Repubblica di Venezia nel 700 PDF

Title Repubblica di Venezia nel 700
Course Storia della Repubblica di Venezia
Institution Università degli Studi di Padova
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IL TERRITORIO 1. I caratteri La Repubblica di Venezia non ha continuità territoriale, ma è divisa in tre parti - Stato da terra, ovvero la terraferma veneta, lombarda e friulana; - Stato da mar, ovvero Istria, Dalmazia e isole; - Venezia con il suo Dogado lagunare. Realtà geopolitica di dimensioni ridotte (50.000 km2 e 2.800.000 abitanti) Il territorio vedeva: - Diversi approcci e strategie per il suo sfruttamento e sviluppo. - soluzioni urbanistiche/architettoniche simili (palazzi, chiese, fortezze, …) 2. I confini All’inizio del XVIII sec. i confini di questo stato (chiamato “anfibio”) non erano ancora ben delineati. Il Triplice confine balcanico si era creato tra i territori veneti, asburgici e ottomani. A causa dei contenziosi dati dall’indeterminatezza della linea di demarcazione, la Serenissima rese stabile il Soprintendente alla camera dei confini (ministero che si fasava con le Camere di confine dei distretti della terraferma). Dopo il 1748, con il lungo periodo di pace seguito al trattato di Aquisgrana (fine guerra successione austriaca), vi fu la definizione dei limiti territoriali affidata non più a cause solo occasionali (la fine delle guerre), ma a una politica di trattati e di regolare negoziazione. Negli anni Cinquanta del Settecento vennero stipulati una serie di trattati che portarono alla definizione del confine tra Lombardia e Tirolo: austriaci, da un lato, e i territori della Lombardia veneta e della zona alpina dal Garda fino al Cadore, dall’altro. Si delineò così la linea tra le montagne (fronte militare della 1 guerra mondiale). Un altro quadrante di difficile demarcazione era il friulano-istriano, a causa di enclave territoriali e diverse etnie. Tra 1751 e 1757 vennero definiti i confini alpini tra Carnia e Carinzia, quelli del Friuli meridionale (e Grado) e la linea di separazione tra Istria Veneta e domini asburgici. Nel 1749 si risolsero alcune questioni con lo stato pontificio e l’area del polesine (taglio di Porto Viro e deviazione del Po). Il riconoscimento di precisi confini di stato, fortemente perseguito, rispose al principio del “ben vicinare”, tanto più a fronte della relativa debolezza militare della Serenissima verso i vicini austriaci e turchi. 3. Le montagne Circa un terzo della terraferma veneta era costituita da territorio montuoso. Anche la Dalmazia veneta era per lo più montuosa. Si presentavano situazioni difformi: dalla metà del 400 il limite altimetrico delle coltivazioni si era innalzato per far fronte alle crescenti esigenze alimentari. Una conseguenza fu il terrazzamento dei pendii. L’interesse economico per l’ambiente montano era dato anche dallo sfruttamento del legname, dei pascoli e delle miniere. Per questo le aree di montagna si presentavano nel XVIII sec. poco isolate e meno distanti dal resto del territorio. Le montagne venete erano attraversate da importanti vie di comunicazione nel fondovalle e disponevano di un reticolo piuttosto fitto di strade secondarie, di sentieri e di mulattiere per il movimento di uomini, animali e merci. Si trovano ampie aree di pascolo destinate all’alpeggio dei bovini e alla transumanza delle pecore. Realtà popolata che diventò critica solo al passaggio dall’economia tradizionale a quella industriale (tra Otto e Novecento), quando si arrivò alla marginalizzazione dell’area, d’involuzione demografica e di potenziale arretratezza. 4. I boschi Principale ricchezza della montagna, questo perché il legname ricavato dagli alberi veniva utilizzato come: - fonte di energia, - materiale da costruzione per navi, edifici e macchine. Da un paio di secoli era una risorsa drammaticamente limitata. A causa dell’espansione della superficie coltivata e il disboscamento , i boschi erano nel 700 meno estesi e fitti di quanto lo siano oggi. Sistemi di trasporto assicuravano la discesa dei tronchi fino al fondovalle (risìne o lisse). Arrivavano così nelle località di raccolta situate sui fiumi principali. Qui il legname da costruzione e le bòrre da ardere venivano tagliate in pezzi e fatte nuovamente fluitare verso i centri di consumo su zattere costruite con le tavole medesime. In alcuni casi vennero costruite dighe artificiali, dette stue, che provocavano piene per trascinare i tronchi verso valle. Venezia costituiva da sola un enorme centro di consumo. La Serenissima, aveva vietato su tutto il suo territorio il taglio incontrollato delle querce (roveri), utili per la costruzione degli scafi. Inoltre funzionò fino a fine 700 il sistema dei boschi banditi, a uso esclusivo dello stato. In alcune aree (Asiago e Cadore), le resistenze frapposte dalle comunità locali e la difesa degli interessi connessi all’uso comunitario dei boschi riuscirono a frenare un processo di disboscamento selvaggio. Inoltre, la possibilità per i mercanti di legname di attingere a risorse facilmente raggiungibili al di fuori dei confini di stato, rendevano fortunatamente l’areale più ampio. 5. Il sistema idrografico Frutto di uno sforzo plurisecolare delle autorità pubbliche, associate ai privati. La strategia di salvaguardia dall’interramento della laguna veneziana , perseguita fin dal Medioevo con la deviazione delle foci dei fiumi principali, si saldò a partire dalla seconda metà del 15° secolo con la necessità di messa a coltura di nuove terre. Si effettuarono lavori di canalizzazione e di bonifica nella bassa pianura e lavori di imbrigliamento e di distribuzione delle acque allo scopo d’irrigare l’alta pianura asciutta e di ricavare energia dall’acqua.

I consorzi di bonifica veneti si costituivano tra i proprietari terrieri in modo spontaneo o per ordine dei Provveditori sopra i beni inculti e assumevano in concessione la realizzazione dei retratti, ovvero delle opere di sistemazione idraulica dei suoli, approvate dallo stato. Per fare questo i consorzi riscuotevano per dieci anni la tassa detta campatico, che gravava sulle terre interessate alla bonifica e che serviva per il rimborso delle spese sostenute. Per la successiva manutenzione o ripristino delle opere di bonifica, il consorzio curava la riscossione di un’altra tassa detta campadeghetto imposta ai consorziati (esempio unico in Europa di compenetrazione pubblico/ privato). Caratteristica del sistema idrografico veneto: regime molto irregolare, quasi torrentizio (piene, rotte e inondazioni); periodi di siccità. A rendere meno drammatica la situazione, contribuirono le rogge, ovvero canali artificiali, che sottraevano acqua a fiumi e torrenti e la ridistribuivano (brentella trevigiana): - livello quantitativo  debole, non risolveva il problema dell’irrigazione - livello qualitativo  alto, sviluppo attività manifatturiere 6. Il mare Ruolo fondamentale non solo in campo socio-economico, ma nel plasmare le istituzioni, le aspettative, la mentalità stessa degli uomini della capitale e delle altre città portuali che si affacciavano sul Golfo, il nome che i veneziani davano all’Adriatico. La rotta verso Venezia, seguiva il lato “sopravento” ovvero la Dalmazia veneta: via liquida che dallo Ionio conduceva ai porti principali di Venezia e Trieste (sicuri approdi di Rovigno e di Parenzo). Rotta disagevole a causa di: - bassi fondali - improvvisi venti di nord-est (bora) - possibile cattura, o meglio rapimento, da parte di corsari del Mediterraneo. Il mare continuava a rappresentare la principale via di accesso e di smistamento di una infinità di prodotti, che trovavano in Rialto e nella Giudecca la loro prima destinazione, nonostante la concorrenza di Trieste e di Ancona. Area lagunare: le isole erano tutte più o meno abitate o adibite a funzioni di sanità e di sicurezza pubblica (lazzaretti) Era complicato entrare dalle bocche di porto: quella di San Nicolò era tanto interrata da consentire il transito di piccole imbarcazione di poco pescaggio; quella di Chioggia non premetteva un rapido accesso allo spazio urbano. L’unica porta aperta e ben percorribile era la bocca di Malamocco, nonostante manovre complicate per accedervi. Le norme di diritto mercantile, inizialmente mutuate dal diritto bizantino (quelle sulle società, sui noli, sulle assicurazioni, …) erano già in operanti dal tardo medioevo e continuarono a essere perfezionate fino all’approdo a uno dei capisaldi della codificazione prerivoluzionaria europea: il Codice per la veneta mercantile marina del 1786.

LA POLITICA 1. Il governo La struttura era la stessa dei due secoli precedenti. Il ruolo di Dominante aveva richiesto una moltiplicazione delle funzioni politico-amministrative, senza rinunciare all’accentramento del potere nelle mani dell’aristocrazia lagunare. Lo stato, che venne abbattuto nel 1797 dall’armata francese guidata dal generale Napoleone Bonaparte, era retto al vertice da una ristrettissima oligarchia. Il Maggior Consiglio aveva il compito di eleggere la maggior parte degli organi di governo repubblicani ed era influenzato da poche decine di nobili casate. Queste sedevano nel Senato (o assemblea delle Pregadi, formata da 120 persone, il doge, i Savi del Consiglio, gli Avogadori di Comun, i Procuratori di San Marco, i membri dei supremi tribunali del Consiglio dei Dieci e della Quarantia criminale). L’aristocrazia senatoria monopolizzava nel Settecento i ranghi della diplomazia, dell’esercito e dell’alta giustizia, (con continuo e insanabile conflitto d’interessi). Contro questa ristretta oligarchia, si scagliarono i membri riformatori dell’aristocrazia veneziana (piccola e media nobiltà) che si richiamavano a un mitico passato da restaurare: - Angelo Querini (1761): reintegrare le prerogative del magistrato degli Avogadori di comun, tra cui quelle di veto sui provvedimenti legislativi. Si ottenne la nomina di una commissione per la riforma costituzionale (Correzione delle leggi), venne arrestato e imprigionato a Verona. - Giorgio Pisani (1774 – 1780) capitana una coalizione di tutti gli scontenti contro gli oligarchi veneziani. Ottiene una nuova commissione costituzionale, che non riuscì nel tentativo di ricambio politico. Propose una legge agraria che andava a favore del patriziato povero, che portò infine al suo arresto, 2. Il policentrismo Venezia mantenne sempre un rapporto da città dominante e non da capitale di una coerente compagine statuale, rispettando autonomie cittadine e giurisdizioni feudali, i cui statuti vennero garantiti dai cosiddetti Patti di dedizione. Nel corso del Cinque-Seicento, avanzò il processo di accentramento. Il risultato fu un assetto federale del tutto fittizio, caratterizzato dalla mancanza di ricambio al vertice e dal controllo, sull’operato dei consigli cittadini (diventò un apparato repressivo che si reggeva sulla delazione anonima e sull’opera di spie e sicari manovrati dagli inquisitori di stato). Le massime cariche esecutive, giudiziarie e militari nei territori sottoposti al dominio veneziano vennero riservate fin dall’inizio e in via esclusiva alla nobiltà di Venezia. I cosiddetti rettori veneziani, affiancati dai camerlenghi che gestivano gli aspetti fiscali e la tesoreria, venivano eletti sempre dal Maggior consiglio per un tempo circoscritto. I rettori rispondevano solo agli organi centrali di governo. Così, se in origine il loro ruolo doveva essere quello di mediazione tra centro e periferia, diventò quello di trasmissione del potere centrale imposto alle diverse periferie. Nei casi più “semplici” esisteva un reggimento principale nella capitale provinciale, suddiviso tra il Podestà con poteri civili e giudiziari e il Capitano con compiti militari, alcune podesterie o capitanati minori retti da veneziani vicariati dove sedevano rappresentanti eletti dal consiglio della città capoluogo.

Contro questa frammentaria costituzione si scagliò negli anni 30 il nobile Scipione Maffei, autore di un Suggerimento (spietata analisi della situazione della Serenissima). Propose di aprire il Maggior consiglio a 20 casate aristocratiche della terraferma in rappresentanza degli interessi dei distretti di origine. Lo sconsigliarono di renderla pubblica. 3. La fiscalità Il sistema fiscale era costruito più su particolarismi ed esenzioni, a favore di signorie feudali e gli enti ecclesiastici, che su regole generali. Le imposte indirette (dazi), coprivano oltre il 60% delle entrate di bilancio. I dazi colpivano i contribuenti finali in modo difforme, in relazione alla loro forza contrattuale, a seconda che si trattasse di città, corporazioni, segmenti del mondo mercantile o imprenditoriale. Molto importanti erano i dazi di ingresso, di uscita e di transito dalle quattro dogane di Venezia, nonché dalla cosiddetta Stadella di Verona (flusso commerciale per la via dell’Adige). Altre specificità (esenzioni legate al regime di fiera) rendevano ancor più confuso l’accertamento e la riscossione. Interi sistemi fieristici consentivano a molti operatori di pagare le imposte a forfait o addirittura di non pagare affatto (evasione e contrabbando). Le imposte dirette (gravezze), anch’esse venivano riscosse con sistemi diversi: - I residenti a Venezia pagavano una decima sui beni immobili posseduti anche fuori dalla città e un campatico sui loro fondi agricoli, che assieme gravavano poco più del 3% del valore dichiarato dei beni medesimi. - Mercanti e artigiani pagavano una tansa a forfait e dei taglioni riscossi dai corpi d’arte a cui erano legati - I residenti in terraferma pagavano le gravezze de mandato dominii, ripartite pro quota tra le varie province. Ne deriva una distribuzione sbilanciata delle imposte indirette, in particolare nella terraferma veneta, le quali colpivano in modo proporzionalmente più forte i redditi più bassi. L’eccessiva mitezza della esazione diretta era tale da incrementare strutturalmente il deficit di bilancio, alimentando il debito pubblico. Nei primi anni Novanta, il saldo del bilancio statale ritornò negativo. La più importante realizzazione riguardò il ridimensionamento dei privilegi del clero e in particolare degli ordini regolari, ai quali venne ad esempio vietata la questua e che si accompagnò alla chiusura di alcuni conventi. Nel 1794 vennero adottate norme che preludevano alla messa in atto di un sistema uniforme d’imp osizione indiretta. 4. La politica estera Politica estera e esercito sono una prova della debolezza strutturale dell’apparato statuale veneziano settecentesco. La linea in politica estera era di rigorosa neutralità (sintomo di marginalità politica). La spesa per la difesa dello stato divenne di qui in avanti irrisoria. Con la pace siglata in Serbia a Sremski Karlovci (Carlowitz) nel 1699, Venezia confermò la sua sovranità in Peloponneso. Nel 1714 l’Impero ottomano lancia un’offensiva contro la Serenissima per la riconquista dei territori perduti. La perdita dei possedimenti greci, comportò per la Serenissima la rinuncia definitiva a quello status di potenza navale. Questa guerra contribuì anche a rendere evidenti tutti i limiti della finanza pubblica dello stato veneziano. L’egemonia austriaca mirò a estendersi all’intero Adriatico, con il rilancio del vecchio porto di Fiume e con la promozione del nuovo porto di Trieste. Nelle guerre europee di successione polacca e austriaca, Venezia mantenne un’ambigua posizione di “neutralità armata”, cioè uno stato di allerta sul piano militare, che aveva il difetto di costare comunque molto senza poter godere in seguito dei vantaggi di un’eventuale vittoria. L’esercito terrestre era stato trasformato tra la fine del 600 e i primi del 700 in un servizio di leva permanente, ma l’organico era molto basso. Alle truppe regolari si affiancava una milizia territoriale (cernide), creata nel ’500 e formata in teoria da 20-30.000 uomini, di fatto assolutamente inefficiente. Imparzialità e assoluta neutralità non erano più strategiche, ma erano diventate la conseguenza di una situazione strutturale: debolezza finanziaria, instabilità di governo, … Il rischio era di diventare preda delle voraci grandi monarchie europee. Nel 1750, Venezia interruppe le relazioni diplomatiche con il Vaticano, mobilitò i suoi Consultori in iure, ovvero i suoi giuristi/teologi, contro i decreti papali e arrivò perfino a minacciare velleitari preparativi bellici. Ciò scatenò però una piccata reazione austriaca. La crisi trovò soluzione con Andrea Tron, ambasciatore a Vienna, che si accordò per l’abolizione del patriarcato e per la sua divisione nelle 2 diocesi di Gorizia (austriaca arciducale) e di Udine (veneziana). L’ultima guerra europea del 700, quella dei Sette anni (1756-1763), venne combattuta lontana dal territorio italiano e, dunque, non vi fu per Venezia alcuna necessità di scostarsi dal suo atteggiamento di assoluto disimpegno. La posizione internazionale di Venezia si mantenne per tutto questo periodo di rigorosa neutralità nonostante la guerra che opponeva l’Austria alla Francia già dal 1792 e la formazione della prima coalizione antifrancese. Venezia mantenne un atteggiamento certamente più attento e attivo nei confronti dei pirati e dei corsari del Mediterraneo. Ultimo episodio: guerra scatenata nel 1784 contro i corsari tunisini. La flotta da guerra veneziana, alleata con i cavalieri di Malta, bombardò ripetutamente le piazzeforti marittime di Goletta, Susa, Sfax e Biserta e costrinse il bey di Tunisi a cercare un accordo e a offrire anche una riduzione dei dazi. Tunisi cercò di vendicarsi dello smacco subìto attaccando i Veneziani nei loro stes si possedimenti delle Isole Ionie. Qui Emo trovò la morte per malattia. Con la sua scomparsa vennero meno anche le velleità egemoniche di parte veneziana sul Mediterraneo.

POPOLAZIONE E L’AGRICOLTURA 1. Il potenziale demografico La popolazione dei territori italiani della Repubblica di Venezia era oltre l’ 85% della popolazione totale dello stato. Tra 1650 e 1715, il tasso medio annuo di crescita della popolazione si aggirava allo 0,45%. Fino alla fine del XVIII secolo, il ritmo d’incremento della popolazione veneta risultò quasi dimezzato (in media +0,23%)  crescita abbastanza lineare, tranne qualche oscillazione dovuta ad annate agricole negative che causavano aumento di prezzi e conseguenti problemi di sottonutrizione e disoccupazione, fino a saldo negativo tra nati e morti

 regime demografico “ad alta pressione” (alta natalità e alta mortalità). Tra 1740 e 1790, la popolazione della terraferma veneta, crebbe complessivamente di circa il 12%. Ultimo decennio del 700, la popolazione veneta si attestò così poco sotto i 2,4 milioni. Densità media 74,3 ab/km2 Tasso medio annuo di crescita dello 0,35% lungo tutto il corso del Settecento. La densità demografica della regione istriana era pari a circa la metà di quella veneta (37 ab/ km2). Tornando alla terraferma veneta, si nota che la popolazione delle principali città capoluogo di distretto divenne meno rilevante rispetto ai relativi territori  Spostamento della popolazione verso i contadi (ruralizzazione) Altrettanto importante fu la crescita demografica di molti centri minori (fascia pedemontana e valliva) Il modello di popolamento rivelava così una serie di dualismi: 1) Asse est – ovest della terraferma: nella Lombardia veneta i tassi di urbanizzazione erano in crescita per le città maggiori, mentre l’apporto dei rispettivi distretti alla crescita demografica fu inferiore a quello che invece fornirono i distretti a est del Mincio. 2) Asse nord – sud , evidente rafforzamento demografico della fascia pedemontana nei confronti del resto della pianura. 3) Orizzontale città/contado, favorevole a quest’ultimo, specie nelle aree con un maggiore dinamismo economico. Il caso di Venezia è abbastanza simile a quello delle altre città venete perché la popolazione totale non riuscì mai a ritornare ai livelli massimi raggiunti a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, nonostante il recupero avvenuto rispetto alla crisi seicentesca. La capitale era arrivata a toccare quasi 190.000 abitanti nel primo decennio del Seicento, quota che risulta però già calata a circa 140.000 prima dell’epidemia. La composizione della popolazione, nel senso di appartenenza ai diversi ceti sociali, aveva subito cambiamenti: i nobili erano quasi dimezzati e diminuiti erano anche i cosiddetti cittadini originari. Venezia restava una città popolosa, benché demograficamente statica, con una densità assieme alle terre del suo Dogado di quasi 130 ab./ km2. 2. Il lavoro e la produzione agricola Lavoro agricolo era il principale sostegno. Nella Repubblica di Venezia il settore primario era la principale fonte d’impie...


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