’origine del product placement può essere fatta risalite alle prime esperienze cinematografiche della fine dell’Ottocento, quando era emersa la necessità per i produttori sia di allestire le scene con realismo senza sostenere i costi per acquisire i diritti di utilizzare marchi e prodotti di altre imprese, sia di ridurre in qualche modo le ingenti spese per la distribuzione e la promozione dei film. Il product placement inizia pertanto a manifestarsi attraverso gli accordi di collaborazione proposti dai produttori cinematografici a imprese industriali con l’obiettivo non solo di ridurre i costi di produzione dei film, ma anche per ottenere come contropartita del placement e/o dell’endorsement da parte degli attori principali un contributo alla promozione dei film. Tale pratica denominata inizialmente tie-up diventa presto ampiamente diffusa, permettendo ai produttori dei

film sia di disporre senza costi di beni realmente esistenti da collocare nei set, sia di beneficiare di pubblicità aggiuntiva per la promozione dei film. Questa modalità di promozione risulta utilizzata con sempre maggiore frequenza da imprese del settore automobilistico, cosmetico, alimentare, delle bevande alcoliche e del tabacco1. Negli anni Trenta e Quaranta la De Beers si attiva particolarmente per l’inserimento dei diamanti. negli anni Cinquanta il product placement ha iniziato a rappresentare anche una fonte di ricavo diretto per i produttori cinematografici, attraverso le contropartite monetarie richieste a fronte della visibilità offerta alle marche all’interno dei film, ma è con gli anni Sessanta che viene a diffondersi ampiamente la pratica del barter product placement attraverso la fornitura gratuita di prodotti per conferire realismo alle scenografie dei film in cambio della visibilità dei marchi, il che conduce anche a placement eccessivi, la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta che il product placement registra uno sviluppo particolarmente rilevante, fino ad arrivare al film che ne ha decretato anche mediaticamente l’affermazione, E.T. the Extra-Terrestrial (1982), con l’inserimento della marca di caramelle Reese’s Pieces della Hershey, che realizza grazie a questo product placement un aumento del volume delle vendite dell’65% in soli tre mesi. Dopo il successo di E.T., la 20th Century Fox diventa la prima major hollywoodiana a offrire ufficialmente alle imprese una specifica visibilità alle loro marche nei film. Anche l’acquisizione della Columbia Pictures da parte della Coca-Cola nel 1982 ha contribuito in modo significativo alla presenza dei prodotti della multinazionale nei film realizzati fino al 1989, anno in cui la Columbia viene ceduta alla Sony. Negli anni Novanta il product placement cinematografico è diventato una pratica comune e una rilevante fonte di introiti per le produzioni cinematografiche. In particolare, sono passati alla storia per l’elevato numero di product placement e per il successo che hanno conferito alle marche i film della serie di James Bond, personaggio che rappresenta nell’immaginario collettivo la classe, la perfezione, l’eleganza e il buon gusto:

Occorre comunque sottolineare che il cinema non rappresenta l’unico ambito nel quale le marche hanno dimostrato un particolare interesse: infatti, anche per quanto concerne la radio che svolgevano un ruolo essenziale nell’affermazione del consumo di massa, proponendo modelli di “vita reale” familiare attraverso la serialità delle storie e dei personaggi nei quali le casalinghe potessero identificarsi. Quando poi tra la fine degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta emerge la televisione come nuovo mezzo di comunicazione di massa, le agenzie pubblicitarie cominciano a esercitare una grande influenza anche su molti programmi televisivi,. I programmi realizzati fino agli anni Sessanta – durante un periodo di circa dieci anni definito come la Golden Age della televisione statunitense – comprendono soprattutto spettacoli di intrattenimento (in primo luogo serie drammatiche, ma anche spettacoli musicali, giochi televisivi, oltre alle soap opera di derivazione radiofonica, che iniziano ad approdare in televisione a partire dal 1952

È tuttavia con la fine degli anni Cinquanta – in concomitanza con gli scandali che travolgono il mondo dei quiz show, in seguito alla rivelazione del controllo esercitato dagli sponsor sugli esiti dei quiz – che il modello prevalente di advertiser-funded programming trova progressivamente la sua sostanziale conclusione e ciò a causa sia della regolamentazione del product placement televisivo a pagamento da parte della Federal Communications Commission, sia dell’elevato incremento dei costi di produzione dovuto alla crescita della lunghezza dei programmi, passati dai quindici minuti dello standard radiofonico a trenta o sessanta minuti. Prende così avvio l’epoca della comunicazione commerciale collocata quasi esclusivamente nei break pubblicitari all’interno dei programmi creati dai network, il che ha rappresentato la norma per circa cinquant’anni, fino a quando nei primi anni del Duemila i prodotti di marca tornano a essere presenti in modo particolarmente significativo all’interno dei reality show,

La disciplina giuridica del product placement in Italia (cenni introduttivi) Il product placement cinematografico e televisivo appare regolamentato a livello internazionale in modo alquanto differenziato: risulta infatti possibile rilevare in certi contesti, per esempio negli Stati Uniti, il riconoscimento di una tendenziale libertà di azione e in altri ambiti, in particolare all’interno dell’Unione Europea, una maggiore propensione verso una regolamentazione più rigida. Vi è da rilevare che i maggiori vincoli vengono riscontrati con riferimento al product placement televisivo a causa della regolamentazione pubblica che il settore di per sé necessita, allo scopo di assicurare una corretta assegnazione delle licenze per la diffusione, essendo scarsa l’ampiezza dello spettro disponibile, che permetta di garantire la pluralità e la libertà di espressione. Tale problema, invece, non si presenta in relazione all’industria cinematografica, che pertanto tradizionalmente risulta priva di una specifica regolamentazione. In tema di disciplina del product placement occorre sottolineare che un aspetto centrale che deve essere correttamente preso in considerazione è rappresentato dalla necessità di bilanciare la libertà di espressione artistica degli autori dei programmi, i legittimi interessi commerciali delle imprese e la tutela dei consumatori e ciò attraverso l’affermazione del principio di separazione tra la comunicazione commerciale e i contenuti editoriali e di intrattenimento, in modo tale che il pubblico sia sempre in grado di distinguere la reale fonte, natura e finalità dei messaggi ai quali viene sottoposto. (riferimenti normativi) Per quanto concerne la normativa italiana, bisogna subito rilevare che a livello generale il Codice del consumo (Decreto legislativo n. 206/2005) non contiene alcun riferimento esplicito al product placement. Allo scopo di individuare il regime giuridico applicabile al product placement appare necessario sottolineare che il collocamento in un contenuto di intrattenimento di marche o di altri segni distintivi idonei a distinguere i beni o i servizi è possibile solo se è dimostrata la natura pubblicitaria dell’inserimento, ovvero il fatto che questo persegua l’obiettivo di promuovere, in senso ampio, la vendita del bene o del servizio stesso  I principi di carattere generale applicabili al product placement risultano essere gli stessi esplicitamente previsti per la pubblicità, ovvero, da un lato, quello dello trasparenza e, dall’altro lato, quello ancor più generale della non ingannevolezza, posti dal Decreto legislativo n. 74/1992 e ripresi dal Decreto legislativo n. 145/2007 («La pubblicità deve essere palese, veritiera e corretta»)

LICEITà DEL PRODUCT PLACEMENT il product placement configura una modalità di pubblicità occulta solamente nella misura in cui viene nascosta la finalità pubblicitaria del messaggio e di conseguenza viene generato un errore nel pubblico circa la vera natura del messaggio stesso. Il product placement perciò è illecito se viene inserito un prodotto andando ad occultare la natura pubblicitaria . il prodotto puo essere ammesso solo se la natura pubblicitaria è riconoscibile Per valutare la liceità o meno del product placement deve essere valutato: 1- in primo luogo la natura pubblicitaria del product placement , nel caso in cui manchi il collocamento del prodotto all’interno del contenuto di intrattenimento dovrà essere considerato come il frutto della libertà di espressione e di creazione artistica dell’autore del contenuto stesso 2 - valutare se tale natura sia stata manifestata chiaramente o meno al pubblico  l’accertamento ello scopo promozionale presuppone l’individuazione di un rapporto di committenza tra l’impresa che beneficia della citazione e il mezzo nel quale la comunicazione è diffusa. Nel caso non ci sono tali rapporti e percio si parla di pubblicità occulta si dovrà andare a denunciare l’esistenza di elementi gravi , precisi e concordati dai quali si possa desumere la natura pubblicitaria. Volendo andare avanti nell’indagine bisogna andare a vedere se ci sono degli indizi quindi , che per quanto riguarda la televisione sono :  inquadrature artificiose, legate alla prolungata, insistita e reiterata permanenza in video di un determinato prodotto; ➢ riprese non giustificate dal contesto in cui sono inserite o da esigenze narrative o artistiche; ➢ citazione di un marchio e/o descrizione di un prodotto da parte dei protagonisti con toni enfatici ed elogiativi; ➢ messaggi pubblicitari prima o dopo la comunicazione contestata. -> la societa garante va a vedere la stampa tre mesi prima e tre mesi dopo la presenza di product placement all’interno della testata giornalistica poiche se un’impresa ha un accordo pubblicitario di medio periodo è anche probabile che possa insistere di avere la marca anche all’interno di un contenuto editoriale e non espressamente dedicato alla pubblicità.

l’errore del pubblico circa la natura e la finalità del messaggio: infatti, se il prodotto si integra nella trama narrativa lo spettatore può concludere che la sua presenza sia dovuta a necessità artistiche, tanto per esigenze di copione quanto per la sua idoneità ad ambientare una scena o a caratterizzare un personaggio. D’altra parte, nei casi in cui il prodotto in questione sia strettamente legato al personaggio, il pubblico potrà addirittura considerare imprescindibile la sua presenza; così accadrà quando l’uso o il consumo del prodotto siano circostanze chiave nel configurare le caratteristiche essenziali del protagonista. Con riferimento alla produzione cinematografica viene registrata in Italia una vera innovazione normativa in tema di product placement introdotta dal Decreto legislativo n. 28/2004 (Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche) che al terzo comma dell’art. 9 afferma che «fatte salve le disposizioni contenute nella Legge 10 aprile 1962, n. 165 – che vieta la pubblicità dei

prodotti da fumo –, per i film che contengono inquadrature di marchi e prodotti, comunque coerenti con il contesto narrativo, è previsto un idoneo avviso che rende nota la partecipazione delle ditte produttrici di detti marchi e prodotti ai costi di produzione del film», rinviando la definizione delle relative modalità tecniche di attuazione al successivo Decreto del Ministero per i beni e le attività culturali del 30 luglio 2004 (Modalità tecniche di attuazione del collocamento pianificato di marchi e prodotti nelle scene di un’opera cinematografica ‘product placement’) . Tale Decreto ministeriale ribadisce all’art. 1 che «ai sensi dell’art. 9 del Decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28 è ammesso il collocamento pianificato di marchi e prodotti nelle scene di un’opera cinematografica “product placement”», le cui forme concrete di realizzazione sono rimesse alla contrattazione tra le parti. Product placement in passato: Il product plasement in passato non è mai stato illecito, ansi la legge cinema non prevedeva nulla solo disincentivava l’inserimento di marche poihe avrebbero perso il contributo pubblico poiche se inn un film si inserivano marche c’era la presunzione che il film si poteva sostenere con le sue risorse significative . nel 2004 con la legge cinema ci fu la constatazione che i marchi erano inseriti nei film di tutto il mondo ,aggiornando anche il cinema italiano andando a introdurre l’art9 del d.lgl 2004 Per quanto concerne i requisiti e i limiti di applicazione del product placement, l’art. 2 dello stesso decreto precisa che: «1. La presenza di marchi e prodotti è palese, veritiera e corretta, secondo i criteri individuati negli articoli 3, 3-bis e 6 del Decreto legislativo 25 gennaio 1992, n. 74. Essa deve integrarsi nello sviluppo dell’azione, senza costituirne interruzione, e, comunque, deve essere coerente con il contesto narrativo del film. 2. Ai fini della riconoscibilità delle forme di collocamento pianificato di cui all’art. 1, l’opera cinematografica deve contenere un avviso nei titoli di coda che informi il pubblico della presenza di marchi e prodotti all’interno del film, con la specifica indicazione delle ditte inserzioniste. Il mancato adempimento dell’obbligo di cui al precedente periodo comporta l'esclusione dall'elenco delle imprese Avviso nei titoli di coda-> Ci sono diverse perplessita riguardo a tale idoneo avviso :in quanto il solo avviso posto nei titoli di coda del film appare strutturalmente incapace di soddisfare l’esigenza legale di riconoscibilità della pubblicità. Ciò per due ordini di motivazioni: - in primo luogo, per la mancanza di contestualità tra l’apparizione del prodotto e/o del marchio durante il film e l’avviso della sua funzione pubblicitaria; - in secondo luogo, per il fatto che in pratica lo spettatore non ha normalmente né interesse, né curiosità a seguire i titoli di coda e a porre attenzione alle molteplici citazioni che scorrono al termine della proiezione; in tal senso, la soluzione prevista risulterebbe scarsamente idonea a svolgere la propria funzione. Con riferimento al product placement televisivo , siccome la televisione andava via etere , il segnale era molto ampio e siccome si creavano atre direttiva sulla comunicazione, la direttiva che prima si chiamava

direttiva sulla televisione senza frontiere che poi si chiamo direttiva sui servizi audio v...


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