06. Chateaubriand - Les mémoires d outre-tombe PDF

Title 06. Chateaubriand - Les mémoires d outre-tombe
Course Letteratura Francese 1
Institution Università degli Studi di Napoli L'Orientale
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Una notte all’abbazia di Westminster (Memorie d’oltretomba, pubblicato postumo dal 1848 al 1850, libro X, Capitolo 5) “Tuttavia successe una volta che, avendo voluto contemplare l’interno della basilica dopo il tramonto, mi perdet nell’ammirazione di questa architettura piena di impeto e di fantasia. Dominato dal senso della vastità cupa delle chiese cristiane (Montaigne), vagavo a lenti passi e mi lasciai sorprendere dalla notte: chiusero le porte. Cercai di trovare un varco; chiamai l'usher, picchiai alle gates: tutto quel rumore si perse, diffuso e smorzato, nel silenzio; dovet rassegnarmi a dormire con i defunti. Dopo aver esitato nella scelta del giaciglio, mi fermai presso il mausoleo di lord Chatham, sotto la tribuna e la doppia loggia della cappella dei Cavalieri e di Enrico VII. All'inizio di quelle gradinate di quei bracci chiusi da griglie, mi offrì rifugio un sarcofago infisso nel muro, di fronte a una morte di marmo armata di falce. La piega di una coltre funebre, essa pure di marmo, mi servì da alcova: sull'esempio di Carlo V, mi abituavo alla mia sepoltura. Ero nei primi ranghi dei palchi per guardare il mondo tal quale esso è. Che cumulo di grandezze rinchiuse sotto queste cupole! Che cosa rimane di esse? Le pene non sono meno vane delle beatitudini; la sventurata Jane Grey non è diversa dalla fortunata Alice di Salisburgo; il suo scheletro è soltanto meno raccapricciante perché senza testa; le sue spoglie sono rese più belle dal supplizio e dall’assenza di ciò che ne costituì la bellezza. In questa sala degli spettacoli funebri non ricominceranno i tornei del vincitore di Crécy, i giochi dell’armata del Drappo d’oro di Enrico VIII. Bacone, Newton, Milton sono seppelliti altrettanto profondamente, altrettanto trapassati quanto i loro contemporanei più oscuri. Io, errabondo, povero, accetterei di non essere la più piccola cosa dimenticata che sono, per essere stato uno di questi morti famosi, potenti, sazi di piaceri? Oh! La vita non consiste in ciò soltanto! Non meravigliamoci se dalle rive di questo mondo non distinguiamo chiaramente le cose divine: il tempo è un velo frapposto tra noi e Dio, come la nostra palpebra sta fra l’occhio e la luce. Rannicchiato sotto il mio lenzuolo di marmo, ridiscesi da questi elevati pensieri alle ingenue sensazioni del luogo e del momento. La mia inquietudine mista a un piacere analogo a quello che provavo d’inverno nella torretta di Combourg quando ascoltavo il vento: un soffio e un’ombra sono della stessa natura…”

…Verrà un giorno in cui sarà importante ricordare… Cosa sogna un ambasciatore? Gli capita di abbandonare i dossiers diplomatici per perdersi nel passato. Soprattutto se il suo nome è Chateaubriand! In carica a Londra dal 1822 (dove il suo cuoco inventa d’altronde la cottura di manzo che ormai porta il suo nome!), la rappresentanza ufficiale francese (lui) si ricorda che trovò un tempo rifugio in questo paese. Riporta alla mente le sue avventure di giovane esiliato nella capitale inglese. Qui e là, i luoghi hanno conservato traccia del suo passaggio. All’angolo di una certa strada, i ricordi affiorano. E se, a volte, non accade, li inventerà. Solo un po’. Nelle Memorie, anche il mentir-vero ha i suoi dirit. Era il 1793. Aveva 25 anni. Davanti gli eccessi popolari della Rivoluzione francese, questo figlio dell’aristocrazia aveva dovuto allontanarsi dalla Francia. Si imbarca dapprima per il Nuovo Mondo, percorre per un anno le foreste dell’America del Nord, vivendo con i nativi e gettando le basi del suo poema I Natchez. Torna dall’ America nel 1792 per unirsi all’armata degli emigrati a Coblenz. Ferito all’assedio di Thionville, è trasportato a Jersey in fin di vita. Malgrado la sua originale e intima familiarità con la morte, la sua ora non è ancora venuta. Si rimette poco a poco. Nella sua terra natale, il tormento rivoluzionario è al culmine. “Ogni giorno in Francia, il ferro mieteva, e le fosse dei miei cari erano già scavate.” Rivoluzionario, quella tempesta non aveva niente di romantico, non era affatto desiderata. Bisognava quindi aspettare che passasse. Londra, città-rifugio, dove rimane fino al 1800, in un’indigenza che lo riduce a dare lezioni di francese e a svolgere traduzioni per le librerie. Uno zingaro si direbbe! E tuttavia tempo di grazia, quanto di miseria, perché le benedizioni della giovinezza esorcizzano bene le maledizioni della storia! Per forza verrà un giorno, inevitabilmento nostalgico, in cui sarà importante ricordare. Questo giorno non tarda affatto, non aspetterà neanche la vecchiaia: “ Eccomi dunque che, dopo le mie erranze nei boschi americani e nei campi della Germania, arrivo nel 1793, povero emigrato, su questa terra dove scrivo tutto questo nel 1822 e dove oggi sono un magnifico ambasciatore.”

L’appello ai morti è un passaggio molto famoso delle Memorie che racconta un momento decisivo nella vita di Chateaubriand e che Proust ricorderà nel Tempo ritrovato. Undici anni dopo il congresso del 1822 in cui aveva svolto un ruolo importante, Chateaubriand ritorna a Verona e medita: “Quante ambizioni diverse si agitavano tra gli attori di Verona! Quanti destini di popoli esaminati, discussi e soppesati! Facciamo un appello a questi inseguitori di sogni; apriamo il libro del giorno della rabbia: liber scriptus proferetur; monarchi! Principi! Ministri! Ecco il vostro ambasciatore, ecco il vostro collega ritornato in carica: dove siete? Rispondete. L’imperatore di Russia Alessandro? -Morto. L’imperatore d’Austria Francesco II? -Morto. Il Re di Francia Luigi XVIII? -Morto. Il Re di Francia Carlo X? -Morto. […] La contessa Tolstoy? -Morta. Il suo piacente giovane figlio? – Morto. Se così tanti uomini, i cui nomi erano riportati accanto al mio nel registro del congresso, sono adesso iscrit all’obitorio; Se popoli e dinastie reali sono perite; Se la Polonia soccombette; Se la Spagna è di nuovo annientata; Se sono stato a Praga per indagare sui fuggitivi dell’ illustre razza di cui ero rappresentante a Verona, cosa sono dunque le cose della terra? Nessuno ricorda i discorsi che tenemmo intorno al tavolo del principe di Metternich. Oh, potenza del genio! Nessun viaggiatore ascolterà mai l’allodola cantare nei campi di Verona senza ricordare Shakespeare.” (memorie d’oltretomba) Facendo eco a questo celebre passo, in occasione dell’ultima apparizione di Charlus, Proust, nel Tempo ritrovato, gli fa intonare l’appello ai morti. “Comunque sia, il barone, in quel momento (anche tenendo conto del mio adattamento) lanciava con più forza le parole come la marca, nei giorni di catvo tempo, le sue piccole onde ritorte. E ciò che restava in lui del suo recente attacco, faceva avvertire al fondo delle sue parole come un rotolare di ciottoli. D'altronde, continuando a parlarmi del passato, probabilmente proprio per mostrarmi che non aveva perso la memoria, lo evocava in maniera funebre ma senza tristezza. Non smetteva di enumerare le persone della sua famiglia o del suo ambiente che erano morte, non tanto, sembrava, con il rimpianto che non fossero più in vita quanto con la soddisfazione di esser loro sopravvissuto. Rievocandone il trapasso, pareva prender meglio coscienza del suo ritorno alla salute. Con una brutalità quasi trionfale ripeteva in tono monotono, leggermente balbettante e con sorde risonanze sepolcrali: «Hartnibal de Bréauté, morto! Antoine de Mouchy, morto! Charles Swann, morto! Adalbert de Montmorency, morto! Boson de Talleyrand, morto! Sosthene de Doudeauville, morto!; e ogni volta la parola «morto» pareva ricadere su quei defunti come una palettata di terra più pesante gettata da un becchino deciso a inchiodarli più profondamente alla tomba.” (Proust, Il Tempo ritrovato) Cosa sogna un ambasciatore, se non i bei tempi andati? Arthur Rimbaud scriverà nel 1870: “Non si è seri quando si hanno 17 anni.” Appena poco di più a 25! Da qui l’idea di lasciarsi chiudere la notte nella chiesa più importante di Londra, l’abbazia di Westminster, luogo delle incoronazioni reali. Sembra una marachella da scolaretto, o una scommessa da collegiale. Ma per Fraçois-René de Chateaubriand, è molto di più: come un’investitura misteriosa, un fondamentale rito iniziatico. Perché l’abbazia di Westminster, basilica di Saint-Denis e Panthéon insieme, è innanzitutto il più glorioso cimitero inglese. Moltissime eminenti sepolture, per una comitiva notturna di qualità: quelle dei re e delle regine di Inghilterra ovviamente, ma anche poeti, e altrettanti uomini e donne celebri di questo paese.

…Notte di tutte le rivelazioni, notte quasi mistica!... L’avventura (più o meno inventata a posteriori) è programmatica di tutta una vita. Per le memorie che sta scrivendo, ha un forte valore metaforico. Il montaggio narrativo dell’episodio gli conferisce d’altronde una certa autonomia nell’economia complessiva del soggiorno londinese, come se il passaggio fosse già predisposto a finire

in un brano scelto! All’inizio del capitolo, come un’insegna, un titolo ricapitola l’aneddoto e lo consacra (“Una notte all’abbazia di Westminster”). Notte di tutte le rivelazioni, notte quasi mistica! Il 23 Novembre 1654, ci fu quella di Blaise Pascal, la cui trascrizione resterà cucita nella fodera del suo abito. Ora ci sarà quella di Chateaubriand: la “notte di Westminster”, cucita nel bel mezzo del romanzo di formazione di un giovane uomo alla ricerca di se stesso! Il racconto dell’evento ha quindi diritto a uno sviluppo significativo e conciso. Facilmente asportabile, esso occupa la maggior parte del capitolo 5 del libro decimo. Lo richiamerà alla mente nel 1839, come un ricordo sempre persistente: “sdraiato sul retro della mia soffice vettura, su dei piccoli materassi di seta, scorsi Westminster dove trascorsi una notte rinchiuso…” Certo, per quanto riguarda l’avvenimento, l’incoerente confinamento è presentato come il frutto del caso. Ma l’alibi della sbadataggine, l’insistenza sul ritardo turistico, raccontato in modo abbastanza aneddotico, non inganna nessuno: “Tuttavia successe una volta che, avendo voluto contemplare l’interno della basilica dopo il tramonto, mi perdetti nell’ammirazione di questa architettura piena di impeto e di fantasia.” Un lettore ingenuo crederà forse per un atmo all’incidente sfortunato. “Cercai di trovare un varco; chiamai l'usher, picchiai alle gates.” Reazione impeccabile, in tre sforzi, ritmo perfetto per mimare il panico e trovare una soluzione, fosse anche in inglese. Ma così squisitamente formale! “dovetti rassegnarmi a dormire con i defunti.” Un lettore più esperto non sarà ingannato dalla capitolazione. Dolce rassegnazione in effet. Essere chiuso là dentro, gli sarebbe piaciuto! L’espressione “ au jour failli (dopo il tramonto)”, nel suo arcaismo poetico e quasi solenne, lascia già indovinare un’aspirazione più fortemente ontologica di una sfortunata esperienza turistica. Come il la di uno spartito sognante (partition rêveuse), il patrocinio letterario di Montaingne dà immediatamento la formula (magica?) per il “senso della vastità cupa delle chiese cristiane”. La macchina retorica è così subito avviata, l’immaginario reso disponibile. Dall’inizio del racconto, la citazione svela la natura esatta della situazione : un’esperienza estremamente poetica, la cui singolarità è evidenziata dalla brevità grave delle frasi: “vagavo a lenti passi e mi lasciai sorprendere dalla notte (je m’anutai): chiusero le porte.” Non una parola superflua, né un aggetvo di circostanza, per disturbare la cerimonia della chiusura, deliziosamente fatale. “Je m’anuitai”, espressione curiosa: una sorta di liturgia! Il termine è abbastanza raro e ricercato da lasciar indovinare, anche nella sua forma pronominale, come il profondo assenso della vitma sia in verità del tutto consenziente. Beato isolamento, che distoglie il turista dal suo stato ordinario e dalle realtà volgari della visita. Contemplare l’eternità non si accorda con gli orari vincolanti di un guardiano. La prova qualificante così superata e riuscita, la visita (quella vera) può cominciare, o, piuttosto, la rêverie. Fuori dagli (orari di) apertura, di notte. Non si vede bene, in quanto poeta, che di notte.

…Un notturno… Tempo privilegiato della coscienza romantica, la notte sottrae il poeta al corso ordinario degli uomini e delle cose. È il momento fasto in cui entra nell’intimità delle verità invisibili. Richiesta è la solitudine, nella quale la scansione del tempo che scorre addensa il mistero: “Avevo contato le dieci, poi le undici sull’orologio; il martello che si sollevava e ricadeva sul bronzo, era il solo essere vivente insieme a me in quei luoghi.” Avventura suprema, come una volta, questa notte famosa nei deserti del nuovo mondo. Forse anche meglio! A Westminster, in aggiunta, l’oscurità della navata e la loro “cupa vastità” accentuano la densità della notte. Notazione curiosa, davvero poco verosimile, ma suggestiva per l’immaginario del “raddoppiamento” della notte: “La nebbia del Tamigi e il fumo del carbone si infiltravano nella basilica e vi diffondevano una seconda oscurità.” Splendido effetto di regia, quasi teatrale, per una notte al quadrato, notte delle not che lascia penetrare dal mondo esterno solo ciò che è in grado di concentrare l’atmosfera notturna dell’interno. Così il mondo esterno si allontana, in modo che la rivelazione si approfondisca. “Fuori, una vettura che sfreccia, il grido del watchmen (=guardiano), tutto qui: questi suoni lontani della terra mi raggiungono da un mondo in un mondo-altro.” In lontananza, percepisci così l’aldilà, come una condizione necessaria per scrivere dall’oltre-tomba. La frontiera tra il dentro e il fuori raddoppia effetvamente quella del giorno e della notte. La colonna sonora è molto curata. Mentre gli uomini dormono, dei rumori, rari, segnalano l’assopimento generale e sottolineano paradossalmente il silenzio infrangibile che le chiamate del prigioniero, in verità, non sono riuscite a scalfire: “tutto questo rumore,

sparso e diluito nel silenzio, si perde.”. Nel cuore di Londra, nel bel mezzo della civiltà, il silenzio di Westminster non è sostanzialmente diverso da quello delle foreste americane. Anche quello ci mette alla presenza dell’invisibile. Tutto si trova al suo posto per far si che il poeta, che vive separato ontologicamente dal mondo, riceva il suo isolamento come un’elezione.

Questa “ notte americana ” non smette di perseguitare i ricordi di Chateaubriand. “Essendomi una sera smarrito in una foresta a poca distanza delle cascate del Niagara, vidi presto spegnersi il giorno intorno a me, e potei gustare, in tutta la sua solitudine, il vago spettacolo d'una bella notte nei deserti del Nuovo Mondo. Un'ora dopo il tramontare del sole, ecco comparir la luna di sopra degli alberi nell'opposto orizzonte. Un profumato venticello che questa regina della notte portava seco dall'Oriente, sembrava precederla nelle selve, come il fresco suo anelito. Quell'astro solitario ascese a poco a poco su in cielo, or seguendo pacificamente l'azzurro suo corso, or riposando sopra gruppi di nuvole, che rassomigliavano alla cima di alte montagne coperte di neve. Queste nuvole, ripiegando e sciogliendo i loro veli, si srotolavano come in fasce trasparenti di candido raso, o si dileguavano in lievi ciocche di spuma, o formavano nei cieli strati, come di bianchissima ovatta, si veri all'occhio, che si credeva sentirne la mollezza e l'elasticità. Dal lato della terra questa scena non era meno incantevole: l'azzurrognolo e vellutato chiaror della luna veniva calando fra gl'intervalli degli alberi, e spingendo strisce di luce fin dentro il folto delle più profonde tenebre. Il fiume che scorreva ai miei piedi, or si perdeva nel bosco, ed ora ricompariva sfolgoreggiante per le notturne costellazioni cui ripete nel suo seno. In una boscaglia, dall'altra parte del fiume, il chiaror della luna dormiva senza movimento sopra l'erbose zolle, e solo alcune betulle qua e là agitate dai venticelli formavano come fluttuanti isolette di ombre, sopra quell'immobile mare di luce. Dopo, tutto sarebbe stato silenzio e quiete, senza lo strepito di qualche foglia cadente, o il passaggio d'un vento improvviso, o l'ulular dell'allocco, o il sordo mugolio delle cascate del Niagara, che nella tranquillità della notte, prolungandosi di deserto in deserto, spirava in grembo a quelle solitarie foreste. Umana lingua non potrebbe esprimere la magnificenza e la stupenda malinconia di questo quadro, non le più belle not d'Europa potrebbero darcene un’idea. Invano la fantasia cerca di spaziare nelle nostre campagne coltivate, che incontra dappertutto le abitazioni degli uomini; ma in quelle deserte e selvagge regioni l'anima può, come a lei piace, inselvarsi in un oceano di foreste, e librarsi sugli abissi delle cascate, meditare alla sponda da laghi e dei fiumi, trovarsi, per così dire, sola davanti a Dio.” (Genie du Christianisme, prima parte, capitolo V) “Penetrate in quelle foresta americane, antiche al pari del mondo: oh qual profondo silenzio entro i loro recessi quando dormono i venti! Quali incogniti suoni se i venti si svegliano! state immobili, tutto tace; fate un passo, tutto sospira. La notte s'appressa, le ombre s'addensano, si odono le belve attraversare le tenebre, mormora la terra sotto i tuoi piedi, replicàti scoppi di folgore fanno mugghiar il deserto; la foresta si agita, si schiantano gli arbori, un fiume sconosciuto scorre ai tuoi piedi. Ma ecco sorgere omai dall'Oriente la luna; di mano in mano che tu procedi ai piedi degli alberi, par che ella ti vada innanzi vagando sulle loro cime, e accompagni malinconica lo sguardo. Intanto, tu, viaggiatore, siedi sul tronco di un rovere ad aspettare il giorno, dove vai contemplando ora l'astro della notte, ora le tenebre, ora il fiume; ti senti inquieto, agitato, in attesa di qualcosa di sconosciuto, un piacere inaudito, uno straordinario timore fanno palpitare il tuo petto, come se tu stessi per essere iniziato ai misteri della Divinità: sei solo nel fondo alla selva, ma lo spirto dell'uomo riempie agevolmente gli spazi della natura, e tutte le solitudini della terra non superano in ampiezza uno solo dei pensieri tuoi.” (Genie du Christianisme, seconda parte, capitolo IV)

…una vera ricerca iniziatica… Tutto qui (=il n’empeche). Si tratta di passare la notte. In un paragrafo, il racconto riporta le tribolazioni del prigioniero alla ricerca di un “rifugio”, una “nicchia”, sulla cui scelta ci dice di esitare. Nel trovare il posto migliore, il cacciatore di foreste americane ha una certa esperienza. Solo che qui non si tratta di sopravvivere, ma di

godere della vista migliore e di trovare il bel posto, il più simbolicamente opportuno, più segretamente assegnato, di tutta l’eternità, a colui che ne sarà l’ospite per una sera. È passato molto tempo da quando la disavventura turistica ha lasciato il posto ad una ricerca iniziatica! “Mi fermai presso il mausoleo di lord Chatham, sotto la tribuna e la doppia loggia della cappella dei Cavalieri e di Enrico VII.” Niente, lo avevamo capito, è lasciato al caso. Perché lord Chatam? In ragione di quale affinità eletva? Venerabile fratello maggiore del celebre Primo ministro William Pitt (1759-1806), questa figura d’oratore resterà per sempre la gloria della tribuna inglese. Di fronte alla sua eloquenza indignata e virtuosa, tutte le ingiustizie del suo tempo e tutte le barbarie non seppero dove far leva. Una parola efficace ed una coscienza incorrutbile allo stesso tempo. Il fantasma protettore idela, per passare la notte! Resta inteso, non avremmo potuto immaginare una migliore compagnia tutelare per il giovane François. Il mausoleo di lord Chatam, un passaggio altamente consigliato per investire il futuro parlamentare di una missione che, implicitamente, afferma di ricevere qui come una vocazione. Altra investitura eletva molto desiderata, che contribuisce a sacralizzare maggiormente il rifugio: il nobile patrocinio della cavalleria. Per il nostro giovane visitatore confinato, passare questa notte memorabile vicino alla loro cappella (dei cavalieri inglesi, nientedimeno!) ha per lui -basta ascoltarlo- il valore di una promessa silenziosa e di un impegno segreto! Non ci corichiamo impunemente ai piedi della più illustre cavalleria inglese! Infine, nella persona di Enrico VII, non mancherà, in questa notte iniziatica, la protezione tutelare della regalità, al se...


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