Numismatica Medievale - soldino di venezia PDF

Title Numismatica Medievale - soldino di venezia
Course Ancient Numismatics
Institution Sapienza - Università di Roma
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Summary

Il lavoro che segue è la descrizione e l’analisi della moneta consegnata per il corso di Numismatica Medievale del corso di Laurea Magistrale....


Description

NUMISMATICA MEDIEVALE SP.

SOLDINO DI FRANCESCO DANDOLO Andrea Cecchi, mtr. 828074/ Scienze delle Antichità, Storia e Archeologia INTRODUZIONE

Il lavoro che segue è la descrizione e l’analisi della moneta consegnata dal professor. Tomaso Maria Lucchelli per il corso di Numismatica Medievale del corso di Laurea Magistrale. La moneta presenta al D/ la figura stante a sinistra del Doge di Venezia Francesco Dandolo reggente tra le mani uno stendardo sulla cui banderuola sono raffigurate tre sfere che simboleggiano la nobiltà del personaggio raffigurato. In legenda vediamo scritto in lingua latina FRA–DANDULO-DUX realizzata con punzoni, si presenta in modo circolare, viene tradotta in lingua italiana “Francesco Dandolo Doge”. Al R/ della moneta compare la figura di un leone rampante nimbato, posto all’ interno di un perimetro circolare, reggente tra le zampe lo stendardo di San Marco, patrono della città diVenezia, rivolto verso sinistra. La legenda, che compare circolare e realizzata come al D/ con punzoni, cita le parole in lingua latina S-MARCVS-VENETI che tradotto in italiano viene letto come “San Marco di Venezia”. La moneta è un SOLDINO d’argento dal peso di 1,00 g e dal modulo di 1,5 cm coniato nella zecca di Venezia durante il dogato di Francesco Dandolo che fu Doge della Serenissima Repubblica di Venezia dal 1329 al 1339. La moneta è rivestita da una patina nera e si presenta circolare con una piccola deformazione del tondello dovuto forse al ritaglio mal riuscito dell’operaio responsabile. Lo stato di conservazione è MB (Molto Buono). Essendo una moneta coniata durante il periodo medievale è stato inizialmente complicato individuare la tipologia del nominale datami da analizzare non avendo quasi nessuna esperienza nello studio di monete del Medioevo. Dopo aver analizzato in maniera più dettagliata sia il D/ che il R/ ho potuto identificare la moneta in base alle legende le quali mi hanno condotto prima ad individuare il personaggio raffigurato e in seguito il leone che, secondo la leggenda, rappresenterebbe l’angelo che disceso dal cielo per guidare l’evangelista Marco al suo futuro luogo di riposo e di culto.

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SCHEDA DELLA MONETA AUTORITA’ EMITTENTE Doge Francesco Dandolo (1329-1339)

NOMINALE Soldino

DIRITTO Figura stante a sinistra di Francesco Dandolo, regge uno stendardo, tre sfere sulla banderuola, FRA-DANDULO-DUX in legenda circolare.

ROVESCIO Leone rampante nimbato a sinistra, regge uno stendardo tra le zampe; SMARCVUS-VENETI in legenda circolare

ZECCA Venezia

MATERIALE Argento

FORMA Circolare

PESO 1,00 g

MODULO 1,5 cm

ASSE DEL CONIO al D/ 12.00, al R/ 12.00

CATALOGAZIONE CNI, pag. 65 num. 26; Vol. VII Veneto

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LA MONETAZIONE DI VENEZIA Nel IX secolo della nostra Era la monetazione veneziana non si discostava dalle altre in circolazione in quel periodo. Le monete emesse da Venezia erano DENARI di tradizione carolingia realizzati in argento, dal peso di 1,6 g, la cui iconografia prevedeva la presenza di croci posta all’ interno di una circonferenza al D/ e in legenda il nome dell’imperatore del Sacro Romano Impero in carica. Tale monetazione era stata concessa da Bisanzio in quanto i veneziani erano soliti utilizzare monete dal peso bizantino. Nei denari veneziani possiamo notare, ad esempio, la presenza di nomi di imperatori come Ludovico il Pio (814-840). Al R/ dei denari era inciso in legenda o di il nome della città dove era stata coniata la moneta: VENECIAS e a partire dalla fine del IX secolo, durante il regno di Lotario (840-855), iniziava ad essere raffigurato il “Tempietto Carolingio” (elemento iconografico introdotto sui denari dai sovrani carolingi) in cui vi era incisa come legenda il nome della città dove era stata coniata la moneta e, in circolare, una formula di salvezza per la città: XPE SALVA VENECIAS. Una emissione veneziana molto simile la cui coniazione si colloca tra l’822 e l’840 recava l’iscrizione al D/ “Dominus conserva Romanorum Imperatorem” senza specificare quale imperatore. Forse i veneziani non intendevano rinunciare a porre sui propri denari il nome della propria zecca e colsero l’occasione per togliere il nome dell’imperatore franco con un altro che sarebbe stato accettato sia dagli imperatori carolingi che dal quelli bizantini. Durante il principato degli imperatori d’Occidente come Corrado II (1024 – 1033) ed Enrico III (1033-1046) le monete veneziani subiscono una variazione iconografica sostituendo il “Tempietto Carolingio” con un busto frontale in miniatura con in legenda “SANCTUS MARCUS VENETIARUM di peso e forma più ridotti. Per gli scambi commerciali e per le transazioni finanziarie con l’oriente i veneziani non utilizzavano l’argento bensì la moneta d’oro emessa dall’ Impero Bizantino dette “byzantini” o “mancosi” e tale pratica sarebbe rimasta di consuetudine fino al 1284 quando anche la Serenissima introdusse nel proprio sistema monetario il ducato realizzato in oro puro.

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GUERRA CONTRO BISANZIO E LA CONIAZIONE DELLA MONETA DUCALE Fino all’ XI secolo nelle monete coniate a Venezia non comparivano i nomi dei Dogi in carica bensì il nome dell’Imperatore del Sacro Romano Impero oppure, in sostituzione, una iscrizione votiva ad un imperatore non specificato. Questa consuetudine venne abbandonata solo durante il dogato di Vitale Michiel II (1156-1172) il cui nome MICHL’ DUX inizierà a comparire nei denari veneziani al posto di ENRICVUS DUX, l’imperatore franco Enrico III. Nello stesso anno in cui veniva apportata questa modifica nelle monete di Venezia si vide anche lo scoppio delle ostilità tra la Repubblica della Serenissima e l’Impero Bizantino la cui sconfitta portò ad una ulteriore autonomia della Repubblica e della propria emissione e circolazione monetale. Nel 1084 l’imperatore bizantino Alessio Comneno (1056-1118) aveva concesso una bolla imperiale con la quale si garantiva ai mercanti veneziani ampie concessioni nel commercio marittimo con l’Impero d’Oriente. Con questa Bolla tutte le transazioni commerciali e finanziarie con i bizantini venivano esentate dal KOMMERIKION cioè la tassa sui profitti commerciali la quale costituiva una delle maggiori entrare nelle casse dell’erario bizantino. Questa concessione imperiale non solo portò grandi profitti alla Serenissima ma assicurò anche la fondazione di stazioni commerciali e insediamenti per tutto l’Egeo arrivando anche a edificare un quartiere veneziano, chiamato Embolo, nella stessa Costantinopoli presso il Corno d’ Oro, la baia della città. I successori di Alessio, cercando di ridimensionare i privilegi dei veneziani e, di conseguenza, di mitigare le pesanti perdite del Kommerikion rifiutarono di rinnovare gli accordi presi in precedenza. Questo portò ad una rapida risposta del governo veneziano la cui flotta iniziò ad attaccare le rotte marittime imperiali e alcune roccaforti come quella situata a Corfù costringendo l’imperatore Giovanni II Comneno (1118-1143) a rinnovare la Bolla imperiale. Un secondo tentativo più audace e violento venne condotto da Manuele I Comneno (1143-1180). Nel marzo del 1171 l’imperatore diede ordine alle sue milizie cittadine di irrompere nel quartiere veneziano dell’Embolo e di cacciare e arrestare tutti i residenti confiscando loro tutti i loro beni e le loro ricchezze. Il piano di Manuele prevedeva che le incursioni non venissero condotte solo a Costantinopoli ma in tutte le piazzeforti e colonie appartenenti alla Serenissima sparse nella Grecia e nelle isole egee. Alcuni veneziani, scampati

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ai rastrellamenti bizantini, riuscirono però a raggiungere la patria e avvisare le autorità cittadine. La notizia giunse a Venezia la cui popolazione, indignata e furiosa, chiese al Doge Vitale Michiel II di intervenire immediatamente dando inizio al conflitto aperto con l’impero Bizantino. Il Doge organizzò quindi una spedizione navale composta da 140 galere inviandole proprio a Costantinopoli per costringere i bizantini, attraverso un embargo via mare, alla resa incondizionata restituendo i beni rubati ai cittadini veneziani e garantendo il ritorno alle proprie abitazioni nelle colonie. Sfortunatamente la sorte giocò a favore degli imperiali i quali videro le forze veneziane venire decimante da una improvvisa epidemia di peste che colpì tutta la flotta costringendola a fare vela per Venezia. La disfatta della spedizione fu anche la fine del dogato di Vitale il quale, durante un tumulto popolare, venne assassinato presso il monastero di San Zaccaria dove fu raggiunto da un cittadino e pugnalato a morte. La guerra con Bisanzio continuò in vittorie e sconfitte alterne per entrambi gli schieramenti fino a che l’imperatore Isacco II Angelo (1185-1195) non decise nel 1185 di porre fine al conflitto concedendo di nuovo ai veneziani di ritornare nelle loro colonie nel Levante permettendogli di commerciare senza che venissero tassati. Il successivo Doge di Venezia fu Sebastiano Ziani (1172-1178), il cui nome comparirà sulle monete veneziane dando inizio alla coniazione della MONETA DUCALE. Questa tipologia di moneta non si discosta dalla tradizione del denaro d’ argento veneziano coniato durante il dogato di Venier difatti sia al D/ che al R/ del nominale vediamo la presenza della croce patente racchiusa in un cerchio (molto simili ai denari emessi dalla zecca veronese) di forma concava. Tale tipologia di denaro verrà utilizzato fino alla ascesa al trono ducale di Enrico Dandolo.

IL GROSSO VENEZIANO Durante il governo di Enrico Dandolo (1192-1205) la zecca di Venezia iniziò a coniare una nuova tipologia di moneta di argento dal peso di 1,957 g chiamata Grosso o “metapan” la quale, oltre che venire impiegata per finanziare gli uomini e gli armamenti per la Quarta Crociata, verrà utilizzata per le transizioni commerciali sia interne che esterne fino alla fine del XIII secolo. L’iconografia del grosso si distacca da quella delle precedenti monete veneziane e da quelle delle altre zecche del nord Italia. Sul D/ della moneta viene mostrata una scena dove il doge e San Marco, a figura intera, reggono lo stesso stendardo mentre al R/ si vede rappresentato la figura del Cristo in trono. Tali tipologie di immagini si riallacciano alla tradizione iconografica bizantina dell’aspron trachy di elettro del XII secolo. LA differenza tra il

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grosso veneziano e l’aspron bizantino è che il primo è costituito da argento puro anziché in lega d’oro e d’argento come la moneta bizantina. La moneta di Venezia è di forma piatta mentre quella di Bisanzio è di forma concava. Stando al Sthal la scena al D/ del nominale sarebbe identica a quella del doge che appare sul sigillo ducale di Orio Malipiero il cui dogato aveva preceduto quello del Dandolo. La figura del Salvatore reggente un libro e seduto su di un trono dalle spalliere quadrate sarebbe stata ripresa da quella presente nei solidi d’oro coniati durante il regno dell’imperatore bizantino Romano III (1028-1034). L’iconografia del grosso subì pochissimi cambiamenti che si identificano nella presenza di piccoli segni posti dai massari dell’argento sopra la corona del Cristo. Diversamente dalle monete di Bisanzio e da quelle europee in generale i grossi veneziani possiedono il bordo perlato, cioè circondato da puntini, allo scopo che il metallo prezioso della moneta non venisse tosato, cioè raschiato, dai falsari. Durante il dogato di Jacopo Tiepolo (1229-1249) al R/ dei grossi inizieranno a comparire attorno ai piedi del Cristo dei veri e propri marchi utilizzati per identificare i massari in carica durante l’emissione. L’emissione di questa moneta cessò definitivamente durante il dogato di Giovanni Gradenigo (1355-1356).

LA CONIAZIONE DEL DUCATO Rispetto alle altre grandi Signorie d’Italia, le quali avevano iniziato a emettere moneta d’ oro propria come il genovino per Genova e il fiorino per la città di Firenze, La Repubblica di Venezia iniziò a coniare un nominale di oro puro solo a partire dal 1285. Prima di questa data Venezia era solita utilizzare, fino al XII secolo, la moneta bizantina denominata iperpero di 21 carati d’oro e l’aspron trachy d’elettro le quali si svalutarono in seguito alla presa di Costantinopoli alla fine della Quarta Crociata. Il 31 ottobre del 1284 il Consiglio dei Quaranta approvò l’emissione del ducato dando inizio alla sua produzione. L’iconografia di questo nominale venne posta sotto il diretto controllo del Doge e del Gran Consiglio i quali avevano il compito di correggerla ed alterarla a proprio piacimento. Al D/ dei ducati erano presenti (come nel grosso) le due figure del doge in carica e di San Marco evangelista. A differenza della iconografia della moneta d’argento le due figure non appaiono stanti, solo San Marco viene raffigurato in piedi protendendo la mano verso il doge mentre quest’ultimo è inginocchiato in segno di sottomissione, entrambi reggono uno stendardo. Il volto del doge è ben modellato e ridefinito ma il suo corpo appare tozzo e compresso. Al R/ della moneta fa la sua comparsa la figura del Salvatore in piedi racchiuso all’ interno di una cornice a forma di mandorla arricchita da stelle da cui emerge la figura, tale raffigurazione non ha precedenti nella tradizione monetale

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bizantina o europea. La figura del Cristo al R/ del nominale sarebbe stata ripresa dalla Pala d’oro della basilica di San Marco. Questa era la moneta d’oro coniata dalla zecca di Venezia la quale continuerà ad essere utilizzata fino alla fine del XVIII secolo scomparendo del tutto durante il dogato di Ludovico Manin (1789-1797).

IL SOLDINO E IL MEZZANINO Questi due nuovi nominali vennero coniati durante il dogato di Francesco Dandolo (1329-1339) allo scopo di fare fronte alla carenza di moneta circolante all’interno non solo di Venezia ma anche in tutti gli altri insediamenti lagunari nonché nelle colonie greche e in quelle situate nell’area egea. Nel 1332 il Senato della Serenissima diede il via libera alla produzione delle due nuove monete d’argento le quali erano concepite per effettuare pagamenti in contanti in sostituzione dei grossi i quali, assieme ai ducati, divennero essenzialmente monete utilizzate per la tesaurizzazione e per le transazioni commerciali con l’estero e con la terra ferma. Il soldino valeva 12 denari mentre il mezzanino valeva mezzo grosso o 16 denari e mentre il primo era fabbricato con una lega metallica del 60 per cento d’argento il mezzanino era costituito da una lega leggermente più elevata. Queste due monete quindi costituivano una novità non essendo costituite da argento quasi puro del grosso veneziano né con il billone di scarso valore che costituiva la maggior parte delle monete italiche medievali. L’iconografia del mezzanino e del soldino sono piuttosto innovative infatti il Doge e San Marco, i quali apparivano affiancati sia nei grossi che nei ducati, appaiono divisi ciascuno su un lato della moneta. Il Doge è da solo a reggere lo stendardo mentre il Santo è raffigurato nell’atto di benedire. Molto analogo alla figura del Cristo presente negli altri nominali. Nel soldino il Doge appare di profilo in ginocchio con in mano lo stendardo veneziano, sulla cui bandiera appaiono tre sfere, ed è simile alla figura del Doge presente al D/ del ducato d’oro. Questa immagine procurò a questo nominale il soprannome di “ginocchietto”. La legenda, che appare circolare, presenta il nome del Doge in carica e il suo titolo nobiliare FR-DANDULO DUX. Al R/ compare la figura di un leone stante con una corona nimbata o aureolata senza ali, regge un vessillo su cui compare la scritta SANCTUS MARCUS VENETIARUM. Il Soldino continuò ad essere coniato per tutto il dogato di Francesco Dandolo e durante quello del suo successore Andrea Dandolo (1343-1354) Visto il grande successo che ebbe questo nominale (documentata anche dalla presenza di numerose imitazioni prodotte in aree geografiche come la Slavonia, Croazia orientale) iniziò ad essere utilizzato come moneta circolante presso le colonie della veneziane della Grecia, presso l’isola di Creta e divenne anche circolante PAGINA 7

nei territori controllati dai franchi andando a sostituire il loro “derniers tournois” la moneta d’argento coniata per la prima volta dai monaci della Abbazia di San Martino da Tours nel XI secolo. Il mezzanino scomparve senza lasciare alcuna traccia dopo il 1333.

I DANDOLO Francesco Dandolo fu il cinquantaduesimo Doge della Serenissima Repubblica di Venezia in carica dal 1329 al 1339. Figlio di Giovanni Dandolo, che aveva ricoperto il medesimo incarico dal 1280 al 1289, nacque nel 1258 a Venezia. I Dandolo erano una delle più importanti e facoltose famiglie patrizie della Repubblica il cui nome compare in molti documenti ufficiali risalenti già dal decimo secolo. Una vera e propria genealogia inizierà solo nell’undicesimo con il nome di Domenico Dandolo considerato il capostipite della famiglia. Domenico, tra il 1018 e il 1025, diede inizio ad una redditizia attività commerciale con Costantinopoli e durante il suo soggiorno presso la capitale bizantina riuscì a trafugare le spoglie mortali di San Tarasio, l’ex patriarca di Costantinopoli che si era opposto nel 787 alla abolizione del culto delle immagini sacre indetto dall’imperatore iconoclasta Leone III l’Isaurico (717-741). Ritornato a Venezia Domenico fece collocare la spoglie del santo nella chiesa di San Zaccaria e tale atto ebbe come conseguenza l’ascesa della famiglia già arricchita dal commercio con l’Oriente. I Dandolo non furono solo semplici mercanti ma diedero alla Repubblica anche un buon numero di Dogi, ambasciatori, vescovi, prelati, alti funzionari, condottieri e ammiragli. Tra questi vengono ricordati alcuni nomi come il Doge Enrico Dandolo che durante la Quarta Crociata (1202-1204) prese d’ assalto le mura di Costantinopoli alla testa del suo esercito arrivando ad assumere il controllo della stessa capitale, impresa mai riuscita fino ad allora da nessuno. Altra figura di riguardo fu Giberto Dandolo che fu ammiraglio della flotta veneziana mandata in difesa della colonia di Negroponte in Eubea per contrastare gli attacchi delle forze bizantine, supportate dai Genovesi, durante la politica di riconquista dell’imperatore Michele VIII Paleologo nel 1263. Francesco Dandolo, prima che venisse elevato al dogado, fu a lungo ambasciatore prima presso le corti dei papi Clemente V e Giovanni XXII e poi presso il re di Francia Filippo IV “Il Bello”. Tra il 1304 e il 1307 Francesco rivestì il ruolo di bailo (governatore) della colonia veneziana di Negroponte in Eubea assicurando proficui introiti dai commerci con la città di Costantinopoli e con le sue stazioni commerciali sparse nelle isole greche sotto il dominio bizantino. Rivestirà tale incarico una seconda volta anche dal 1317 al 1319.

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Terminato il suo mandato Francesco ritornò a Venezia dove entrò a fare parte del Consiglio della Quarantia, uno dei massimi organi costituzionali della Serenissima con funzioni sia politiche che di Tribunale Supremo, fino a che non venne elevato al dogato dal Maggior Consiglio il 4 gennaio del 1329 in seguito alla morte del precedente doge Giovanni Soranzo. Durante il rivestimento del suo incarico la Serenissima conobbe la sua massima espansione non più solamente nei territori della Dalmazia e nel Levante ma anche nella Terra Ferma cioè l’entroterra italiano all’ epoca posto sotto il controllo di altre grandi Signorie. Pochi mesi dopo la sua elezioni il nuovo Doge si vide costretto a prendere parte alla guerra che vide coinvolti le Signorie di Milano, Mantova, Firenze e Ferrara contro la politica espansionistica di Mastino della Scala figlio di Can Francesco della Scala, detto Cangrande, signore della città di Verona. La guerra terminò il 24 gennaio del 1339 con la conquista della Marca Trevigiana ponendo sotto il controllo di Venezia la stessa città di Treviso e dei suoi territori annessi espandendo di fatto il controllo della Serenissima rompendo il cosiddetto “Superbo Isolamento” che da secoli caratterizzava la Repubblica del Leone. Il Doge non fece in tempo a godere dei frutti della vittoria conseguita poichè morì il 31 ottob...


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