Riassunto R. Sennett R. - Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione PDF

Title Riassunto R. Sennett R. - Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione
Author Sara Marinelli
Course Psicologia dell'educazione e della formazione
Institution Università degli Studi di Bergamo
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RICHARD SENNET “INSIEME: Rituali, piaceri, politiche della collaborazione” Introduzione: La mentalità collaborativa Oggi gli Stati Uniti sono diventati una società fortemente tribale, la gente non vuole convivere con chi ha idee diverse. Ma anche l’Europa non ha molto da stare allegra al riguardo: il tribalismo, nella forma del nazionalismo, l’ha portata alla rovina nella prima metà del secolo scorso. Il tribalismo abbina la solidarietà per l’altro simile a me con l’aggressività contro il diverso da me, si tratta di un impulso naturale, quasi tutti gli animali sociali sono tribali: la tribù è indispensabile per la loro sopravvivenza. Nelle società umane il tribalismo può risultare controproducente, la società come la nostra dipendono dallo scambio di lavoratori oltre le frontiere; comprendono etnie, razze e religioni differenti. Obbligare tutta questa complessità in un unico stampino culturale sarebbe oppressivo politicamente e contrario alla verità di ciò che siamo. L’identità di ciascuno è un mosaico di sentimenti, affiliazioni e comportamenti che di rado si incastrano perfettamente. Per Aristotele la polis nasceva da un atto di sinecismo (da syn= insieme e oikos=casa); la mentalità tribale ci induce a credere di sapere come sono fatti gli altri senza conoscerli direttamente, mancando dell’esperienza diretta dell’altro ci affidiamo a fantasie dettate a volte della paura, tradotta in termini moderni questa è l’idea dello stereotipo (ma l’esperienza di prima mano è in grado di indebolire gli stereotipi?). Nella vita quotidiana può succedere di accantonare tali atteggiamenti, obbligati come siamo ad avere a che fare con un’infinità di persone che temiamo, che non ci piacciono o semplicemente che non comprendiamo. La collaborazione può essere definita come uno scambio in cui i partecipanti traggono vantaggio dall’essere insieme. È un comportamento riconoscibile immediatamente negli scimpanzé, nei bambini o nei cittadini perché l’aiuto reciproco è inscritto nei geni di tutti gli animali sociali: collaborano insieme per realizzare ciò che non riuscirebbero a fare da soli. Gli scambi collaborativi si presentano in molto forme, la collaborazione può combinarsi con la competitività. Nella vita adulta si ha questa collaborazione tra collaborazione e competitività nell’economia di mercato, nelle elezioni politiche e nelle negoziazioni della diplomazia. La collaborazione diventa un valore in sé nei riti, religiosi o laici, nei riti della buona educazione ma può avvenire anche in maniera informale. L’atto di collaborazione si riveste dell’esperienza del piacere condiviso. Come ci insegna il tribalismo umano, lo scambio collaborativo può anche produrre risultati distruttivi per gli altri. L’alternativa positiva è un tipo di collaborazione impegnativa e difficile: quello che cerca di mettere insieme persone che hanno interessi distinti o confliggenti. La sfida è quella di rispondere all’altro a partire dal suo punto di vista, che è la sfida in tutti i casi di gestione dei conflitti. Secondo il politico-filosofo Michael Ignatieff, tale sensibilità per l’altro è una disposizione etica, uno stato della mente insito in ciascuno di noi, la mia convinzione è invece che essa scaturisca dall’attività pratica. La pratica della collaborazione in condizioni difficili può aiutare gli individui e i gruppi a prendere coscienza delle conseguenze delle loro azioni. Il dato più importante è che la collaborazione difficile richiede perizia. Aristotele la chiama techne, la capacità tecnica di far essere una cosa, facendola bene, il filosofo arabo Ibn Khaldun diceva che questa è la qualità specifica degli artigiani. Sennett detesta l’espressione abilità sociali, tecnicamente le abilità richieste in tutti questi casi sono dette “abilità dialogiche”. Viene facile la constatazione che lo sforzo di collaborare con chi non la pensa come noi è sempre stato un fenomeno piuttosto raro. Con tutto ciò, a società moderna ha indebolito la collaborazione in modi ben precisi. Il più diretto dei fattori di indebolimento riguarda la diseguaglianza. La disuguaglianza quale è misurata dal coefficiente di Gini è aumentata in maniera vistosa nell’arco dell’ultima generazione, tanto nella società in via di sviluppo quanto in quelle sviluppate. Negli USA il declino economico ha fatto crescere la disuguaglianza interna. Nell’esperienza quotidiana la sperequazione economica si traduce in distanza sociale: l’èlite si colloca a una distanza incommensurabile dalla massa. Divari del genere provocano giustamente la rabbia della gente e le reazioni di antagonismo irriducibile (“noi contro di loro”)appaiono un

esito razionale. Anche le modificazioni del lavoro hanno indebolito sia il desiderio sia la capacità di collaborare. In teoria ogni azienda è a favore della collaborazione, in pratica la struttura organizzativa moderna la inibisce, si parla di “effetto silos”: l’isolamento di individui e dipartimenti in unità separate, scarsamente comunicanti. La riduzione del tempo che la gente oggi trascorre insieme sul lavoro accentua questo isolamento. Il lavoro moderno è sempre più lavoro a breve termine e si sostituisce a carriere lavorative svolte all’interno di un’unica azienda o istituzione. All’interno delle aziende anche le relazioni sociali sono a breve termine, anzi è pratica manageriale per evitare che i dipendenti formino legami personali. Uno dei portati del “tempo a breve termine” è lo sviluppo di relazioni sociali superficiali, quando le persone non rimangono a lungo in una istituzione, la loro conoscenza di questa così come l’identificazione con essa si indeboliscono. Anche le forza culturali oggi remano contro la pratica della collaborazione impegnativa. La società moderna sta producendo una nuova tipologia caratteriale: un tipo di persona tesa a ridurre le ansie che possono derivare dalle differenze. Il fine diventa quello di evitare l’eccitazione, di sentirsi il meno stimolati possibile dalle differenze più profonde. Un altro è l’omologazione dei gusti. L’omologazione culturale è evidente oggi nell’architettura, nell’abbigliamento, musica etc…”Al fondo siamo tutti uguali” è il sottointeso che esprime una visione del mondo che si vorrebbe sempre più neutra. Uno dei suoi effetti è quello di indebolire l’impulso a collaborare con coloro che rimangono Altro da noi. La società moderna sta “dequalificando” le persone praticare la collaborazione. Nell’800 la sostituzione dell’operaio con le macchine ebbe luogo nell’industria siderurgica oggi allo stesso principio si ispira la logica della robotica, il cui fine è la sostituzione del lavoro umano, costoso, con un tipo di automazione capace non solo di fabbricare oggetti anche di fornire servizi. La dequalificazione sta avvenendo anche nella sfera sociale: nella misura in cui la disuguaglianza materiale isola le persone, il lavoro a tempo determinato rende più superficiali i loro contatti sociali e la cultura innesca l’angoscia per l’Altro e quindi stanno andando a perdersi le abilità tecniche della collaborazione. Tesi di Sennett: rintracciare capacità di collaborazione in modo articolato nelle primissime fasi di sviluppo dell’essere umano. Nella vita adulta tale capacità non scompare ma oggi queste risorse evolutive rischiano di andare sprecate a opera della nostra società. La psicologa infantile Alison Gopnik dice che il neonato umano vive in una condizione molto fluida sempre in divenire, nei primi anni dello sviluppo umano le facoltà percettive e sensoriali si modificano con una rapidità straordinaria e in questo processo prendono forma le nostre capacità collaborative. Gli schemi genetici forniscono una guida, ma i piccoli dell’uomo indagano mettendo alla prova i propri comportamenti e li migliorano. La collaborazione diventa un’attività consapevole dal quarto o quinto mese di vita, quando il neonato comincia a collaborare con la madre nel processo di allattamento, incomincia cioè a reagire a segnali verbali circa la condotta da tenere. Entro il secondo anno di vita i bambini iniziano a reagire agli altri bambini riconoscendoli come tali e sono in grado di anticipare le loro mosse. Oggi sappiamo che tale comportamento (sequenza di anticipazione e risposta) aiuta il cervello ad attivare vie neuronali prima latenti: la collaborazione rende possibile lo sviluppo intellettivo del bambino. I segnali emessa dagli animali sociali al di fuori dei primati, sono statici, nel senso che sono immediatamente leggibili. Il piccolo dell’uomo sperimenta gesti della mano, espressioni facciali, modi di afferrare o di toccare che lasciano perplessi gli adulti. Bruner ha sottolineato l’importanza di tali messaggi enigmatici in quanto segni di sviluppo cognitivo. Bambino e adulto continuano a stabilire un legame affettivo attraverso un processo di dare e ricevere ma non hanno certezza dell’oggetto del loro scambio, perché il processo di segnalazione è diventato più complesso. Lo scarto tra trasmissione e ricezione, scrive Bruner costituisce un “nuovo capitolo” del legame tra bambino e genitore. Bambino e genitore imparano ad adattarsi a vicenda, anzi sono stimolati a prestare maggiore attenzione reciproca, la comunicazione non si è interrotta ma è diventata più complessa. La capricciosità e gli scoppi di rabbia frequenti in questa fase vengono attribuiti alla separazione fisica dalla madre. Winnicott e Bowbly furono i primi a tracciare un quadro più approfondito e circostanziato della situazione. Winnicott mostrò come il lattante coadiuvando

la madre durante la poppata arrivi a rendersi conto del fatto che il seno materno non fa parte del proprio corpo e quanto più acquista la capacità di toccare, leccare, succhiare il seno, tanto più diventa consapevole che esso è un oggetto esterno, distinto da sé e appartenente soltanto alla madre. Bowbly fece la stessa osservazione riguardo alla libertà tattile del bambino nel gioco dopo il secondo anno di età, più i bambini interagiscono liberamento con i giocattoli più prendono coscienza dell’esistenza autonoma degli oggetti fisici. La medesima consapevolezza fisica della separatezza si manifesta nei rapporti con gli altri bambini quando il piccolo è in grado di picchiarli, morderli, leccarli scoprendo così che essi non reagiscono come lui si aspettava, cioè sono esseri distinti da lui. L’interazione diventa più assidua quanto nel quadro entrano i genitori. Entro il secondo anno di età tutti i bambini cominciano a notare e a imitare quello che fanno gli altri. Entro il terzo anno si afferma la capacità sociale di collaborare a un progetto comune, come la costruzione di un pupazzo di neve. L’incapacità di comunicare provoca la frustrazione manifestata dal pianto e ben presto i neonati imparano a fare esperimenti con vari tipi di pianto; altrettanto importante è la questione della struttura e della disciplina. Durante l’infanzia la mera ripetizione meccanica è senza dubbio un fattore di gioco, così come l’ascoltare la stessa fiaba nella stessa forma è un fattore di piacere. Intorno ai 4 anni i bambini diventano capaci di esercitarsi nel senso in cui lo intendiamo noi nel praticare uno sport o nel suonare uno strumento: anche i bambini cercano, attraverso la ripetizione, di diventare più bravi nell’attività che stanno svolgendo. Ne derivano conseguenze di tipo sociale. Bowbly ha scoperto che i bambini nel compiere insieme un’azione per esempio quella di cantare una canzona a tempo in modo coordinato, la frustrazione diventa un “affetto transizionale”. Il fare esercizio risulta più difficile e faticoso se lo si fa da soli. La ripetizione nel tempo rende la collaborazione al contempo duratura e migliorabile. La scansione in base all’età è arbitraria, lo sviluppo di dipana in modo elastico e varia da un individuo all’altro. Erik Erikson dice che i bambini sono in grado di osservare il proprio comportamento in modo riflessivo e autocosciente e di distinguere l’atto dal soggetto che lo compie. Sono capaci di autocritica senza bisogno di indicazioni e correzioni da parte di adulti o coetanei, sono diventati “individui autonomi”. Intorno ai 5 anni diventano revisori accaniti e correggono i comportamenti. Il passaggio al pensiero riflessivo e autocritico non comporta isolamento dai coetanei, i bambini sanno essere riflessivi insieme. Una delle prove fornite da Erikson riguardi i giochi di competizione. Tra i 5 e 6 anni quanto più c’è trattativa sulle regole, tanto più forte è il legame emotivo che si stabilisce tra i giocatori. La capacità di scegliere il tipo di collaborazione è un portato dello sviluppo, ecco allora che la libertà entra a far parte dell’esperienza collaborativa. La collaborazione precede l’individuazione essa è il fondamento dello sviluppo umano, nel senso che prima di imparare a porci come individui impariamo a stare insieme. Nell’isolamento non ci potremmo evolvere come individui. Il contatto con gli altri richiede perizia, man mano che il bambino impara a collaborare si ha un intreccio di abilità sociali e abilità cognitive. Le due abilità sono la sperimentazione e la comunicazione. La sperimentazione comporta fare cose nuove, e inoltre strutturare nel tempo i cambiamenti. I bambini le apprendono attraverso il processo ripetitivo ed espansivo della pratica empirica. La comunicazione inizialmente è ambigua. L’apprendimento della collaborazione non è facile, tale difficoltà è per un verso positiva, la collaborazione anziché essere condivisione irriflessa, diventa un’esperienza che va guadagnata. Come in ogni altra sfera della vita, le cose che sono state difficili da conquistare assumono per noi un valore maggiore. Quando si parla di tecniche comunicative si pone l’accento su come presentare in modo chiaro i nostri pensieri o sentimenti. Per farlo occorrono abilità tecniche, che sono però di tipo dichiarativo. Uno dei modelli della capacità di ascolto è quello che si presenta nelle prove di tipo professionistico, in particolare nelle arti dello spettacolo. In musica, le prove sono alla base di tutto, quando si fanno le prove, a capacità di ascolto assume un’importanza vitale e imparando ad ascoltare il musicista impara a collaborare. Nel fare musica esiste una differenza basilare tra esercitarsi e provare, la prima è un’esperienza solitaria, la seconda è collettiva. In comune hanno la procedura standard consistente nel dedicarsi inizialmente all’intera partitura, per concentrarsi poi sui particolari. Le 2 forme di lavoro musicale si distinguono perché nelle

prove le abitudini dei singoli si trasformano in consapevolezza condivisa. Quando discutono per stabilire le regole del gioco i bambini devono arrivare ad un consenso per poter giocare insieme mentre per i musicisti non è così. I punti di contatto con la prima infanzia sono i seguenti: le comunicazione devono affrontare l’ambiguità, gli esercizi si strutturano e si focalizzano nel tempo, le conversazioni riguardano le differenze, le pratiche sono sottoposte ad autocritica riflessiva. Per fare arte si ha bisogno di collaborazione! Esiste un’analogia tra le prove musicali e le conversazioni verbali. Non solo quando vogliono spiegare qualcosa i musicisti preferiscono mostrare invece che dire, cioè si mettono a eseguire quel certo passaggio lasciando gli altri di interpretare quello che fanno. Invece nella conversazione occorre trovarle, le parole. Il filosofo Bernard Williams ha parole sferzanti per il “feticcio dell’asseverazione”, l’impulso a far trionfare comunque la propria tesi, come se il contenuto fosse l’unica cosa che conta. L’ascolto attento produce 2 tipi di conversazione, quella dialettica e quella dialogica. Nella dialettica il gioco verbale di tesi e antitesi dovrebbe gradualmente costruire una sintesi, la meta è quella di arrivare alla fine a una definizione comune. E l’abilità del dialettico consiste nel saper cogliere il possibile punto di incontro. Il principio dialogico è stato introdotto da Bachtin in riferimento a un tipo di comunicazione che non si risolve con il trovare un terreno comune. Attraverso il processo di scambio le persone possono prendere coscienza delle proprie opinioni e ampliare la comprensione reciproca. Di solito ci immaginiamo la sensibilità verso gli altri come una questione di simpatia umana, vale a dire di identificazione con loro. Nel suo trattato Teoria dei sentimenti morali, Adam Smith scrive che dobbiamo metterci nei panni dell’altro ma non astrattamente in quanto nostro prossimo bensì in quei “minuti particolari” che di fatto spesso divergono notevolmente dalla nostra esperienza concreta. Nella concezione di Adam Smith l’immaginazione può superare i confini tra noi e gli altri, può compiere il magico salto dalla differenza alla somiglianza sicchè un’esperienza a noi estranea ci sembra la nostra. Più utile per gli intervistatori come per i musicisti è un’altra forma di coinvolgimento: l’empatia. La curiosità ha un ruolo più importante nell’empatia che nella simpatia. Simpatia ed empatia comunicano entrambe riconoscimento dell’altro e costituiscono un legame emotivo ma l’una è un abbraccio e l’altra è un incontro. La simpatia supera le differenze attraverso un atto immaginativo di identificazione; l’empatia presta attenzione all’altro alle condizioni poste da lui. Si tende a considerare la simpatia un sentimento più forte dell’empatia, perché dicendo “soffro con voi” pongo l’accento sul mio sentimento: viene attivato l’ego. L’empatia è una pratica più impegnativa, almeno nell’ascolto, l’ascoltatore deve uscire da sé stesso. Nella pratica della collaborazione sono necessarie entrambe le risposte, in circostanze e in momenti diversi. L’empatia trova una particolare applicazione in politica, se la praticassero, deputati e sindacalisti potrebbero imparare dagli elettori anziché limitarsi a parlare in nome loro. L’ascolto empatico può aiutare operatori sociali, sacerdoti e insegnanti a svolgere un’opera di mediazione nella comunità culturalmente o etnicamente eterogenee. Dal punto di vista filosofico, la simpatia può essere considerata una delle ricompense emotive del gioco dialettico di tesi-antitesi-sintesi. L’empatia si ricollega allo scambio dialogico, la curiosità mantiene in essere lo scambio ma non proviamo la stessa soddisfazione non c’è l’esperienza di essere arrivi a una conclusione. Nella vita vera l’aggressività verbale irriducibile oltrepassa sovente il confine, nella macchina sociale si creano meno attriti quando le persone evitano i comportamenti troppo enfatici. Il condizionale attenuativo trova il suo habitat naturale nel mondo dialogico, il mondo del discorso che crea uno spazio sociale aperto in cui la discussione può imboccare direzioni impreviste. La conversazione dialogica prospera mediante l’empatia, la curiosità per ciò che gli altri sono in quanto persone. È un sentimento più freddo della simpatia eppure le sue ricompense sono tutt’altro che fredde. Dialogando al condizionale si prova un certo tipo di piacere cordiale: quello di stare insieme agli altri, di guardarli e di conoscerli meglio, senza la forzatura di volerci uguali a loro. Imparare a non volersi imporre è una disciplina che crea lo spazio per esplorare la vita altrui, e consente che l’altro, alla pari di noi, possa esplorare la nostra. La conversazione è come una prova d’orchestra in cui vengono in primo piano la capacità d’ascolto. Il metodo dialettico e il metodo dialogico costituiscono due modi di

praticare la conversazione, l’uno mediante un gioco di contrari che conduce all’accordo, l’altro lanciando in mezzo al campo opinioni ed esperienze in modo interlocutorio. Quando ascoltiamo la nostra reazione può essere di simpatia oppure di empatia, sono entrambe pulsioni collaborative. La simpatia eccita di più le emozioni, l’empatia è più fredda e più impegnativa perché richiede che si concentri l’attenzione fuori di noi. Nelle prime fasi del loro sviluppo gli esseri umani fanno le prove generali della collaborazione, esplorandone le diverse e mutevoli forme. La conversazione fra adulti tra tutte queste possibilità ne sceglie due, lo scambio dialettico e lo scambio dialogico. La società moderna è più brava a organizzare gli scambi di primo tipo che non del secondo, è più brava a comunicare attraverso l’argomentazione dialettica che non attraverso la discussione dialogica. Le nuove tecnologie hanno trasformato il panorama della comunicazione. E possono agire nella sfera politica dove il loro effetto è più potente quando inducono le p...


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