Tutoraggio - Tutor PDF

Title Tutoraggio - Tutor
Author Francesco Lai
Course Etica della cura
Institution Università degli Studi di Verona
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Tutor...


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LEZIONE 1 ALTITUDO. Questione della “prospettiva” e della “bi-focalità” (visione scissa). Altitudo è un concetto ripreso da Wusbanger e, in particolare, da un suo saggio dedicato a HIPSEN e a un saggio di HIPSEN (2° capitolo libro). È un’analisi che verrà ripresa anche da Derida (Il buon uso della depressione), il quale cerca di leggere in questo architetto che cerca di edificare dei palazzi più alti e ambiziosi possibili il paradigma del depresso). Altitudo non è solo una coordinata, non è solo l’altezza, ma è qualcosa di simile a quello che Wusbanger chiama “direttrici esistenziali” e che noi possiamo definire “direttrici di soggettivazione”. L’altezza è sì una coordinata che allude a un’ascensione, ma è anche qualcosa di “topico”. La topica è ciò che utilizza Freud per organizzare la scansione conscio – inconscio – preconscio, io – Es – super io. Non è qualcosa di astratto, ma è qualcosa di molto radicato nell’esperienza e nasce dal presupposto per cui la vita psichica ha origine in una perdita (il soggetto si origina come colui che ha una vita psichica nel momento in cui viene meno l’oggetto di soddisfazione immediata di bisogno, ovvero il seno materno. Prima di questo momento non c’era una distinzione soggetto – oggetto, un meccanismo di desiderio e la serie di dinamiche che articola la vita psichica). Nel momento in cui Freud dice non comincio a pensare la storia di un soggetto come una cronologia, una biografia o un evoluzionismo, ma la penso in senso topico, è proprio questo. Si riferisce a come un evento dà luogo ad una certa declinazione della vita, ad un certo orizzonte della soggettivazione, che non è più riducibile agli stati anatomici/biologici/fisici (non è prettamente scientista). Altrettanto interessante è che questa topica non sia in Freud un sistema irrigidito e fisso, non ci sono tre elementi scanditi, ma molto spesso sono integrati all’interno di schemi, i quali possono essere percorsi in un senso piuttosto che in un altro. L’esempio nel capitolo VII dell’Interpretazione dei sogni, pensa a quale sia il luogo del sogno. Egli fa uno schema con due linee parallele dove da un lato si sita il sistema della percezione e dall’altro il sistema della scarica motoria. È come se dilatasse all’interno di questa topica il passaggio che normalmente è immediato dalla percezione all’azione (passione a azione). Questo ha a che fare con il sogno perché esso è concepito da Freud come una sorta di inceppamento del sistema che dovrebbe portare dalla percezione all’azione. Qualcosa cortocircuita e delinea un tracciato che prima non c’era. Il sogno potrebbe essere visto come un’intensificazione dilatata di quello che avviene costantemente durante la veglia, solo che nella veglia facciamo un passaggio immediato, mentre durante il sogno abbiamo esperienza di questa dilatazione. Immaginiamo che un dato sensibile entri dal lato della percezione, c’è una lastra che riceve gli stimoli (ma che non è in grado di distinguerli, semplicemente riceve), poi c’è la memoria che si costituisce come una serie di iscrizioni. Il sogno fa qualcosa di particolare: si crea a livello della memoria inconscia. Qualcosa, come tracce, vengono ri-attualizzate nel sogno. Il modo è, però, quello del percepito, dell’immagine percepita immediatamente e che non ha a che fare con la memoria. Nel momento che i sogni li ricordiamo, qualcosa di questo corto-circuito arriverà alla coscienza da sveglio. Il modo in cui Panattoni utilizza Altitudo va in questa direzione (pag. 18): la struttura si posa su un predisposto etimologico –> altitudo non è in realtà l’indicazione di un movimento dalla base al vertice, ma implica due possibilità (base al vertice e il movimento opposto, di un approfondimento, dal vertice alla base). Panattoni propone una torsione in cui la virtualità dei due movimenti non sarebbe qualcosa che partecipa del principio di non contraddizione (o in un verso oppure nell’opposto), bensì qualcosa che si mantiene costantemente all’opera all’interno della vettorialità stessa di altitudo, ovvero nella direttrice di soggettivazione che altitudo descrive. Quindi, per un verso indica l’incipit dell’azione e la realizzazione del proprio agire e per l’altro è un approfondimento che, a partire dal vertice, o da un’alterna intermedia, come accade nel sogno, continua a fare segno di una dimensione discendente. Immaginare altitudo vuol dire immaginare due movimenti virtuali, ma soprattutto “un punto” in cui le due direttrici si intersecano. Implica riferimento sia all’altezza che alla profondità, quindi ad un doppio

movimento. Ha a che fare con un momento drammatico dell’intersezione tra queste due direttrici e questo momento drammatico è segno di una verticalità e di un’orizzontalità. Se c’è un punto della soggettivazione in cui l’intersecarsi del movimento discendente e ascendente produce un “punto drammatico”, ovvero un punto di stallo in cui nessuno dei due movimenti prevale, ma in cui nessuno dei due è nemmeno annullato. L’altra indicazione che dà Panattoni nella definizione è che questo punto drammatico rivela che in altitudo in realtà c’è una seconda vettorialità: se ci sono due movimenti all’opera, se noi comunque possiamo avere una prospettiva, è necessario che entrino in un rapporto. Questo punto d’arresto (e drammatico) funziona come una base in cui si realizza un rapporto (c’è un punto drammatico, ma malgrado tutto posso assumere un punto prospettico sulle cose, non son preso semplicemente da questo inciampo drammatico): tra una direttrice verticale e una orizzontale (tra superfici differenti che si intersecano e danno quell’effetto sintetico per cui possiamo vedere). Dunque, due riferimenti: (1) la presenza di un tempo drammatico e (2) la presenza di un punto di vista. Questi entrano in rapporto tra loro, tanto che ogni rapporto di altitudo (tra verticalità e orizzontalità) presuppone dei rapporti di inclinazione. Non potrei essere perfettamente aderente a uno o l’altro asse, ma ho sempre bisogno di un’inclinazione rispetto ai due. E’ sempre possibile che un punto di vista si radicalizzi  per esempio quello di Solines, di cui fa riferimento nel secondo capitolo, è una forma di radicalizzazione di punti di vista che vorrebbe essere perfettamente aderente alla propria verticalità, quindi costruire solo in altezza questi palazzi per poter arrivare sino a parlare con Dio. Il movimento di ascesa non ha più conto di quale sia il suo vettore orizzontale e, in termini poi del dramma, precipita dalla torre preso dal contro-movimento di altitudo. ESEMPI I° CAPITOLO: Esempio dello “stadio dello specchio”. Si presenta in termini più complicati rispetto al modo in cui siamo abituati a sentircelo ripetere (= momento in cui l’io acquisisce la forma unitaria del proprio io/l’immagine unitaria del proprio sé). Meglio  Come un soggetto potenzialmente in rapporto solo con dei pezzi, diventi un’immagine unitaria (che noi chiamiamo io). Lacan dice che è la trasformazione prodotta in un soggetto quando assume un’immagine. È molto diverso dal dire che un soggetto si trasforma in soggetto quando assume un’immagine (bensì è la trasformazione reciproca che c’è nell’interazione tra un soggetto e un’immagine) Lacan sottolinea come ci sia una dissimmetria/inattualità tra lo stato del bambino (dai 6 mesi) e l’assunzione dell’immagine speculare. Lo stato del bambino è di un’incapacità sostanziale di fronteggiarsi con oggetti come strumenti (il bambino gioca, non usa gli oggetti come strumenti). Laddove lo scimpanzé ha un uso strumentale del mondo perfettamente compiuto e un’immagine praticamente inutile, il bambino ha un uso del mondo profondamente incapace eppure interagisce con questa immagine come fosse qualcosa di estremamente “utile”, come fosse un oggetto di fascinazione più interessante di quello che il mondo gli offre. Lacan ci dice che l’intrattenersi con l’immagine ha un esito giubilatorio che NOI tendiamo a farlo coincidere con il fatto che finalmente si vede concreto, ma in realtà, in Lacan, l’aspetto giubilatorio non è collocato lì, perché l’aspetto giubilatorio/turbolento del bambino che si agita davanti all’immagine, lo mette in stretta relazione con il fatto che ha incontrato una perfetta specularizzazione/fissità tale che, muovendosi, cerca di animarla. Muovendosi cerca di dare del movimento a qualcosa che come mai prima si è posta in una forma di perfetto rispecchiamento (ma con qualcosa di molto indeterminato, che Lacan chiama FORMA PRIMORDIALE). Lacan associa la forma primordiale al concetto di imago, il quale indica un repertorio di immagini inconsce. Qualcosa che, non necessariamente passando per l’esperienza, è nella riserva inconscia del soggetto,

qualcosa che è in immagine e segna il destino del soggetto. Se questa forma primordiale è il punto in cui il bambino precipita, che fa segno al suo destino, non è affatto iscritto nell’immagine quale sia il suo destino. La forma primordiale non è una rappresentazione, non ci dice l’esito rappresentativo del processo e, quindi, il fatto che un Io diventi un Io, Soggetto diventi Soggetto, è bensì solo una tensione tra ciò che si presenta attuale e qualcosa che allude ad un futuro indistinto. Ciò avviene prima che il linguaggio restituisca al bambino l’universale della sua funzione di soggetto. Quello che si disegna è un tratto in cui c’è un passaggio da una forma primordiale a una forma unitaria, da bambino a soggetto, passando per il linguaggio, ma c’è anche qualcosa che resta lì, questa forma primordiale resta lì /è asintotica: per tutto il tempo che accompagnerà il soggetto tenderà qualcosa, riducendo sempre più il differenziale (ma senza mai arrivare all’imago). Ci sarà bisogno di un’abilità sintetica, del linguaggio, per dare forma all’immagine rappresentativo che definiamo io. Lo STADIO dello specchio non è uno stadio, bensì una zona di transizione. Non è qualcosa che si attraversa, supera e si assume completamente (certo, dal punto di vista biografico, noi tendiamo a rispecchiarci meccanicamente nello specchio). Ma a livello inconscio quello è eternamente un incontro drammatico, un punto di intersezione tra due momenti. Che continua a orbitare tra una forma primordiale e una conclusa, tra un corpo in frammenti e un fantasma (se stessimo semplicemente nell’opposizione corpo in frammenti e corpo unitario non ci sarebbe alcun fantasma che ci permetterebbe di colmare il gap). Ciò che è importante è che ALTITUDO disegna un circuito all’interno delle due direzioni ed è fondamentale per la soggettivazione (è fondamentale, per esempio, per la soggettivazione, non presumersi troppo un Io). Ciò ricorda molto da vicino il passaggio dal trauma al fantasma (qualcosa in più del trauma, ma non ancora rappresentazione). Movimento di ALTITUDO: C’è il punto di vista del soggetto germinale, il bambino. Vi sarebbe il primo incontro con lo specchio, con la forma primordiale, destinata poi a ripetersi. La ripetizione della forma primordiale, in cui il bambino precipita, si accompagna, proprio in virtù della vertigine, a un’inclinazione / prospettiva, che tende verso un punto ideale (che è l’io ideale). Radicalizzando: è come se ad ogni incontro con lo specchio si ripetesse la forma primordiale e l’immagine ideale dell’io. ** C’è sempre un rapporto della nostra immaginazione, compresa l’immaginazione di noi stessi, con un punto di inimmaginabile. E l’inimmaginabile è quello con cui bisogna fare i conti: se ci limitiamo a dire che l’inimmaginabile è un reale, qualcosa di cui non potremmo avere esperienza e, quindi, non dev’essere né ripetuto né rappresentato, non capiremmo mai fino a quanto, invece, quel punto è comune, ovvero come quelle immagini inimmaginabili (iscritte nel trauma e, quindi, al di là del rappresentabile) non solo fanno parte della storia della nostra comunità, ma fanno parte di elementi costitutivi come la creazione della nostra immagine nello specchio. IV° CAPITOLO: un termine chiave è “sguardo”. Il secondo esempio di cui parliamo è del Seminario XI ed è un “doppio esempio”: mimetismo e anamorfosi, dove la categoria dello sguardo diventa fondamentale. La nozione di base è: cosa accade nell’incontro tra un soggetto e l’immagine. Ma qui l’immagine è meno specifica (rispetto allo Stadio dello specchio), non è più l’immagine identitaria del proprio corpo e, al tempo stesso, più specifica, perché l’interrogazione diventa ancora più serrata: come funzionano i due dispositivi di visione. Le due categorie su cui si lavora sono quelle di “sguardo” e “occhio” (un po’ rapporto forma primordiale – io ideale). Osservazioni preliminari: - c’è una prima separazione che al momento sembra quella tra sguardo e vissuto, ovvero tra (1) la presa sintetica e prospettica (sotto forma di racconto, narrazione) e (2) il vissuto di un’esperienza in prima persona (nel senso percepito del termine).

- Panattoni sembra dirci che il fantasma è ciò che ritorna a testimonianza del fatto che lì qualcosa è andato eluso. Questa elisione è data dal fatto che lo sguardo ha uno stretto rapporto con la coscienza: esiste un rapporto tra lo sguardo e l’assunzione di una prospettiva. Lo sguardo, con cui guardiamo le cose e le discerniamo, compie un raddoppiamento della vista. Lo sguardo, raddoppiando quanto vede, dà un senso prospettico, ma dimenticando qualcosa. E ciò che dimentica non è secondario, perché dimentica il fatto di avere un occhio, organo delegato alla visione e che riceve dati sensibili. Lacan distingue tra ciò che viene visto (una cosa) e ciò che sarebbe oggetto della visione dell’occhio (qualcosa di offerto gratuitamente alla visione al di là delle significazioni che potrebbero essere applicate). Il luogo in cui individua più esplicitamente un’effettuazione della crisi tra occhio e sguardo è Il mimetismo: per esempio, la farfalla che sulle ali ha dei segni che dovrebbero ricordare gli occhi di un predatore. Il mimetismo, facendo studi, non serve: l’ipotesi adattiva sarebbe da scattare integralmente (non c’è niente, come coscienza, che decisa strategicamente di fingersi qualcos’altro per sopravvivere). Ciò che va indagato è come qualcosa dello spazio circostante riesca ad imprimersi sull’animale. Lacan si chiede se gli uccelli non sono forse degli specchi per l’occhio stesso? La farfalla riproduce sulle ali qualcosa di molto simile agli occhi di un rapace, qualcosa che somiglia agli occhi e che dovrebbe intimorire il predatore che dovrebbe riconoscere questa somiglianza. Ma Lacan dice, se la questione non fosse quella della somiglianza tra gli occhi/della questione delle identità, MA quella del linguaggio che queste due identità condividono? Come macchie/forme primordiali non abbiamo un’implicazione con i miei occhi? La farfalla riproduce sulle ali qualcosa di molto simile agli occhi di un rapace, qualcosa che somiglia agli occhi. Qualcosa che dovrebbe intimorire il predatore che dovrebbe riconoscere la somiglianza. Ma se la questione fosse che gli occhi (come macchie di colore, forme primordiali) non abbiamo una diretta implicazione con i tuoi occhi tale per cui non c’è più niente che distinguerebbero (sarebbe un’ipnosi totale). Se non sono io cogito che guardo, se non c’è un punto di vista che parte da me per capire che cosa viene guardato, significa che io sono ANCHE guardato. Non sono però guardato da un soggetto (saremmo nell’ambito relazionale di un cogito che guarda un cogito), ma sono guardato dall’immagine. Quell’immagine primordiale si trova nella situazione di imprimersi nel mio occhio e al tempo stesso di guardarmi (senza essere possibile tracciare una linea di divaricazione su dove finisco di essere guardato e inizio a guardare / corpo in frammenti e identità dell’io). Da un lato ci sarà il soggetto della coscienza, il quale ha una presa sulla realtà che fa quadro, ovvero restituisce un’inquadratura (una sezione di realtà). Ma c’è qualcosa nel quadro, il suo essere immagine/materia di luce/macchia, che guarda il soggetto. Per cui è il soggetto che è nel quadro. Due movimenti in atto nello stesso momento: uno diretto dallo sguardo e l’altro dall’occhio. Non ci interessa sapere se prima l’occhio si impressioni o lo sguardo abbia una presa di visione, ma piuttosto è che all’interno di questo rapporto la visione ha luogo. Il sogno: quando sogniamo di essere una farfalla riusciamo a dire se ho sognato una farfalla o di essere una farfalla? L’immagine è la stessa, il nostro io si fa immagine in quel momento. Se prendiamo l’esperienza del sogno – esperienza di occhio – se non ci fa impazzire è solo perché stiamo dormento: se questo dato del reale si vivesse nella veglia, ci sarebbe una forma di psicosi. LEZIONE 2 ALTITUDO: implica un riferimento sia all’altezza che alla profondità (doppio movimento) e ha a che fare con un movimento drammatico dell’intersezione di queste due direttrici. E questo momento drammatico è segno anche della coesistenza di una verticalità e un’orizzontalità.

Quest’ultimo aspetto, molto oscuro, può essere così indicato: quando si parla di una proiezione spaziale, come di un punto di vista, una verticalità e un’orizzontalità sono necessari. Ma ciò non significa che sia immediatamente il fine della visione: le due direttrici coesistono, sono necessarie, ma non necessario è lo scopo che noi attribuiamo. Altitudo va considerato come un duplice movimento e un duplice asse. La questione del mimetismo è importante: c’è una duplice intersezione prospettica descritta da Lacan e ripresa da Panattoni in cui da un lato c’è un soggetto che ha una presa di visione prospettica su un quadro e dall’altro lato c’è qualcosa in questo quadro (che potremmo immaginare come gli uccelli sulle ali della farfalla) che fa “macchia” e fa sì che io sia un quadro, innescando un movimento prospettico opposto. Panattoni sottolinea come non sia importante capire quale sia il movimento primo o privilegiato dal punto di vista fenomenologico, ci interessa poco capire se ci sia prima un rispecchiamento e poi un riconoscimento, ma ciò che conta è che i due movimento prospettici siano coesistenti e implicati. Lo stesso Lacan dice che nel rapporto di imitazione non siamo mai di fronte a due istanze che è possibile separare. Qualcosa si situa nel mezzo di questo schema, nel momento drammatico di queste prospettive (lo schermo) nel punto di condensazione dell’immagine. Questione della schisi tra occhio e sguardo: due funzioni di un unico dispositivo (vista), in cui c’è c’è una pulsione dello sguardo che tende a ricostruire l’immagine (dispositivo coscienziale che dà un senso all’immagine: quelli sono degli occhi di un predatore che io riconosco e, quindi, non attacco l’insetto), ma questo dispositivo è sempre qualcosa che elude a qualcosa d’altro (essere “macchia” di quegli uccelli, il momento del rispecchiamento ect.). Tutto questo è essenziale per la questione del terzo esempio. La questione dello sguardo quando ricostruisce un’immagine è una questione anamorfica. III Esempio: “Anamorfosi”: sono quelle immagini che viste frontalmente sembrano macchie indistinte, mentre se ci si sposta in una determinata posizione, acquisiscono una profondità. È un concetto interessante perché ci svela che quando vediamo qualcosa in prospettiva, abbiamo tutt’altro che una restituzione letterale del campo del visibile, bensì una prospettiva costruita del campo del visibile. L’anamorfosi ci dice qualcosa che fa parte delle leggi della prospettiva, ma anche qualcosa del suo sovvertimento perché, non appena abbandoniamo quella posizione, se ad esempio ci addormentiamo, tutto questo non tiene più e quella che doveva essere un’immagine situata con le sue profondità, con punti d’aggancio rappresentativi, diventa invece una materia d’immagine che non lascia più alcuna coordinata e genera un panico/dispersione dell’io. “Lo sguardo è anamorfico perché ricostruisce”: quello che vedo nello specchio, riprendendo il primo esempio, non è l’immagine dell’io, ma un’immagine a cui una serie di funzioni prospettiche hanno dato quel tipo di quadratura (cioè di essere un’immagine restitutiva di un’identità, cioè di un simbolo che non è già più un’immagine, bensì costrutto composto che ha poco a che vedere con il dispositivo della percezione/visione). Anamorfosi è una ri-costruzione che riteniamo corretta, ma che porta sul fondo una costruzione visiva. Lacan non parla immediatamente dell’immagine dell’io, ma parla di un imago o forma primordiale, in cui l’io precipita e a cui non coincide. E...


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