Riassunto DEL Manuale DI Diritto Commerciale PDF - sesta edizione campobasso PDF

Title Riassunto DEL Manuale DI Diritto Commerciale PDF - sesta edizione campobasso
Course Economia aziendale
Institution Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro
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RIASSUNTO DEL MANUALE DI DIRITTO COMMERCIALE SESTA EDIZIONE MARIO CAMPOBASSO (VOLUME UNICO)

A CURA DI

ERICA SPARACINO & NOEMI ROSAVALLE

Introduzione 1. Il diritto commerciale Gli artt. 41 e 42 della Cost. riconoscono, il primo la proprietà privata ed il secondo, la libertà di iniziativa economica, inserendo in nostro Paese tra quelli che scelgono un modello di sviluppo economico basato sull’economia di mercato. Ciò presuppone: a)libertà dei privati di produrre e distribuire quanto necessario per soddisfare i bisogni materiali della collettività, di svolgere cioè attività di impresa, b) libertà di competizione economica. Si tratta di libertà relative poiché strumentali alla realizzazione del benessere collettivo e perciò coordinate e controllate dagli interventi dei pubblici poteri. Tali interventi sono disciplinati sia dal diritto pubblico che dal diritto privato. Il diritto privato opera mediante le norme del codice civile del ’42 e le leggi speciali che riguardano sia i singoli rapporti economici in cui si sviluppa l’attività d’impresa, sia l’attività di impresa unitariamente considerata (gli imprenditori sono assoggettati ad uno statuto professionale, col fine di rendere efficiente il funzionamento delle singole imprese). Il diritto commerciale moderno è quella parte di diritto privato che ha per oggetto e regola l’attività e gli atti di impresa, non è quindi solo il diritto privato di commercio e commercianti, poiché le imprese giuridicamente commerciali non sono solo quelle dedite al commercio (lo sono anche quelle assicurative, bancarie e industriali, ma no quelle agricole). Tale settore di diritto privato si continua ad etichettare come diritto commerciale essenzialmente per ragioni storiche.

2. Evoluzione storica del diritto commerciale Un sistema organico di diritto commerciale si ebbe solo verso la fine del Medioevo (XII sec.), epoca in cui tramonta il sistema feudale (le città si organizzano in liberi comuni e, per la difesa dei propri interessi, artigiani e mercanti danno vita a diverse corporazioni di Arti e Mestieri). Tale diritto era distinto dal diritto comune, e nasce dall’esigenza del ceto mercantile di una giustizia agile e rapida, resa secondo gli usi mercantili e non in base al diritto comune. La soluzione delle controversie tra mercanti è affidata ai consoli che decidono secondo regole consuetudinarie ispirate all’equità, alla tutela del credito e allo svincolo dalla rigidità contrattuale del diritto comune. Tali regole vengono trasfuse negli statuti delle corporazioni e la loro applicazione viene progressivamente estesa: inizialmente a chi esercita la mercatura, successivamente anche alle controversie mercantili tra mercanti e non mercanti. Si sviluppa così il diritto professionale dei mercanti contrapposto al diritto comune. Nascono nuovi contratti, nuovi istituti, forme associative tipiche per l’esercizio in comune di attività mercantile ed il fallimento. È questo il diritto commerciale delle origini: un diritto speciale perché dotato di proprie fonti (statuti mercantili) e propri organi di giustizia. Tale diritto si diffonde in ogni zone dell’Europa continentale sicché il diritto commerciale delle origini è diritto internazionalmente uniforme.

La successiva evoluzione del diritto commerciale è caratterizzata dalla progressiva perdita del carattere originario di diritto creato dal ceto mercantile e dalla progressiva espansione nel suo ambito di applicazione. Con le scoperte geografiche del ’400 e del ‘500, con la formazione in Europa degli Stati monarchici e l’affermarsi della politica interventista dello Stato nella vita economica (c.d. periodo mercantilista) si segna la fine dell’autonomia normativa delle corporazioni mercantili. Il diritto commerciale diventa diritto statale e nazionale, poiché l’attività economica è concepita come strumento di accrescimento della potenza dello Stato e di espansione coloniale, ed in questo periodo nascono i prototipi della moderna società per azioni e le borse valori. Nell’800, dopo la rivoluzione francese, nasce lo Stato liberale e vengono emanati due distinti codici di diritto privato: il codice civile che regola i rapporti civili, e il codice di commercio che regola gli atti di commercio e l’attività dei commercianti. Con l’invenzione della macchina a vapore e la meccanizzazione dei cicli produttivi (rivoluzione industriale), si ebbe il tramonto di artigiani e mercanti e insorsero come primi attori i banchieri e gli industriali. La categoria giuridica dei commercianti non è più costituita sola dai mercanti, infatti è commerciante chiunque operi abitualmente nel campo della produzione e della distribuzione (industriali e banchieri), con la sola eccezione di artigiani ed agricoltori. Il D.C. regola la maggior parte dei rapporti sociale domina lo svolgimento dell’intero ciclo economico, prevalendo sul diritto civile. La duplicazione delle fonti di diritto privato (cod. civ e cod. comm.) è finita con la riforma legislativa del 1942 (unificazione dei codici). Ciò porta all’ultima tappa evolutiva del D.C., caratterizzata da: a) L’imprenditore commerciale sostituisce il commerciante b) Il c.c. del ’42 introduce una nozione generale ed unitaria di imprenditore, che ricomprende ogni forme di impresa (anche ‘impresa agricola, artigiana e pubblica) c) Unificazione del diritto delle obbligazioni e dei contratti Con la caduta del regime fascista, la Costituzione del ’48 ha ribadito la libertà di iniziativa economica privata e ha fissato nuovi valori da tutelare. L’attività economica pubblica, si è dapprima sviluppata ed articolata in forme molteplici, mentre a partire dagli anni ’90 si ebbe un’inversione di tendenza con la privatizzazione di molte imprese pubbliche e le novità legislative hanno coinvolto quasi tutti i settori del D.C.: a) Il diritto degli atti di impresa si è arricchito di nuovi strumenti legislativi (contratti di leasing, factoring, franchising) b) Si accentua l’uniformità sovranazionale del D.C. a seguito dell’ampliamento dei mercati e dei rapporti commerciali internazionali

PARTE PRIMA L’IMPRENDITORE

Capitolo primo L’imprenditore 1. Il sistema legislativo L’art. 2082 c.c. da una definizione generale della figura dell’imprenditore , ma la disciplina non è uguale per tutti gli imprenditori. Infatti, il c.c., distingue diversi tipi di imprese e imprenditori in base a tre criteri: a) Oggetto dell’impresa (imprenditore agricolo [2135] VS imprenditore commerciale [2195])

b) Dimensione dell’impresa (piccolo imprenditore [2083] VS imprenditore medio-grande) c) Natura del soggetto che esercita l’impresa (impresa individuale VS società VS impresa pubblica) Tutti gli imprenditori sono assoggettati ad una disciplina base comune: lo statuto generale dell’imprenditore, che comprende parte della disciplina dell’azienda e dei segni distintivi, la disciplina della concorrenza e dei consorzi. Applicabile a tutti gli imprenditori è anche la disciplina a tutela della concorrenza e del mercato, introdotta dalla L. 287 del ’90. Chi è imprenditore commerciale non piccole è poi assoggettato anche ad un ulteriore e specifico statuto, integrativo di quello generale.

2. La nozione generale di imprenditore Art. 2082 c.c.: “E’ imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”. Da tale art. si ricava che l’impresa è attività caratterizzata sia da uno specifico scopo (produzione o scambio di beni o servizi), sia da specifiche modalità di svolgimento (organizzazione, economicità e professionalità).

3. L’attività produttiva Specifico scopo: L’impresa è attività (serie di atti) finalizzata alla produzione o allo scambio di beni o servizi. È attività produttiva di nuova ricchezza. È irrilevante la natura di beni o servizi prodotti o scambiati ed il tipo di bisogno che essi sono destinati a soddisfare. Irrilevante è inoltre che l’attività produttiva costituisca anche godimento di beni preesistenti, purché si abbia la produzione di nuovi beni o servizi . Non è imprenditore chi possiede immobile e lo affitta percependone i frutti. È imprenditore chi possiede un immobile e lo adibisca ad albergo etc [genera nuovi beni o servizi]. È imprenditore chi impiega il proprio denaro con lo scopo di investimento [compravendita di azioni e titoli di Stato]. Imprenditore è anche chi svolge un’attività produttiva illecita, cioè contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume.

4. L’organizzazione. L’impresa e il lavoro autonomo Modalità di svolgimento: È normale, ma non essenziale, che l’i mprenditore crei un complesso produttivo formato da persone e da beni strumentali (locali, macchinari etc). Infatti è imprenditore anche chi esercita l’attività senza l’ausilio di collaboratori e chi non crea un complesso aziendale materialmente percepibile, cioè composto di beni mobili ed immobili. Non rientrano nella categoria di imprenditori i soggetti che non utilizzano né lavoro altrui, né capitali (elettricisti, idraulici) poiché questi ultimi, nonostante organizzino il proprio lavoro, non organizzano un’attività di impresa, sia pure piccola. Infatti, piccola impresa è quella organizzata prevalentemente (ma NON esclusivamente) con il lavoro proprio e dei familiari. Da ciò si deduce che per poter parlare di impresa, sia pure piccola, è necessaria l’organizzazione di lavoro altrui o di capitale (in mancanza si avrà semplice lavoro autonomo, non imprenditoriale [art. 2222]).

5. Economicità dell’attività e scopo di lucro Modalità di svolgimento: Per aversi impresa è necessario che l’attività produttiva sia condotta con metodo economico, secondo modalità cioè che consentano quanto meno la copertura dei costi con i ricavi, altrimenti si avrebbe consumo e non produzione di ricchezza. Non è imprenditore, infatti, chi eroga beni o servizi gratuitamente. Perché l’attività possa dirsi economica, non è però essenziale che essa sia caratterizzata dallo scopo di lucro. Infatti, la nozione di imprenditore è una nozione unitaria, comprensiva sia dell’impresa privata, che dell’impresa pubblica. Requisito essenziale può essere considerato solo ciò che è comune a tutte le imprese e a tutti gli imprenditori.

L’impresa pubblica opera secondo criteri di economicità, ma non è necessariamente preordinata alla realizzazione di un profitto.

6. La professionalità Modalità di svolgimento: Professionalità significa esercizio abituale e non occasionale di una data attività produttiva. Non è imprenditore chi compie un’isolata operazione di acquisto e di successiva rivendita di merci. La professionalità non richiede: -che l’attività imprenditoriale sia svolta in modo continuato e senza interruzioni (attività stagionali), - che quella di impresa sia attività unica o principale (è imprenditore il professore che gestisce un negozio). È possibile anche il contemporaneo esercizio di più attività di impresa da parte dello stesso soggetto. Impresa si può avere anche quando si compie un “unico affare” se questo comporta il complimento di molteplici operazioni (è imprenditore chi acquista allo stato grezzo un immobile per completarlo e rivendere singoli appartamenti). È anche imprenditore chi costruisce un singolo edificio non per rivenderlo, ma per destinarlo ad uso personale (c.d. impresa per conto proprio).

7. Impresa e professioni intellettuali I liberi professionisti (avvocati, dottori..) non sono imprenditori. L’art. 2238 c.c. stabilisce che le disposizioni in tema di impresa si applicano alle professioni intellettuali solo se “l’esercizio della professione costituisce elemento di una attività organizzata in forma di impresa” (medico che gestisce clinica privata nella quale opera). Il professionista intellettuale che si limita a svolgere la propria attività non diventa mai imprenditore, neanche quando si avvalga di una vasta schiera di collaboratori o di un complesso apparato di mezzi materiali. Si può concludere che i professionisti non sono imprenditori per libera scelta del legislatore, scelta ispirata dalla particolare considerazione sociale che tradizionalmente circonda le professioni intellettuali e che ha indotto il legislatore del ’42 a dettare per le stesse uno specifico statuto.

Capitolo secondo Le categorie di imprenditori A – IMPRENDITORE AGRICOLO E IMPRENDITORE COMMERCIALE 1. Il ruolo della distinzione Imprenditore agricolo (2135) ed imprenditore commerciale (2195) sono le due categorie di imprenditori che il codice distingue in base all’oggetto dell’attività. L’imprenditore agricolo è sottoposto solo alla disciplina prevista per l’imprenditore in generale, ed è esonerato dall’applicazione della disciplina propria dell’imprenditore commerciale: tenuta delle scritture contabili; assoggettamento al fallimento ed alle altre procedure concorsuali dell’imprenditore commerciale, con l’unica eccezione degli accordi di ristrutturazione dei debiti. L’imprenditore agricolo gode perciò di un trattamento di favore rispetto all’imprenditore commerciale.

2. L’imprenditore agricolo. Le attività agricole essenziali

Il testo originario dell’art. 2135 c.c. stabiliva che: “è imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento del bestiame e attività connesse” (comma 1), “si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura” (comma 2). Le attività agricole possono perciò essere distinte in due grandi categorie: attività agricole essenziali e attività agricole per connessione. Attività agricole essenziali: Coltivazione del fondo, silvicolture ed allevamento del bestiame sono attività tipicamente agricole. Esse hanno però subito un’evoluzione dal ’42 ad oggi, a causa del progresso tecnologico che ha coinvolto anche l’agricoltura. L’impresa agricola fondata sul semplice sfruttamento della produttività naturale della terra cede il passo all’agricoltura industrializzata, che utilizza prodotti chimici per accrescere la produttività naturale della terra. Inoltre, il progresso tecnologico consente oggi di ottenere prodotti “merceologicamente” agricoli con metodi che prescindono del tutto dallo sfruttamento della terra e dei prodotti (es. coltivazioni artificiali o fuori terra svolte al chiuso con l’ausilio di apparecchiature che creano condizioni favorevoli ad un rapido sviluppo, oppure gli allevamenti in batteria condotti in capannoni industriali e con mangimi chimici che permettono il rapido accrescimento del peso corporeo). È però necessario stabilire fino a che punto l’evoluzione tecnologica dell’agricoltura sia compatibile con la qualificazione agricola dell’impresa agli effetti del c.c. Con la riforma del 2001 il legislatore ritenne che l’impresa agricola fosse ogni impresa che produce specie vegetali o animali; ogni forma di produzione fondata sullo svolgimento di un ciclo biologico naturale. L’attuale formulazione dell’art. 2135 ribadisce infatti che: “è imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse” (comma 1). “Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine” (comma 2). In base alla nuova nozione si deve ritenere che la produzione è sempre qualificabile giuridicamente come attività agricola essenziale, anche se realizzata con metodi che prescindono del tutto dallo sfruttamento della terra e dei suoi prodotti (rientrano quindi nella nozione di coltivazione del fondo: orticoltura, coltivazioni in serra o in vivai e la floricoltura). Altra forma di attività agricola essenziale è l’allevamento di animali anche se svolto fuori dal fondo (allevamento in batteria). Per allevamento si intende sia quello diretto ad ottenere prodotti tipicamente agricoli (carne, latte), ma anche l’allevamento di cavalli da corsa o di animali da pelliccia, nonché l’attività cinotecnica. Venne sostituito il termine “bestiame” con quello di “animali” estendendo quindi la possibilità di qualificare come impresa agricola essenziale, sia l’allevamento di animali tradizionalmente allevati nel fondo all’epoca della codificazione (bovini, ovini..), sia quello di animali da cortile (polli), sia l’acquacoltura. Infine, all’imprenditore agricolo è stato equiparato l’imprenditore ittico.

3. Le attività agricole per connessione Anche per le attività agricole per connessione, si ebbe un ampliamento rispetto alla nozione previgente, che le individuava in: - quelle dirette alla trasformazione o alienazione di prodotti agricoli che rientravano nell’esercizio normale dell’agricoltura, - in tutte quelle altre attività esercitate in connessione con la coltivazione del fondo, silvicoltura e allevamento (es. agriturismo), per le quali in mancanza di specificazione normativa, si riteneva che le stesse dovessero rivestire carattere accessorio. Questa distinzione oggi scompare, in quanto in basa al 3 comma dell’art. 2135 si intendono connesse: a) attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione di prodotti ottenuti prevalentemente da un’attività agricola essenziale, b) attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, compre quelle di valorizzazione del territorio. Entrambe sono attività oggettivamente commerciali.

È industriale e non agricoltore chi produce olio e formaggi; è commerciante e non agricoltore chi ha un negozio di frutta e verdura. Tali attività sono però considerate per legge attività agricole quando sono esercitate in connessione con una delle tre attività agricole essenziali. Vi sono due condizioni necessarie affinché un’attività commerciale possa qualificarsi come agricola per connessione: - Connessione soggettiva, quando il soggetto che la esercita sia già imprenditore agricolo, in quanto svolge una delle tre attività agricole tipiche, ed inoltre attività coerente con quella connessa (chi trasforma o commercializza prodotti agricoli altrui è imprenditore commerciale, è invece imprenditore agricolo il viticoltore che produce vino) - Connessione oggettiva, necessaria tra le due attività. Questi due criteri sono sostituiti da quello della prevalenza. Necessaria e sufficiente è solo che si tratti di attività aventi ad oggetto prodotti ottenute prevalentemente dall’esercizio dell’attività agricola essenziale, ovvero di beni o servizi forniti mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda agricola.

4. L’imprenditore commerciale È imprenditore commerciale l’imprenditore che, ai sensi dell’art. 2195 c.c., esercita: - Attività industriale diretta alla produzione di beni o servizi (imprese industriali [automobilistiche, chimiche, edili…]) - Attività intermediaria nella circolazione di beni - Attività di trasporto - Attività bancaria o assicurativa - Attività ausiliarie rispetto alle precedenti (quelle strumentali come: imprese di agenzia, di deposito, di spedizione…) L’elencazione dell’art. 2195 non è però tassativa e la distinzione tra imprese agricole e imprese commerciali si esaurisce in base all’oggetto. Ne consegue che dovrà essere considerata commerciale ogni impresa che non sia qualificabile come agricola.

B – PICCOLO IMPRENDITORE. IMPRESA FAMILIARE 5. Il criterio dimensionale. La piccola impresa La dimensione dell’impresa è il secondo criterio di differenziazione della disciplina degli imprenditori. Il c.c. individua la figura del piccolo imprenditore, contrapponendola a quella dell’imprenditore medio-grande. Il P.I. è sottoposto allo statuto generale dell’imprenditore. È esonerato, anche se esercita attività commerciale, dalla tenuta di scritture contabili, dal fallimento ed alle altre procedure concorsuali dell’imprenditore commerciale, potendo usufruire solo delle procedure concorsuali da sovraindebitamento. Inoltre,...


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