Riassunto Storia Medievale Manuale, PDF

Title Riassunto Storia Medievale Manuale,
Course Storia Medievale
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Secoli IV – VII (300-600) 1. La trasformazione del mondo romano Nel III secolo l’Impero Romano aveva raggiunto la sua massima espansione. La fine delle conquiste determinò però una diminuzione, col tempo, del numero di schiavi, e quindi un aumento del costo della manodopera. Lo stato non poteva più permetterselo, anche perché doveva sostenere delle forti spese militari per difendersi dai barbari, quindi ci fu una seria crisi economica. L’elezione degli imperatori dipese sempre più dall’esercito, le legioni iniziavano ad eleggere imperatori i propri comandanti e questo diede luogo a un cinquantennio di anarchia militare, tra 235 e 284, in cui si succedettero ventotto imperatori . A mettere fine a questo periodo fu Diocleziano, che organizzò il governo in una tetrarchia, divise l’esercito – raddoppiandone però gli stipendi – e praticamente abolì il senato. Per sostenere i costi dell’esercito applicò una politica fiscale più severa. Nel 324 s’insediò Costantino, che fu imperatore da solo rafforzando l’idea del principato come potere assoluto e si rese conto che il baricentro dell’impero si stava spostando sempre più verso Oriente, quindi trasformò Bisanzio in Costantinopoli definendola una “nuova Roma”. Il trasferimento della capitale evidenziò le differenze tra Oriente e Occidente, accelerando il declino di quest’ultimo. Fu Teodosio a disporre, alla sua morte, la divisione ufficiale tra i due imperi nel 395.

Il cristianesimo Sotto Diocleziano il cristianesimo era ancora una religione minore e i cristiani furono perseguitati fino al 313, quando Costantino concesse loro la libertà di culto (editto di Milano): da lì in poi il cristianesimo fu progressivamente accettato fino a diventare, nel 380, con Teodosio e l’editto di Tessalonica, religione ufficiale dell’impero. Gli imperatori accettarono il cristianesimo per due ragioni fondamentali: 1) Le chiese erano sempre più influenti e conveniva sostenerle per ampliare il potere dell’impero 2) Le aristocrazie avevano aderito al cristianesimo, e l’aristocrazia costituiva buona parte degli organi imperiali Costantino si proclamò pontifex maximus, coniugò nella propria persona potere temporale e spirituale e fu proprio lui a convocare, nel 325, il concilio di Nicea, durante il quale si affermò e teorizzò il cattolicesimo e si condannarono le eresie, prima delle quali l’arianesimo (che sosteneva la natura umana di Cristo). Per lungo tempo il cristianesimo fu una religione urbana, nelle campagne la gente continuava ad essere politeista e lo sarebbe rimasta fino all’istituzione dei monasteri. Fu per questo che i non cristiani vennero chiamati pagani, dal termine latino pagus, che indicava il villaggio rurale. Quando le popolazioni barbariche invasero l’impero d’occidente, la questione religiosa divenne complessa: alcuni popoli, come gli ostrogoti di Teoderico, erano favorevoli alla convivenza pacifica con il cristianesimo, ma altri, come i longobardi, nel primo periodo della loro dominazione compirono violenze e saccheggi ai danni di chiese e monasteri. La progressiva evangelizzazione dei popoli barbarici, premettendo che ebbe intensità e modalità diverse, fu promossa dai vescovi ed ebbe come obiettivo quello di convertire prima i capi militari e i re, nella convinzione – corretta – che vista la natura sacrale riconosciuta dai popoli ai sovrani il resto della loro gente li avrebbe seguiti. Il primo a convertirsi fu Clodoveo, re dei Franchi, nel 496. L’adozione della fede cattolica faceva comodo anche ai sovrani, permetteva di allargare la legittimazione del loro potere anche ai popoli romani, anche se dovettero affrontare le forti spinte anticristiane delle aristocrazie germaniche.

Le invasioni barbariche Più che d’invasioni, sarebbe corretto parlare di migrazioni. Il generale peggioramento climatico tra IV e VI secolo e la spinta espansionistica degli unni spinse migliaia di popolazioni a migrare verso le regioni mediterranee, più miti come clima e più deboli militarmente. In realtà, l’incontro tra romani e barbari era iniziato ben prima, formalmente erano parte dell’impero da Tiberio – quindi dal I secolo – e benchè costituissero una periferia con un abbastanza largo margine di autonomia (pax romana) avevano già contatti con i capi ed

erano già integrati nell’esercito, anche nelle alte cariche. A destabilizzare definitivamente l’impero furono le incursioni dei visigoti tra IV e V secolo, visigoti che scappavano dagli unni e sconfissero l’esercito romano ad Adrianopoli. I visigoti acquisirono sempre più potere e mentre l’impero romano d’Oriente riuscì a tenerli a distanza, quello d’Occidente alternò – con tutti i popoli barbari – sentimenti di chiusura e apertura. L’apertura si basava sulla foederatio, ovvero l’integrazione dei barbari nell’esercito con compenso, e l’hospitalitas, la concessione ai territori barbari di una parte delle tasse relative a un territorio che potevano occupare mantenendo l’indipendenza. Le frontiere dell’impero crollarono definitivamente intorno al 450, gli imperatori erano sempre più deboli e s’arrivò al 476, quando Odoacre depose Romolo Augustolo, ultimo imperatore dell’impero d’Occidente. L’imperatore d’Oriente, Zenone, non riconobbe il nuovo governo e affidò il dominio sull’Italia a Teoderico, ostrogoto, che sconfisse Odoacre e governò la penisola fino al 553.

2. L’occidente post imperiale Nel corso del V secolo nel territorio dell’impero romano d’Occidente si formarono una serie di regni barbarici che però integravano anche cittadini romani, in una situazione di sostanziale equilibrio, tant’è che sul momento nessuno si rese conto dell’evento epocale che la deposizione di Romolo Augustolo rappresentava. Sostanzialmente, non cambiava niente. A permettere l’integrazione fra romani e barbari fu soprattutto la Chiesa, che era forse l’unica ad avere la netta percezione d’angoscia della fine di un’epoca e s’impegnò nel trattare con i nuovi abitanti. I barbari non erano tantissimi e in alcune zone della penisola non arrivarono affatto, si trovarono inoltre a fronteggiare un problema: i loro re dovevano passare dall’essere dei capi militari al governo effettivo di un territorio e di un popolo, cosa resa ulteriormente difficile dal fatto che il crollo dell’istituzione statale avesse portato con sé anche l’assenza di fisco e quindi di entrate. I re dovevano contare sul patrimonio della loro stirpe, spesso considerevole ma mai sufficiente. L’amministrazione centrale si ridusse a pochi individui, tendenzialmente romani perché erano gli unici ancora alfabetizzati. Ognuno seguiva il proprio diritto, e le leggi barbariche non furono scritte in dei veri codici fino al 453. Furono pochi i regni che durarono nel tempo, e la loro durata dipese sempre dal grado d’integrazione con i cittadini romani. I vandali, per esempio, che occupavano l’Africa settentrionale, furono così poco inclini al dialogo e così violenti da dare a Giustiniano, imperatore d’Oriente, il pretesto per annientarli nel 533. Gli ostrogoti, comandati da Teoderico, che aveva vissuto a Bisanzio, puntarono invece su una non-belligeranza: ognuno, sia loro che i romani, avrebbe mantenuto le proprie tradizioni nel rispetto dell’altro. La cosa funzionò finchè, dopo il concilio di Nicea (325), la Chiesa non iniziò a inasprirsi e a perseguitare i non-niceni, al che Teoderico fece giustiziare una serie di intellettuali niceni (tra i quali Boezio e Simmaco) dando a Giustiniano un motivo per attaccarlo nel 553. A durare a lungo – fino all’invasione araba del 711-16 – fu il regno dei visigoti, che ebbe una convivenza solida con i romani anche data dal fatto che Recaredo, loro re a fine VI secolo, si convertì al cattolicesimo. Ci furono matrimoni misti e perfino la pubblicazione, nel VII secolo, di un corpo di leggi (Liber iudiciorum) valido per entrambe le popolazioni.

I franchi I franchi furono quelli che si integrarono meglio. Partivano come una serie di regni/tribù distinti, ma Clodoveo (re dal 481 al 511, capostipite dei Merovingi) riuscì a unificarli sotto la propria guida e si fece battezzare dal vescovo Remigio, direttamente come cattolico senza passare per l’arianesimo, ponendosi come protettore delle chiese. La sua conversione al cattolicesimo fu probabilmente influenzata dall’aver sposato una principessa del regno dei Burgundi, cattolica (fonte: “Storia dei franchi”, Gregorio di Tours). Promosse la fondazione di nuovi monasteri e tutto questo agevolò molto il rapporto con la Chiesa. Alla sua morte, nel 511, il regno venne diviso fra gli eredi in vari domini tra di loro in conflitto, ma comunque consapevoli di essere parte dello stesso macrorganismo, diviso in Austrasia e Neustria. Riuscirono a trovare una parziale unità solo sotto i re Clotario II e Dagoberto, nel VII

secolo, ma dovettero rassegnarsi al fatto che la contaminazione con i romani fosse ormai definitiva e il potere fosse più nelle mani degli aristocratici che nelle loro. In sostanza, i re merovingi erano poco potenti perché continuamente in lotta tra fratelli e il loro titolo era ormai puramente formale. Inoltre, i nobili in epoca merovingia erano un concetto vago, le pratiche ereditarie erano poco chiare, le donne avevano molta autonomia e non c’era nessuna definizione giuridica che li caratterizzasse. Cresceva quindi l’autonomia dei duchi e dei maestri di palazzo, i massimi funzionari di corte, al punto che un’importante famiglia, quella di Pipinidi, riuscì, con Pipino II di Herstal, ad avere nel 687 la carica, fondamentalmente, di re di tutti i regni franchi. Il figlio Carlo Martello condusse nel 732 l’esercito franco alla vittoria nella battaglia di Poitiers, che arrestò in definitiva l’avanzata degli arabi, e suo figlio, Pipino il Breve, fu acclamato re nel 751. La dinastia dei Pipinidi fu appoggiata anche dalla Chiesa.

L’Italia fra longobardi e bizantini Giustiniano aveva annientato gli ostrogoti di Teoderico nel 553 e ristabilito dunque il dominio sull’Italia, ma il paese era ormai allo stremo tra carestie e cazzi e quando, nel 569, fu invaso dai longobardi praticamente non oppose resistenza. I longobardi occuparono aree specifiche, la pianura padana, la Toscana e una parte di Campania, mentre il resto rimase bizantino. L’Italia si trovava quindi divisa sotto il dominio di due popolazioni diversissime, tantopiù che i longobardi erano feroci e violenti, compivano razzie e saccheggi ai danni del popolo romano e soprattutto della chiesa. Il loro avvicinamento al cristianesimo fu graduale, inizialmente lo avversarono, poi furono ariani e infine, verso il 600, grazie alla mediazione tra la regina Teodolinda e il papa Gregorio Magno, cattolici. Nel 653 il re Ariperto abolì l’arianesimo, anche se alcuni duchi continuarono a praticarlo fondamentalmente per dispetto. I bizantini si erano riorganizzati, l’insieme dei territori rimasti sotto il loro controllo era affidato a un funzionario, l’esarca – comandante militare che faceva le vesti dell’imperatore ed esercitava anche gli uffici civili – che risiedeva a Ravenna. Nei fatti, l’unica forma di dominio diretto che i bizantini esercitavano era sulla Sicilia, perché gli altri posti erano troppo pressati da guerre e mal collegati. Crebbero i patrimoni ecclesiastici, in particolar modo quelli dei vescovi di Ravenna e Roma. Al vescovo di Ravenna l’imperatore concesse nel 666 l’autocefalia, ovvero l’indipendenza da quello di Roma. Passata la fase di conquista le condizioni della popolazione italiana migliorarono, anche perché i bizantini erano indeboliti dalla guerra iconoclastica (Leone III, ci torniamo dopo) e i longobardi avevano iniziato a espandersi verso Roma (v. Desiderio). Fu così che il regno franco si unì alla storia d’Italia: i papi chiesero aiuto a Carlo Magno, che colse l’occasione al volo, sconfisse i longobardi e unì al proprio titolo di Re dei Franchi quello i Re dei Longobardi, che ormai voleva dire italiani. Alcuni ducati longobardi del sud resistettero ma durò fino al 1076, con la conquista di Salerno, ultima città rimasta, da parte degli arabi. In tutto ciò, l’impero bizantino si faceva i fatti suoi e questo aveva permesso al papato di assumere sempre più potere su Roma. I rapporti con l’impero d’Oriente s’erano interrotti in definitiva quando il papa non aveva seguito la condanna dell’Iconoclastia dell’imperatore Leone III nel 726, che in tutta risposta aveva tagliato i fondi e ritirato le diocesi rendendoli esposti ai Longobardi; il papa ha chiesto però aiuto a Carlo Magno e ha finito, fondamentalmente, per vincere.

Secoli VI – IX (500-800) 3.Bisanzio Dopo essersi sostanzialmente dissolto a Occidente, l’impero romano continuò la propria esistenza a Oriente. L’imperatore Giustiniano (527-65) elaborò un programma di restaurazione, la renovatio imperii, con l’obiettivo di ridare all’impero la propria estensione originaria e riuscì a sconfiggere i vandali e gli ostrogoti. Il fatto però è che le guerre costavano e fu costretto a indebolire il fronte sul Danubio, dando così luogo alla slavizzazione dei Balcani. Sul fronte orientale, stabilì una pace con i persiani. S’impegnò anche sul piano

religioso: tutelò la Chiesa, rafforzò i vescovi, colpì duramente le eresie e perseguitò tutti i culti non cristiani. A causa della crescente inefficienza della giustizia elaborò il Corpus iuris civilis, un nuovo codice che ordinò e riformulò il diritto. Quello di Giustiniano fu l’ultimo tentativo di ridare dignità a un impero tutto sommato morto che infatti crollò sotto i longobardi, abbandonò la Spagna e si fece sconfiggere dagli arabi a oriente. Dal 600 in poi finì la fase tardo antica dell’impero e iniziò quella bizantina: l’imperatore fu chiamato Basileus, alla greca, le autonomie locali si rafforzarono con l’indebolimento del potere centrale e furono creati i themata, nuove unità amministrative sotto il comando di uno stratego che assumeva autorità civile e militare. L’unico baluardo di unità restava il cristianesimo, ma quando nel 726 l’imperatore Leone III proibì le immagini sacre – iconoclastia – con l’obiettivo di creare un fronte contro gli islamici e indebolire i monasteri altro non fece che allontanare definitivamente la chiesa bizantina da quella di Roma, che continuò a venerare le icone. Costantinopoli favorì allora l’evangelizzazione degli slavi, visto che ormai non aveva grandi alternative, affidò ai monaci Cirillo e Metodio la missione di tradurre la Bibbia in slavo – il che richiese l’invenzione di un alfabeto, il cirillico, derivato dal greco – per gli orientali, mentre gli slavi occidentali furono evangelizzati dai franchi e dalla Chiesa di Roma. Approfittando della crisi dell’impero islamico nel IX secolo, l’Impero bizantino riconquistò dei territori, tra cui l’asia minore, Creta e Cipro, il che rese di nuovo possibili le relazioni commerciali con l’Occidente. Basilio II (976-1025) riconquistò l’intera penisola balcanica, e alla sua morte l’impero era di nuovo la forza politica più importante del Mediterraneo, con un bacino d’influenza che andava da Kiev a Venezia e che venne definito “commonwealth bizantino”.

4. L’Europa carolingia Carlo Magno ereditò il regno franco nel 771. A detenere il potere era un’aristocrazia armata di cui Carlo si guadagnò il favore attuando un’espansione militare e dando loro terre. Si fece incoronare imperatore da Papa Leone III nell’800, il 25 dicembre, assumendosi così anche l’incarico di diffondere la cristianità. L’incoronazione rafforzava inoltre il papa rispetto all’impero bizantino, dilaniato dalle lotte iconoclastiche. L’impero franco si proponeva come erede di quello Romano, ma anziché espandersi a Oriente puntò a quello che era il nuovo centro del mondo, ovvero l’Europa. Carlo attuò una serie di riforme amministrative che erano la sintesi di romanità, cristianità e influenze barbare, il re si spostava costantemente per affermare il proprio dominio – anche se aveva una corte fissa ad Aquisgrana che imitava Roma e Costantinopoli, e quindi concentrava in sé una serie di figure amministrative. L’impero era comunque disomogeneo perché vastissimo e ad essere davvero potenti erano gli aristocratici che erano per di più forniti di eserciti privati. Per ingraziarseli, Carlo Magno li nominò propri vassalli. Il clero era fortemente coinvolto nel governo e la missione che Carlo affidò al clero fu l’alfabetizzazione, che dal V secolo in poi era crollata ed era rimasta propria solo degli uomini di chiesa. Sostenne lo sviluppo di una fitta rete di scuole (che insegnassero le “sette arti”, grammatica, retorica, dialettica, astronomia, musica, aritmetica, geometria) e fece elaborare anche una nuova scrittura, uniforme e leggibile, detta “carolina” e che aveva il fine di rendere comprensibili gli atti pubblici. Possiamo parlare di una sorta di “rinascimento carolingio”, le cui figure principali furono Eginardo, Paolo Diacono e Alcuino da York. Attuò anche riforme economiche, istituì delle specie di dazi ma il fisco non era comunque chissà cosa e la maggior fonte di ricchezza restava il fisco regio, che si concretizzava sostanzialmente in possedimenti con cui venivano pagati i militari e i funzionari pubblici. La moneta, che era stata abbandonata per un po’, viene reintrodotta, anche se in argento e poco significativa. In Italia ci fu una lenta assimilazione non eccessivamente violenta dell’ex regno longobardo. Quando Carlo Magno morì, nell’814, il figlio Ludovico il Pio ereditò il regno e accentuò i caratteri sacrali della propria persona, ma ben prima che morisse (840) iniziarono le lotte per la successione e il regno franco finì per dividersi, con l’accordo di Verdun dell’843, tra Ludovico, Carlo il Calvo e Lotario. La morte senza eredi di Ludovico II nell’875 portò la dinastia carolingia al tracollo, definitivo

nell’887 con la deposizione di Carlo il Grosso da parte delle aristocrazie, che nel frattempo erano diventate sempre più potenti.

Secoli IX – XI (800-1000) 5. L’età postcarolingia Dal III secolo la popolazione europea iniziò a calare progressivamente, per un negativo intreccio di carestie, epidemie e guerre. La mortalità era elevata e i casi di longevità erano pochi ed esclusivamente in ambienti aristocratici. Accanto al calo demografico si situa la crisi economica, dovuta principalmente alla scomparsa del sistema fiscale romano: lo stato non riscuoteva più imposte e non poteva più occuparsi di mantenere le infrastrutture per il commercio né d’altra parte di stipendiare la gente. Si tornò al baratto, la moneta scomparve fino a Giustiniano in oriente e Carlo Magno in occidente. La fine dell’impero romano in occidente non determinò la fine della schiavitù, che persistette fino al X secolo, ma finì la schiavitù intesa all’antica, quella in cui il padrone aveva potere di vita e di morte sullo schiavo. Anche grazie al cristianesimo, gli schiavi iniziarono ad essere considerati persone, godevano di una certa autonomia e potevano coltivare la terra anche per sé. La loro condizione finì per assimilarsi a quella dei coloni. La crisi delle città portò alla ruralizzazione progressiva della società, che iniziò a raccogliersi intorno alle ville e dove non c’erano ville i terreni erano lasciati a sé stessi. Le poche città sopravvissute erano decisamente diverse, quanto a organizzazione, da quelle di età romana, perché i luoghi centrali non erano più piazza ed edifici pubblici ma cattedrale, battistero, cimitero e palazzo del vescovo. Gli organi amministrativi erano tutti in mano agli ecclesiastici. I vescovi erano le figure principali, di fatto governavano, erano scelti tra l’aristocrazia e si circondavano di funzionari a loro volta aristocratici. L’importanza dei vescovi crebbe ulteriormente con il crollo dell’impero carolingio, quando la presenza di conti (che sotto Carlo Magno svolgevano funzioni pubbliche) nelle città andò diminuendo.

La crisi dell’impero Già negli anni precedenti alla fine dell’impero carolingio la situazione era precaria, conti e marchesi avevano autonomie sempre maggiori e si raggiunse il punto di non ritorno quando riuscirono a rendere la propria condizione ereditaria (Capitolare di Querzy, 877, Carlo il Calvo li autorizza a fare ‘sta roba), riducendo l’autorità del sovrano, che essenzialmente si era concretizzata nel poterli nominare. L’autorevolezza di conti e marchesi si basava sulla loro effettiva capacità di governare i territori,...


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