Riassunto Manuale di diritto commerciale internazionale PDF

Title Riassunto Manuale di diritto commerciale internazionale
Author Anonymous User
Course Diritto commerciale internazionale
Institution Sapienza - Università di Roma
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riassunto pag. 1-367
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1. CAPITOLO 1 1.1. L’INADEGUATEZZA DELL’ATTUALE QUADRO GIURIDICO PER LA DISCIPLINA DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI

La tendenza verso un sistema economico “globale” fa sì che le imprese si trovino ad operare sempre più frequentemente in un contesto che supera i confini nazionali. Purtroppo, l’ambito transnazionale non dispone di un autonomo sistema di norme, in grado di rispondere alle esigenze di chi opera in tale contesto. Di qui la necessità di far riferimento, in misura prevalente, ai sistemi giuridici nazionali, i quali però non sono sempre in grado di dare risposte sodisfacenti alle esigenze del commercio internazionale. In particolare, immaginando un sistema ideale per la disciplina dei rapporti del commercio internazionale, questo dovrebbe essere caratterizzato da una disciplina uniforme dei rapporti tra controparti di Stati diversi e da un sistema di risoluzione delle controversie transnazionali autonomo in grado di imporsi direttamente nei confronti delle imprese che operano a livello transnazionale. Oggi, nonostante gli sforzi delle organizzazioni internazionali, tale obiettivo è assai lontano, infatti la disciplina sostanziale dei rapporti commerciali transnazionali è tuttora in larga parte monopolio dei legislatori nazionali, mentre la risoluzione di eventuali controversie commerciali internazionali resta condizionata dai particolarismi degli ordinamenti giuridici nazionali. Pertanto, ci troviamo in una fase di transizione in cui stanno emergendo i primi elementi di un futuro ordinamento transnazionale, costituiti in particolare dal diritto materiale uniforme e dalla lex mercatoria. 1.2. IL RUOLO DELL’AUTONOMIA PRIVATA (E QUINDI DEL CONTRATTO) PER LA MESSA A PUNTO DI UNA DISCIPLINA ADEGUATA DEI RAPPORTI COMMERCIALI INTERNAZIONALI

Se gli operatori internazionali sono riusciti a operare in modo soddisfacente in questo contesto, ciò è dovuto alla loro capacità di sfruttare gli spazi di libertà (autonomia delle parti) riconosciuti dagli ordinamenti statali: i.

Autonomia contrattuale: che consente di mettere a punto contratti dai contenuti sostanziali uniformi ed adeguati alle specifiche esigenze del commercio internazionale; ii. La libertà di scegliere la legge disciplinatrice del contratto, che rafforza l’autonomia contrattuale e consente alle parti di situare il loro contratto in un contesto giuridico considerato più adeguato alle loro necessità o, addirittura, di far riferimento ad un sistema di norme “a-nazionali” come la lex mercatoria; iii. La libertà di scelta del giudice o dell’arbitro competente a decidere eventuali controversie, che consente di predeterminare soluzioni atte a minimizzare l’impatto delle barriere giudiziarie tra diversi Stati. 1.3. CONTRATTI INTERNAZIONALI E (NUOVO) RUOLO DEL GIURISTA 1.4. LE FONTI DEL DIRITTO DEI CONTRATTI INTERNAZIONALI Caratteristica saliente della materia dei contratti internazionali è la potenziale applicazione di norme di origine diversa: leggi nazionali, convenzioni internazionali, principi di diritto internazionale, principi transnazionali o lex mercatoria, usi del commercio internazionale, ecc. Senza alcuna pretesa di teorizzare un sistema delle fonti del diritto dei contratti internazionali, ci limiteremo ad una ricognizione delle varie categorie di norme che possono considerarsi rilevanti nel contesto nella disciplina dei contratti internazionali, analizzando prima (nei paragrafi da 1.4.1 a

1.4.8) le fonti inquadrabili all’interno di un sistema facente capo agli ordinamenti statali, e poi separatamente (al paragrafo 1.5) la lex mercatoria. 1.4.1. Le leggi nazionali Nonostante la crescente affermazione, nella giurisprudenza arbitrale, del ricorso diretto alla lex mercatoria, la fonte principale dei contratti internazionali è tuttora costituita dagli ordinamenti giuridici nazionali. Infatti, ove le parti non abbiano richiamato espressamente delle fonti “anazionali”, come la lex mercatoria, il contratto internazionale sarà sottoposto alla legge nazionale che risulterà applicabile in base alle norme di diritto internazionale privato del foro. Ciò comporta l’applicazione ai contratti internazionali del medesimo regime previsto per i contratti domestici, il che non esclude che il legislatore nazionale possa dettare una disciplina differenziata per le fattispecie internazionali o collegate con l’estero. Ciò potrà avvenire attraverso la previsione di una disciplina onnicomprensiva applicabile ai contratti internazionali, oppure attraverso l’introduzione di disposizioni speciali per talune problematiche. Un esempio interessante di regime differenziato era quello introdotto dalla legge 5 gennaio 1994 n.25 in materia di arbitrato, che prevedeva una disciplina più elastica per gli arbitrati relativi a contratti con controparti stabilite all’estero. In taluni casi poi sarà la giurisprudenza a tener conto del contesto internazionale in cui si situa il contratto disapplicando o interpretando in maniera più elastica determinate norme ritenute inadatte a regolare i rapporti commerciali internazionali. 1.4.2. La legislazione europea Nel contesto dell’UE assume un’importanza di primo piano il diritto comunitario, soprattutto nella misura in cui pone in essere norme applicabili uniformemente in tutta la comunità. 1.4.2.1.

L’armonizzazione del diritto dei contratti

Nonostante la crescente importanza del diritto comunitario, gli interventi europei sulla disciplina sostanziale dei contratti sono per ora marginali. In particolare, gli sforzi di armonizzazione attraverso l’emanazione di direttive si sono concentrati soprattutto nei contratti tra imprese e consumatori, e hanno riguardato in misura limitata i contratti tra imprenditori: tra gli interventi in questione possiamo citare la direttiva 85/374/CEE del 25 Luglio 1985 sulla responsabilità del danno da prodotti difettosi la quale, pur tutelando i consumatori, incide anche sui rapporti tra imprese; la direttiva 86/653/CEE del 18 Dicembre 1986 sugli agenti di commercio; la direttiva 2000/35/CE del 29 Giugno 2000 relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento. È però in corso un dibattito sull’opportunità di realizzare una generale disciplina europea delle obbligazioni. La Commissione europea ha poi aperto nel 2001, con la comunicazione COM (2001) 398 del 11 Luglio 2001, un dibattito sull’opportunità di elaborare un diritto europeo dei contratti atto a facilitare i rapporti commerciali intra-comunitari, in cui proponeva le seguenti soluzioni alternative: -

Non fare nulla, lasciando la soluzione dei problemi al mercato; Promuovere la creazione di principi comuni non vincolanti che possono guidare le parti, i giudici e il legislatore nazionale; Migliorare la legislazione comunitaria in modo da garantire una maggiore coerenza tra gli strumenti esistenti; Predisporre una vera e propria legislazione europea sui contratti, applicabile quando venga scelta dalle parti o in sostituzione delle normative nazionali.

I governi e i soggetti interessati sono stati favorevoli alla seconda e alla terza soluzione. Ciò ha portato la Commissione ha realizzare un “common framework of reference (Quadro comune di riferimento), costituito da una serie di concetti fondamentali (nozione di contratto, danno) e principi di base sui contratti (regole sulla conclusione, validità ed interpretazione dei contratti). 1.4.2.2.

La normativa antitrust europea

Un settore del diritto europeo che ha assunto sin dall’inizio una rilevanza notevolissima per i contratti transfrontalieri è quello della normativa antitrust, che viene ad incidere sull’ammissibilità di determinati contratti o clausole (esclusiva, obbligo di non concorrenza, imposizione dei prezzi) condizionando la libertà degli operatori. Così, ad esempio, nella predisposizione di un contratto di distribuzione da applicarsi in ambito europeo, si dovrà tener conto delle prescrizioni risultanti dal regolamento di esenzione per categoria sulle restrizioni verticali. 1.4.3. Le convenzioni internazionali Le convenzioni nel campo del diritto commerciale internazionale sono strumenti essenziali per la messa in opera di norme applicabili uniformemente. Esse riguardano prevalentemente 3 settori: -

Convenzioni in materia di diritto internazionale privato, attraverso le quali gli Stati aderenti rendono uniformi le loro norme di diritto internazionale privato in particolari settori. La più importante è la Convenzione di Roma nel 1980 con riferimento alle obbligazioni contrattuali; - Convenzioni di diritto materiale uniforme, volte a stabilire norme uniformi relativamente a singoli istituti o contratti, applicabile in tutti gli Stati aderenti, in modo da superare il problema della difformità tra le varie leggi nazionali e rendere irrilevante l’applicazione di una legge nazionale piuttosto che un’altra; - Convenzioni nel campo del diritto processuale internazionale, volte a facilitare la risoluzione delle controversie commerciali internazionali attraverso la predisposizione di criteri uniformi per la determinazione della competenza giurisdizionale e attraverso una disciplina uniforme dell’arbitrato internazionale. 1.4.4. Le norme di diritto uniforme Le norme di diritto uniforme rappresentano la tecnica più avanzata per realizzare una disciplina uniforme dei contratti internazionali senza ricorrere alla lex mercatoria. Attraverso questo meccanismo si crea una normativa uniforme che viene poi ad inserirsi negli ordinamenti giuridici degli Stati che ratificano la convenzione. Gli Stati vengono così a disporre di un’identica disciplina della materia oggetto di unificazione il che permette di superare quella frammentazione delle discipline nazionali che ostacolano la gestione dei rapporti commerciali internazionali. Si può distinguere tra diritto uniforme a contenuto imperativo (categoria che comprende essenzialmente le convenzioni in materia di trasporti internazionali) e diritto uniforme a contenuto derogabile di cui l’esempio più importante è la convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci. Vi è, però, una difficoltà nel superare in toto i problemi nascenti dalla frammentazione dei diritti nazionali. Da un lato perché tali norme uniformi non bastano per creare un regime autosufficiente, dovendo la disciplina del singolo contratto inquadrarsi nel contesto più ampio della disciplina delle obbligazioni, la quale continua ad essere disciplinata dalla legge nazionale. Dall’altro, perché i

giudici nazionali, chiamati ad interpretare le norme materiali uniformi, tenderanno ad utilizzare concetti e principi propri del loro diritto nazionale, con il rischio di differenziazione dei contenuti concreti della normativa uniforme da un paese all’altro. Ma l’art 7 della Convenzione di Vienna stabilisce che: “Nell’interpretare la presente convenzione, si deve tener conto del suo carattere internazionale nonché della necessità di promuovere l’uniformità della sua applicazione e di assicurare il rispetto della buona fede nel commercio internazionale”. Quindi i giudici nazionali nell’interpretare le norme uniformi dovranno tener presente anche le sentenze dei giudici stranieri, soprattutto quando queste facciano emergere degli orientamenti consolidati. 1.4.5. Le leggi modello, ulteriore strumento di armonizzazione delle normative nazionali Un ulteriore strumento utilizzato negli anni più recenti come alternativa flessibile rispetto alle convenzioni di diritto materiale uniforme, è costituito dalle leggi modello, che sono testi uniformi elaborati a livello internazionale e proposti agli Stati come modelli per il loro ordinamento interno. Esse si differenziano dalla convenzione internazionale in quanto, mentre l’adesione a quest’ultima implica il recepimento obbligatorio dei suoi contenuti, la legge modello non è altro che un testo legislativo che gli Stati sono liberi di adottare in tutto o in parte, secondo le loro preferenze. È proprio per questa maggiore flessibilità che l’Uncitral, decise nel 1978, di proseguire l’opera di unificazione nel campo dell’arbitrato commerciale internazionale attraverso la preparazione di una legge modello, adottata il 21 giugno 1985, e modificata nel 2006, incorporata in seguito nella legislazione di numerosi Stati. 1.4.6. Gli usi del commercio internazionale È evidente che in un contesto come quello del commercio internazionale, caratterizzato da una prassi degli affari che tende a svilupparsi autonomamente al di sopra delle frontiere nazionali, vengano ad assumere un’importanza fondamentale gli usi del commercio. L’applicabilità degli usi ad una determinata fattispecie contrattuale e la loro efficacia nel sistema normativo applicabile andrà determinata in linea di principio sulla base della legge disciplinatrice del contratto, che ne preciserà le condizioni e i limiti. Occorre comunque considerare che, anche all’interno delle leggi nazionali, la disciplina degli usi va coordinata con quella eventualmente prevista da convenzioni di diritto materiale uniforme. Così, ad esempio, per quanto riguarda la vendita internazionale l’art 9 della convenzione di Vienna recita: “Salvo patto contrario, si deve ritenere che le parti abbiano implicitamente reso applicabili al loro contratto, o alla sua formazione, gli usi che esse conoscevano o avrebbero dovuto conoscere, purché gli stessi siano ampiamente conosciuti e regolarmente osservati nel commercio internazionale da soggetti che siano parti di contratti dello stesso tipo del commercio considerato”. Ciò significa che nel contesto di una vendita internazionale soggetta al diritto italiano (disciplinata dalla convenzione di Vienna) i nostri giudici non dovranno preoccuparsi di inquadrare gli usi nelle categorie giuridiche del nostro ordinamento, ma dovranno valutarne la rilevanza in base ai criteri contenuti nell’art 9 della convenzione di Vienna. Un discorso particolare va poi fatto per l’arbitrato internazionale nel contesto in cui si tende ad imporre agli arbitri l’obbligo di tener conto degli usi del commercio. Così, la convenzione europea sull’arbitrato commerciale internazionale (Ginevra, 21 Aprile 1961) richiede che gli arbitri (art VII) tengano in considerazione le stipulazioni contrattuali e le consuetudini commerciali (analogo principio visto nella legge modello sull’arbitrato dell’Uncitral).

Anche il nostro legislatore aveva seguito questa via, prevedendo all’art. 834, 2° comma, che gli arbitri tenessero conto delle indicazioni del contratto e “degli usi del commercio”. Non è chiaro se, in seguito all’abrogazione dell’art. 834 c.p.c., l’arbitro soggetto alle norme di procedura italiane possa tuttora applicare gli usi del commercio senza tener conto di limiti imposti dalla lex contractus (legge del luogo in cui è stato concluso il contratto) alla loro efficacia. Infine, anche il regolamento di arbitrato della CCI (Camera di commercio internazionale), sia nella versione del 1988 che in quella del 1998, stabilisce che l’arbitro deve tener conto delle stipulazioni contrattuali e degli usi del commercio. In questo contesto, favorevole ad un ampio riconoscimento degli usi, gli arbitri tendono ad attribuire loro una posizione di primo piano rispetto alla legge applicabile, senza porsi problemi di gerarchia tra questi e la legge. Inoltre, vi è una chiara tendenza a far rientrare nella nozione di uso non solo le pratiche seguite generalmente dagli operatori del commercio internazionale, ma anche i principi di diritto ritenuti più adeguati a disciplinare la fattispecie internazionale, con un approccio che tende a confondersi con l’applicazione della lex mercatoria. 1.4.7. Regole uniformi “private” destinate ad essere incorporate per relationem Accanto all’uniformazione “ufficiale” del diritto commerciale internazionale, realizzata mediante convenzione tra Stati, merita di essere citata una via parallela, consistente nella messa a punto di regole uniformi poste a disposizione degli operatori, i quali potranno incorporarle per relationem nei loro contratti. Queste regole potranno presentarsi in certi casi come una “codificazione” di usi esistenti, in altri come regole elaborate appositamente per venire incontro alle esigenze del commercio internazionale. È evidente che regole del tipo descritto sopra non costituiscono di per sé una fonte del diritto dei contratti internazionali, ma vengono a far parte del singolo contratto solo nella misura in cui siano richiamate dalle parti. Tuttavia, con il passare del tempo, possono assurgere ad un vero e proprio uso del commercio internazionale, nella misura in cui la pratica del loro recepimento per relationem si diffonda a tal punto da far ritenere che esse vengono implicitamente a far parte del contratto, anche in assenza di espresso richiamo (come è avvenuto per le clausole Incoterms della CCI). 1.4.8. La prassi contrattuale: modelli contrattuali, clausole tipo, ecc. È noto come nel commercio internazionale tenda ad affermarsi una prassi contrattuale relativamente omogenea. Così, modelli e clausole contrattuali simili tendono così ad essere utilizzati in diversi paesi, nonostante la diversità delle leggi applicabili di caso in caso, dando luogo ad una circolazione internazionale degli schemi contrattuali, soprattutto per i contratti atipici. Occorre tuttavia guardarsi dal dare un peso eccessivo a questa tendenza. Infatti, nella generalità dei casi le clausole standard rappresentano strumenti che il redattore utilizza per mettere a punto il testo del singolo contratto, che rispecchierà di volta in volta le esigenze particolari del caso di specie. Il fatto che i modelli di contratto permettano di “fotografare” con ragionevole approssimazione una prassi degli affari rappresentativa della realtà economica, non significa ancora che le soluzioni proposte nei modelli in merito a specifiche questioni vengano effettivamente a far parte di un determinato contratto individuale. Infatti, chi determina il contenuto del singolo contratto potrà scegliere tra diversi modelli a cui riferirsi e, all’interno di questi, tra diverse soluzioni alternative. Al massimo si potrà quindi far riferimento ai modelli standard quando si deve interpretare la volontà delle parti riguardo a punti poco chiari del contratto (ad esempio il significato di una clausola mal redatta o incompleta potrà essere individuato più facilmente alla luce della prassi diffusa per clausole analoghe), ma anche qui operando con prudenza.

Se quindi deve escludersi che si possa attribuire ai modelli di contratto il valore di “regola oggettiva” del commercio internazionale, ciò vale a maggior ragione per singole clausole e soluzioni diffusesi settorialmente. Così, ad esempio, non è ammissibile che le clausole hardship possano essere comprese tra gli usi del commercio. Si tratta infatti di clausole che derogano al generale principio di obbligatorietà dei patti contrattuali, secondo modalità messe a punto dalle parti di volta in volta, e che non esprimono affatto un principio generale al quale gli operatori potrebbero sentirsi vincolati senza averne negoziato i presupposti specifici. 1.5. LA LEX MERCATORIA Dopo aver esaminato le fonti del diritto dei contratti internazionali come esse si presentano nel contesto classico incardinato sulle leggi nazionali, passiamo ora ad esaminare il problema in un’ottica radicalmente diversa che si presenta ove si ritenga di poter far riferimento ad un sistema di norma a-nazionali “creato dal ceto imprenditoriale, senza la mediazione del potere legislativo degli Stati e formato da regole destinate a disciplinare in modo uniforme i rapporti commerciali che si instaurano entro l’unità economica dei mercati”, la cosiddetta lex mercatoria. 1.5.1. Nozione e caratteristiche generali La lex mercatoria può essere definita come un autonomo sistema giuridico sovranazionale, distinto e autonomo dai diritti statali, applicabile direttamente ai contratti del commercio internazionale in luogo delle disposizioni dei diritti nazionali. L’idea si è sviluppata a partire dagli anni 60 sotto la spinta di una serie di circostanze che conviene analizzare più da vicino. In primo luogo, ha avuto un peso determinante l’affermarsi, nella pratica internazionale degli affari, di pratiche contrattuali sempre più uniformi, e che dopo la seconda guerra mondiale si è andato estendendo alla generalità degli operatori. Un secondo filone si è sviluppat...


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