Ppt8 - Opere di Power point mancanti (8) PDF

Title Ppt8 - Opere di Power point mancanti (8)
Author Alessia Cervino
Course arte moderna
Institution Università per Stranieri di Siena
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Summary

Opere di Power point mancanti (8)...


Description

Slide 1: Andrea del Sarto, Madonna delle Arpie, 1517, Firenze, Uffizi Il titolo tradizionale della pala risale a Vasari, che lesse le figure scolpite sugli spigoli del piedistallo come arpie. Qui si legge l'iscrizione "AND.[rea del] SAR.[to] FLOR.[entinus] FAC.[iebat] / AD SUMMUM REGINA TRONUM DEFERTUR IN ALTUM M.D.XVII.". In una nicchia architettonica appena accennata, calata in una calda penombra, Maria si leva su un piedistallo, col Bambino in braccio e reggente un libro appoggiato alla coscia. Due putti la sostengono in basso. Ai lati si trovano i santi Francesco, col crocifisso, e Giovanni evangelista, che con un gesto enfatico di michelangiolesca memoria tiene aperto un libro e con una mano nascosta sembra indicarne un punto. I due santi guardano verso lo spettatore, mentre Maria e Gesù hanno lo sguardo diretto in basso. Antonio Natali propose un'interpretazione della pala legata al capitolo IX dell'Apocalisse di Giovanni, a cui alluderebbe il libro tenuto aperto. Le figure del basamento non sarebbero arpie, né tantomeno le sfingi lette da altri studiosi (Monti, Shearman), ma le "locuste" citate nel testo, portatrici di calamità e distruzione. Ciò appare confermato anche da fumo che si leva dal piedistallo, già notato da Vasari e tornato in evidenza con l'ultimo restauro, che sarebbe quello salente dal "pozzo dell'Abisso", a oscurare il sole e l'atmosfera. San Francesco quindi, oltre che titolare della chiesa, potrebbe rappresentare l'esempio per coloro che eviteranno tali tormenti, poiché segnati dal sigillo cristiano. Maria sarebbe quindi rappresentata nel momento in cui sottomette Satana, chiudendone simbolicamente il pozzo. Slide 2-3: Pontormo, Vertumno e Pomona, 1520, Poggio a Caiano, Villa medicea Ovidio raccontò la storia di Vertumno e Pomona nelle Metamorfosi (XIV, 622-697 e 765-769). Le due divinità sono rappresentate agli angoli inferiori della lunetta, ciascuna con l'attributo che le caratterizza: a sinistra Vertumno con il canestro, a destra Pomona con la falce. Essi indossano abiti da contadini, come anche gli altri personaggi presenti. Il mito è quindi calato in un'atmosfera popolaresca e rustica, assomigliando più alla rappresentazione del riposo di un gruppo di campagnoli durante un assolato giorno di festa. La scena non ha carattere narrativo. In alto si legge l'iscrizione tratta dalle Georgiche di Virgilio (1, 21), dove vengono invocati gli dei e le dee protettori dei campi: DIIQUE DEAEQUE QUIBUS ARVA TUERI. Al centro della lunetta si apre la finestra ad oculo (oggi coperta da un tendaggio, ma nata come fonte di illuminazione della sala), attorno al quale il pittore disegnò fronde di alloro che dipartono simmetriche e quattro putti, due sui rami e due seduti su un muretto, che reggono le estremità di una grande ghirlanda fatta di foglie, frutta e nastri. Sullo stesso muro stanno adagiate due figure, un uomo nudo dalla parte di Vertumno, e una donna vestita di rosso con camicia azzurra e scialle bianco dalla parte di Pomona, forse una rappresentazione della dea Cerere. Una terza donna si trova poco sotto, girata di spalle, mentre dal lato opposto stanno un uomo sdraiato e un cane in scorcio molto realistico (ma ottimizzato per la visione frontale piuttosto che dal basso, come sarebbe naturale per lo spettatore). L'adolescente nudo sopra Vertumno fa penzolare le gambe e si allunga, appoggiandosi sull'avambraccio destro e stendendosi, per sollevare il panno violetto e toccare una foglia di alloro. Egli potrebbe rappresentare un giovane Bacco, dio del vino. Un notevole realismo si può cogliere ad esempio nella figura di Vertumno, rappresentato come un vecchio col volto solcato, le mani nodose, le ginocchia ossute, deformate dal lavoro nei campi. Curiosa è la figura del cane smagrito, corrucciato e come sul punto di abbaiare, in posizione molto naturale derivata sicuramente da uno studio dal vero. Questo particolare interesse verso l'universo naturale venne ispirato probabilmente dalle stampe tedesche, allora già molto diffuse anche a Firenze, con animali, vegetali e uomini rappresentati con la stessa dignità e interesse dell'artista. Secondo un'interpretazione allegorica più complessa l'affresco potrebbe costituire una metafora politica esaltante il destino e l'immoratlità della casata medicea, ricollegandosi al tema celebrativo degli altri affreschi del salone. Il troncone d'alloro rappresentarebbe i vari rami della dinastia (Lorenzo de' Medici usò spesso il Laurus come rimando alla sua persona). Il rinnovarsi generazionale è evocato dall'idea della rigenerazione della natura nel trascorrere delle stagioni. Vertumno simboleggerebbe l'inverno e l'uomo seduto accanto a lui Apollo, dio del Sole; Pomona l'estate o la primavera e la donna di spalle accanto ad essa Diana, cioè la luna. Il complesso delle figure in primo piano simboleggerebbe quindi il trascorrere dei giorni e delle stagioni. La profondità

spaziale, come in altre opere del periodo, appare assottigliata, senza però intaccare l'ariosità data dal cielo aperto dello sfondo. Tutto è calibrato con attenzione all'equilibrio generale, movimentato però dalla pluralità di direzioni che suggeriscono le articolate posizioni dei personaggi, i loro gesti e i loro sguardi. Slide 4: Pontormo, Visitazione, 1525-30, Carmignano (Fi), Pieve di San Michele. In una scura via cittadina, dove si riconoscono alcuni scarni edifici non in scala con la rappresentazione in primo piano (almeno per la metà sinistra), è ambientata la Visitazione di Maria a sant'Elisabetta, con le due donne che si scambiano un abbraccio e un intensissimo sguardo alla presenza di due spettatrici dietro di esse. Di queste, una è anziana e guarda diretta negli occhi dello spettatore, come fa anche la seconda, più giovane e a sinistra, ma con un sguardo più vacuo. Le donne formano quindi i quattro pilastri di una sorta di parallelepipedo, illuminate con forza (a differenza dello sfondo) e ammantate di vesti dal colori estremamente intensi e corposi: verdi petrolio, rosa e arancio. Originalissimo è l'intreccio di membra e di stoffe, lungo linee arcuate di grande eleganza, e amplificate nei volumi. Curati sono gli effetti di contrapposto e rimandi, come tra le teste, ora di profilo, ora frontali, delle coppie di donne in profondità (giovane-giovane e vecchia-vecchia, quasi uno sdoppiamento). Al movimento delle donne in primo piano fa da contrasto l'immobilità e la rigida frontalità di quelle in secondo piano, prive di una qualsiasi partecipazione emotiva all'evento, ma capaci di rendere l'atmosfera sospesa e malinconica, altamente spirituale. Rispetto al bozzetto le figure appaiono più serrate al centro, con panneggi più ampi, che danno al gruppo una straordinaria compattezza. La composizione "a rombo" si ispirò all'incisione di Dürer delle Quattro streghe (1497) Slide 5: Rosso Fiorentino, Madonna e santi, 1518, Firenze, Uffizi Si tratta di una sacra conversazione, con al centro la Madonna, seduta sullo sfondo di un damasco dorato, che tiene in braccio il Bambino e conversa con quattro santi attorno a lei. A sinistra si vede san Giovanni Battista, patrono di Firenze e titolare della cappella in Ognissanti, seguito da sant'Antonio Abate, protettore degli animali e quindi adatto alla località di campagna, e, sull'altro lato, da santo Stefano, titolare della chiesa di Grezzano, con la pietra della lapidazione in testa, e uno scheletrico san Girolamo col libro, col ventre incavato, lo sterno, le costole e le clavicole ben in vista, la magrezza estrema del collo e del braccio, rivelando un legame con gli studi anatomici che all'epoca si iniziavano ad effettuare sui cadaveri[3]. I due santi centrali, come hanno dimostrato anche le radiografie, erano nella prima stesura san Benedetto, protettore del padre di una vedova che aveva lasciato i suoi beni all'ospedale, e san Leonardo, omonimo del Buonafede, i cui ceppi si intravedono ancora nell'ombra dietro la testa della Vergine. Per modificarli venne aggiunto un Tau sulla veste di Benedetto e un sasso sulla testa di Leonardo, nascondendo i ceppi in un'ombra indefinita [2]. Ai piedi di Maria, seduti su un gradino, si trovano due squisiti angioletti, presi nella lettura di un libro, che sembrano estranei alla generale inquietudine dei santi. Slide 6: Rosso Fiorentino, Sacra Famiglia, 1520, Los Angeles, County Museum 'opera, non finita, è tra le più inquietanti pale dipinte dal Rosso, risalente al suo secondo soggiorno fiorentino, dopo l'annata a Volterra, in cui aveva sviluppato un ardito sperimentalismo formale ed espressivo. L'artista si allontanò con decisione dalla tradizione iconografica, dipingendo il gruppo di figure in una composizione inedita. A destra Maria inginocchiata tiene a sé il Bambino, che si divincola con un'espressione di preoccupata inquietudine, simile ma speculare a quello nella Madonna degli Angeli di Andrea del Sarto. In basso sta sdraiata la figura del Battista, in un sonno straziato che ricorda la morte. A sinistra prevale la figura di sant'Elisabetta, già interpretata come sant'Anna o come la profetessa Anna, che poggiando un braccio scheletrico su un libro in equilibrio, distende l'altro verso Maria a il Bambino, ai quali è rivolto anche il suo sguardo scavato. In una complessa torsione, tiene il piede destro tra le gambe del san Giovannino e Gesù vi poggia il suo piedino sopra, in un'allegoria salvifica in cui sta essenzialmente il nodo della rappresentazione: Elisabetta e Maria infatti sono coscienti dei destini tragici dei loro figli e ne

fanno partecipe l'un l'altra con drammaticità, anche se alla fine la vittoria sul male (simboleggiata dall'appoggio di Cristo sul piede della santa) non renderà vano il loro sacrificio. Anche se si trattasse della profetessa Anna, che tiene il libro del suo vaticinio e ne fa partecipi gli astanti, il significato della pala non cambia di molto. In alto stanno poi due angeli alati, che sembrano fluttuare e che si allungano nello spazio, con espressioni pure caricate e ansiose, tanto che sono stati definiti "angeli-demoni" dai toni cupi e minacciosi. In generale le figure sono allungate, rigide ed emaciate. I colori chiari e in tonalità acidule, con campiture spigolose che creano forti contrasti. Nell'atmosfera, tesa e funerea, si è persa ogni traccia della grazia e della dolcezza delle pale fiorentine di appena qualche anno prima, così come al posto di una serena connotazione ambientale l'artista usò uno spazio indefinito e dalla profondità compressa. Slide 7-8: Domenico Beccafumi, Caduta degli angeli ribelli, 1528, Siena, Chiesa di San Nicolò al Carmine Se la prima versione della pala era smaccatamente michelangiolesca, questa seconda prova dell'artista sul tema mostra un chiaro omaggio a Raffaello e alle Stanze Vaticane. Al posto del convulso grovigio di angeli e demoni, Beccafumi sostituì una composizione più ordinata. Al centro campeggia ancora san Michele con la spada levata, il Dio Padre sopra di lui ha adesso una presenza più manifesta e possente, a sottintendere il suo ordine che muove l'angelo guerriero. Gli altri angeli del paradiso poi non compongono più una massa liquida e informe, ma sono seduti ordinatamente in due file semicircolari, come i dotti nella Disputa del Sacramento. Michele appare come in procinto di scendere una ripida discesa che lo conduce agli inferi dove, tra i bagliori di fuoco che illuminano due anti simmetrici al di sotto di volte, stanno i dannanti e, più in basso di tutti, il mostro di Lucifero, con faccia canina e corpo di drago. Spiccano gli effetti di controluce, che lasciano in ombra ad esempio Dio Padre e illuminano a chiazze Michele, suggendendo una forte luce alle sue spalle che lo accompagna nel viaggio agli inferi. Si accende infine un fuoco alla base del dipinto, infuocando il demonio e permettendo di distinguerlo. Anche questi effetti appaiono ispirati da Raffaello, da opere come la Liberazione di san Pietro. Slide 9-11: Rosso Fiorentino, Deposizione, 1521, Volterra, Pinacoteca La pala mostra un momento fino ad allora rappresentato raramente, ovvero la discesa del corpo di Gesù dalla croce subito dopo lo stacco, ispirandosi al racconto di Matteo (27, 45; 57), in cui la terra viene avvolta da una fitta oscurità. La scena è infatti ambientata al crepuscolo, con un delicato trapasso delle luci serali dalla linea dell'orizzonte alla parte alta del dipinto [1]. Mai rappresentato prima e non descritto dai vangeli è il fatto del corpo di Cristo che sembra essere sul punto di scivolare dalle mani dei suoi soccorritori, che si affannano concitatamente per evitarne la caduta [1]. L'esplosione emotiva di questo episodio è combinata, nella parte inferiore, con una forte spiritualità scaturita dalla ricca gamma di pose ed espressioni degli astanti, tra i quali spiccano la Madonna ferita dal dolore, la Maddalena inginocchiata e protesa verso di essa, san Giovanni piegato dal dolore [1]. La disposizione asimmetrica delle scale genera un moto violento, accentuato dall'incertezza degli appoggi degli uomini che calano il corpo di Cristo. Simile per la forma della tavola e per le misure, oltre che per il tema, a quella del Pontormo, tuttavia ne differisce profondamente per la concezione. Il Rosso ottiene il dramma per la volumetria angolosa che sfaccetta le figure (si veda la Maddalena e la sua veste, la figura più in alto di Nicodemo, ecc.), per il movimento convulso di alcuni personaggi, per i colori intensi prevalentemente rosseggianti stagliati sulla distesa uniforme del cielo, con la luce che incide da destra con forza, creando aspri urti chiaroscurali. Tinte complementari sono spesso accostate, con effetti cangianti, e si stagliano con forza gli effetti "fosforescenti" nei punti di maggiore luminosità, rispetto allo sfondo. La particolare stesura, con una sottile patina degli impasti, rende qua e là visibili l'imprimitura e gli strati sottostanti, rivelando talvolta curiose annotazioni autografe, come le scritte relative ai colori da impiegare, poi cambiate bruscamente in corso d'opera sulla spalla destra della donna in primo piano, che poi è invece colorata di un rosa salmone, o "azzurro" nel panno del depositore più basso (che invece è giallo) o nello chignon della Maddalena [1]. Le deformazioni dei corpi e dei volti giungono all'estrema esasperazione: il vecchio affacciato dall'alto sulla croce, Nicodemo, ha il viso contratto come una maschera. I depositori formano una sorta di circolo, complessamente articolato sui piani in tre dimensioni

delle scale, che asseconda la forma centinata della pala, anche tramite il mantello di Nicodemo [2]. Sullo sfondo, al bordo dell'intenso blu che riprendeva il lapislazzuli degli affreschi di Cenni di Francesco, si intravedono, piccolissimi, alcuni armigeri, simbolo della perfidia e malvagità umana che ha condotto Cristo sulla croce [3]. Slide 12: Rosso Fiorentino, Angelo musicante, 1521, Firenze, Uffizi Quest’opera celeberrima, raffigurante un angiolino intento a pizzicare le corde di un liuto, è il frammento di una tavola d’altare andata perduta: le indagini riflettografiche hanno rivelato che sotto il fondo scuro, aggiunto successivamente, è raffigurata una parte di una struttura architettonica, ai cui piedi l’angelo musicante stava come in certe composizioni di Fra’ Bartolomeo o Raffaello. L’aspetto della composizione originale è tramandato dalla Sacra Conversazione dipinta intorno al 1600 da Francesco Vanni e conservata nella chiesa di Sant’Agata ad Asciano (Siena). La riflettografia ha rivelato sotto il fondo scuro del dipinto degli Uffizi anche l’iscrizione con il nome dell’autore, Rosso Fiorentino, e la data 1521, ma è incerto se la scritta sia di mano del Rosso o non fosse piuttosto stata apposta quando la pala d’altare fu smembrata, allo scopo di tramandare la memoria del suo autore. Immagine tenerissima, con l’angiolino che stenta a padroneggiare il liuto che appare al confronto esageratamente grande, il dipinto mostra l’originale reinterpretazione da parte di Rosso Fiorentino di un tema tradizionale, reso particolarmente vivido da una stesura pittorica di grande modernità. Slide 13: Rosso Fiorentino, Pala Dei, 1522, Firenze, Palatina. Si tratta di una sacra conversazione, con al centro la Madonna, su un sedile rialzato, che tiene in braccio il Bambino, sullo sfondo di un'ombrosa abside. Attorno ad essa si accalcano ben dieci santi, che erano particolarmente stretti prima dell'ampliamento dei bordi, e che si dispongono a semicerchio ispirandosi proprio alla Madonna del Baldacchino di Raffaello. Sui due grandini alla base del trono si incontrano quindi san Pietro (veste gialla e azzurra, chiavi e libro in mano), san Bernardo di Chiaravalle (saio bianco), san Ranieri, sant'Agostino (vestito da vescovo), san Rocco (o san Giacomo maggiore) col bordone, san Sebastiano (seminudo, con le braccia legate dietro la schiena), san Giuseppe, san Maurizio e una santa seduta a terra al centro. Gli attributi di santa Caterina d'Alessandria (spada e ruota dentata rotta), vennero aggiunti solo nel Settecento, per cui non è dato sapere di chi si tratti esattamente. La scelta dei santi principali è dovuta soprattutto al nome dei componenti della famiglia. Molti sono gli elementi di rottura con la tradizione: il superamento dello schema piramidale, i panneggi dal volume "astratto", cioè innaturale, il colore fatto di trasparenze e cangiantismi, le espressioni talvolta torve, le anatomie tormentate (soprattutto nello scultoreo Sebastiano), gli occhi "muti", cioè appannati che non trasmettaono dialogo visivo. Tutto ciò ne fa un'importante testimonianza delle inquietudini e delle trasformazioni che in quegli anni portavano avanti i rappresentanti più all'avanguardia della "maniera", Rosso e, con esiti per certi versi simili, Pontormo. Slide 14: Rosso Fiorentino, Ritratto virile, 1522, Washington, National Gallery. u uno sfondo verde si staglia fiera la figura di un giovane a mezza figura, rivolto di tre quarti verso destra con il volto ruotato verso lo spettatore. Un braccio è puntato a compasso in vita, col gomito che sporge lungo la diagonale in scorcio, mentre l'altro si regge più mollemente alla cintura. L'abito e il cappello bicorno sono neri, colore del lusso dell'alta aristocrazia dell'epoca, mentre dal collo sporge appena la camicia bianca pieghettata. Tutto concentra l'attenzione sul volto del personaggio, così espressivo nella sua individuazione personale. L'opera ha una stesura rapida, poco dettagliata, tipica delle opere di Rosso, con la pennellata un po' sfilacciata e visibile

Slide 15-17: Michelangelo, La Vittoria, 1527-30, Firenze, Palazzo Vecchio.

L'assegnazione al progetto della tomba e la datazione si basa su elementi stilistici che legano l'opera ai Prigioni, come la torsione del corpo e l'anatomia vigorosa, le misure compatibili. Inoltre sulla testa ha una corona di foglie di quercia che alluderebbe allo stemma Della Rovere. La scultura non rappresenta un momento di lotta, essendo un'allegoria, ma rappresenta lo stato del vincitore, che domina lo sconfitto tenendolo sottomesso con agilità, con una gamba che blocca il corpo del sottomesso, ripiegato e incatenato. Il giovane che rappresenta il genio è bello ed elegante, mentre il dominato è vecchio e barbuto, con un fisico flaccido e un'espressione rassegnata. Anche le superfici sono trattate in maniera diversa per esaltare espressivamente il contrasto tra le due figure: il giovane levigato alla perfezione, il vecchio ruvido e incompleto, per lasciare il ricordo della pesante pietra di cui è fatto. Secondo alcuni studiosi, il Genio avrebbe le fattezze di Tommaso de' Cavalieri, giovane nobile romano conosciuto da Michelangelo a Roma nel 1532, del quale il Buonarroti si sarebbe invaghito e a cui dedicò molte rime amorose; il vecchio, invece, succube del Genio, alluderebbe allo stesso Michelangelo, vinto dalle armi della bellezza di Tommaso. Slide 18: Rosso Fiorentino, Mosé e le figlie di Jetro, 1523, Firenze, Uffizi Vi è rappresentato l'episodio biblico dell'Esodo (I, 16-22) in cui le sette figlie di Ietro, un sacerdote della terra di Madian, vengono importunate da un gruppo di pastori madianiti mentre attingono l'acqua a un pozzo per abbeverare il gregge del padre. I malfattori vorrebbero approfittarsi delle fatiche delle giovani per dare invece da bere ai propri animali, ma l'intervento con minacce del giovane Mosè, seduto lì vicino, li fa desistere. In ricompensa...


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