Riassunto - Costruzioni rettilinee e costruzioni a spirale nel Don Chisciotte - Letteratura spagnola ii PDF

Title Riassunto - Costruzioni rettilinee e costruzioni a spirale nel Don Chisciotte - Letteratura spagnola ii
Course Letteratura spagnola ii
Institution Sapienza - Università di Roma
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riassunto del saggio di cesare segre...


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Costruzioni rettilinee e costruzioni a spirale nel Don Chisciotte a) L’immagine che più rappresenta il Don Chisciotte è quella dell’allampanato cavaliere che lento cavalca nei secoli dietro il suo scudiero tondo e proverbioso. Filosofi, critici e pubblicisti continuano a esaltarsi intorno a questi simboli: la cieca fede in un ideale che resiste a qualunque oltraggio e smentita; buon senso, concretezza anche ingrata del reale. Questa trasformazione in simboli fa sì che Cervantes rientri fra i creatori dei personaggi senza morte (Amleto, Madame Bovary). Ci sono due affermazioni preliminari riguardanti la natura del rapporto tra Cervantes e la sua opera: 1. Consapevolezza critica: prototipo del romanzo-saggio 2. La stesura segue le frecce del tempo. Le due parti del romanzo sono separate da un decennio; nella prima parte sembra voler chiudere i conti pur accennando ad un eventuale proseguimento. Nel 1614 Avellaneda porta a termine la seconda parte del romanzo, ma la seconda parte del don Chisciotte autentico diventa difesa e apologia. Produce un’immagine di applicazione critica. Episodi critici più ampi: 1. Inventario della biblioteca dell’eroe, fatto dal curato e dal barbiere. 2. Conversazione tra il canonico e il curato, mentre riportano a casa il cavaliere, convinto di essere incantato. Tutto il romanzo è caratterizzato da discorsi e giudizi letterari. Capitolo 9, I = preteso ricorso al manoscritto di Cide Hamete Benengeli che pare esaurirsi con la fine della prima parte (I, 52) dove si accenna a successive avventure. Nella seconda parte Cide Hamete Benengeli riappare senza spiegazione come unica fonte del racconto. Quest’espediente di fonte fittizia usata come falsa testimonianza di veridicità fa sì che scherzosamente venga data la responsabilità di ciò che è narrato a un miscredente e mago. Vi è uno sdoppiamento dello scrittore, immagine che coincide con la crisi tra Rinascimento e Barocco. b) Don Chisciotte e Sancho Panza dominano la storia. Il romanzo a schidionata è spesso interrotto da inserti narrativi, ovvero da dei tagli verticali nell’orizzontalità della storia. Questa tecnica è però diversa dalla modalità di inserzione che consiste in una partecipazione spesso occasionale. Nella seconda parte gli inserti sono più brevi e tutti collegati con la trama principale. Per la prima volta Don Chisciotte e Sancho sono separati. Il Don Chisciotte assomiglia al romanzo picaresco per la sua struttura a schidionata (episodi all’infinito) e per il tema “ricerca di impiego” che per il protagonista si trasforma in “ricerca di imprese eroiche”. Gli inserti di origine cavalleresca si appendono al filo del racconto ma non si intrecciano con quest’ultimo. Di rado i personaggi degli inserti si trovano sulla strada di Don Chisciotte. Vi è un’alternanza paritetica tra Don Chisciotte e Sancho: entrambi provano disagio durante le separazioni. Gli inserti di origine cavalleresca non sono funzionali per la trama ma per la tematica del romanzo. Hanno un elemento comune: l’amore. Appartengono al genere pastorale o sentimentale, tranne la storia del prigioniero che è una storia di avventure. Tanti amori colmano il vuoto di sentimenti lasciato dal culto di Don Chisciotte per Dulcinea. La concezione dell’amore che ha Don Chisciotte va al di là del cosiddetto paradosso dell’amor cortese: egli esclude ogni cedimento alla galanteria, stesso estremismo nella concezione dell’avventura che dev’essere solo gratuita e solo ispirata dal desiderio di

gloria. Sguardo di Don Chisciotte = verso mete sognate; sguardo dei personaggi = si muove su persone e cose. Sentimento di Don Chisciotte =immobile nella sua autosufficienza; sentimento degli altri = pronto ad accensioni di passione, di gratitudine, di vendetta. Gli inserti narrativi esprimono l’esigenza della realtà. I personaggi degli inserti appartengono al piano della realtà fissato dall’autore. Gli inserti nel romanzo rappresentano un’altra realtà ovvero quella dello spessore sociale. Nella prima parte il cavaliere incontra persone di ceto e di istruzione inferiori a lui. Nella seconda parte vi sono personaggi altolocati come il Duca o Don Antonio Moreno. La società signorile non ha bisogno di andare da Don Chisciotte ma è lui che va presso di lei accettandone l’ospitalità e le condizioni. c) Gli inserti hanno ancora un’altra funzione. Il Don Chisciotte è come una galleria di generi letterari: il romanzo cavalleresco, anche se in forma parodistica; il romanzo pastorale; il romanzo d’avventura; il romanzo picaresco; poesia d’amore, elemento comune degli inserti. La storia può essere vista come il tentativo di mescolare diversi generi letterari ma nel Don Chisciotte questa mescolanza è una sospensione che lascia le sue componenti immutate. Il ricorso ad altri generi letterari mira a neutralizzare l’opposizione nobile/volgare. Ciò che caratterizza il modo di procedere di Cervantes è la dialettica di intuizioni geniali e di calcoli attenti, di libera invenzione e di controllo critico. Calcoli e controlli appartengono all’ambito del Rinascimento; invenzioni e intuizioni puntano verso l’incombente Barocco. È significativo che nella seconda parte la deformazione della realtà è attribuita alla fantasia dei suoi interlocutori e non più alla follia del cavaliere. La deformazione del reale era dapprincipio frutto di una mente ammalata mentre invece ormai è atto ripetibile e definibile. Lo schema a spirale individuato nei rapporti tra scrittore, personaggio, “primo autore” (Cide), opera, riappare nei rapporti tra realtà, verisimiglianza, sogno e invenzione di nuove realtà. Due spirali che permettono una moltiplicazione di prospettive e una dissimulata sorveglianza. d) Condannando alla follia il suo protagonista, Cervantes ha in mente un preciso disegno polemico che negli anni 1605-1615 era attuale sia per la fortuna del romanzo cavalleresco sia per le condanne pronunciate in nome del gusto e della religione. Cervantes disapprova i romanzi cavallereschi per l’ignoranza da parte dei loro autori, della norma aristotelica del verosimile, dunque l’offesa alla realtà e per lo stile. La colpa di Don Chisciotte non è di leggere i libri di cavalleria ma piuttosto di crederci o che le avventure narrate siano ancora possibili. Nella sua follia Don Chisciotte ha dei modelli e degli schemi di comportamento che gli servono per decidere in rapporto alle situazioni ma soprattutto per creare le situazioni. Don Chisciotte ha un intento preciso ovvero esaurire la gamma di possibilità delle avventure del cavaliere errante, il cui ordine è considerato puramente casuale. Vi è un elenco di “possibili” ognuno dei quali è un “episodio”. Don Chisciotte ha fatto una formalizzazione dei “possibili” cavallereschi: (I,21) Don Chisciotte racconta a Sancho gli episodi tipici di una vita di cavaliere e questi diventano poco a poco una storia accaduta. Cervantes stigmatizza la confusione della letteratura con la vita. I romanzi cavallereschi essendo romanzi d’azione avevano più possibilità di mistificare il lettore ma la sua follia sarebbe nata lo stesso se si fosse trattato per esempio di romanzi pastorali. Don Chisciotte è intriso di letteratura; (I,2) si fa storico di sé stesso. Non solo la letteratura viene confusa con la vita ma precede la vita stessa. Questa confusione significa confondere l’ideale con la sua esplicazione materiale. E Don Chisciotte, nonostante si faccia portavoce di giustizia, non fa che aggravare le situazioni di coloro che vuole aiutare e violare le leggi del vivere civile. Di qui l’atteggiamento bivalente di Cervantes nei confronti del suo eroe: condivide il suo sogno eroico e generoso

ma considera la sua follia, cioè l’alienazione dalla realtà, il demandare a modelli letterari le modalità di attuazioni che tempi, luoghi e opportunità dovrebbero suggerire. Le cose a cui Don Chisciotte crede sono nobili ma gli manca la capacità di commisurarle alla realtà. Secondo Cesare Segre la pazzia di Don Chisciotte è incrinata e vacillante e che la sua fede sia soprattutto volontà di credere. Ma è chiaro che questa volontà è ostacolata dalla realtà. Don Chisciotte un preciso procedimento logico per il ribaltamento illusione/realtà: la tesi dell’incantatore. Non è il cavaliere ad aver confuso i mulini per giganti ma è l’incantatore ad aver fatto apparire i giganti come mulini a vento (I,8). Non è la sua fantasia che compromette la realtà ma è l’incantatore che la restringe e immiserisce. Il personaggio di Cardenio si muove quasi a specchio di Don Chisciotte, o lo anticipa: entrambi hanno in comune la passione per i romanzi cavallereschi, entrambi hanno una follia alternata da momenti di saggezza, entrambi partecipano alle vicende dei romanzi cavallereschi e così via. L’unica differenza è che la pazzia di Cardenio è ottenebrante e bestiale mentre quella del cavaliere è una pazzia di secondo grado, lucida e raziocinante. È evidente il cambiamento che subisce Don Chisciotte: nella prima parte del romanzo le avventure nascono in genere dall’incontro fra un’occasione-stimolo e l’immaginazione dell’eroe. La schematizzazione delle situazioni tipiche del romanzo cavalleresco fa di Don Chisciotte un inventore di situazioni; lo scacco è determinato dall’assoluta estraneità e incomparabilità della situazione reale con quella letteraria. La prima parte del testo è il racconto di come l’eroe NON sia diventato un eroe di romanzo di cavalleria; ma è anche la storia della nascita del romanzo di Cervantes. Il contesto seconda parte è profondamente mutato da questo elemento: tutti i personaggi conoscono la prima parte del romanzo. Le nuove vicende del cavaliere sono influenzate dalla conoscenza letteraria delle precedenti e altrettanto veritiere. Vi sono cosi due tipi di libri: quelli cavallereschi (bugiardi) dominanti sull’intelligenza e sull’azione di Don Chisciotte, e il romanzo di Cervantes (veritiero, storico). Nella seconda parte il cavaliere è più sicuro di sé e anche il suo linguaggio è più sicuro e uniforme. Poiché si trattava di un pazzia trasfigurante, Don Chisciotte non riesce più a trasformare la realtà come prima. Nella prima parte Don Chisciotte si ingannava, nella seconda viene ingannato. La parabola da pazzia trasfigurante a pazzia organizzata segue l’arco narrativo costituito dalla prima e dalla seconda parte del romanzo. Se ciò è vero, Don Chisciotte non è solamente un personaggio mitico o comico ma anche tragico. e) Vi è un rapporto di complementarietà tra Don Chisciotte e Sancho. Il buonsenso di Sancho sembra essere accostato alla pazzia di Don Chisciotte secondo alcuni, mentre secondo altri è la pazzia del cavaliere ad essere ripresentata in Sancho a un livello più umile. La loro particolarità è proprio questa intercambiabilità che conferma la natura alternativa dei due caratteri. Don Chisciotte segue la linea follia-saggezza mentre Sancho la linea credulitàbuonsenso. Sancho rimane costante nella sua tendenza a materializzare: le impennate della sua fantasia riguardano i concreti vantaggi del governo e dell’isola che il suo cavaliere gli ha promesso mentre il suo buonsenso non rifugge dalla venalità e dagli imbrogli. Vi è una specie di mimetismo tra lo scudiero e il suo cavaliere: la “chisciottizzazione” di Sancho: non solo assimila a modo suo il linguaggio cavalleresco ma si impossessa anche dei meccanismi interpretativi di Don Chisciotte. Lo scudiero diventa il primo e principale ingannatore del cavaliere, ma i suoi inganni hanno altra natura rispetto per esempio al Duca e ad Antonio Moreno. Sancho inganna per scansare fastidi che considera ingiusti o eccessivi; il suo inganno è un’eccezione alla fedeltà. L’isola da governare rappresenta la fede nella restaurazione della cavalleria errante, fede che parrebbe solo di Don Chisciotte ma che è anche grossolanamente anche di Sancho. Il mutamento di Sancho si

realizza sul polo del buonsenso: perché il buon senso si rivela, specialmente nella seconda parte, vera e propria saggezza, una saggezza che ha le sue auctoritates. Sancho ha modo di esercitare la sua saggezza in modo sovrano durante il governo dell’isola di Barataria. Sancho viene accostato all’immagine del gracioso, colui che riesce a dire verità profonde anche sgradevoli accentuando un’originale tonteria. Rappresenta la realtà naturale ignorata dai cerimoniali della convivenza aristocratica; o, anche, la saggezza del popolo contrapposta alla cultura e ai suoi infingimenti. È stato poi il teatro a valorizzare e caratterizzare linguisticamente le possibilità del rustico-sapiente, del buffo che ridendo rivela le profondità, o giudica il mondo. Il Don Chisciotte però è un caso a parte. f) Cervantes non assume mai un punto di vista preferenziale ma fa sì che le persone, o i loro atteggiamenti o i mezzi d’espressione rinviino l’uno all’altro come specchi rotanti che ci fanno turbinare intorno a realtà e fantasia, verità e menzogna, tragedia e commedia, ironia e poesia. Secondo Spitzer vi è una forma di prospettivismo: le cose vengono rappresentate nel romanzo non come sono, ma come ne parlano i personaggi che entrano in contatto con esse; grazie a questo metodo Cervantes ha rappresentato le diverse sfaccettature della realtà dei contatti umani. Cervantes controlla tutto, ogni personaggio e ogni sua azione, celebrando cosi la sua onnipotenza di creatore. Si è visto come i caratteri di Don Chisciotte e Sancho insieme all’ambiente circostante si siano trasformati durante la stesura del romanzo o meglio nel passaggio dalla prima alla seconda parte. Il prospettivismo sussiste anche a quello dello scrittore che sdoppiandosi trasferisce a un livello ulteriore (quello del lettore) il dilemma fiducia/sfiducia (Cide Hamete), e lo correda di dubbi invece che di certezze. Cosi anche la polarità follia/saggezza viene trasferita dal protagonista allo scrittore e al lettore. Resta comunque che non vi è alcun distacco tra l’autore e il personaggio, ma il personaggio non è nemmeno il portavoce dell’autore. Don Chisciotte è un prolungamento dell’esperienza intellettuale di Cervantes: per suo tramite, lo scrittore si concede assaggi spericolati in ambiti inaccessi e dubitosi. Cervantes sembra ancora legato al canone descrittivo del Rinascimento, in cui campeggia il locus amoenus della tradizione classicheggiante. Ma quando la scena è occupata da Don Chisciotte, l’aria limpida è offuscata da banchi di nebbia; sono frequenti ambienti notturni popolati da torce simili a fuochi fatui, o biancheggianti dei fantasmi di incappucciati. Spesso la natura si annuncia solo con i suoni, a volte rumori paurosi, in mezzo alle tenebre, o con silenzi sospesi. Si riconosce subito il contrasto tra una visione rinascimentale e una barocca. Temi ricorrenti: l’età dell’oro, il buon governo, la concordia delle qualità fisiche, morali e intellettuali. Il barocchismo del romanzo è prodotto dalla follia del cavaliere. Nel I,16, (Maritornes) una seria di equivoci producono il passaggio immediato dal realistico al bizzarro al grottesco. Tutto si deforma come in preda a uno straniamento che prima non si sa, poi non vuole concludersi nella banalità del reale. In particolare nella seconda parte del romanzo, l’ambito dell’avventura si dilata, varcato il perimetro quasi casalingo, il cavaliere avanza sulle terre di Spagna lanciandosi, con la fantasia, in voragini fuori del tempo umano, in navigazioni oltre l’equinozio, in cavalcate astrali. La metafora teatrale domina tutta la seconda parte del romanzo. Le tre avventure teatrali si svolgono entro l’esperienza di Chisciotte e degli altri. S’individua un altro spazio: sono gli stessi Don Chisciotte e Sancho a trovarsi sul palcoscenico fra attori che mirano solo a implicarli nella recita. Le beffe sono inscenate dal Duca e dalla Duchessa, mentre Don Chisciotte e Sancho sono divenuti inconsapevoli personaggi della rappresentazione. All’inizio Don Chisciotte era vittima delle proprie fantasie, il mondo si raddoppiava nell’illusione. Alla fine Don Chisciotte è sottoposto alla fantasia altrui. Il mondo è sfuggente perché illusorio. Cervantes sembra imporci questa visione della vita come teatro: un teatro non più

dominabile ma condizionante. Di nuovo ci si presenta uno schema a spirale: Cervantes sembra riconoscere l’esistenza di punti di riferimento e metri campione esterni all’esperienza vitale: c’è pazzia, saggezza, menzogna e verità. La vera nobiltà di Don Chisciotte si trova attorniata da elementi di estrazione sociale molto assortita, nel suo muoversi tra regioni e ambienti della Spagna secentesca. Inventando la figura di Don Chisciotte, Cervantes ha mostrato di saper cogliere la crisi in cui la Spagna stava piombando, ma anche di avvertire che a lui scrittore mancavano proposte alternative, utopie stimolatrici. L’utopia di Don Chisciotte guarda al passato, assolutizzando valori non ripetibili. Cervantes rifiuta l’utopia ma accetta l’assolutizzazione. Quando parla da senno, Don Chisciotte è in un certo senso portavoce di Cervantes. La mutevolezza di Don Chisciotte permette a Cervantes di osservare e giudicare il mondo del suo tempo con tutte le lenti possibili. La pazzia di Don Chisciotte è un’illusione confortante ma la maggiore sconfitta di Don Chisciotte sta nell’essere rinsavito....


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