Tecnica del colloquio di Semi (Cap. 1,2,3,4,5,6) PDF

Title Tecnica del colloquio di Semi (Cap. 1,2,3,4,5,6)
Author Anna Imbimbo
Course METODOLOGIA
Institution Università degli Studi dell'Aquila
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TECNICA DEL COLLOQUIO (Cap. 1 – 2 – 3 – 4 – 5 - 6) Introduzione Lo scopo di questo libro è di descrivere le basi del colloquio. Di tecniche del colloquio ce ne sono molte che risultano anche molto diverse tra loro. E' importantissimo il primo colloquio che si ha con il paziente. E' importante non perdersi nel corso del colloquio e comprendere al meglio il disegno globale della situazione .

CAPITOLO 1: LA CORNICE DEL COLLOQUIO: ASPETTI PSICHICI Che scopo ha un colloquio? Perché si fa un colloquio, per quali scopi si invita una persona a parlare di sé? Forse la maggior parte delle persone potrebbe rispondere che un colloquio psichiatrico si fa per rendersi conto delle condizioni mentali della persona che lo ha chiesto. Ci sono però due fasi fondamentali nell'esame del malato: la raccolta dell'anamnesi l'esame obiettivo Il colloquio dovrebbe corrispondere all'esame obiettivo e la realtà che si deve indagare è quella psichica della persona che abbiamo davanti, il colloquio richiesto a uno psicologo non può avere nessun'altra finalità e l'unica realtà per cui lo psicologo deve essere attrezzato è quella psichica. Se non si tiene conto di questo scopo c'è il rischio di non accorgersi di cosa cosa sta succedendo durante il colloquio. Il fatto che il colloquio sia la presentazione che il paziente fa di sé e del suo modo di usare la mente, può addirittura costituire un parametro valutativo dell'andamento del colloquio. In questo senso, è importante, prima di iniziare il colloquio che lo psicologo/psichiatra ecc. abbia chiaro: lo scopo generico le distinzioni che implica questo scopo. Le distinzioni riguardano altri tipi di colloqui e altre finalità. Innanzitutto si deve tenere presente la distinzione tra il lavoro dello psicologo e quello dei giudici, poliziotti e degli storici. Essi infatti devono indagare un tipo di realtà differente da quella psichica. Il giudice deve conoscere cosa è accaduto in un certo momento in quanto questo fatto ha provocato una variazione dei parametri stabiliti dalla legge ed ha reso necessario il suo intervento. Inizialmente dovrà valutare se il fatto è accaduto realmente , come e il ruolo delle persone implicate. Può essere che in un secondo momento serva capire il motivo psicologico del perché quella persona ha agito così ma non è detto. Il colloquio dello psichiatra è un esame obiettivo, ma si può dire che tendiamo continuamente a trasformarlo nella raccolta dell'anamnesi: tendiamo continuamente a raccogliere la storia della persona che ci sta parlando come se questa storia potesse spiegarci qualcosa ma in realtà noi riceviamo solamente l'interpretazione personale del paziente. L'illusione della caccia alla realtà obiettiva è disastrosa per lo psicologo, e la si può vedere come la tendenza a negare. In questo senso, la negazione è sempre dietro l'angolo e c'è di sicuro all'interno di ogni paziente. Forse la negazione non si rivolge tanto all'attività mentale tout court, quanto ad un aspetto specifico di essa, un aspetto che ha risvolti inquietanti per tutti: si tratta del fatto che, nel nostro campo di osservazione, non è possibile mentire. Quello che uno non può nascondere, e che neanche noi possiamo nascondere, è chi è, come pensa, come organizza il suo pensiero. Nel nostro campo di osservazione non è possibile mentire. E' faticoso ammettere che nel campo che teniamo più riservato e protetto la menzogna non serve. La paura di andare dallo psichiatra può derivare da questo timore, che qualcuno ci guardi dentro e scopra qualcosa che neanche noi sappiamo. Quello che una persona non può nascondere è chi è, come pensa e come organizza il suo pensiero. La persona può anche illudersi di raccontarci bugie, ma resta il fatto che le sta raccontando a se stessa e neanche lei è in grado di spersonalizzare così tanto il racconto da evitare di dirci qualcosa su di sé. Insomma, è possibile all'uomo mentire su qualsiasi argomento che riguardi la realtà esterna, ma non è possibile mentire sulla propria realtà psichica. Se noi focalizzassimo la nostra attenzione su questa specifica realtà riusciremo non solo a capire il paziente, ma anche a trasmettergli il sentimento del nostro profondo rispetto per lui e per la sua realtà al di fuori del colloquio. Questo sentimento è qualcosa di assolutamente fondamentale per poter stabilire un buon rapporto con chicchessia, ma nel nostro caso ha un significato scientifico: è la sola posizione emotiva che ci consente davvero di compiere il nostro lavoro.

E' raro che una persona vada da uno psicologo per conoscere la sua realtà mentale, spesso il colloquio ha un fine più generale (quello finora esposto), e una serie di fini particolari, sia specifici (il tipo di trattamento da scegliere) sia aspecifici (richieste di tipo assistenziale o domande relative alla situazione dei parenti). In uno studio ben organizzato è possibile che diverse persone si debbano occupare dei diversi livelli di realtà e delle domande del paziente. Se ciò non è possibile il primo livello da indagare è sempre e soltanto quello della realtà psichica del soggetto, a scapito delle altre sue realtà. Può accadere, ovviamente, che l'indagine prima sia anche brevissima e che subito dopo si passi ad altre realtà. Riassumendo: il colloquio è lo strumento che utilizziamo per comprendere come è fatta la mente del paziente. Questo è l'unico scopo del colloquio. La raccolta dell'anamnesi o della storia ha, nel primo colloquio, un posizione di secondaria importanza.

Che scopi ha un colloquio? Chiarito qual è lo scopo primo e fondamentale del colloquio occorre passare agli scopi (o sottoscopi) di quel singolo colloquio che avverrà all'ora x il giorno y. Ogni colloquio ha infatti dei propri scopi particolari. Volendo distinguere bene la situazione, bisoognerebbe dire che, poichè il colloquio è una situazione caratterizzata dalla presenza di due persone, si dovrebbero tenere presenti gli scopi di tutti e due i colloquianti: paziente e terapeuta. Per quanto riguarda gli scopi che può avere lo psichiatra: innanzitutto bisogna dire che, proprio per quel rispetto che dobbiamo a chi viene da noi, non possiamo fissare un'ora per un colloquio con una persona senza pensare perché gliela dedichiamo, cosa ci aspettiamo e cosa possiamo offrire; inoltre, lo psichiatra deve avere dentro di sé un'immagine abbastanza chiara di quali sono le sue capacità professionali, di quali sono le possibilità materiali per il trattamento di una persona, del tipo di “bisogni” professionali che ha in quel momento. Uno psichiatra che lavora in un gruppo ben organizzato ha la possibilità di vedere chiaramente le reali opportunità di trattamento di un paziente sconosciuto, quindi sa cosa può realmente offrire al paziente; lo psichiatra che lavora in un gruppo dilaniato da invidie o lotte, invece, raramente avrà in testa un quadro chiaro e sufficientemente attendibile della situazione. L'immagine che si sarà formata nel suo interno del gruppo che lavora con lui sarà eccessivamente investita di sentimenti disturbanti e sarà con ogni probabilità divenuta una fonte poco attendibile di informazioni. Lo psichiatra all'inizio della sua carriera, ma non solo, dovrebbe pensare alla propria disponibilità materiale e alla propria competenza scientifica. Avere in testa un quadro chiaro della situazione permette di aver chiari lo scopo e i sottoscopi.

Prerequisiti mentali Con questa espressione si intende indicare quell'insieme di condizioni, di fatti, di conoscenze, di stati emotivi, che appartengono al mondo interno di colui che deve condurre il colloquio. Fanno parte del mondo interno del tecnico, quindi, anche le nozioni teoriche o apprese attraverso l'esperienza pratica: esse sono state certamente deformate quando sono state assimilate da lui. E' normale che una persona personifichi quando interiorizza, l'importante è accorgersene e tenerne conto. Gli atteggiamenti che lo psichiatra deve imparare a conoscere e ri-conoscere in se stesso sono: disponibilità e professionalità I giovani medici che iniziano a dedicarsi alla psichiatria adottano un atteggiamento “estremista” sia da un lato che dall'altra. A me pare che in entrambi i casi si commetta un errore di fondamentale importanza, giacché si negano di fatto degli elementi evidenti che si possono così descrivere: il paziente non è un amico, per il semplice fatto che non lo si è mai visto prima. Comportarsi come se lo fosse può dare la benefica impressione di aver superato le difficoltà di incontro: in realtà le si è messe solo messe da parte e si è comunicato al paziente che ne abbiamo una discreta paura. Dall'altro lato, comportarsi secondo un modello rigidamente prefissato non va bene in quanto negheremmo di essere umani. Assai utile è che ognuno, soprattutto all'inizio di questo mestiere, pensi un po' al proprio stile personale. Ognuno deve pensare al proprio stile personale in quanto tutti abbiamo un modo proprio di parlare e impostare un discorso. Quando parlo di tecnica personale di colloquio intendo riferirmi al fatto che tutti abbiamo imparato a parlare e che tutti, dovendo parlare con certe persone, tendiamo ad impostare il colloquio in un certo modo precostruito. È evidente che la mancanza di questa elementare consapevolezza di sé può giocare brutti scherzi. La mancanza di consapevolezza in sé può creare dei problemi. E' importante sapere almeno a livello descrittivo come siamo, spesso ai pazienti chiediamo di fare un lavoro che non sapremmo fare come per esempio il descriversi. Non si può negare, nel nostro mestiere, un aspetto (la propria personalità) o l'altro (la propria professionalità) perché in ogni caso si combinano dei pasticci e la sensazione che si trasmette al paziente è

quella di falsità. Fondere dunque la propria tecnica personale con la tecnica del colloquio significa riuscire ad elaborare uno stile comunicativo che consente al paziente di sentire che non ha di fronte una statua o un pasticcione ma una persona disponibile e sinceramente incuriosita che ha a propria disposizione i mezzi tecnici per facilitargli un compito non facile. frustrazione e sadismo E' frequente purtroppo che la regola della frustrazione spesso viene interpretata in chiave sadica, quasi che lo psicanalista dovesse strapazzare i pazienti. Si tratta di una proiezione di un Super-Io sadico sugli psicanalisti e di una successiva identificazione “legalizzata” con tale Super-Io. Comunque tale regola non significa che si debba essere maleducati, scontrosi, caustici con i pazienti. Che i pazienti si sentano così è un fatto loro, che lo si faccia noi, invece, è un problema nostro, sul quale faremo bene a riflettere. Se un paziente si innamora di un analista che è rimasto neutro si parla di transfert, se l'analista gli ha fatto la corte si parla di amore corrisposto. E' importante sottolineare questo aspetto perchè in sede di primo colloquio l'atteggiamento di base dell'intervistatore viene attentamente ed ansiosamente valutato dall'intervistato. Atteggiamenti sadici nei riguardi dei pazienti non ci devono essere, né mascherati da elementi tecnici né mascherati da tratti di carattere allegrone. Ciò che invece nel primo colloquio si chiede è la conservazione della neutralità: ma questa neutralità è un atteggiamento assai “attivo” di curiosità, di disponibilità e di attenzione che fa si che noi ci tiriamo da parte per lasciare che il paziente si esprima quanto meglio può. Questo atteggiamento di base dello psichiatra costituisce la migliore presentazione che di sé può fare alla nuova persona che incontra.

Riassumendo I prerequisiti mentali che si richiedono al terapeuta che debba affrontare un colloquio con una persona sono estremamente semplici. Si possono riassumere in poche parole: - una disponibilità attenta e rispettosa, - una curiosità non invadente, - una capacità di essere attivamente neutrali, - una coscienza sufficiente del proprio stile comunicativo. Sommate queste caratteristiche ad una sufficiente chiarezza circa gli scopi del colloquio specifico che si deve affrontare e siete già a buon punto. Contrariamente a quel che si dice il paziente con problemi psichici ha un tale grado di tolleranza della frustrazione ed una storia così infelice alle spalle che assai spesso non se la prenderà con noi più di tanto, se non saremo in grado di ascoltarlo. Spesso, la delinquenziale consapevolezza di aver a che fare con una persona cui la vita ha comunque imposto un grado terribile di sopportazione, facilità l'instaurarsi di un atteggiamento di non-ascolto, una specie di insalata mista fatta di indifferenza, sfiducia, presunzione che non ci sia nulla da fare. Il nostro non è un lavoro innocuo, ma un lavoro pericoloso. La pericolosità peggiore del nostro lavoro non è quella acuta bensì quella cronica. Il pericolo del cronico sta nel subdolo tentativo di prendere le distanze dal paziente mediante operazioni mentali che, dapprima messe in atto durante i periodi lavorativi, poi si dilatano anche alla vita quotidiana e familiare dello psichiatra, alla sua vita privata. Una progressiva desensibilizzazione, quando non addirittura una sclerotizzazione massiccia, delle proprie attività psichiche. La psiche è caratterizzata dal fenomeno che per cui può nascondere e nascondersi qualsiasi cosa ma non può nascondere sé stessa. Ora questo fenomeno non è solo specifico dei pazienti: è una caratteristica umana. Neppure noi sappiamo mentire a questo livello, tuttavia, possiamo però mentirci. Inconsciamente lo facciamo in continuazione e per i motivi più svariati noi cerchiamo di impedire a noi stessi la visione della realtà e, in primo luogo, della nostra realtà psichica. Lo psichiatra deve essere distaccato ma non troppo. Sappiamo che un essere umano entrando in contatto con un altro essere umano, può modificarlo ed esserne modificato in qualche misura. Fare come se questo non avvenisse, costituisce una delle modalità difensive più comuni del nostro lavoro e certo una delle più pericolose. Da questo punto di vista, la tecnica è uno strumento che noi abbiamo elaborato per far si che queste modificazioni avvengano in modo conoscibile coscientemente. La tecnica ci consente di utilizzare le modificazioni stesse che il contatto con il paziente ha prodotto dentro di noi come fonte per sviluppare le possibilità comunicative in quel colloquio. La tecnica è uno strumento elaborato per far si che queste modificazioni avvengano in mondo conscio, un colloquio che presta attenzione alla tecnica è una salvaguardia della propria vita psichica, le modificazione “subite” ci permetteranno di sviluppare le capacità comunicative in quel colloquio e negli anni di migliorare le nostre capacità comunicative.

CAPITOLO 2: LA CORNICE DEL COLLOQUIO: GLI ASPETTI MATERIALI Il luogo Il colloquio, che si svolge tra due persone, avviene in un luogo e questo ha un ruolo molto importante per lo svolgimento del colloquio stesso. La stanza dove si svolge il colloquio è un luogo delimitato da pareti con aperture verso l'esterno finalizzate all'entrata o all'uscita, al cambio d'aria o per permettere la visione dell'esterno e l'entrata della luce. Sono quindi fondamentali pareti, porta e finestre. La porta della stanza di colloquio deve essere una porta a tutti gli effetti: non deve essere trasparente alla luce ne ai suoni, dovrebbe essere dotata di una maniglia e di una serratura. È chiaro che ciascuno di questi elementi ha un solido aspetto concreto ed un altrettanto solito aspetto simbolico. Non si può, in altri termini, simbolizzare una porta mediante una tenda, sminuirne il significato lasciandola perennemente aperta o svalutarla lasciando che chiunque la apra. La porta è qualcosa di immensamente importante, è il confine al di là del quale non diremmo le cose che possiamo dire al di qua. I luoghi nei quali la persona è chiamata a sperimentare la propria realtà psichica, sono luoghi per ciò stesso intollerabili, anche se inconsapevolmente, a tantissimi di noi. La negazione della distinzione tra dentro e fuori è molto comune. Succede spesso che si tolleri che gli altri bussino, entrino, entrino senza bussare, telefonino. La porta c'è, ma non si vede: ed allora quella porta diventa solo un misero trucco; non serve a nulla una porta che venga aperta in continuazione.

L'arredamento Anche in questo caso l'arredamento è un qualcosa di materiale che si presenta al paziente, che simbolizza al paziente aspetti nostri, di noi che abbiamo accettato di stare in quel luogo o che lo abbiamo fatto così come si presenta adesso. Non si tratta solo dei singoli oggetti contenuti all'interno della stanza, ma piuttosto dell'insieme, della Gestalt della stanza, che quegli oggetti, così come il colore delle pareti e l'illuminazione, concorrono a costruire. Vediamo ora quali sono i requisiti richiesti per una stanza destinata all'effettuazione di colloqui. Innanzitutto un tavolo e due sedie . Non un tavolo di quel deprimente tipo che viene genericamente definito “ospedaliero”, ma un tavolo qualunque che sia, appunto un tavolo qualunque e che non continui a lanciare al paziente il messaggio insensato “sei in ospedale, sei in ambulatorio, quello è il medico ecc”, ma che faccia sentire il paziente come in una casa. Lo stesso dicasi per le sedie. Avere delle sedie comode, con i braccioli, foderate, comunica semplicemente al paziente che capiamo benissimo che non gli sarà facile esporre le sue cose, ma che perlomeno cerchiamo di metterlo a suo agio. La luce deve essere diffusa e non fastidiosa e le pareti andrebbero colorate come si colora una casa e qualche quadro, anche semplice, qualche riproduzione, va sempre bene. Anche questi particolari, evidentemente, comunicano qualcosa di noi al paziente.Ma se le pareti fossero nude probabilmente gli comunicheremo solo che siamo delle persone che accettano di passare parecchie ore della propria vita in un ambiente piuttosto squallido. Se poi un angolo venisse attrezzato con due poltroncine ed un tavolinetto basso, tanto meglio. Quelli invece che vanno banditi sono gli armadietti in ferro-vetro stracolmi di farmaci o peggio ancora di strumenti medici. Queste presenze, oltre ad essere fonte d'inutile comunicazione al paziente (che magari non avrà affatto bisogno di farmaci), sono anche fonte di disturbo perenne.

Il corpo dello psichiatra Quando il paziente entrerà avrà una percezione unica della stanza e in questa sarà compreso anche lo psichiatra. Così come è necessario che uno psichiatra sappia quantomeno descrivere a se stesso il suo stile personale di condurre un colloquio non tecnico, è altrettanto necessario che egli impari a descriversi anche il proprio stile corporeo, fatto di vestiti, di atteggiamenti posturali, di mimica . Si tratta di altre facce dello stesso fenomeno: il carattere. Ovviamente, ci sono dei casi limite da evitare come presentarsi in tuta da ginnastica al paziente o ostentare stupidamente la propria ricchezza, tramite gioielli, pellicce e così via. Va da sé che un pizzico di buon senso e di buona educazione è più che sufficiente a orientarsi in questo campo. Ma, al di là dei casi limite, è bene che uno sappia che stile corporeo ha, che tipo di messaggio questo stile può inviare e che tipo di reazioni può indurre. Un altro aspetto corporeo importante dello psichiatra è quello degli atteggiamenti posturali. Vale lo stesso discorso: occorre conoscerli e, anche qui, ci sono dei limiti dettati dal buon senso.

Riassumendo Per poter fare un colloquio psichiatrico degno di questo nome, occorre avere una stanza decente, che abbia le caratteristiche di una stanza d'abitazione, con un arredamento anche modesto ma non medico e qualche elemento di personalizzazione dell'ambiente. Bisogna ricordare che fanno parte degli aspetti materiali della cornice del colloquio anche il nostro aspetto ed il nostro atteggiamento posturale e che tutti questi dati messi assieme da un lato concorreranno a costituire l'immagine che il paziente si farà di noi, dall'altro saranno dei parametri o delle costanti di cui talvolta bisognerà tener conto quando ci si porrà il compito di valutare criticamente e razionalmente l'andamento del colloquio.

CAPITOLO 3: LE REGOLE DEL GIOCO Esistono tre regole fondamentali senza le quali non si può condurre un colloquio. Esse sono: 1) la regola del linguaggio, 2) la regola della frustrazione, 3) la regola della reciprocità. Ognuna di esse ha particolari mome...


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