Riassunto - Gli ebrei nel medioevo - Storia medievale PDF

Title Riassunto - Gli ebrei nel medioevo - Storia medievale
Course Storia medievale
Institution Università di Pisa
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Riassunto del libro "Gli ebrei nel Medioevo" di Alessandra Veronese...


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Gli ebrei nel mondo medievale La diaspora ebraica tra periodo ellenistico-romano e primi secoli del Medioevo. Numerose colonie ebraiche si erano stanziate fuori da Israele già in epoca ellenistica-romana. In diversi centri urbani dei regni ellenistici è attesta la presenza di consistenti gruppi ebraici. Importante era l’insediamento giudaico a Roma, risalente al II secolo d.C. Ebrei erano presenti in varie province dell’impero romano (Gallia, Spagna e Germania). Non sempre gli ebrei che avevano lasciato Israele lo avevano fatto spontaneamente: alcuni erano stati venduti come schiavi, altri erano fuggiti da persecuzioni. Gli esuli potevano fare riferimento ad un centro religioso e politico rappresentato da Gerusalemme, fino al 70 d.C., quando Tito distrusse il tempio e conquistò la città: da quel momento, la presenza ebraica in Israele si ridusse drasticamente. Mutò anche la percezione che ebrei avevano della diaspora, che cominciarono a vedere come un esilio. Nei primi secoli dell’era cristiana, non fu facile per gli ebrei convivere con i cristiani, ma la liceità dell’ebraismo non fu messa in discussione neanche quando il cristianesimo divenne la religione ufficiale. Tuttavia, la posizione prevalente all’interno della Chiesa cattolica nei confronti dell’ebraismo fu quella elaborata da S. Agostino, secondo cui gli ebrei, avendo causato la morte di Cristo, erano stati sostituiti dai cristiani in quanto popolo eletto da Dio. L’iconografia medievale rappresenta spesso la Chiesa trionfante opposta alla Sinagoga, simboleggiata da una donna bendata senza più scettro e corona. Gli insediamenti ebraici in Europa interessarono dapprima le zone che si affacciavano sul mediterraneo, in epoca tardo-antica e altomedievale, poi gradualmente risalirono il continente: troviamo testimonianze in Francia a partire dal VI secolo, in Inghilterra dall’XI e nei Paesi Bassi dal XII. Il loro numero rimase sempre basso (tranne che in alcune zone costiere in Spagna, Provenza e Italia meridionale), e le notizie sui loro insediamenti sono scarse. Sappiamo però quasi per certo che: vi furono ebrei proprietari terrieri, molti dei quali impiegavano manodopera cristiana, ed ebrei mercanti che operavano nel mediterraneo e a livello internazionale. Sebbene sia impossibile fare stime del numero, i documenti dell’epoca parlano di “ebrei e altri mercanti”, facendoci supporre che il ruolo dei primi fosse significativo.

Gli ebrei nell’area mediterranea: Penisola Iberica, Francia meridionale, Italia. Penisola iberica. La presenza degli ebrei nella penisola iberica può essere fatta risalire agli ultimi secoli a.C. Dopo la conquista romana (II secolo d.C.) si può ipotizzare una durevole presenza ebraica, probabilmente dovuta alla distruzione del tempio (70 d.C.) e all’ultima rivolta giudaica contro Roma (132-135 d.C.), che costrinsero numerosi ebrei a lasciare Israele per la penisola iberica. Troviamo testimonianze certe della loro presenza nella penisola, in particolare nelle città costiere del Mediterraneo, a partire dal III secolo d.C. Ad esempio, alcuni canoni del Concilio di Elvira (306) vietano il matrimonio tra ebrei e cristiani, e sconsigliano a questi ultimi di consumare pasti con gli israeliti. Agli inizi del V secolo la penisola fu conquistata dai Visigoti, che professavano il cristianesimo ariano. Del periodo della dominazione visigota possediamo solo scritti di tipo giuridico riguardanti gli ebrei, quali il divieto di possedere schiavi cristiani, di matrimonio misto, di rivestire cariche pubbliche e di costruire nuove sinagoghe. Ciononostante, essi poterono professare abbastanza liberamente la loro religione, fino alla conversione di re Reccaredo e dell’aristocrazia visigota al cattolicesimo (589), che diede inizio ad una serie di persecuzioni antiebraiche. Re Reccaredo non fu promotore di iniziative sostanzialmente antiebraiche, e l’inizio delle persecuzioni vere e proprie ci fu con re Sisebuto (612), che ordinò la conversione forzata degli ebrei iberici. Sebbene circa metà della popolazione ebraica fu costretta alla conversione, e una parte emigrò

verso la Gallia, molti ebrei poterono rimanere tali per l’impossibilità pratica di applicare la legge su un territorio così esteso. Delle condizioni giuridiche dei convertiti non sappiamo molto, anche perché la politica nei confronti degli ebrei dipese dai sovrani che succedettero a Sisebuto: dapprima fu consentito il ritorno degli emigrati, poi fu rinnovato il battesimo forzato, poi si stabilì che i convertiti fino alla seconda generazione non potessero agire giuridicamente contro i cristiani, poi ancora si decretò che gli israeliti dovessero essere schiavizzati e dispersi nel regno, e i loro figli battezzati e cresciuti dai cristiani. Anche se l’estensione dei provvedimenti antiebraici non fu ineccepibile, gli ebrei dovettero comunque vivere in condizioni di estrema difficoltà, e non stupisce che essi abbiano accolto con favore l’invasione musulmana tra 711 e 714. Il periodo di dominio islamico fu loro abbastanza favorevole; in quanto dhimmi (cioè non musulmani ma considerati da Maometto oggetti di una rivelazione divina in forma scritta), essi poterono praticare il loro culto al prezzo di un’imposta. Gli ebrei in questo periodo si costituirono in comunità di artigiani tessili e del cuoio, altri furono mercanti, finanzieri, diplomatici e pubblici amministratori. Alla metà dell’VIII secolo l’ultimo principe omeyyade si ritirò a Cordova, dove fondò un emirato che divenne poi un califfato ben organizzato. All’inizio dell’XI secolo, dopo che il califfo ebbe rilanciato la jihad contro i regni cristiani del nord, perseguitando nel contempo i mozarabi (ebrei e cristiani) interni al califfato, il califfato stesso finì con lo spezzettarsi in piccoli emirati, e gli ebrei (come i cristiani) poterono tornare a svolgere ruoli prestigiosi nelle corti dei vari piccoli emiri. Verso la fine del secolo gli Almoravidi provenienti dal Marocco sconfissero gli aragonesi e ripresero le ostilità contro i regni cristiani del nord e contro i mozarabi, favorendo un loro massiccio esodo a nord. Dopo la scacciata degli Almoravidi, la presenza islamica nella penisola si ridusse significativamente, ed ebrei e musulmani si trovarono a vivere in regni cristiani. Nel regno di Navarra, agli ebrei furono concesse la possibilità di risolvere alcuni questioni interne secondo la legge rabbinica, e quella di possedere immobili. I componenti della comunità ebraica navarrina erano perlopiù attivi in settori produttivi. I mercanti ebraici detenevano il monopoli del commercio di panni, pellicce e gioielli, nonché gran parte del commercio di medicine e di granaglie. Essi erano inoltre impegnati nell’attività creditizia. Nel regno di Castiglia alla fine del XII secolo viveva un alto numero di ebrei, sotto la protezione del sovrano. La loro condizione andò peggiorando dalla fine del XIII secolo: fu loro vietato di ricoprire cariche pubbliche, furono limitate le loro opportunità lavorative, furono abolite forme di autonomia giuridica, e fu resa loro difficile l’attività creditizia. Nel corso del Trecento crebbe l’ostilità dei cristiani nei confronti degli ebrei, per via del ruolo ricoperto dagli esperti di finanza israeliti nell’apparato fiscale reale, e a causa dell’attività di prestito. La politica castigliana nei confronti degli israeliti fu altalenante. Nel 1280 venne per la prima volta condannato a morte per infedeltà un tesoriere ebreo, e tutta la comunità ebraica, costretta a pagare pesanti tasse, fini con l’impoverirsi. Dal 1293 si moltiplicarono nei consigli cittadini gli attacchi contro gli ebrei esperti di finanza. Dal 1235, con il nuovo re Alfonso XI, su rinnovata la protezione reale sugli ebrei, e nel 1248 questi furono di nuovo autorizzati a possedere immobili. Dal 1351, sotto Pietro I, furono rinnovate le persecuzioni e le conversioni forzate, che durarono fino agli inizi del secolo successivo, e che portarono all’esodo di un numero massiccio di ebrei in terre più accoglienti. Dal 1412, con le leggi di Ayllon, gli ebrei furono costretti a vivere in quartieri separati, indossando abiti distintivi dozzinali, e fu loro negato l’esercizio di diverse professioni. Dopo la revocazione delle leggi (1418), nel XV secolo la comunità ebraica castigliana prese a ricostituirsi. Gli israeliti furono pesantemente tassati, in cambio però di una protezione efficace. Nel corso del secolo e sostanzialmente fino alla loro espulsione, gli ebrei tornarono a praticare i lavori che

avevano costituito la base del loro benessere. L’organizzazione interna delle comunità ebraiche seguì la tradizione: i rabbini e i dotti della legge ebraica ricoprivano le cariche più importanti, scelti dal sovrano. Per quanto riguarda il regno di Aragona, dopo la fine del dominio musulmano (XII secolo) le vicende degli ebrei furono connesse a quelle dei sovrani cristiani fino alla loro espulsione (1492). La condizione sociali degli ebrei era diversa da quella degli uomini liberi, in forza della loro dipendenza dal sovrano. Inizialmente i gruppi ebraici formarono insediamenti rurali sulle terre regie, pagando un tributo al re, e dal XII secolo presero ad abitare i centri urbani, costruendovi sinagoghe e cimiteri. Inizialmente la presenza ebraica non costituì un problema: anche se furono oggetto di leggi discriminatorie, i sovrani li utilizzarono per compiti che la popolazione cristiana (composta quasi esclusivamente da guerrieri e contadini) non era in grado di svolgere: amministratori, diplomatici, medici e traduttori. Dal 1283 la condizione degli ebrei aragonesi andò declinando: l’influenza della Chiesa comportò il divieto per loro di ricoprire uffici pubblici e il graduale allontanamento dalle posizioni di prestigio, appesantendo al contempo il carico fiscale. Dalla fine del XIII secolo venne prestata particolare attenzione all’organizzazione delle aljamas (gruppi di ebrei): la politica aragonese si mosse nel concedere una sempre maggiore autonomia, mirata all’isolamento delle comunità ebraiche, che si videro allontanate dai mercati cristiani. La peste nera del 1348 favorì il clima di antisemitismo. Il tentativo di costituire un’organizzazione che coordinasse le aljamas di tutto il regno fu soppresso, e gli ultimi decenni del secolo furono teatro di altre persecuzioni. Ciononostante, la condizione economica degli israeliti rimase buona per tutto il Trecento, grazie alle attività artigianali e mercantili. Nel corso del Trecento si accentuò la rivalità tra le due minoranze del regno, ebrei e musulmani. Vistisi declassati e sostituiti dagli ebrei economicamente e socialmente, i musulmani supportarono il popolino cristiano in occasione degli attacchi ai quartieri ebraici. Dalla fine del XIV secolo le restrizioni si fecero più severe: agli israeliti convertiti al cristianesimo fu vietato di avere contatti con gli ex-correligionari, e gli attacchi contro i quartieri portarono alla decimazione delle comunità e al battesimo forzato di molti dei loro componenti. Dall’inizio del XV secolo la loro condizione peggiorò: un clima di conversionismo forzato portò all’apostasia o all’esodo di un numero notevole di ebrei, molti dei quali appartenenti al ceto dirigente, con gravi conseguenze per l’organizzazione delle comunità ebraiche aragonesi. Molti degli esuli provarono a vivere come avevano sempre fatto, anche se le loro condizioni economiche erano gravemente peggiorate, e loro impossibilità di riempire le casse regie culminò con la definitiva espulsione del 1492. In Portogallo, dopo che i cristiani lo riconquistarono, strappandolo ai musulmani nel XII secolo, gli ebrei erano stanziati principalmente nelle città. A partire dal Trecento, il numero di ebrei portoghesi crebbe a seguito delle migrazioni dai regni cristiani iberici, dove erano perseguitati. Nel secolo successivo, il numero di comunità ebraiche si quintuplicò. In generale, i re portoghesi si dimostrarono favorevoli nei confronti dei sudditi ebraici, incaricando alcuni di questi di uffici prestigiosi. La presenza degli ebrei a corte fu significativa quando, nel 1391, i pogrom antiebraici minacciavano di estendersi dagli altri regni al Portogallo: il re Giovanni I vietò quindi ai suoi sudditi di maltrattare gli ebrei, di convertirli con la forza e di profanare i loro cimiteri. Tuttavia, Giovanni e il suo successore Edoardo dovettero ridurre la presenza ebraica a corte, creando però delle cariche ad hoc per loro. Il successore di Edoardo, Alfonso I, abolì le leggi promulgate dai predecessori e si meritò l’appellativo di “il Buono” per la sua fama di protettore degli ebrei. L’atteggiamento benevolo dei sovrani portoghesi nei confronti degli ebrei si spiega tenendo presente che essi costituivano un’importante fonte di entrate fiscali. Dal 1339 le cancellerie registravano i beni di ogni israelita, e il Gran Rabbino si occupava della riscossione dei tributi; l’imposta variava a seconda della condizione personale e al lavoro ed era affiancata dalla juderega, una tassa fissa di trenta denari come

espiazione del tradimento di Cristo da parte di Giuda. Inoltre, non essendo considerati cittadini delle città che abitavano, le tariffe dei pedaggi per gli ebrei erano le stesse che per gli stranieri. Poiché i re portoghesi erano interessati a che gli ebrei potessero pagare le tasse, essi poterono svolgere pressoché qualsiasi professione (esclusa l’agricoltura di sussistenza). Circa i tre quarti della popolazione ebraica portoghese era dedita all’artigianato, e commercializzava i propri manufatti; altri si dedicavano esclusivamente al commercio, perlopiù ambulante. Ai vertici della comunità ebraica erano i grandi mercanti, i medici e i funzionari regi. A completare il quadro si aggiungeva il prestito ad interesse, ed essendo un’attività che poteva essere motivo di violenza, gli ebrei avevano il porto d’armi. Nel 1497, l’espulsione della minoranza ebraica portoghese, cinque anni dopo quella spagnola, pose bruscamente fine ad un insediamento secolare. Francia meridionale. La presenza degli ebrei in Francia meridionale risale alla tarda antichità, ma dalle testimonianze si evince che non fu numerosissima. Sappiamo poco degli israeliti stanziati in questa zona; verosimilmente, la loro vita intellettuale non è paragonabile a quella dei correligionari in Italia e nella penisola iberica. Dal diario di viaggio dell’ebreo Beniamino, che sostò in alcuni centri urbani costieri della Francia, possiamo ricavare i nomi di alcune città popolate da ebrei. Delle otto citate da Beniamino, cinque si trovavano il Linguadoca, regione in cui tra il XII e il XIII si trovavano le comunità ebraiche più creative del sud della Francia. Dalla metà del XIII secolo, il passaggio della regione sotto la monarchia capetingia portò ad un deterioramento e infine all’espulsione (1306) della minoranza ebraica. Dai resoconti di Beniamino ricaviamo altre informazioni. Sebbene egli non descriva le attività degli israeliti della regione, trasmette l’idea di una certa prosperità economica. Essi erano inoltre versati negli studi talmudici e nella mistica. Anche dopo l’espulsione, la creatività intellettuale ebraiche nel sud della Francia non si spense: le comunità ebraiche in Provanza (zona politicamente indipendente), rinforzate dall’apporto dei profughi, continuarono ad essere molto attive sia economicamente che intellettualmente. Lo sviluppo degli insediamenti ebraici in Provenza, dove gli insediamenti si concentravano spontaneamente in una stessa zona (non c’era l’obbligo di residenza coatta), raggiunse il suo apice all’inizio del XIV secolo, quando circa dodicimila ebrei costituivano il 3-4% della popolazione (7-10% nelle grandi città). La ricostruzione della vita comunitaria degli ebrei provenzali è resa possibile soprattutto dagli atti notarili a cui essi facevano ricorso per ogni minima facezia. Sappiamo di una divisione sociale tra ebrei del ceto dominante, che mostravano tendenze oligarchiche, e judei minores, che avevano poche possibilità di esercitare un qualsiasi ruolo. Gli ebrei provenzali erano soggetti ad una doppia imposizione fiscale, una in quanto cittadini più la tallia iudeorum da pagare al conte di Provenza. Erano attivi in vari campi: molti erano artigiani tessili o lavoratori di pergamene, mentre si contano pochi muratori e nessun armiere o stagnino; prima di del XV secolo troviamo riferimenti a pescatori e lavoratori del corallo; per quanto riguarda il commercio, erano attivi nella compravendita di lana, cuoio, pellame, tessuti vari e alcuni generi alimentari; immancabili erano i prestatori; molti e molto apprezzati erano anche i medici (di cui si servivano anche i cristiani) che raccoglievano la tallia iudeorum e talvolta diventano prestatori, finanzieri e mercanti. Poiché non avevano accesso al sistema universitario, la loro istruzione avveniva tramite il passaggio di conoscenze da padre a figlio. Un primo momento di crisi per l’ebraismo provenzale si ebbe con la Peste Nera: all’accresciuta mortalità che colpì le comunità locali si aggiunsero i pogrom. Nonostante le ingenti perdite umane, non vi furono massicce migrazioni o politiche vessatorie antisemite. Fino agli inizi del Cinquecento, gli ebrei continuarono a vivere in Provenza in condizioni abbastanza favorevoli.

Italia. La storia della presenza ebraica in Italia non può essere tracciata in maniera puntuale, per via delle diverse realtà politiche ed economiche. In linea generale, possiamo distinguere due aree: una meridionale, in cui si stanziò la maggior parte degli israeliti nei primi secoli del Medioevo, ricca di testimonianze seppur non distribuite omogeneamente, e una centro-settentrionale, povera di documentazione ed insediamenti almeno fino al XII secolo. Nell’Italia bizantina, le fonti mostrano che gli ebrei vi si insediarono già dalla tarda antichità, soprattutto nelle città portuali e lungo le vie di comunicazione più importanti. Di grande importanza fu poi la presenza ebraica a Roma durante l’Alto Medioevo, di cui abbiamo scarse testimonianze almeno fino all’XI secolo. Da questo momento in poi ci affidiamo a fonti ebraiche, dalle quali sappiamo che la presenza giudaica romana era forte: la congregazione romana era molto apprezzata dalle altre comunità ebraiche europee, e la sua posizione consentiva agli ebrei romani di fare da portavoce delle comunità della diaspora nei confronti dei papi. La vita economica degli ebrei nell’Italia meridionale era piuttosto diversificata: erano attivi nel settore agricolo (anche se molto di meno rispetto ai cristiani), nell’artigianato, nel commercio e nella medicina. Le testimonianze in lingua ebraiche degli ebrei siciliani e dell’Italia meridionale peninsulare mostrano grande creatività intellettuale. Dal XIII secolo, se prima il fulcro del mondo ebraico italiano erano il sud e Roma, nelle regioni del centro e del nord iniziarono ad intensificarsi gli insediamenti ebraici, per via di migrazioni di famiglie di mercanti ebrei (soprattutto romani) su invito dei comuni italiani, le quali famiglie cominciarono ad inserirsi nel mercato del denaro. Con poche eccezioni, i nuovi insediamenti ebraici nel centro-nord non traevano origine da più antichi insediamenti, costituendo quindi una nuova esperienze per le popolazioni locali, cosa che si tradusse in regolamentazioni di tipo giuridico: la presenza ebraica fu normata attraverso la “condotta”, un accordo bilaterale tra prestatori ebrei e autorità cittadine, riguardante le modalità di residenza e di prestito, ma comunque le condizioni sociali, economiche e politiche degli ebrei variavano in base ai contesti. Sebbene la condotta fosse ufficialmente una concessione da parte delle autorità, essa era in genere il frutto di una lunga negoziazione. I titolari di una condotta ottenevano così una cittadinanza temporanea, l’esenzione dal pagamento di numero imposte e, grazie anche ai capitoli di prestito, un trattamento giuridico equo in campo civile e criminale. I benefici concessi dalla condotta si estendevano poi a tutti i parenti, agli impiegati e ai servi che gravitavano attorno al nucleo familiare dei banchieri. Gli ebrei italiani, lungi dall’essere solo o principalmente piccolo usurai, fondarono vere e proprie compagnie d’affari in tutta la penisola e al di fuori di essa, riuscendo ad organizzare un’efficace rete finanziaria e commerciale. Se la condizione degli ebrei dell’Italia centro-settentrionale si mantenne ottimal...


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