Pictorial TURN pdf PDF

Title Pictorial TURN pdf
Author Martina Ferrari
Course Filosofia delle arti e dei processi simbolici
Institution Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
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Summary

riassunto Pictorial Turn ...


Description

W.J.T. MITCHELL PICTORIAL TURN (SVOLTA VISUALE) SAGGI DI CULTURA VISUALE 1. Mostrare il vedere Cos’è la cultura visuale? Non è facile definire in modo univoco questa disciplina. L’autore ritiene che il suo compito sia quello di fare in modo che il vedere si mostri, che si manifesti e diventi quindi accessibile alla analisi. In prima battuta è necessario distinguere tra visual studies e cultura visuale. I Visual Studies sono lo studio della cultura visuale. Fino a qua tutto chiaro. Il problema nasce nel momento in cui cerchiamo di capire il collegamento tra Visual Studies e altre discipline come storia dell'arte ed estetica. Queste due discipline sono complementari: estetica è il ramo teorico dello studio dell'arte. La storia dell'arte è lo studio di artisti, pratiche artistiche, stili, movimenti. Estetica e storia dell'arte si completano e coprono ogni questione in merito alle arti visive, quindi non avrebbe nemmeno senso di parlare di visual studies. Eppure esistono e hanno un ruolo fondamentale. La storia dell’arte studia le arti e immagini visive, l’estetica studia i sensi ed i visual studies potrebbe cosi, in modo naturale, mettere in relazione queste due discipline e questi due aspetti assumendo un ruolo complementare. A questo punto peró potrebbero anche assumere un ruolo supplementare mettendo in dubbio la completezza di arte ed estetica e aprendo questioni esterne che mettono crisi le due discipline appena citate. Cosa rientra nei visual studies? Nei Visual Studies rientrano storia dell’arte ed estetica ma anche la creazione di immagine scientifica e tecnologiche, i film, la televisione, i media digitali. Ora elenco una serie di fallacie o miti riguardanti i Visual studies (10)

1. La cultura visuale comporta la liquidazione totale dell’arte come l’abbiamo conosciuta. 2. La cultura visuale accetta senza discutere l’idea che arte debba essere definita in base esclusivamente in base al suo operare attraverso le facoltà ottiche. 3. La cultura visuale trasforma la storia dell’arte in una storia delle immagini 4. La cultura visuale implica che la differenza tra un testo letterario e un dipinto sia un non-problema. Parole e immagini si dissolvono in una rappresentazione indifferenziata 5. La cultura visuale implica una predilezione per l immagine discarnata e dematerializzata 6. Viviamo in una era prevalentemente visuale 7. Esiste un insieme corrente di cose chiamate media visivi 8. La cultura visuale riguarda fondamentalmente la costruzione sociale del campo visivo. Quel che vediamo e il modo in cui lo vediamo, non fa semplicemente parte di una facoltà naturale. 9. La cultura visuale implica un approccio alla visione di tipo antropologico, 10.La cultura visuale è costituta da regimi scoppiai e immagini mistificanti che bisogna rimuovere attraverso a critica politica. Ora elenco le otto contro-tesi 1. La cultura visuale incoraggia la riflessione sulla differenza tra arte e non-arte, segni visivi e verbali, e sulle corrispondenze tra diverse modalità sensoriali e semiotiche. 2. La cultura visuale implica una riflessione sulla cecità, l’invisibile, il non visto, il non visibile e il trascurato; ma anche sulla sordità e sul linguaggio visibile dei gesti. 3. La cultura visuale non si limita allo studio delle immagini o dei media, ma si estende anche alle pratiche quotidiane del vedere e del mostrare, soprattutto quelle che consideriamo immediate o non mediate. Si interessa alla vita e agli amori delle immagini e non del loro significato. 4. Non esistono media visivi. Tutti i media sono misti

5. Immagine discarnata è un elemento permanente nella dialettica della cultura visuale. Le image e le Picture stanno alle opere artistiche come in biologia le specie stanno agli individui. 6. Non viviamo in una epoca prettamente visuale 7. La cultura visuale è la corruzione visiva del sociale 8. Il fine politico della cultura visuale è di fare critica senza il conforto dell’iconoclastia Il pictorial turn viene visto come un passo verso il calo dell’alfabetizzazione (fallacia del pictorial turn).

2. I QUATTRO DELL’IMMAGINE

CONCETTI

FONDAMENTALI

DELLA

SCIENZA

Pictorial Turn L’espressione Pictorial Turn viene paragonata alla svolta iconica di Boehm. Abbiamo già detto che parlare di media visivi è un po’ surreale dal momenti in cui un medium non è mai solo visivo, i media visivi sono formazioni miste (mixed). Inoltre, il pictorial turn non si limita alla modernità o alla cultura visuale contemporanea. E’ un elemento che appare e riappare molte volte nella storia. Di solito i pictorial turn si riferiscono ad una qualche distinzione tra parola e immagine, dove le parole sono intese come segno di alfabetizzazione ed élite mentre le immagini sono associate alla superstizione e all’analfabetismi. Image/Picture Se il pictorial turn riguarda la relazione parola-immagine, la relazione image/picrure implica un ritorno all’oggettività. Quale differenza troviamo tra image e picture? Picture è un oggetto materiale (ad esempio qualcosa che io posso appendere al muro), qualcosa che si può bruciare per sempre. Image invece è cio che appare in una picture, quello che sopravvive alla sua distruzione

nella memoria, nella narrativa. L’image non appare mai se non in un certo medium, ma può anche trascendere i medium passando da uno ad un altro. Essa è altamente astratta che può essere rievocata anche da una sola parola (equivale al concetto di motivo di Panofsky). Metapictures Talvolta ci troviamo davanti ad una picture in cui appare la image di un’altra picture, una sorta di annidamento di una immagine dentro l’altra. Biopicture Il concetto di pictorial turn trova anche processo nel processo biologico della clonazione, che in un primo momento era intesa come un processo naturale delle piante, per esempio, che clonano in modo spontaneo il loro genoma per riprodursi, poi, ai giorni nostri, diventa un qualcosa che riguarda anche gli animali o gli esseri umani (pecora Dolly). 3. PICTORIAL TURN Richard Rorty ha descritto la storia della filosofia come una serie di svolte in cui emerge un nuovo gruppo di problemi mentre i vecchi cominciano a svanire. Rorty chiama svolta linguistica (Linguistic turn) quello che considera lo stadio finale della storia della filosofia . La società è una sorta di testo, la natura sono i discorsi e persino l’inconscio è strutturato come un linguaggio. A questo punto però è evidente che qualcosa sta cambiando, sta avvenendo una trasformazione che chiameremo Pictorial Turn. Ed è proprio l’ansia, cioè il bisogno di difendere il nostro parlare dal visivo che sembra essere un vero e proprio segno evidente del Pictorial Turn. Ciò che da importanza a questo pictorial turn non è la potente importanza riconosciuta alla rappresentazione visiva ma il fatto che le picture costituiscono un particolare campo di battaglia e di disagio che attraversa un’ampia gamma di ricerche intellettuali. (ciò che Panofsky chiama iconologia). Adesso che la storia dell’arte si è risvegliata, almeno rispetto alla svolta linguistica, cosa farà? L’aspetto più rilevante è il fatto stesso del risveglio in se dell’arte.

Se davvero sta avendo luogo un pictorial turn delle scienze umane, l’arte potrebbe vedere la sua marginalità teorica trasformarsi in una posizione di centralità intellettuale, una posizione di sfida in grado di offrire una nuova considerazione del suo oggetto teorico -la rappresentazione visiva-. Sarà poi necessaria una mediazione tra modelli linguistici e modelli figurativi. Perché il pictorial turn ha luogo proprio adesso? Da un lato pare ovvio che proprio in questa era digitale e dei video venga dato maggior rilievo al visuale, ma, dall’altro lato, è anche vero che questa ansia che il potere delle immagini possa perfino distruggere i loro stessi creatori, è molto antica quanto le immagini prodotte dall’uomo (idolatria, non è un fenomeno unicamente post-moderno). L’idea di una cultura totalmente dominata dalle immagini è ora reale. Qualunque cosa sia il Pictorial Turn, dunque, dovrebbe essere chiaro che esse non è un ritorno alle teorie ingenue della rappresentazione basata sulla mimesi, sulla copia: è una riscoperta post-linguistica e postsemiotica dell’immagine come interazione complessa tra visualità, discorso, corpo. E’ la consapevolezza che l’essere spettatore può essere una questione altrettanto profonda delle varie forme di lettura che l’esperienza visiva (o alfabetizzazione visuale) non può essere totalmente interpretarle sul modello della testualità. Inoltre, il pictorial turn è la consapevolezza che adesso, il problema della rappresentazione visiva, si fa più imminente che mai. Crary: Egli sembra essere consapevole del fatto che i concetti di osservatore e di storia della visione sono pregni di profonde questioni teoretiche: Potrebbe, in effetti non esserci alcun osservatore del XIX secolo, ma solo l'effetto prodotto da un sistema civilmente eterogeneo di rapporti discorsi sociali, tecnologici e istituzionali. Non è esatto paragonare il testo di Crary e la sua storia dualistica romantico/modernista politica della visualizzazione di Panofsky. Allo stesso tempo tutto ciò non è

diverso dalla narrazione paradossale che ho sottoscritto quando individuato un pictorial turn. 4.CHE COSA VOGLIONO DAVVERO LE IMMAGINI? A questo punto della nostra riflessione vogliamo sapere che cosa significano le immagini e che cosa fanno, come comunicano in quanto segni e simboli. L’immagine è considerata come un’espressione del desiderio dell’artista, o come meccanismo per suscitare i desideri dell’osservatore. Che cosa vogliono le immagini? Questa è una domanda bizzarra, ne sono consapevole. E’ una domanda bizzarra come quella che si pone Freud, per esempio: Che cosa vogliono le donne?. Alle immagini è stato imposto il marchio della personalità: mostrano corpi fisici e virtuali, ci parano, talvolta, letteralmente, talvolta in modo figurato. Presenta una vera e propria faccia che si confronta con l’osservatore. In letteratura le immagini sono celebrate senza esitazioni per la loro personalità perturbante. Gli storici dell’arte possono anche sapere che le immagini che studiano sono soltanto oggetti materiali che sono stati segnati con colori e forme, ma spesso parlano e si comportano come se le immagini fossero dotate di volontà, coscienza, agency e desiderio. Tutti sanno, ad esempio, che una fotografia della propria madre non è viva, eppure sarebbero riluttanti a distruggerla. Tutti sanno che le immagini o le fotografia non sono persone reali, eppure, a volte, ci comportiamo come se lo fossero. Ogni agente pubblicitario sa bene che certe immagini, hanno delle gambe, nel senso che sono in grado di aprire strade nuove e produrre nuove effetti straordinario all’interno di campagna pubblicitarie. L’idea che le immagini abbiano una sorta di potere sociale o psicologico proprio, infatti, è un cliché principale della cultura visuale contemporanea. Come vengono rielaborati nelle società moderne gli atteggiamenti tradizionali nei confronti delle immagini, ovvero idolatria, feticismo o totemismo? Il cinema di Hollywood costruisce le donne come oggetto del desiderio maschile, le

masse di incolti sono monopolizzate dalle immagini dei media visivi. Tutti questi argomenti (e potremmo continuare) hanno un fondo di verità ma contengono comunque qualcosa di irrisolto. Io credo che, in breve, sia giunto il momento di mettere un freno alla nostra concezione delle basi politiche della critica della cultura visuale e di ridimensionare la retorica del potere delle immagini. Di certo, le immagini, non sono prive di potere, ma possono anche essere più deboli di quanto non si pensi. Per questo motivo mi sono chiesto che cosa vogliono davvero le immagini. Probabilmente noi critici tendiamo a dare tanta forza alle immagini cosi, nel momento in cui le ‘sconfiggiamo’, risulterà di aver fatto una grande impresa. Se io chiedo alle immagini cosa vogliono, mi aspetto una risposta. La domanda è simile alla seguente: Cosa vogliono le donne? Geoffrey Ghaucer si pone questa domanda, la quale viene posta a sua volta ad un cavaliere accusato di aver violentato una dama di corte. La sua udienza è sospesa per un anno, se risponderà bene sarà salvo, altrimenti verrà giustiziato. Il cavaliere ascolta molte risposte delle donne: fama, denaro, ecc. Ma la sola e unica risposta corretta è la maistrye, signoria di diritto. Qual è il vero desiderio di una immagine? Molti darebbero una risposta errata come le precedenti. Il desiderio di un dipinto, in breve, è quello di prendere il posto dell’osservatore, inchiodarlo, paralizzarlo, trasformarlo in una immagine esposta allo sguardo della stessa immagine (tipo effetto medusa). Analizziamo immagine di Lo zio Sam (I want you). Il messaggio sembra chiaro: è voi che voglio, cioè voi giovani ragazzi in età di leva. Questo è il messaggio che traspare.

Questa immagine può essere paragonabile al manifesto di reclutamento tedesco. Questi raffigura un giovane soldato che invoca gli altri a combattere verso una morte quasi

certa. Lo Zio Sam ha invece una relazione più tenue come indica il suo stesso nome. E’ pero una figura sterile: lui non partecipa alla guerra, il soldato tedesco invece si. Lo Zio Sam è anziano, non possiede il vigore giovanile e probabilmente non ha alcun legame diretto con qualcuno che realmente partecipa alla guerra. quindi, lui è una figura sterile, astratta, come se fosse di cartone e basta.

Che cosa vogliono le immagini, allora? Possiamo tratte qualche conclusione? L’interpretazione dei segni non viene esclusa nemmeno nel momento in cui uno interroga su cosa vogliano davvero le immagini. Si ottiene una sorta di mutamento con diverse chiavi: 1. L’assenso alla finzione costitutiva delle immagini come esseri animai, quasi agenti, pseudo-persone. 2. L’interpretazione di queste persone non come soggetti sovrani o spiriti disincantai, ma come subalterni, i cui corpi sono segnati dalle stimate della differenza. Ciò che vogliono le immagini non coincide con il messaggio che esse comunicano o con l’effetto che producono e neppure con ciò che dicono di volere. Come la gente, le immagini, non sanno quello che vogliono, devono essere aiutate a ricordare attraverso il dialogo con gli altri. Le immagini vogliono avere gli stessi diritti del linguaggio, non vogliono essere trasformate in linguaggio. Non voglio essere livellate all’interno di una storia delle immagini, né elevate al rango della storia dell’arte, ma vogliono essere considerate come individualità complesse che occupano molteplici posizioni e individualità. Quello che vogliono le immagini non è essere interpretate, decodificate, adorate. Ciò che le immagini vogliono, allora, in definitiva, è semplicemente che si chieda loro che cosa vogliono, con la consapevolezza che la risposta potrebbe essere: assolutamente nulla.

5. I MEDIA VISIVI NON ESISTONO Media visivi è un’espressione colloquiale usata per indicare cose come la televisione, i film, la filmografia. In realtà si tratta di un’espressione piuttosto inesatta e fuorviante. In effetti, se ci pensiamo, tutti quelli che vengono definiti come media visivi, finiscono per implicare altri sensi come l’udito, per esempio. Tutti i media, quindi, dal punto di vista sensoriale, sono misti. Il fatto che questo assunto sia ovvio, da ordini però a sua volta ad almeno due quesiti: 1. Perché continuano a parlare di alcuni media come se fossero esclusivamente visivi? 2. Perché è importante sapere cosa chiamiamo media visivi? Perché dovremmo preoccuparci di chiarire questa confusione? Si può veramente affermare che non esistano media esclusivamente visivi? Ci verrebbe da pensare ad un media esclusivamente visivo: il film muto. Eppure non è cosi, perché in esso troviamo musiche, canzoni, scritte, citazioni e frasi che non lo rendono un film puramente visivo. Il medium puramente visivo è la pittura, la quale si è emancipata dal linguaggio e della narrazione per esplorare qualcosa che si chiama pittura pura, rifiutando i media misti e tutto ciò che sta tra le arti. In realtà, però, la pittura che da sempre viene definita come puramente ottica, in realtà è tutt’altro. Se veramente l’osservatore potesse guardare senza verbalizzare, che cosa rimarrebbe? In realtà, vedere un dipinto è come vedere toccare dell’artista. L’architettura è il medium più impuro che ci possa essere, ma la scultura e la fotografia non sono da meno. A ben pensare, la nozione stessa di medium, implica l’utilizzo di molti sensi, quindi non esistono media visivi ma solo media misti. Secondo Raymond Williams, un medium è una pratica sociale materiale, non una essenza specifica dettata da una qualche

materialità di base o da una qualche tecnica. Non esistono media visivi, tutti i media sono misti, senza dover per questo motivi smarrire il concetto di specificità del medium (la televisione, per esempio, è prettamente visiva ma implica anche l’udito; un film è prettamente visivo ma implica anche la lettura e il linguaggio e l’udito). I media diventano allora una sorta estensione dei nostri sensi. La nozione dei media come rapporti sensoriale elaborata da McLuhan deve essere integrata con il concetto di rapporto semiotico, mescolanze specifiche di funzioni segniche che rendono un medium quello che è. Cosa si intende per proporzione sensoriale o semiotica? McLuhan non ha mai trattato diffusamente la questione, ma pare che si sia servito di questa espressione per indicare cose diverse. 1. L’idea che vi sia una relazione di dominio/subordinazione. 2. Un senso ne attiva un altro. 3. C’è un fenomeno strettamente correlato che chiamerei annegamento, in cui un medium appare dentro un altro come suo contenuto. 4. C’è un fenomeno che chiamerei dell’intelaiatura, che si ha quando un canale sensoriale o una funzione semiotica è intrecciata, in modo più o meno continuo, con un’altra. L’èkphrasis è una rappresentazione verbale di una rappresentazione visuale, una descrizione poetica di un’opera d’arte visiva. La regola cruciale è che il medium altro non sia mai reso visibile o tangibile tranne che per mezzo del medium del linguaggio. Cosa succederebbe se scoprissimo per esempio che la visione stessa non è in realtà un medium visivo? E che l’occhio, in realtà, è un occhio cieco? Il rapporto sensoriale della visione in quanto tale diventa molto più complicato quando entra in gioco l’emotività. Non esistono media puramente visivi perché per prima cosa non esiste una percezione puramente visiva. La mia proposta, giunti a questo punto, è quella di mettere tra virgolette l’espressione medium visivo. Ricordiamo infine che la cultura visuale è il campo di studi che figura di dare per scontato la visione, che insiste nel problematizzare, teorizzare, criticare e storicizzare il processo visivo in quanto tale.

6. IL PLUSVALORE DELLE IMMAGINI Tutti sappiamo che le immagini sono preziose, troppo preziose, e, proprio per questo, vanno tenute sotto controllo. Talvolta rappresentano il nulla, e questo nulla domina però il mondo. Cosa accade ad una immagine quando essa assume una qualche forma di plusvalore? La relazione tra immagini e valore è una delle questioni centrali della critica moderna, dal momento in cui le immagini sono forze onnipotenti ma vengono anche mostrate come puro nulla, prive di valore, vuote e vane. Questo ultimo motivo, quello della vanità, è stato compreso a pieno dai Moviemakers, una recente pubblicità della Sprite. La scena si svolge durante una riunione di marketing. Il produttore entra e chiede Bene gente, cosa abbiamo? E gli rispondono: un lumacone morto, i lucertoloni sono superati. Il lumacone è rappresentato da una scia verde gelatinosa. In questo modo viene annunciato il fatto che i dinosauri siano superati come specie. Lo spot si conclude cosi: “L’immagine è zero. La sete è tutto. Ascolta la tua sete”. Il tutto si conclude con l’immagine di una bottiglia di Sprite. Lo spot suggerisce che l’immagine può essere tutto se ha a che fare con la fotografia o con il cinema, ma è nulla se ha a che fare con la sete, un bisogno reale, fisico e non un desiderio falso e prodotto dall’immaginazione A questo punto, spero che non sia necessario sottolineare come la presa di coscienza di un Pictorial turn in cui l’immagine è tutto e nulla non interessi esclusivamente sofisticati opinionisti o criti...


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