4.Andy Warhol - Appunti PDF

Title 4.Andy Warhol - Appunti
Author Rosario Capone
Course Pratiche di animazione ludico-creative (8CFA)
Institution Accademia di Belle Arti di Napoli
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Appunti...


Description

Negli anni 50 si sviluppò un movimento artistico chiamato Pop Art e che trovò il suo principale difensore nel critico Lawrence Alloway (1926-1990). La Pop Art benché venga ricordata come una corrente soprattutto americana, essa nasce in Inghilterra con la mostra di This is Tomorrow, tenutasi a Londra nel 1956. Questa mostra proponeva una riflessione sul tempo presente attraversi dodici sezioni dedicate a temi e oggetti della cultura popolare. Il manifesto della corrente fu il piccolo collage di Richard Hamilton Just what is it that makes today’s homes so different, so appealing?. L’opera si mostra dai colori sbiaditi se confrontati alle più tarde opere americane; essa presenta, in sintesi, tutto il vocabolario della Pop Art. Nella scena viene raffigurato un soggiorno borghese di città, spicca il gusto moderno dell’arredamento, la presenza della cameriera ci fa intuire la classe sociale. I protagonisti, un uomo e una donna, nudi. Il corpo di lui modellato dallo sport, il corpo di lei non è materno ma orientato alla seduzione: in casa non ci sono bambini e questo è un mondo per adulti. Tra i vari oggetti campeggiano gli elettrodomestici che stavano invadendo le case. A confermare questo nuovo stile di vita, sul tavolino di centro sta una confezione di prosciutto in scatola: cambia anche il modo di alimentarsi. C’è da dire che se anche si intravedeva nella Pop Art un momento di critica sociale, le dichiarazione degli artisti inducono, invece a pensare che loro opere non volessero giudicare, ma solamente a testimoniare il loro tempo. La Pop Art, infatti, dimostra una sovrana indifferenza e si propone come il primo movimento artistico che prende in considerazione la rivoluzione dei media senza condannarla. Il più celebre tra gli artisti inglesi di quel periodo fu David Hockney, anche se successivamente si distacca per acquisire uno stile personale che lo ha fatto rientrare nella tradizione della pittura figurativa. Possiamo ricordare celebri le sue Scene Domestiche, dove l’artista affronta il tema della relazione tra amici o familiari, in interni, evidenziando l’incomunicabilità. Nel 1962 il gallerista americano Sidney Janis organizzò una gigantesca mostra che riuniva tutti coloro che, in Europa e in America, avevano aderito allo spirito pop o lo avevano preceduto. Inoltre possiamo ricordare anche come la Pop Art fu presente alla Biennale di Venezia del 1964 e ne decretò un successo che nessun altro movimento aveva avuto in modo così marcato a livello internazionale. Il modo di operare dei suoi protagonisti, in generale, prendeva spunto dall’immaginario di massa e da ciò che lo eccitava: pubblicità, fumetti, oggetti di consumo, etc. Il soggetto veniva poi manipolato secondo strategie differenti e, per questa via, ricondotto a una nuova forma di attenzione. Possiamo ricordare alcuni tra i più importanti esponenti, come: Jim Dine, Claes Oldenburg, Roy Lichtenstein che il suo lavoro si svolse attorno al rapporto tra cultura visiva ‘alta’ e ‘bassa’, servendosi del linguaggio del fumetto. La vignetta veniva riprodotta ripetendo, a mano e a olio i punti che segnavano il ‘retino’ della stampa da rotocalco. L’immagine veniva ingigantita fino alle dimensioni di un quadro e di un dipinto murale; il tutto arricchito dalla narrazione in pillole del testo nel baloon o dalle parole onomatopeiche che descrivono i suoni. Attraverso questo procedimento l’artista mostrò di rispettare l’arte che si compra in edicola e che accompagna la vita delle masse, ma anche di volerla trasfigurare e portare nei musei, luoghi aulici che per Lichtenstein non hanno comunque per il loro ruolo di guida. Andy Warhol nasce a Pittsburgh (Pennsylvania) il 6 agosto 1928: figlio di immigrati slovacchi. La sua vocazione artistica nacque da piccolo, quando, in seguito a una grave malattia, la madre gli regalò l'occorrente per disegnare. Albino, di salute cagionevole, timido e ossessionato dal fatto di ritenersi brutto, Warhol era però dotato di un’abilità organizzativa non comune e di una grande capacità di osservazione. Da Pittsburgh si spostò a New York dove esordì come pubblicitario di successo. A partire dagli anni ‘60 edificò un piccolo impero,

la Factory: un centro di produzione artistica non lontano dallo spirito delle botteghe medievali in cui il maestro viveva con gli allievi e indicava loro che cosa dovevano o potevano fare. In questa Factory nacquero produzione cinematografiche di un certo successo di pubblico, ma anche grazie all’eclettismo di Warhol lo condusse a collezionare cose di ogni tipo; a pubblicare una rivista che dettato uno stile duraturo alla grafica e all’editoria di moda e di cinema: Interview. La sua produzione si basava sulla produzione prettamente artistica, in quanto ciò che gli interessava era il modo in cui il mondo della comunicazione si trasformava intorno a lui, senza mai prendere una distanza critica né tantomeno una posizione etica. Nelle sue produzione artistiche dipingeva “ciò che si vede ogni giorno”, ma anche ciò che diventa oggetto di adorazione o di ossessione collettiva. Temi principali dell’opera di Warhol sono i Disaster, oggetti di consumo, diventati idoli contemporanei come la bottiglia di Coca Cola e celebrità, come: Liz Taylor, Marilyn Monroe, Marlon brando, Mao Zedong. Proprio nel caso di Marilyn Monroe, Warhol compone delle fasce decorative, come arabeschi su fondo oro. Egli opera una sorta di taglio appena sotto il collo e sullo spazio attorno ai capelli. Nel viso, incorniciato nella capigliatura vaporosa, sono evidenziati e marcati i famosi attributi di Marilyn: il biondo platino dei capelli, le labbra carnose e rosse, gli occhi truccati con le palpebre abbassate. Warhol usa colori saturi e non naturali. Però questa icona così esibita risulta minacciata e offuscata da striature nere, volutamente provocate nel corso della stampa serigrafica. I volti moltiplicati di Marilyn divengono immagini già logore, usurate dal tempo mostrando così l’attrice più famosa d’America come una visione corrosa e in qualche modo già passata. Nel corso della sua vita Warhol lavora a lungo sugli idoli della visione quotidiana, su volti e corpi celeberrimi che la gente in qualche modo ‘possiede’ per averli visti centinaia di volte. Il processo di ripetizione del ritratto non ne conferma l’autenticità, ma crea un disorientamento. Nel corso degli anni ‘70 Warhol realizza molti ritratti di Marilyn, sperimentando colori e sfondi diversi, con toni a contrasto, innaturali, violenti, giocando sulla contrapposizione tra negativo e positivo, scuro e chiaro e sfruttando gli effetti meccanici della serigrafia: mostrando così una collezione compulsiva di Marilyn, tante maschere stranianti ormai lontane dall’originale che tuttavia è ancora perfettamente presente, risultando inquietante. La serigrafia, il procedimento che utilizzava, toglieva ai volti ogni segno relativo al tempo specifico e li trasformava in icone: i lineamenti venivano semplificati accentuando con colori contrastanti la bocca, il naso, gli occhi e i capelli. Le immagini venivano serigrafate secondo il procedimento della quadricromia. L’artista si limita a scegliere e a esaltare le immagini che ritiene rilevanti solo in quanto accompagnano e quindi influenzano la vita degli altri. Diventa lui stesso un mito, costruì la propria icona allo stesso modo in cui avrebbe dipinto un ritratto. Fu, inoltre, spaventato dai fenomeni di adorazione nei suoi confronti, che si spinsero fino a risultati paradossali: un’ammiratrice cercò di ucciderlo, sparandogli nel 1968. Negli anni ‘70 Warhol i dedicò a nuove sperimentazioni con la serie Shadows, 102 tele che riproducono fotografie ingigantite di ombre, opere astratte che presentava esposte una attaccata all’altra. Da ricordare come nell'ultimo periodo si dedicò alla rilettura di icone del Rinascimento come la Gioconda, l’Annunciazione o L’ultima cena di Leonardo....


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