Aris accornero,il mondo della produzione PDF

Title Aris accornero,il mondo della produzione
Course Sociologia dell'organizzazione
Institution Università degli Studi di Bergamo
Pages 27
File Size 255 KB
File Type PDF
Total Downloads 3
Total Views 132

Summary

Riassunto del libro Il mondo della produzione di Aris Accornero...


Description

PARTE PRIMA – LO SCENARIO STORICO Capitolo 1 - Dall'industria alla società industriale Secondo il dizionario della lingua italiana, l'industria è "l'attività umana diretta alla produzione della ricchezza" e la parola significa "cura ingegnosa e diligente". Uno dei tanti termini derivanti è "industrialismo", concetto che, secondo Turner, si riferisce a quelle ideologie delle forze produttive secondo cui l'industria è un traguardo obbligato per l'umanità. L'industrialismo diventa una forma di determinismo acritico, che dà enfasi alle aspettative di progresso e di sviluppo, alle certezze nella razionalità e nella precisione, alla fiducia verso la tecnologie e le macchine. Eppure molti pensatori erano giustamente impressionati dalle conseguenze dell'industria. Da quel che si sapeva sulle fabbriche, dove faticavano anche i bambini, chiunque poteva trarre losche prospettive. Gli artisti parlavano di "antri fumosi": l'industria feriva anche il paesaggio. Gallino definisce l'industria come "il settore dell'economia che produce beni materiali con l'impiego di macchine che estraggono, lavorano o trasformano materie prime o semilavorati e che sono concentrate in unità produttive dette fabbriche, stabilimenti, industrie, dove lavoratori e tecnici le governano e ne integrano l'opera col proprio lavoro fisico e intellettuale; ciò nel quadro di norme e procedure che ne organizzano l'attività al fine di massimizzare il prodotto del lavoro collettivo". Al di là di apparati tecnici e invenzioni scientifiche, l'industria è un'istituzione che ha fondato una società: la novità essenziale sta, infatti, nel nuovo tipo di rapporto sociale instaurato. Ciò che dà vita all'industria viene spiegato da Marx con la fondazione del "rapporto di produzione capitalistico", che si instaura tra i due soggetti egualmente liberi, l'uno di impiegare il proprio capitale a rischio, l'altro di vendere la propria forza-lavoro a tempo. L'industria instaura il rapporto sociale dominante del nostro tempo, quello del lavoro salariato, che soppianta le due forme preesistenti: forma SERVILE, dove il lavoratore produceva per il padrone e non gli rimaneva nulla perché non era libero; forma ARTIGIANALE, dove il lavoratore libero possedeva i mezzi di produzione e produceva per se stesso. Nella forma SALARIATA il lavoratore non possiede i mezzi di produzione e produce per il padrone, ma è libero. Secondo Aron si forma una società industriale dove e quando le imprese: 1) si separano dalla famiglia; 2) concentrano gli operai sul luogo di lavoro; 3) introducono una "originale divisione del lavoro"; 4) praticano un rigoroso e razionale calcolo economico volto all'accumulazione di capitale. Secondo Gallino, invece, la società industriale si basa su requisiti più quantitativi: 1) la maggior parte della forza-lavoro è occupata nel settore industriale; 2) la maggiore quota relativa del reddito nazionale è prodotta dall'industria; 3) i processi di accumulazione operano prevalentemente attraverso le aziende industriali.

La centralità e la visibilità dell'industria stanno, però, diminuendo, in quanto il rapido crescere dell'industria ha provocato un aumento dei redditi ed un conseguente aumento della domanda, spostando gli investimenti e gli impieghi verso i servizi, e quindi dal settore industriale verso il settore terziario. Questo processo ha aperto lo scenario ad una società definita post- industriale o neo-industriale.

Capitolo 2 - La Rivoluzione Industriale e lo Sviluppo La Rivoluzione Industriale viene collocata per convenzione nel periodo 1780-1830, ma alcuni storici ne fanno risalire l'inizio già al 1760. La definizione stessa non è univoca. Si può ritenere che quella inglese sia stata l'unica e irripetibile rivoluzione industriale e che negli altri Paesi si sono avuti dei processi di industrializzazione più o meno normali; oppure si può ritenere che quella inglese sia stata solo la prima, che ha fornito un modello poi ripetutosi in forme diverse. Gli storici osservano la Rivoluzione Industriale in Inghilterra secondo due diversi approcci. C'è chi la vede come un epilogo spontaneo di processi continui e incrementali (viene considerata uno sbocco naturale); e c'è chi, invece, la vede come una cesura nella continuità storica e mette in evidenza gli elementi inattesi di un evento che non può essere considerato un modello da seguire. Deane elenca alcuni mutamenti caratterizzanti: 1) Applicazione diffusa e sistematica della scienza moderna e della conoscenza empirica al processo di produzione per il mercato; 2) Specializzazione dell'attività economica rivolta alla produzione per il mercato e nell'autoconsumo; 3) Trasferimento di popolazione dalle zone rurali a quelle urbane; 4) Aumento delle dimensioni e spersonalizzazione dell'unità tipica di produzione, che viene ad essere fondata sempre meno sulla famiglia e sempre più sulle società per azioni e sulle imprese pubbliche; 5) Spostamento del lavoro dalle attività connesse con la produzione di beni primari alla produzione di servizi; 6) Impiego intensivo ed estensivo delle risorse di capitale in sostituzione ed a completamento dell'elemento umano; 7) Nascita di nuove classi sociali ed occupazionali. Decisivo fu il contributo della tecnologia. Varie invenzioni diedero origine ad un nuovo modo di produzione: il sistema di fabbrica. La dinamica innescata dal lavoro fatto a macchina in fabbrica era così sostenuta da convincere il nascente ceto degli industriali a adottare i nuovi metodi di produzione, la cui redditività e convenienza erano tali da giustificare il costo del cambiamento. La rivoluzione industriale liberò dunque capitali che erano rimasti a lungo immobilizzati nei terreni o depositati in banca. Importante per l'industrializzazione era soprattutto la quota di investimenti che si spostava verso l'industria. Il clima generale favoriva, intanto, invenzioni scientifiche come la macchina a vapore ed il gas per l'illuminazione. Dopo il 1820 il tenore di vita cominciò a migliorare e la popolazione a crescere. Una ricerca condotta da Smelser mostra come il "sistema di fabbrica" offrisse alle mogli ed ai figli dei proletari opportunità di impiego che modificavano il comportamento strategico delle famiglie:

1) diventava possibile dosare l'offerta di lavoro complessiva secondo le possibilità e le necessità del momento, mandando sul mercato del lavoro, o ritirandoli, i singoli elementi del nucleo; 2) diventava possibile creare un bilancio domestico in modo da provvedere al futuro ed alle incertezze; 3) diventava possibile raccordare le scelte in fatto di natalità e di nuzialità. La nuova realtà e le nuove condizioni andavano gestite e questo compito spettava alla famiglia. La separazione tra famiglia e fabbrica spingeva, insomma, a programmare l'impiego delle risorse disponibili entro l'agglomerato domestico. Il risultato fu un certo calo delle nascite dovuto a scelte più consapevoli, bilanciato da un calo della mortalità dovuto alle migliori condizioni di vita. Landes riassume i tre tipi di innovazione con i quali le tecnologie subentrarono ai mezzi impiegati in precedenza: 1) sostituzione di lavoro svolto a mano con macchine e attrezzi; 2) sostituzione di fonti di energie animali con fonti inanimate quali la conversione del calore; 3) sostituzione di materie prime generiche (vegetali o animali) con materie inorganiche(minerali, specie il carbone). I sociologi individuano come èlite industrializzanti: l'èlite dinastica, la classe media, gli intellettuali rivoluzionari, gli amministratori coloniali ed i leader nazionalisti.

Capitolo 3 - La Costruzione Capitalistica del tempo Il sistema di fabbrica è stato fondato per mezzo di due pilastri: mercato e tempo, una costruzione con la quale l'industria ha edificato la società industriale. La Rivoluzione Industriale incentivò, a sua volta, le tecniche per misurare il tempo e renderlo più produttivo. "Il tempo è denaro" era il motto di Benjamin Franklin che Weber assunse come ideal-tipo. Sapere l'ora in ogni luogo ed in ogni momento era un traguardo prima impensabile e diventava un segno di distinzione sociale ed è per questo che nelle caricature i capitalisti venivano raffigurati con il cilindro in testa e l'orologio nel taschino. Gli operai, invece, non lo possedevano e dovevano fidarsi degli orologi aziendali, che si sospettava rubassero tempo. Alla società industriale non bastava che il tempo fosse misurato con esattezza: bisognava che fosse interiorizzato, cioè che le abitudini di vita fossero disciplinate e gli abiti mentali condizionati secondo i ritmi dell'industria. Così l'edificazione del tempo moderno è passata attraverso cinque fasi: 1) Costruzione: nella comunità dove è in corso l'industrializzazione subentrano scansioni temporali inusitate ed aggressive. La funzione sociale svolta per secoli dall'orologio del campanile viene soppiantata ed una temporalità nuova si afferma. É il capitalismo che fonda il tempo moderno come dimensione sociale: il tempo disciplina il lavoro e condiziona il lavoratore già fin dai cancelli della fabbrica, dove l'orologio di timbratura rileva le presenze e giudica la puntualità. Nei reparti altri orologi segnalano ore e minuti mostrando quanta parte della giornata resta da consumare. Si impara ad impiegare il tempo senza troppi vuoti, seguendo un ritmo regolare. Siccome la durata della settimana è ancorata agli orari di fabbrica ed i turni avvicendati prolungano artificialmente la giornata, tutta la cronologia delle consuetudini si fa più rigida e più complessa. Così costruito il tempo non

fluisce più in modo naturale: ora è un tempo arbitrario e spezzato che richiede di essere risparmiato e speso. 2) Contestazione: tutti devono abituarsi a rispettare gli orari e a risparmiare il tempo. Così il tempo plasma socialmente gli individui. All'inizio queste novità suscitano reazioni nel proletariato industriale e malumori negli altri ceti coinvolti: la normale settimana lavorativa regolare è vissuta come una forzatura sociale (una conseguenza è la celebrazione del San Lunedì). La contestazione si traduce in agitazioni e rivendicazioni operaie che puntano alla riduzione della giornata lavorativa. Nel 1886 viene posto un obiettivo storico in Gran Bretagna: 8 ore di lavoro, 8 di riposo e 8 di vita, e si chiedono turni ed orari migliori per donne e minori. 3) Vivisezione: l'incessante divisione tecnica del lavoro si traduce in una crescente suddivisione e ripartizione delle singole operazioni. Si comincia a misurare sistematicamente i movimenti dei lavoratori e gli imprenditori iniziano a filmare e cronometrare ogni singolo micro-movimento per analizzare e scomporre i tempi di lavoro. Nasce così il sistema piece work, la paga di un tanto al pezzo regolata dai cottimi e da altri incentivi. Notevoli, però, sono le resistenze di lavoratori e organizzazioni, che cercano di intervenire sui tempi di lavoro e di rivendicare il diritto a contrattare i tempi. 4) Fruizione: dopo la seconda guerra mondiale i lavoratori hanno più tempo e più soldi e gli imprenditori iniziano a considerarli anche consumatori. Alcuni beni e servizi vengono ormai fruiti a livello di massa e nasce la cultura del consumo, insieme all'uso collettivo del tempo libero. 5) Redesign: oggi che le esistenze individuali, familiari e collettive si situano e si definiscono più di ieri nello scenario della temporalità, si affaccia la possibilità di ridefinire i tempi sociali e di modellare quelli individuali con una organizzazione sociale del tempo. L'espansione dell'industria ha sviluppato i servizi, che a loro volta hanno alimentato la domanda di beni industriali per il tempo libero, diventato esso stesso un'industria. Al tempo stesso l'industria si è organizzata in base al principio di just-in-time per aderire in tempo reale alla domanda del singolo cliente. Ciò scardina quei sincronismi sociali che regolavano le attività e le vite stesse nell'Ottocento. Oggi gli effetti perversi generati dalle scadenze collettive coincidenti possono essere evitati perché il just-in-time richiede orari flessibili e turni più complessi.

Capitolo 4 - La Costruzione Industriale del Mercato Anche il mercato è un pilastro del modo capitalistico di produrre. Esso può essere un certo luogo, come la fiera di paese, ma può essere anche un non-luogo come il mercato del lavoro. É un recinto immaginario ed un'istituzione reale che fa da ambito e da regolatore dei comportamenti economici. Mediante il mercato si realizza un libero scambio tra merci e valori che Weber definisce un compromesso "fra individui che hanno interessi contrapposti ma complementari". Su ogni mercato agiscono dei soggetti che domandano oppure offrono beni o servizi di varia natura. Mercanteggiando i contraenti discutono le condizioni della transazione fino a quando si accordano su termini reciprocamente convenienti. Il negoziato si concentra sul prezzo, che sale quando la domanda supera l'offerta e scende viceversa. Valore e utilità sono parametri diversi tra loro, quindi è bene distinguere tra valore di scambio e valore d'uso. Chi esprime la domanda è mosso da una carenza o un bisogno, mentre chi esprime l'offerta è mosso da un'eccedenza e una disponibilità. Si parla di CONCORRENZA

PERFETTA quando ci sono più venditori e più compratori in equilibrio, altrimenti c'è il MONOPOLIO se il venditore è uno solo, o un OLIGOPOLIO se i venditori sono pochi e d'accordo tra loro. Dato che quasi tutte le transazioni si svolgono per tramite del denaro, lo scambio di mercato prende il posto del baratto in natura, praticato in passato. Così, all'economia naturale subentra un'economia monetaria basata su rapporti di interesse regolati da un patto. Sia le norme che liberalizzano gli scambi sia quelle che li vincolano formano un corpus di istituzioni che disancorano il mercato dai luoghi dove si contratta e lo fanno penetrare in tutte le relazioni sociali. Man mano che si estendono le transazioni monetarie, le relazioni fondate sul prestigio di ceto vengono sostituite da quelle fondate sullo scambio di mercato. Oltre ad essere un luogo ed un'istituzione, il mercato è anche un sistema di valore e un paradigma per l'azione. La capacità di mercato è molto simile al potere economico. Stare sul mercato significa saper competere. Per distinguere il lavoro domestico da quello svolto fuori casa si parla di lavoro "non per il mercato". Nel linguaggio commerciale un articolo è valido solo se è vendibile. Il mercato è anche un paradigma per l'azione perché introduce canoni di convenienza e di utilità nelle relazioni di interesse in quanto richiede una razionalità. Anticamente il mercato veniva identificato come meccanismo speculativo ed il commercio come qualcosa di immorale, dato il pregiudizio contro l'interesse economico. Furono i primi industriali a rivendicare la libertà di commercio ed a combattere contro le barriere protezionistiche. Il mercato è una costruzione sociale. L'emergere stesso dei mercati nazionali non è stato frutto di un'emancipazione spontanea della sfera economica dal controllo pubblico: al contrario, il mercato è stato il risultato di un consapevole e spesso violento intervento da parte del governo. É in questo contesto che nasce il mercato del lavoro, anch'esso bisognoso di rapporti sociali confacenti. Ecco perché nasce nel pieno della rivoluzione industriale e grazie all'intervento pubblico. Può essere datato al 1834 quando venne abolita la legislazione diSpeenhamland, con la quale attraverso le parrocchie veniva assicurato un sussidio pubblico agli indigenti. Senza questa abolizione non sarebbe stato possibile costringere i poveri ad offrire le proprie braccia per il lavoro in fabbrica. A consacrazione del mercato vi fu dunque la costruzione di uno specifico mercato per il lavoro, avvenuta ad opera dello Stato con la rimozione dei vincoli che frenano la compravendita della forza-lavoro. Il mercato del lavoro apre in Occidente l'epoca della libertà di lavoro. Il lavoro diventa formalmente libero. Infatti il salariato diventa libero di vendere la propria forza-lavoro. L'imprenditore diventa datore di lavoro e il lavoratore diventa datore di capitale. Il lavoro è una merce speciale: l'operaio è in possesso di una proprietà intangibile, in quanto non può vendere l'uso del proprio corpo, ma solo la promessa di obbedire agli ordini. Inoltre, fra lavoro e capitale vi è un rapporto di libertà e soggezione reciproca: se il lavoratore è libero di andarsene, danneggiando l'imprenditore, anche l'imprenditore è libero di licenziare il lavoratore danneggiandolo. A causa di ciò, il lavoratore possiede solo la libertà di contrattare continuamente con il suo datore di lavoro per conservare quel posto, e perciò è sempre sul mercato del lavoro.

PARTE SECONDA – I VALORI FONDATIVI Capitolo 5 - La valorizzazione del lavoro L'industria aveva bisogno che il lavoro diventasse un impegno assiduo e naturale, e che l'operosità diventasse un valore. Ciò comportava un ribaltamento nell'apprezzamento sociale del lavoro. Il pregiudizio sociale contro il lavoro aveva origini antiche. L'attività degli artigiani era considerata alla stregue del lavoro servile perché svolta con le mani. Anche la religione considerava il lavoro una pena, una condanna. Fu questa stessa religione tuttavia a trovare una strada per riscattarlo. La rivalutazione del lavoro comincia infatti dalla Riforma di Benedetto da Norcia, che introduce l'equivalenza tra preghiera e lavoro. Il frate che si rendeva autosufficiente senza gravare sugli altri, che si industriava coniugando lavoro e preghiera anziché separarli, innovava la cultura perché superava il lavoro sia come condanna sia come attività servile. L'uso operoso del tempo può dunque nobilitare il lavoro. Per questo l'economia del tempo verrà esaltata come compendio di ogni laboriosa virtù, sia religiosa che laica. Nel Rinascimento fioriscono riflessioni e prescrizioni sull'impiego, sul risparmio e sulla misurazione del tempo. L'elemento fondamentale di riforma è il rapporto tra lavoro e preghiera, non più accoppiati bensì fusi. L'operosità rivela la predestinazione. Da una condanna universale il lavoro diventa riscatto individuale. La riforma protestante spinge il credente ad essere artefice di se stesso mediante il lavoro, in modo da ottenere la fortuna materiale e la salvezza spirituale. La riforma esalta l'industriosità non per scontare una pena, ma per incassare un premio. Così l'etica protestante diventa un imperativo sociale. L'operosità è un valore propulsivo e gratificante sia per l'individuo sia per la comunità, allo stesso modo della puntualità, della sobrietà e della disciplina (virtù puritane). Il puritanesimo aggiunse un alone di santificazione etica alla lusinga dell'utilitarismo economico e formulò un credo morale che conciliava dovere religioso e richiamo degli affari. Così radicalismo religioso e radicalismo economico marciavano di pari passo nel disprezzo per i ceti aristocratici, considerati nullafacenti e spendaccioni. Calvino si appellò, infatti, alla borghesia urbana contro il cattivo uso della ricchezza e non più contro la ricchezza cattiva. Una rivoluzione religiosa ha dunque concorso a fare del lavoro un valore, instillando il dovere di lavorare sodo senza sprechi di tempo. L'etica protestante ha potentemente concorso a plasmare tutto un ceto perché è diventata un imperativo borghese. Dietro la morale laborioso e industriosa vi erano virtù severe che spingevano alla competizione ed incitavano al successo. L'inoperosità dei ceti privilegiati era materia di satire e invettive. La valorizzazione del lavoro tocca il culmine con la teoria del valore-lavoro (Smith, Ricardo e Marx) che fa discendere l'intero valore aggiunto al prodotto dal lavoro in esso contenuto e dalla sua forza produttiva. Da allora l'operosità viene messa in valore come una necessità economica, sociale e normale su cui fa leva il nuovo ceto di imprenditori. Alla società industriale occorreva un costume operaio che fosse all'altezza delle virtù puritane. Occorreva far interiorizzare la laboriosità senza imporla, e rendere proletario e laico un valore borghese e religioso. La morale dell'operosità fu propagandata durante tutto l'Ottocento con sermoni domenicali, fiabe, proverbi ecc. Il buon esempio lo dava chi adempiva ai propri doveri stando al proprio posto e sapendo cavarsela. Del bravo lavoratore si lodavano puntualità e diligenza, pr...


Similar Free PDFs