Lirica romanza nel medioevo PDF

Title Lirica romanza nel medioevo
Author Maria Matteucci
Course Filologia Romanza 
Institution Università degli Studi di Bari Aldo Moro
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Summary

1. I trovatori
2. Lirica pretrovatoresca in lingua volgare
3. Dal centro alla periferia
4. Lirica d’oil
5. Il caso della Catalogna
6. La lirica galego-portoghese
7. La tradizione castigliana

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Description

LA LIRICA ROMANZA NEL MEDIOEVO Qual è dunque la caratteristica principale del genere lirico? Si tratta della poesia soggettiva, nella quale l’autore intende indagare la propria personale interiorità. In questo senso, il genere si oppone ad altre forme di produzione in versi, come ad esempio la poesia epica, che si propone di veicolare valori pubblici condivisi da larghe compagini sociali. Capitolo 1: I trovatori Premessa Se per la canzoni di gesta, o per alcune altre forme della narrativa, potrebbero esservi problemi legati alle origini, per quanto riguarda la lirica un dato è di per certo assodato: la lirica è fatta di trovatori, di cui abbiamo dati storici più o meno veritieri. La lirica del medioevo è una lirica nuova, accompagnata dalla musica e cantabile. Ebbe un notevole successo, che si estese addirittura al Petrarca, poi al Cinquecento, con la tematica amorosa. Il tema amoroso non è stato l’unico affrontato nella lirica gallo-romanza, ma è di certo quello predominante. Il genere lirico non è però omogeneo: vi sono diversi generi e sottogeneri, ed è per questa ragione che tendiamo a parlare di "sistema". Si tratta di diversi generi collegati tra loro. Il sistema lirico ha impostato il suo cammino sull’eterogeneità geografica e sulla presenza dei trovatori: i trovatori galego-portoghesi e provenzali, quelli tedeschi (i Minnesanger, ossia cantori d’amore), i poeti italiani del XIII secolo. La grande svolta della lirica trobadorica, anche in lingua d’oil, ebbe una sua svolta ufficiale con il passaggio verso la scuola poetica siciliana: è qui che si sviluppa il divorzio tra musica e poesia. Dalla poesia cantata e musicata della Provenza si passa al testo contemporaneo, privo di adattamento e accompagnamento musicale. La fondazione della lirica moderna Una visione interna della lirica trobadorica ne fisserebbe l’arco vitale in poco più di due secoli: Guglielmo IX duca di Aquitania e VII conte di Poitiers, il primo trovatore di cui ci sia giunta l’opera, è probabilmente già attivo alla fine dell’XI secolo; l’ultima poesia databile di Guiraut Riquier è del 1292. Quanto allo spazio geografico, la sua identificazione con l’area linguistica del provenzale (o, meglio, dell’occitano) antico cessa di essere valida quando si tenga presente che se la poesia dei trovatori appartiene in proprio all’Occitania medievale, non tutti i trovatori sono occitani. Trovatori a tutti gli effetti sono anche i trenta poeti italiani che tra la fine del XII secolo e la fine del XIII compongono le loro liriche in provenzale. Vista dall’esterno, la storia della poesia trobadorica non è separabile da quella della sua fortuna nei paesi di lingua romanza e germanica. Quando, con la crociata contro gli albigesi (1208-1229), inizia la diaspora dei trovatori dalle corti occitaniche, una tradizione lirica di impianto trobadorico si è già costituita nella Francia del nord e nelle regioni renano-danubiane, probabilmente anche nella penisola iberica: «imitazione seconda» se paragonata all’ «imitazione prima» di catalani e trovatori italiani, in quanto riprende i tratti essenziali del modello, ma articolandoli in modo e con lingue nuove. Nel quarto decennio del XIII secolo sarà la volta dei Siciliani, diretti responsabili di una translatio che, più tardi, attraverso Petrarca e il petrarchismo, diventerà patrimonio comune dell’Europa moderna. Le ragioni di questa fortuna sono riconducibili alle caratteristiche del codice poetico elaborato nelle corti della Francia meridionale da poeti che appartengono alla classe nobiliare o che da essa traggono sostentamento, e che alla corte si rivolgono come un pubblico privilegiato e per lungo tempo esclusivo. Con il suo lusso, la sua vita di relazione, il suo dinamismo politico la corte offre il luogo e i mezzi; alla corte la nuova poesia fornisce consapevolezza culturale e politica. Si tratta di una poesia aristocratica e laica, nel senso medievale del termine, espressione delle aspirazioni proprie di un feudalesimo evoluto (la seconda età feudale secondo Bloch): la sua funzione è dunque didattica più che decorativa. Fondamentale è l’adozione di un volgare illustre equidistante sia dal chiuso latino dei litterati, espressione di una cultura elitaria di scuola, sia dalla letteratura in volgare più interclassista, come canzoni di gesta e poemetti agiografici. Si aggiunga che i testi dei trovatori, pur rinviando ad una composizione scritta, presuppongono un’esecuzione orale che ne favorisce la diffusione mediante una classe di cantori professionisti: i giullari. Quella dei trovatori è una lirica d’arte: poesia rigorosamente isosillabica e rimata, sapientemente variata nei metri e nelle melodie. Non le nuoce, anzi l’esalta, l’uniformità dei contenuti: un dato in cui i filologi romantici ravvisavano una mancanza di ispirazione, ma che sarà da interpretare come il risultato di una rigorosa autoselezione, da cui l’impressione di una “poesia formale e astratta”: formale perché la forma predomina sulla sostanza (il linguaggio è “utilizzato per il suo valore incantatorio”), astratta perché si tratta di un "io" che si estende impersonalmente alla collettività. Ne è un esempio l’invenzione dell’amor cortese. I trovatori hanno un obiettivo: richiamare l’attenzione del pubblico.

L’invenzione dell’amore cortese Spetta ai trovatori l’invenzione di una concezione dell’amore che siamo soliti definire, grazie a Paris, amore cortese, ma che alle élite delle corti medievali e ai trovatori, loro portavoce, apparve più propriamente fin’amor: amore perfetto. L’idea centrale è quella di una sproporzione ineliminabile fra l’amante e l’amata. Nelle formulazioni più esplicite, la donna è considerata una signora feudale, l’amante il suo vassallo. L’amore si configura come un servizio che il vassallo presta al suo signore, ricevendone in cambio aiuto e protezione. Il rapporto gerarchico fra l’amante e l’amata implica dunque un elemento di reciprocità che si inserisce in un preciso quadro “merceologico”: il vassallo per poter raggiungere l’obiettivo nei confronti dell’amata è chiamato ad un miglioramento morale, deve migliorarsi nella coscienza; d’altro canto la donna offre la “mercede” (merce), quindi ricambia l’amore nei confronti dell’uomo. Tuttavia, se la donna non si concede all’uomo-amante svincola questo rapporto che si è venuto a creare tra i due. L’amante durante il rapporto cortese deve essere fedele e provare amore esclusivamente per la donna amata, poiché deve necessariamente sussistere un sentimento vero. Se la donna non si concede ad un certo uomo, ma rifiuta verbalmente il suo amore, i legami vincolanti tra i due si sciolgono, quindi l’uomo può passare ad un altro amore (si passa in questo caso a particolari canzoni chiamate:chanson de change). L’eventuale accettazione del rapporto non implica la realizzazione del desiderio, giacchè il godimento andrebbe ad annullare la distanza gerarchica tra i due. L’accettazione del servizio implica, bensì, il reciproco adeguamento della volontà. Si viene a creare così un “paradosso amoroso”: si tratta di un amore per nulla platonico, sensuale, ma allo stesso tempo frustrato (possedere e non possedere). È Leo Spitzer a parlare di paradosso. Se l’amore sensuale non può essere la soluzione del fin’amor (al contrario, un amore che miri solo al piacere è fals’amor), la tensione erotica che ne risulta acquista un valore positivo in quanto accettazione consapevole delle regole di corte. Il fin’amor diviene pertanto l’elemento centrale di quel microcosmo di valori mondani che va sotto il nome di cortezia (cortesia) e che trova un principio diretto nella misura (mezura) e nella ragionevolezza (sen) tanto dell’amante quanto dell’amata. Da questo punto di vista, dunque, la fin’amor è “amore cortese”: la cortezia rende capaci di amare; l’amore (cortese) educa all’esercizio della cortesia e in quanto tale è fonte di riconoscimento sociale e di gioia (joi) individuale. La società immaginata dai trovatori è un riflesso ideale della corte, non però un mondo privo di ostacoli e di tensioni interne, come illustra la figura del lauzengier, il mettimale che con le sue maldicenze rischia di compromettere la relazione amorosa. Si tratta di un amore adultero, che si svolge rigorosamente al di fuori del vincolo coniugale; anzi, si teorizza che nel matrimonio non può esistere veramente “amor fino”. Ciò si spiega anche storicamente col fatto che, nelle classi alte, il matrimonio era un puro e semplice contratto, stipulato per ragioni dinastiche o economiche. Il carattere adultero dell’amore esige il segreto, che tuteli l’onore della donna; per questo il suo nome non viene mai pronunciato dai poeti: alla donna si può alludere solo attraverso uno pseudonimo (senhal), per timore dei “malparlieri” (lauzengiers) che possono spargere dicerie maligne; E’ difficile spiegare come sia nata la concezione dell’amor cortese, tra XI e XII secolo. A riguardo le interpretazioni sono state molte e contrastanti, senza che una soluzione definitiva sia ancora stata trovata. Secondo un’interpretazione politica l’amor cortese non sarebbe che la trascrizione metaforica, nel rapporto amoroso con la donna, del rapporto che lega vassallo e signore. Infatti la servitù d’amore, l’omaggio e la sottomissione dell’amante ricalcano da vicino le forme dei rapporti feudali di vassallaggio. Viene riprodotto perfino il linguaggio: il trovatore, ad esempio, si rivolge all’amata con l’appellativo di midons, che significa “mio signore”, al maschile. Un’interpretazione psicosociologica vedrebbe poi nelle corti e nei castelli una scarsa presenza femminile in un contesto perlopiù maschile composto di parecchi uomini giovani, celibi e di condizione inferiore. La castellana è il centro intorno a cui tutto si raccoglie. Cavalieri e trovatori rendono omaggio alla dama nobile e colta, ricca e potente. Altri invece hanno visto l’origine dell’amor cortese nell’influenza della poesia amorosa araba, altri nella devozione mistica alla Vergine (ma forse è vero l’opposto: la devozione alla Madonna ricalca le forme del contemporaneo amor cortese). Ricordiamo infine l’interpretazione sociologica di Erich Köhler, secondo cui l’amor cortese rappresenta la spiritualizzazione di aspetti economici e sociali fondamentali nella società feudale. La poesia d’amore sarebbe espressione di uno specifico gruppo sociale, una piccola nobiltà che non può più aspirare al feudo: l’irraggiungibilità della donna sarebbe la trascrizione metaforica di questa frustrazione sociale. Ma, insistendo sul valore nobilitante dell'”amor fino”, questo gruppo rivendica la sua parità ideale con l’alta nobiltà. L'”onore”, non essendo più un possesso materiale e tangibile, diviene un valore morale, e come tale può essere posseduto anche dagli strati inferiori della popolazione.

Andrea Cappellano fa una precisazione: l’amore cortese è un amore adulterino, libero assoluto. In questo modo non si va solo contro la corte (operazione letteraria nel ridurre le spinte autonomistiche delle corti), ma addirittura contro la Chiesa, rea di aver imposto la monogamia. Ne è esempio Guglielmo IX , che si scontra con l’egemonia culturale condotta dalla Chiesa, ottenendo due scomuniche per la sua poesia maschile in cui la donna è ridotta ai suoi istinti. Nella Francia occidentale nasce però un’attività poetica in volgare, o aperta al volgare, patrocinata dalla Chiesa, che trova la sua espressione sia sul versante agiografico, sia su quello lirico. Al centro di questa attività letteraria è l’abbazia di San Marziale di Limoges, dove nell’XI secolo vengono particolarmente coltivati i generi paraliturgici del tropus e del versus, generi che sono all’origine della terminologia con cui i trovatori designano la propria arte (trobar: comporre versi; vers: canzoni). La questione dello stile e il pubblico La poesia provenzale è teatro di una contrapposizione stilistica fra trobar clus (dal latino clausus, “chiuso, inaccessibile”, poesia ermetica) e trobar leu (dal latino levis, “dolce, leggero, di poco valore”). Si tratta di un’opposizione non solo formale ma anche tra due diverse concezioni della poesia stessa: una più aristocratica, dal contenuto morale assai elaborato e molto oscuro e stilisticamente elaborata; l’altra più semplice e immediata, destinata a un auditorio più ampio di cui si vuole catturare il consenso. A queste due tipologie è stata affiancato dagli studiosi un terzo stile: il trobar ric, ovvero uno stile alto e di notevole elaborazione retorica, ma dalla tensione morale inferiore a quella del trobar clus. Il poeta più noto del trobar clus è indubbiamente Arnaut Daniel. Punto di riferimento per i seguaci del trobar clus è il trobar naturau, poetare naturale, schietto, perché conforme a un ordine morale e naturale stabilito da Dio, di Marcabru. In base al pubblico che ci si trova di fronte è necessario diversificare la propria produzione poetica dal punto di vista stilistico: la maniera ermetica è, ad esempio, destinata a pochi intenditori e ha bisogno di cantori professionisti. La “canso” e il sistema dei generi lirici Sino alla seconda metà del secolo la canzone trobadorica si chiamava vers, denominazione che doveva indicare più una struttura metrico-musicale che un ambito tematico prestabilito. Più avanti si è posta la differenziazione con canso, poiché la canzone era vista come un esempio di poesia facile e disimpegnato e più gradita dal pubblico. Generi:  sirventese, che alle origini designava il canto di elogio del sirven (giullare al servizio), mentre nel periodo classico della poesia trobadorica indica la canzone di impegno morale o di propaganda politica. È un vero e proprio canto di attualità, non diverso per funzioni dalla canzone di gesta, come illustrano i sottogeneri della canzone di crociata (dove c’è il motivo della lontananza dell’amata a causa dell’allontanamento del crociato) e del planh, o lamento funebre (che è difficilmente separabile dal genere del planctus epico di cui famosi sono quelli della Chanson de Roland e del Cantar de Roncesvalles). Ma anche per il planh si rilevano contatti con la canso. Del resto, la dicotomia fra canso e sirventes non è mai assoluta. Il canto dell’amore e quello della decadenza dei costumi sono strettamente associati in un autore come Giraut de Bornelh, e che nel genere detto canso-sirventes il tema amoroso alterna con quello morale e politico, proprio come nel vers primitivo.  Tenso: un dibattito poetico su questioni d'amore, ma anche di politica, di morale, tra due poeti o anche immaginario. La struttura della canso e la situazione cortese forniscono il modello a generi come la pastorella e l’alba, che per i temi trattati e per il modo lirico-narrativo (struttura dialogica) si collocano in posizione marginale (lo documentano anzitutto il numero degli esemplari conservati) rispetto al genere della canzone cortese d’amore.  Alba: la canzone della separazione dei due amanti allo spuntare del giorno dopo il convegno notturno.  Pastorella: dialogo fittizio fra il cavaliere e una pastorella che ne respinge o ne accetta le proposte d'amore.  I generi a pertinenza lirico-musicale e lirico-coreografica, tra i quali segnaliamo la balada e la dansa: generi in cui il recupero di forme e di registri di tipo parafolklorico, caratteristici della poesia cortese d’ oil, denuncia un’intenzione sperimentale.  Alla Francia del nord rinviano anche l’estampida e la retro(e)ncha o retro(e)nsa. In Francia il termine estampie si applica sia a una melodia di danza senza parole, sia a un genere, tardo, di tipo coreografico musicale.

Capitolo 2: Lirica pretrovatoresca in lingua volgare La canzone di donna e il problema delle origini liriche In un articolo Karl Vossler concludeva affermando che “Guglielmo XI non ha bisogno di alcun precursore, essendo lui stesso un precursore”. Diez e Wackernagel hanno portato comunque avanti una ricerca atta ad individuare la sopravvivenza di una lirica popolare arcaica dei generi più specifici della poesia lirica d’oil: canzoni di danza, contrasti o “canzoni drammatiche”, canzoni di tela, ma anche pastorelle, albe ecc e dalla sostituzione del monologo maschile con un monologo femminile, spesso inserito in un dialogo a due o più voci. Ma egualmente arcaici e popolari sarebbero i ritornelli (refrains) oitanici che ripropongono le stesse situazioni e gli stessi personaggi. A Jeanrot non sfugge che i genere apparentemente più arcaici della lirica francese medievale recano tracce evidenti di una rielaborazione cortese non anteriore agli inizi del XIII secolo. Prima ancora che dai dati positivamente accertati, converrà prendere le mosse dal monumento del ricostruttivismo positivista, da quelle Origines de la poésie lyrique en France au moyen age di Alfred Jeanroy che per lungo tempo hanno rappresentato lo svolgimento più coerente su base scientifica del postulato romantico delle origini popolari dei generi letterari romanzi. L’indagine muove da alcune osservazioni di Friedrich Diez e Jacob Wackernagel circa la sopravvivenza di una lirica popolare arcaica nei generi più specifici della poesia lirica d’oil: generi caratterizzati da situazioni e da personaggi ignoti alla canso. Non sarebbero anteriori al Duecento, la grande stagione della poesia cortese di tono popolareggiante, quando l’uso di incastonare dei refrains in un’opera narrativa preannuncia una moda che dilagherà nel secolo successivo. Niente affatto dilemmatico è il risultato principale della ricerca, che la scoperta delle kharagat araboandaluse ha puntualmente confermato: la strutturazione delle “canzoni a personaggi” intorno a un nucleo lirico femminile; i protagonisti e le situazioni di certi ritornelli; il fatto che questi siano spesso pronunciati da donne, e che la canzone di amico (cioè in cocca di fanciulla) e la canzone di donna costituiscano un genere speciale nella lirica del XIII secolo: tutti questi fenomeni combinati insieme dimostrano che il genere centrale della tradizione pretrovatoresca era il monologo lirico femminile e che questo monologo nella sua forma più stabile aveva come protagonista non una donna sposata, ma una fanciulla innamorata. Si offre così la possibilità di un collegamento con un filone di poesia femminile le cui radici affondano nel mondo antico e nel folklore. Gaston Paris ha riassettato l’indagine ricostruttiva di Jeanroy, proponendo la tesi secondo la quale la lirica romanza medievale deriverebbe integralmente dalle canzoni di danza eseguite dalle donne durante le feste di primavera, più precisamente a calendimaggio. Il primo maggio era il giorno tradizionale della libertà e del capovolgimento dei ruoli: rito collettivo di sapore quasi liturgico, regolato da precise convenzioni sociali le cui origini risalirebbero agli antichi Floralia, alle feste pagane celebranti Venere e la fecondità della natura. L’insegnamento delle “kharagat” mozarabiche Nel 1948 il semitista inglese Samuel Stern annunciava il ritrovamento di una ventina di kharagat in dialetto mozarabico contenute in altrettante muwassahat ebraiche. Altre ne sono state scoperte in seguito, tanto che il corpus delle kharagat mozarabiche oggi decifrato ammonta a una sessantina di testi che si riferiscono a muwassahat non solo ebraiche, ma anche arabe, opera di poeti attivi fra la prima metà dell’XI e l’inizio del XIV secolo. Il termine muwassaha (plurale muwassahat) designa un genere di poesia strofica composta in arabo classico o in ebraico, il cui schema di base è del tipo AA, bbbAA(AA). Si riconosce qui il tipo romanzo della “canzone a ronda” (muwassaha significa appunto “cintura”) con ripresa iniziale e stanze suddivise in mutazioni e volte. Presenta evidenti affinità tanto con la lirica dei trovatori più antichi, quanto con la ballata italiana. Quanto al tema, esso può essere indifferentemente amoroso o panegirico. Specifico del componimento è invece il fatto che l’ultimo simt (per noi la volta di chiusa), chiamato appunto kharga [uscita], sia posto in bocca a un personaggio distinto dal poeta. Si aggiunga che il personaggio è per lo più femminile, si tratti espressamente di una fanciulla e che per questo motivo la kharga è solitamente redatta in una lingua distinta da quella del poeta semitico: appunto una lingua non letteraria come l’arabo volgare o il dialetto mozarabico. Grazie all’iniziativa di alcuni poeti semitici viene dunque positivamente documentata la centralità del monologo lirico di fanciulla all’interno della poesia...


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