Istituzioni di storia medievale, Lazzari-Albertoni PDF

Title Istituzioni di storia medievale, Lazzari-Albertoni
Course Istituzioni di storia medievale
Institution Università degli Studi di Palermo
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Parte Prima: i caratteri della storia medievaleCAPITOLO IL’ETA’ MEDIEVALE: SPAZIO, TEMPO, PERIODIZZAZIONIIl termine e l’idea di un “Medioevo” non sono dati oggettivi. Si tratta di un termine storicizzato, frutto di una scelta periodizzante volta ad individuare in un determinato periodo di tempo avve...


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Parte Prima: i caratteri della storia medievale CAPITOLO I L’ETA’ MEDIEVALE: SPAZIO, TEMPO, PERIODIZZAZIONI Il termine e l’idea di un “Medioevo” non sono dati oggettivi. Si tratta di un termine storicizzato, frutto di una scelta periodizzante volta ad individuare in un determinato periodo di tempo avvenimenti e mutamenti categorizzati per scelta culturale entro un quadro definito (“medioevo”). Si tratta di un concetto diffusosi a partire da alcune opere storiche, tra 400 e 600, a indicare il periodo che separava quei due secoli dall’impero romano ( caduto nel 476 d.C ) e dall’età classica (VIII-VII a.C ) L’operazione culturale alla base è importante: il termine volle porsi come giudizio di pesante condanna per la cultura e la civiltà che si frapponeva tra l’Umanesimo (XV sec.) e l’Antichità (civiltà greco-romana). La cultura umanistica volle porsi in diretta continuità con la classica: così il millennio intermedio appariva come una parentesi negativa, una frattura che doveva essere sanata. - Nasce l’idea del medio-evo (età di mezzo) perché si individua nella cultura, nella lingua e nella letteratura l’espressione umana più importante, quella destinata a connotare un periodo storico. In questo senso i barbarismi del latino medievale qualificavano il periodo in termini negativi.

Pensare il tempo, pensare la storia Per comprendere questa operazione culturale occorre distinguere due possibili concezioni del tempo. Il tempo non è dato, non è naturale. I pensatori del passato avevano una diversa nozione di tempo e ciascuno di loto poteva avere concezioni differenti di questo: Tempo ciclico: legato alla riproduzione, all’osservazione della natura e dei suoi ritmi, dei cicli lunari. Nasce da una visione naturalistica dei processi: è un tempo che ritorna sempre, formato dalla fasi di nascita, sviluppo, morte e rigenerazione. Tempo lineare: è una concezione di tipo salvifico, deriva dalle grandi religioni monoteistiche (ebraica, cristiana e islamica), per le quali un momento chiave (l’incarnazione per il cristianesimo, l’egira per gli islamici) diventa il punto d’origine che porta a strutturare il tempo in una cronologia lineare, cui si associa l’idea di progresso e linearità. Questa distinzione è importante per comprendere quanto la visione del “medioevo” elaboratà in età umanistica fosse profondamente diversa da quella elaborata, per esempio, a partire dall’Illuminismo. - Per gli umanisti si trattava di ritornare agli antichi splendori del passato. La cultura umanistica considerava se stessa come un ritorno (rigenerazione) ai fasti della classicità. Come diceva Le Goff, si potrebbe a lungo discutere anche sul concetto di Rinascimento. La rivoluzione protestante consolida la visione negativa perché pensa al medioevo come momento in cui domina incontrastata la Chiesa di Roma e la rivoluzione protestante voleva ricondurre la Chiesa alle origini. Il mito delle origini è un elemento fondante del tempo ciclico perché ogni riforma della Chiesa è sempre stata vista come ritorno a questa condizione originaria. Ma il problema è che è una concezione pensata e non riscontrabile alla realtà perché semmai bisognerebbe parlare al plurale di “chiese delle origini”. Il richiamo alle origini è una costruzione intellettuale, è il pensiero che ruota su se stesso.

- A fine ‘700 nasce l’idea di progresso, un progresso lineare, non salvifico ma dell’uomo in sé. Gli illuministi guardano al passato come ad una tappa di sviluppo. In questo senso il medioevo altro non è che una tappa del progresso storico, di cui anche umanesimo e illuminismo sono parti integranti. N.B. Dunque il concetto Medioevo è un concetto che cambia nel tempo. Non ha molto senso né negare il Medioevo (vedi Le Goff e Montanari) né affermarlo. Esistono tanti Medioevo quanti sono stati gli intellettuali che sono esistiti: • • •

per i riformatori della Chiesa: epoca di degrado dei valori della Chiesa per gli illuministi: un gradino per i romantici: luogo temporale in cui si erano formate le nazioni

Determinare gli spazi Se la periodizzazione è un’operazione interpretativa non può proiettarsi in modo omogeneo sulla storia universale. La nozione di medioevo nasce in riferimento all’Europa occidentale. L’idea di medioevo si forma in riferimento a questo spazio di civiltà ed è applicabile solo ad esso. E’ nel mondo occidentale che si interrompe la civiltà classica, lasciando spazio a nuovi orientamenti linguistici e culturali, per poi rinascere con l’Umanesimo. E’ in Europa Occidentale che l’unità politica dell’Impero romano è sostituita dalla molteplicità dei regni romano-barbarici. L’unico altro ambito geografico per cui una cronologia affine costituisce una periodizzazione significativa è la parte orientale dell’impero romano che tra IV e VI si definisce come uno spazio politico a parte, a formare quell’impero bizantino che avrà fine alla metà del Quattrocento.

Inizio e fine del medioevo L’interpretazione del passato elaborata dagli storici del XV-XVII secolo, ovvero l’individuazione di un “evo” intermedio tra classicismo e umanesimo, non è l’unica chiave di lettura del periodo cui facciamo riferimento col termine “medioevo”. - Nel corso del tempo sono state date diverse linee interpretative del passato e con esse sono state individuate date differenti di INIZIO e FINE. INIZIO: La più consolidata manualistica italiana individua l’inizio nel 476 d.C. quando Odoacre depone Romolo Augustolo. La scelta interpretativa della caduta dell’Impero romano come possibile data di inizio del Medioevo si traduce in un’interpretazione che vede nei cambiamenti ai vertici istituzionali il fenomeno più importante di una civiltà e dei suoi mutamenti. Altre date sono state proposte: 313 Costantino concede libertà di culto ai cristiani; 324 Costantino rifondò Bisanzio col nuovo nome di Costantinopoli che divenne la seconda capitale dell’impero; 410 Roma viene saccheggiata dai visigoti di Alarico 622 L’egira (cioè l'abbandono della Mecca da parte di Maometto e il suo trasferimento a Medina) che diede il via all’affermazione dell’Islam.

N.B Alcune scelte vedono il fattore religioso come determinante (313, 622), altre la rottura dell’unità politica del Mediterraneo romano (324 e 622). Altre ancora il crollo delle frontiere militari della sicurezza romana (410). - Un processo analogo si trova nei tentativi di individuare la data di fine del Medioevo. FINE: La manualistica italiana vede nel1492, anno della scoperta dell’America e dunque d’apertura dell’Europa verso l’Atlantico, la data della fine del medioevo. (Interpretazione che vede come processo più importante l’apertura di nuovi orizzonti per la civiltà europea); 1453 definitiva caduta dell’impero bizantino sotto gli ottomani; 1348 peste nera che uccise 1/3 popolazione europea e sconvolse gli assetti demografici ed economici; 1522 concilio di Worms che condannò Lutero e sancì la grande frattura tra cattolici e protestanti. N.B Non esiste una data giusta o una data sbagliata, ma un uso sbagliato delle date. Sarebbe fuorviante pensare che un singolo avvenimento possa mutare le strutture complessive del vivere associato. E’ necessario non sopravvalutare le date: ognuna di queste cronologie rappresenta una scelta interpretativa, una diversa visione del medioevo e dei suoi elementi caratterizzanti. Il medioevo si presenta come una nozione sfuggente, dai confini difficili da individuare. Emerge dunque l’impossibilità di proporre una periodizzazione che sia univoca e coerente con tutti gli aspetti della vita umana.

- Questa indeterminatezza ha portato autori come Le Goff o Massimo Montanari a negare l’utilità euristica della nozione di medioevo. I negazionisti non negano in toto l’esigenza di periodizzare, ma insistono sulla necessità di individuare una cronologia più lunga, all’interno di un ritmo di cambiamento estremamente lento.

Periodizzare il medioevo Un periodo ampio come il medioevo pone l'esigenza di interrogarsi sui diversi ritmi di mutamento. Bisogna chiedersi con che ritmi cambiano le forme del vivere associato, la produzione, lo scambio, la spiritualità e verificare se questi mutamenti delineano in qualche modo ritmi convergenti. - La storia, benché guardi al passato, è sempre fatta dalle domande del presente, dunque la storia di ricerca è sempre una storia contemporanea perché risponde alle domande dell’oggi. La periodizzazione è un obbligo per chi fa storia. Sulla base di questo si possono individuare alcune fasi in cui si addensano mutamenti di natura diversa: si tratta di due lunghe fasi plurisecolari: TARDO ANTICO IV-VI: periodo in cui cambiano le fedi religiose, la distribuzione dei popoli in Europa e nel Mediterraneo, i sistemi politici, la circolazione economica. È un periodo in cui il cristianesimo si pone come culto dominante (IV sec.); in cui si rompe l’equilibrio dell’Impero e si formano i regni romano-barbarici (gruppi originariamente estranei all’impero si stanziano all’interno del dominio romano). TARDO MEDIOEVO (o Early Modern) XIII-XVI: tale per periodizzazione ruota attorno a un processo politico, la formazione dello Stato moderno: processo politico lungo, ma anche di consolidamento delle gerarchie sociali e delle trasformazioni territoriali.

All'interno di questo quadro si pongono anche altri mutamenti strutturali: • •

rottura demografica: riorganizzazione economica che si innesca con la crisi del trecento dovuta alla peste nera (1348); rottura dell’unità religiosa in Europa Occidentale: periodo che va dalla ribellione di Lutero al concilio di Trento (XVI).

* Italiani e francesi hanno privilegiato una scansione semplice: 1. Alto Medioevo (regni romano-barbarici e impero carolingio) 2. Basso Medioevo (costruzioni politiche: Regno di Francia e dominazioni comunali in Italia) *Tedeschi e inglesi adottano uno schema tripartito: 1. Alto Medioevo (IV-IX) 2. Pieno Medioevo (X-1250) 3. Basso Medioevo (1250- fine XV) - Il medioevo è un’età di sperimentazione di modelli diversi. Un periodo in cui i ceti dominanti hanno la capacità di controllare direttamente il potere. Non è un'età buia, né un periodo di costante anarchia, né di costante fame e carestia.

CAPITOLO II NARRARE, STABILIRE, REGISTRARE: Le “VOCI” del Medioevo Il medioevo fu caratterizzato dal predominio della comunicazione orale. Pertanto, quando ci avviciniamo a una fonte scritta di età medievale dobbiamo considerarla come parte di un sistema comunicativo più ampio, fatto di parole non scritte, gesti, immagini, rituali. Non è facile per lo storico leggere i testi redatti nel medioevo, a causa delle scritture impiegate e della lingua.

Le difficoltà della scrittura Scrivere nel medioevo era difficile, soprattutto per questioni tecniche. 1. Il primo ostacolo era costituito dal supporto materiale: la pergamena (fatta di pelli di animale conciata: vitello, pecora, capra). La pergamena, più resistente del papiro d'età classica (difficile da reperire per la crisi dei commerci) e più resistente anche della carta (giunta attorno all’anno Mille in Europa, dalla Cina), fino al 200 fu il supporto materiale più utilizzato, nonostante gli alti costi di produzione. Veniva usata in fogli (folia) sui quali erano redatti documenti di vario tipo (chartae), o in quaderni composti da fogli piegati in quattro rilegati in codici (codices): gli antenati dei nostri libri che presero il posto dei rotoli di papiro. 2. Un'altra causa della scarsa diffusione della scrittura era che raramente si scriveva nella lingua in cui si parlava: almeno fino all'avvento dei comuni e della rivoluzione commerciale dei secoli XII e XIII. A lungo, in Europa la lingua usata per scrivere era il latino, proprio della autorità religiosa e civile. Data la mancanza di un'organizzazione di istruzione pubblica, il latino veniva insegnato quasi esclusivamente nelle scuole monastiche o episcopali.

In questo contesto di particolarismo politico, si affermavano a livello locale tradizioni scrittorie diverse, che diedero vita a scritture diversificate, per lo più derivanti dalla minuscola romana. Queste scritture oggi sono studiate da una disciplina specifica: la paleografia latina. - Per superare questo particolarismo grafico, in fasi diverse, si cercò di proporre modelli di scrittura più standardizzati. Un esempio ne sono: a) la minuscola carolina (littera antiqua), promossa da Carlo Magno tra i secoli VIII e IX, e rilanciata per la sua nitidezza nel basso medioevo dagli umanisti; b) la gotica (littera testualis) usata soprattutto nel basso medioevo per i manoscritti universitari, poiché permetteva di scrivere un numero maggiore di parole in una singola pagina.

Scrivere, leggere, comunicare e conservare Fino al XII secolo i monaci e i chierici furono tra i pochi a saper scrivere, ma anche tra i pochi a conservare gli scritti di loro interessa in “sedi di custodia” che univano le funzioni egli attuali archivi e biblioteche. La capacità di conservazione, unita alla continuità nel tempo della sede dell’ente, fu un filtro di selezione fondamentale per la trasmissione della memoria scritta, con la conseguente perdita della maggior parte delle scritture laiche, a eccezione di alcune, confluite nelle biblioteche monastiche e negli archivi vescovili (es. una lettera scritta nell’843 dalla madre al figlio Guglielmo; o alcuni atti relativi a compravendite tra le attuali Svizzera e Austria). - La situazione mutò quando l’affermazione di nuovi sistemi politici ed economici, come i comuni, rese necessaria la conservazione e la registrazione scritta di atti politici o transazioni economiche. In questa prospettiva si affermò gradualmente l’impiego delle lingue volgari, soprattutto in testi estranei all’ambito giuridico e liturgico, e anche al di fuori dei monasteri si affermò la capacità di conservare sempre più testi. Parallelamente assunsero un ruolo crescente specialisti laici della cultura: i notai, nel caso dell’Italia comunale, riconosciuti come depositari della publica fides, che dava valore giuridico ai documenti da loro emessi: gli instrumenta, conservati anche in copie abbreviate, le “imbreviature”, e riportate per lo più in quaderni cartacei. In Francia e in Inghilterra i regni si diedero invece nuove strutture politiche, le cancellerie, con l’istituzione, presso le corti, di luoghi deputati alla stesura dei documenti e alla loro conservazione. - Le voci che ci sono giunte dal medioevo sono “voci filtrate” da chi era in grado di scrivere, ma soprattutto di conservare i testi critti. Raramente troveremo testimonianze dei gruppi sociali marginali, dei dissidenti, degli eterodossi, delle donne o di una larga parte della popolazione che per secoli non sentì la necessità della comunicazione scritta, perché come ha detto il paleografo Armando Petrucci “la scrittura, al contrario della lingua, istituisce un rapporto di forte e netta diseguaglianza tra chi scrive e chi no, fra chi legge e chi no, fra chi lo fa bene e molto e chi lo fa male e poco”. Così accanto agli “alfabeti professionali” agivano una variegata gamma di “scriventi”. Tra essi possiamo ricordare gli “alfabeti colti” (umanisti 300-400) e i “semianalfabeti grafici”, persone che scrivevano poco o solo per necessità (testimoni delle donazioni o delle compravendite altomedievali).

Ma la categoria più ampia era quella degli analfabeti, che avevano una cultura esclusivamente orale e visuale. Ciò non significa che il rapporto tra analfabeti e alfabeti, tra oralità e scrittura desse luogo a due ambiti comunicativi contrapposti. Innanzitutto, la competenza nella scrittura non va necessariamente di pari passo con quella della lettura. Non tutti coloro che sapevano scrivere erano in grado di leggere allo stesso modo, ed erano di più quelli che sapevano leggere rispetto a quelli che sapevano scrivere. Poi spesso il testo scritto era mediato dalla lettura ad alta voce: ciò accadeva nelle messe, nei tribunali e nei luoghi in cui erano vergati atti giuridici alla presenza di testimoni. Perciò molti studiosi preferiscono sostituire la netta contrapposizione oralità/scrittura con la nozione di “alfabetismo partecipativo” che indica come il testo scritto avesse una circolazione più ampia della ristretta cerchia degli alfabetizzati. Infatti, non solo era letto ma poteva essere esibito, mostrando colori ed eventuali illustrazioni (le miniature), sigilli (che davano solennità e validità a un documento).

Catalogare e pubblicare le fonti medievali Le voci giunte dal medioevo subirono un ulteriore filtro in età moderna. Parallelamente all’elaborazione di una periodizzazione storica che portò all’affermazione dell’idea stessa di medioevo, cominciarono ad essere proposti degli strumenti per studiare il “nuovo” periodo storico a partire dalla catalogazione delle fonti scritte secondo criteri che hanno condizionato per secoli la ricerca. Impiegando in modo schematico le categorie di “intenzionale” e “preterintenzionale” o di “pubblico” e “privato”, gli atti che comprovavano una azione giuridica furono ritenuti i soli documenti in senso proprio e furono distinti in: • • •

pubblici, emanai da un’autorità sovrana semipubblici, emanati da autorità minori laiche ed ecclesiastiche privati redatti da notai o scrivani su richiesta di privati (per es. un testamento).

L’interesse della maggior parte degli storici si concentrò fino a gran parte dell’800 sui documenti pubblici e semipubblici: definiti complessivamente come diplomi. Questi erano redatti da persone specializzate presso le corti dei sovrani supervisionati da un cancelliere, quasi sempre un ecclesiastico esperto di diritto. I diplomi sono documenti con i quali si stabilivano concessioni o riconoscimenti di varia natura (donazioni, esenzioni, protezioni…). Dal XII secolo i luoghi di redazione di diplomi iniziarono a essere chiamati “cancellerie”. Le caratteristiche dei diplomi sono studiate oggi dalla diplomatica, fondata del Seicento da un monaco benedettino francese Jean Mabillon (De re diplomatica). - Il primato svolto dai diplomi nella medievistica è testimoniato dall’articolazione di una delle più importanti raccolte di fonti medievali: i Monumenta Germanie Historica, raccolta avviata nei primi decenni del secolo XIX e suddivisa in origine in 3 sezioni: Diplomata, Leges, Scriptores. L’allargamento degli interessi degli storici a nuovi ambiti di ricerca portò alla scoperta di vasti giacimenti di fonti scritte rimaste a lungo abbandonate negli archivi, moltissime delle quali tuttora inedite. Si tratta perlopiù di atti di compravendite, scambi, contratti agrari, che PERMETTONO DI INDAGARE REALTA’ PIU’ ARTICOLATE E DINAMICHE SOCIALI CITTADINE.

Le fonti scritte tra vero e falso I nuovi approcci storiografici hanno cambiato anche il modo in cui le testimonianze sono indagate. Fino ai primi decenni del Novecento i documenti ritenuti falsi erano esclusi dalle edizioni di fonti o riportati nelle loro appendici. In tempi più recenti ci si è resi conto che è importante cercare di capire la strategia delle falsificazioni, che ci fornisce indicazioni sui loro autori, la loro finalità e gli stessi concetti di vero e falso. Per esempio, se un monaco riteneva lesi alcuni diritti del suo monastero, poteva apparirgli legittimo difenderli redigendo un documento falso che li tutelava: era una pia fraus (bugia a fin di bene). - La tendenza a lungo dominante tra gli storici di giudicare le fonti scritte medievali in primo luogo in base a criteri storico-filologici tesi a discernere il vero dal falso, li ha portati spesso a usare con prudenza le narrazioni storiche, considerate inaffidabili per la “partigianeria” dei loro autori. Solo negli ultimi decenni questo atteggiamento è stato messo in discussione a causa del dibattito suscitato dal cosiddetto linguistic turn (svolta linguistica), avviato da studiosi che hanno applicato ai testi storico-narrativi medioevali metodi d’indagine dei testi e del linguaggio proposti dalla filosofia analitica e da alcune correnti della critica letteraria che si riconoscono nel “postmodernismo”. È molto importante comprendere i motivi per i quali le falsificazioni, o le invenzioni, sono state compiute. Scelte individuali o un modo più generale nel quale una società guarda al suo passato? Ricordiamo il valore performativo della scrittura che mai descr...


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