Riassunti saggi PDF

Title Riassunti saggi
Course Letteratura Inglese II
Institution Università degli Studi di Napoli L'Orientale
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Riassunti Saggi programma Laudando...


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Del Villano, La messinscena dell’interiorità – Hamlet 1.“TO BE” AND “NOT TO BE”: IL NON ESSERE DEL SOGGETTO La celebre battuta di Amleto, “essere o non essere” racchiude il senso della conflittualità più intima del Rinascimento inglese laddove “essere” appare riconducibile all’ordine simbolico, “non essere” è associato al nulla simbolico che racconta la perdita del proprio io su piano semiotico. In altro contesto è proprio la negazione e la mancanza a formare il soggetto rinascimentale. 2. FRA ESSERE E APPARIRE Hamlet si apre in piena notte: sulle torri del castello di Elsinore, due sentinelle, Bernardo e Francisco si scambiano una rapidissima battuta (B: “Chi va là?” F: Rispondi a me, piuttosto. Fermati e fatti riconoscere.) Queste parole introducono due temi principali del play: il primo attiene all’identità e al punto di vista. Barnardo inizia il proprio turno di servizio e interroga Francisco a quale è venuto a dare il cambio. È lì dentro, il sicuro, il già noto a subire la richiesta di definizione del ‘chi’. Invece l’imperativo “mostrati2 segnala il tema dello svelamento, del portare alla luce, vale a dire il passo da nascondimento a rivelazione che Amleto richiedere agli altri, ma al quale egli mai si sottopone. Un altro personaggio chiave in questo gioco tra l’essere e l’apparire è Claudio, fratello del re appena morto, sin dalle prime battute esibisce le sue qualità di politico abile, pronto e generoso verso i cortigiani (Polonio e Laerte) e astuto nel manipolare per farsi breccia nel cuore di Gertrude, riuscendo anche ad ottenere la sua mano. Infatti subito dopo la morte del fratello, palesa una forte preoccupazione per l’avanzata di Fortebraccio, il principe norvegese, il quale spinto da un impulso di vendetta, minaccia la pace del regno danese, ma la vera minaccia, ancora una volta è interna ai confini, non proviene dall’esterno. Alle possibilità di una guerra avevano accennato già nella prima scena Bernardo e Francisco, che tra l’altro eran molto preoccupati della terrificante apparizione di un fantasma, Amleto padre. La figura del fantasma rappresenta lo specchio del protagonista, suo doppio anche nel nome. Marcellus: What, has this thing appeared again tonight? Bernardo: I have see nothing. Rivelante qui è il gioco assonante e antitetico tra le parole “thing” e “nothing”, scelte per identificare la natura del fantasma, collocato in un tempo presente, ma assente, inanimato e umano, vivo e morto. Lo spettro ritorna in realtà per reclamare vendetta del suo assassinio, ma in realtà la figura da vendicatore che personifica, non governa gli eventi, ma rallenta l’azione, la imprigiona in una serie di differimenti, di dubbi, di incertezze. 1

3. LO SPECCHIO DI UNA VERITÀ La triangolazione tra Amleto padre, Claudio e Amleto figlio attivano un meccanismo di rispecchiamenti e identificazioni: Amleto padre in quanto fantasma, rappresenta la perdita di ogni punto di riferimento; Claudio l’inganno e la contraffazione della parola e il giovane principe è chiamato ad interpretare gli eventi in duplice accezione: deve leggere la realtà da attore e recitarla da attore, porsi da un lato come soggetto di uno sguardo indagatore, che deve scoprire una verità esterna e dall’altro rendersi oggetto di osservazione dello sguardo proprio (riflessione) e soprattutto altrui. Fermiamoci ad Amleto. Per fugare ogni dubbio sulla veridicità delle parole pronunciate dal fantasma in relazione al proprio assassinio, Amleto adotta una strategia composita che si muove per due direzioni. La prima è quella di dissimulare i propositi che agitano il suo animo, e dunque il giovane principe deve vestire la maschera da folle, adottando i connotati del fool, ovvero del follesaggio che fonde in sé le sue nature del mondo: la serietà e il riso, il dolce e l’amaro, seguendo una sua logica e un suo proposito. (pagg 170-181)Una scena chiave che ci può aiutare a comprendere il personaggio folle che Amleto inizia a personificare è proprio quella in cui il principe si rivolge a Polonio chiamandolo “fishmonger”. Questa parola ha una duplice accezione come doppia è la persona di Amleto: indica in primo luogo, il pescivendolo e in questo contesto il principe ribalta la gerarchia sociale e morale, collocando Polonio su un gradino più basso rispetto a quello occupato dal pescivendolo, perché non ugualmente retto e onesto. A un secondo livello di lettura, la frase apre la porta al reale obiettivo delle parole di Amleto, ovvero dichiarare la disonestà di Polonio. Giocando sull’altro significato della parola “fishmonger”, cioè “ruffiano”, il principe afferma che è un vero e proprio ruffiano e vorrebbe che almeno fosse onesto. Il passo si chiude con l’allusione a una figlia, “a daughter”, appunto Ofelia. Ma poco prima Amleto cita dei vermi che corrodono la carne morte, “carrion” che sono associati al femminile attraverso il significato gergale “prostituta”, che il termine ha e risultano collegano a “daughter”. Amleto sa della interpretazione che gli altri stanno dando dei suoi comportamenti, così come sa che lo stesso Polonio pensa che la sua pazzia sia dovuta a sofferenze d’amore e non a caso che cita la figlia, per poter sfruttare questa consapevolezza a suo vantaggio. La seconda strada scelta da Amleto nella sua strategia, è quella della messinscena, della duplicazione speculare, come vedremo poco ansi nel play within the play e nel closet scene. Amleto, cogliendo l’occasione offertagli dall’arrivo a Elsinore di una compagnia itinerante di attori, chiede di mettere in scena una rappresentazione intitolata “The Murder of Gonzago”, al cui testo aggiunge alcuni versi da lui stesso composti, nei quali è ricostruito l’omicidio del vecchio re. In scena, Amleto attribuisce a sé il ruolo che nella realtà era stato di Claudio ed è proprio l’introduzione di questa variante che fa trapelare la verità. Claudio rimasto immobile per l’intero atto, ma che balza in piedi e abbandona la sala appena sente pronunciare la parola 2

“nipote”, conferma in Amleto i dubbi circa l’apparizione del fantasma. Claudio immediatamente capisce che Amleto non è solo a conoscenza delle dinamiche dell’omicidio, ma che si sta dichiarando pronto ad agire nell’ombra in uguale maniera. Lo specchio della realtà si trasforma in uno specchio magico che consente di leggere tanto la menzogna del passato quanto l’annuncio di un minaccioso futuro. La messinscena teatrale continua nel closet scene, dove Amleto persegue l’obiettivo di indagare la coscienza di Gertrude per far emergere in lei la consapevolezza dell’abominio commesso (non a caso il dramma rimane ambiguo sia rispetto alle motivazioni che hanno indotto la regina al secondo matrimonio, sia riguardo al suo eventuale coinvolgimento nell’omicidio). Amleto le pone dinanzi agli occhi uno specchio rivelatore, in cui sarà possibile guardare la parte più segreta e oscura del suo sé, “the inmost part of you”, uno specchio che non sarà materiale, in cui osservare la propria immagine, ma le mostra invece, due miniature recanti del effigi del vecchio re e di Claudio. Si tratta di uno specchio medievale, in cui il penitente scorgeva riprodotta non la propria sembianza ma figurazioni della morte, come ammonimento morale. Al padre, descritto in termini mitologici ed equiparato a un dio, nobile e forte, si contrappone la figura di Claudio (“a mildew’d ear”), descritto con parole che rimandano all’area semantica della corruzione e della putrefazione, a connotare la bruttezza fisica e morale di un uomo che infetta tutto ciò che lo circonda. Amleto impone la maschera del proprio giudizio morale, così che costretta a guardare attraverso gli occhi del figlio, Gertrude vedrà ci che egli vuole che veda, e sarà questa consapevolezza riflessa a far scattare il senso di colpa.

4. SGUARDI NELLO SPECCHIO Sia il play within the play che la closet scene forniscono due esempi di strategie ‘speculari’ messe in campo da Amleto per arrivare alla verità ed entrare nello spazio dell’interiorità di Claudio e Gertrude, spazio in cui albergano il segreto dell’omicidio (Claudio) e la coscienza di un comportamento immorale (Gertrude). È lo specchio-Amleto a determinare i modi di rappresentazione e quindi a illuminare un particolare riflesso. È Amleto che ricostruisce in scena l’omicidio del vecchio re, mettendo alle strette Claudio con una minacciosa differenza nel racconto degli eventi: l’apparizione di Amleto stesso nelle vesti di Lucianus. Lo sguardo con cui vediamo la vicenda e con cui lo fanno gli stessi personaggi, come Claudio e Gertrude è quello di Amleto, ma mentre si pone come uno sguardo oggettivo e centrale, per ottenere una verità alternativa a quella ingannevole data in superficie, è costretto a modificare di continuo la prospettiva da cui osservare la realtà. Il pensiero di Amleto diventa così complesso: parte dall’iniziale affermazione di non conoscere. L’apparizione del padre gli rivela il segreto del regicidio, segreto che Amleto decide di verificare personificando diversi ruoli. Il sembrare diventa l’unico canale attraverso il quale si può giungere a una verità impossibile. Infatti Amleto, oltre che soggetto di una percezione 3

rivelatrice, è anche oggetto dello sguardo altrui, che egli utilizza come immagine riflessa del proprio sé. Amleto pure nasconde, ovvero, è un mistero da interpretare. Irriconoscibile, pazzo di una pazzia dalle motivazioni oscure, Amleto agli occhi di Ofelia incarna ciò che il fantasma era stato per il giovane principe: una visione enigmatica, sul margine tra due mondi diversi, addirittura un essere appena tornato dall’inferno per descriverne gli orrori. Ma Amleto stesso come si vede? Guardarsi dentro, ossia specchiarsi, consiste per lui nella teatralizzazione del sé: le parti che recita sono i ruoli di malinconico, figlio affezionato, ambizioso erede al trono, innamorato deluso, vendicatore. Tale teatralizzazione risponde al tentativo di catturare più visioni possibili nello specchio degli sguardi altrui: più Amleto si propone come un mistero, più l’attenzione degli altri sarà appuntata su di lui e meno saranno i sospetti che cadranno sulle sue vere intenzioni. In conclusione, da ciò si evince che tutto ruota intorno al sembrare e apparire. L’essere allora non si pone semplicemente in opposizione all’apparire; la “cosa” che sta per l’interiorità non esiste che come differenza rispetto a ciò che appare.

De Filippis, Teatro come sperimentazione 1. Il teatro di Shakespeare: generi e sperimentazione (Pagg 13 a 21) Vedi sbobine iniziali > novità teatro shaskepeariano. 2. La scrittura storica La distinzione dei drammi di Shakespeare nelle diverse forme teatrali va dunque intesa come una semplice convenzione. Una prima grande rielaborazione di genere viene offerta dalle histories, un tipo di dramma che rispecchia una realtà storica imprescindibile e immodificabile, ma che pure viene rivisitato da Shakespeare al fine di suggerire riflessioni sulla contemporaneità grazie ad elementi meta teatrali che tende a riportare di continuo il pubblico alla ‘realtà della finzione’ teatrale e, quindi, alla realtà della via, suggerendo così impliciti confronti con l’attualità storica. L’esempio più calzante è rappresentato dal Coro in Henry V (1599) che apre ciascun atto richiamando i problemi della messa in scena di eventi complessi, ad esempio i grandi campi di battaglia su cui si scontrano interi eserciti e invitando il pubblico a sopperire con l’immaginazione alla povertà delle tecniche della rappresentazione teatrale. Si tratta di quello che potremo definire “patto teatrale” in cui vengono esplicitate certe convenzioni. Shakespeare, di fatto, sta qui discutendo le teorie del teatro, sta affermando la libertà del drammaturgo di muoversi su una scena non naturalistica su cui poter proiettare una creazione artistica svincolata da “regole”. Il Coro assume dunque diversi ruoli: quello da commento critico-morale dei contenuti; sostituisce il racconto in quei momenti difficili da mettere in scienza, interrompendo così la rappresentazione e ristabilendo la distanza critica negli 4

spettatori; infine il Coro esplicita precise corrispondenze con il presente della realtà storica, giungendo talvolta ad anticipare il futuro, con delle supposizioni. Ne è di esempio il Coro di Henry V in cui si celebra il ritorno trionfale del re paragonandolo da una parte al grande generale romano, Cesare, e dall’altra all’altrettanto trionfale ritorno del conte di Essex dell’Irlanda, ove era stato inviato dalla regina per domare una ribellione. Ma quella di Shakespeare è solo una supposizione, come è oggi noto il Conte di Essex non riuscirà nell’impresa e il suo ritorno a Londra dopo sei mesi sarà tutt’altro che trionfale. Questo tipo di intervento ricorre anche nella parte conclusiva di Henry VIII (1613) con la predizione di Cranmer, vescovo di Canterbury, il quale, battezzando la neonata Elizabeth, ne annuncerà la grandezza, anticipandone persino il regno del suo successore, James I. Henry VIII, un dramma scritto in collaborazione con John Fletcher, si differenzia profondamente dagli altri drammi storici collocandosi fra history e romance. La “storia” di Henry VIII, infatti, si arricchisce e si colora di quegli elementi tipici della scrittura shakespeariana dell’ultima fase quale i sogni, le apparizioni, le profezie, e soprattutto, a differenza della maggior parte delle histories, si conclude con un senso di rinascita e forte positività che viene esaltato e celebrato con la cerimonia del battesimo di Elizabeth. Ritorna il discorso meta teatrale che non affiora soltanto nei versi affidati ai Cori ma spesso, viene usato dai personaggi per mettere a confronto due realtà, quella scenica e quella della vita. L’uomo viene sovente paragonati all’attore e la vita giunge a essere identificata con la rappresentazione teatrale. Nella scrittura storica fra i tanti esempi si può ricordare in Richard II (1595) il re sconfitto e il vincitore, Bolingbroke, vengano paragonati ad attori il cui successo dipende spesso dal mutevole atteggiamento degli spettatori. La creatività e personalità artistica di Shakespeare sta anche nel presentare le figure del re inglesi con grande libertà. In Henry V, ad esempio, anziché mostrare un monarca pieno di virtù, buono e amato da tutti, giusto e magnanimo come lo voleva la tradizione, la figura che emerge è quella di un re ambiguo, un uomo imperfetto, umano, un modello più aderente a quello proposto da Machiavelli. Le histories, inoltre, presentano in maniera esemplare quella teoria del “doppio corpo del re”, quella dicotomia tra ricoprire un ruolo regale, pubblico e politico ed avere un sentire umano privato e intimo. Henry VI è quello che più di altri mostra le sue umane debolezze; egli infatti appare spesso, inetto, debole e titubante, addirittura desideroso di confondersi con gli umili pastori piuttosto che guidare regni. La scrittura storica viene dunque affrontata da Shakespeare in termini innovativi, dove la storia viene riletta attraverso lo sguardo del teatrante, mostrando i tanti percorsi della mente e della natura mana e della realtà contemporanea con l’uomo che ne fa da protagonista. 3. La scrittura comica

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La produzione comica shakespeariana viene distinta in quattro raggruppamenti: le early comedies, le romantic commedie, i problem plays e i romances. La sperimentazione nella commedia shakespeariana sta proprio nella grande maestria di far confluire spunti tratti da opere spesso molto distanti: la commedia plautina, la novellistica italiana, il folklore medievale, la commedia cortese e quella romanzesca. È questo il caso di The Comedy of Errors (1593) , una tipica commedia plautina in cui Shakespeare osa a mescolarvi una fonte narrativa di tutt’altro torno, la storia di Apollonio di Tiro, derivata dal poema di John Gower, Confessio Amantis (1390) . La storia narrata da Gower viene infatti utilizzata per costruire una sorta di cornice romanzesca dal tono decisamente tragico che racchiude la vivace “commedia degli equivoci” di ispirazione plautina. Essa viene messa in scena dopo un breve monologo dal tono pre-amletico in cui Antipholus di Siracusa riflette sulla propria identità spezzata, al termine del quale l’ingresso di Dromio di Efeso sposta inesorabilmente il tono verso il comico, dando luogo al primo dei tanti equivoci che si susseguiranno. Antipholus di Siracusa è così costretto ad abbandonare gli atteggiamenti da eroe tragico per diventare il protagonista di una commedia brillante e ricca di eventi esilaranti, provocati da un susseguirsi di scambi di persone e delle loro identità; ma il senso continuo di confusione dell’individuo e di smarrimento in un mondo che non si riconosce più e nel quale non si viene riconosciuti pervade l’atmosfera ridimensionando in senso problematico anche i momenti di maggiore comicità. In Shakespeare persino gli happy endings propongono ardite trasgressioni alla tradizione comica e non sempre sono accompagnate dal suono di note festose. Ne è il caso Love’s Labour’s Lost (1594), una commedia decisamente brillante e divertente, con un finale alquanto inaspettato, dove l’allegria della danza “pre-matrimoniale” viene rotta d’improvvisa dalla burrascosa notizia della morte del re di Francia, che porta alla separazione delle coppie, quasi un ritorno alla vera realtà. Al finale lieto rimane una commedia di fatto inconclusa, un’abitudine che Shakespeare manterrà anche nelle sue altre opere per consentire agli spettatori una riflessione critica sui problemi dell’esistere. La scrittura comica dà ampio spazio di sperimentazione per quanto concerne in particolare alla realtà meta teatrale. Questo aspetto è il cardine su cui ruota quella che è probabilmente la prima commedia di Shakespeare The Taming of the Shrew (1593), tutta costruita sul gioco del : Shakespeare apre il testo con una induction che definisce le regole e stabilisce le convenzioni di quel “patto drammatico” fra attori e spettatori. Una compagnia di attori, infatti, metterà in scena una rappresentazione dal titolo The Taming of the Shrew dinanzi a un povero calderaio cui viene fatto credere di essere un ricco e importante signore. Il gioco del < teatro nel teatro> ritornerà anche in A Midsummer Night’s Dream (1595). Alcuni critici la pongono fra le early commedies, Frank Kermode la considera “a twin of Romeo and Juliet”, altri critici le attribuiscono un ruolo cruciale verso la commedia romantica per la maturità del linguaggio. Marcello Pagnini, ad esempio, ha suggerito come i quattro intrecci rappresentino altrettante diverse tradizioni teatrali: quella classica delle nozze di Theseus e 6

Hippolyta, quella romatico – romanzesca relativa alla fuga dei quattro giovani ateniesi, la farsa plautina di tipo realistica rappresentata dalla recita degli artigiani, infine, il masque e la tradizione popolare medievale con le magiche creature del bosco. La commedia si apre con un tono grave e drammatico su problematiche quali la giustizia/rigore della legge, l’autorità paterna, la fedeltà e la lealtà nei rapporti d’amore e di amicizia. E nel bosco incantato ritorna l’incanto del gioco del teatro nel teatro con lo scambio di ruoli fra gli innamorati, con le magie ‘teatrali’ di Oberon e Titania. Anche nella parte conclusiva viene ribadito la centralità del gioco teatrale: il mondo dello spettacolo viene celebrato con la recita preparata dalla variopinta compagnia Quince e Bottom, mentre il breve epilogo di Puck ricorda al pubblico quanto la natura del teatro sia evanescente come il sogno, come la stessa vita. In conclusione, i protagonisti della commedia shakespeariana vivono le loro vicende, liete ma complesse e anche dolorose. Dal resto complicità e tragicità spesso non sono che prospettive diverse con cui si guarda la stessa realtà e dunque vita, in questo senso che il teatro si fa palcoscenico del mondo perché ne coglie ogni aspetto bello e brutto. 4. Dalla scrittura problematica alla scrittura tragica Se nelle early e romantic commedie il risvolto comico e romantico predomina attraverso corteggiamenti, travestimenti, finali lieti, vicende d’amore e altri elementi tipici, nella scrittura ‘comica’ successiva, emerge la meschinità umana ed elementi più cupi. Ne sono esempio Measure for Measure e All’s Well ThaT Ends Well (1604), che non possono essere considerate né tragedie per l’assenza di grandi protagonisti dalla statura eroi...


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