Ascesa del fascismo - Riassunto Storia contemporanea PDF

Title Ascesa del fascismo - Riassunto Storia contemporanea
Author Antonio Coppola
Course Storia contemporanea
Institution Università di Pisa
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l'ascesa del fascismo in italia...


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L’avvento del Fascismo dal fascio d’azione rivoluzionaria al delitto Matteotti La prima forma organizzata di Fascismo in Italia, è il Fascio d’azione rivoluzionaria, istituito l’11 dicembre 1914 da Benito Mussolini, all’epoca Mussolini era una speranza e una promessa per i giovani socialisti italiani, che si tuttavia, si era allontanato dagli “ideali” del socialismo. Questa prima organizzazione ha una vocazione rivoluzionaria, nazionalista e interventista ed ha come fine ultimo l’avvento di una rivoluzione fascista e condurre l’Italia nella guerra contro l’Austria-Ungheria. L’organizzazione viene sciolta nel maggio 1915, quando l’Italia annuncia il proprio ingresso nella grande guerra Prima di fondare il Fascio Mussolini aveva militato tra le fila del Partito Socialista Italiano e in qualità di direttore del giornale L’Avanti era diventato una delle sue voci socialiste più forti e note del paese. Nel 1912 aveva partecipato al convegno nazionale di Regio Emilia e in questa occasione aveva contribuito a far espellere personalità come Bonomi, Bissolati e altri esponenti del socialismo riformista, dal partito. Caso volle che, appena due anni più tardi, tra 1914 e 1915, questi espulsi del PSI si ritroveranno alleati di Mussolini nella faticosa missione di sensibilizzare l’Italia e gli italiani all’intervento in guerra, insomma, si ritrovano ad essere “ex socialisti” interventisti, insieme. Questa bizzarra alleanza finisce con la fine della guerra e il suo esito problematico, che avrebbe prodotto una spaccatura tra Mussolini e gli altri ex socialisti. Mussolini sposa la teoria della vittoria mutilata, diventando la principale voce dell’idea secondo cui, l’Italia, facendo parte dello schieramento che aveva vinto la guerra, e di conseguenza aveva diritto a partecipare alla spartizione dei possedimenti dell’ex impero austro-ungarico. Il tema della vittoria mutilata, è un tema di grande impatto, è un tema molto forte sul piano della propaganda, questo perché gli italiani percepiscono di aver vinto la guerra, sanno che l’Italia era in guerra contro l’Austria-Ungheria e che l’Austria-Ungheria si è arresa, di certo non vanno a fare un analisi storica e militare dello svolgimento della guerra, non vanno a leggere i trattati di armistizio e i successivi trattati di pace e di sicuro non avevano letto quanto era stato concordato a Londra prima della guerra. Sanno solo che l’Italia era in Guerra con l’Austria, l’Austria si è arresa, quindi l’Italia ha vinto e di questa vittoria l’Italia non ha visto frutti, lo sforzo bellico compiuto dal regio esercito appare completamente inutile e nonostante l’Italia abbia “vinto”, sembra essere uscita depotenziata invece che arricchita. Mussolini, così come anche Cesare Battisti e altri interventisti, nel 1914 avevano spinto l’idea di entrare in guerra per completare l’unità nazionale, e portare in Italia quei territori che, durante l’unificazione, più di 50 anni prima, erano stati “dimenticati” ed erano rimasti sotto il dominio degli Asburgo. Chi aveva sostenuto questa tesi, vedendo il mancato trasferimento di quei territori all’Italia, dopo la fine della guerra, si sente deluso e tradito. Battisti, che da deputato del parlamento di Vienna, aveva combattuto volontario tra le fila dell’esercito italiano, ed era stato catturato, processato e giustiziato dagli Austriaci, sembra essere morto martire per una causa che non ha dato frutti, la sua morte, e quella di molti altri come lui appare come inutile. Tutto questo, sul piano politico, va a vantaggio dell’uomo che ha fatto di questi sentimenti di delusione e tradimento, il proprio cavallo di battaglia, e quest’uomo è Benito Mussolini.

Inneggiando alla vittoria mutilata e attribuendo alla sinistra italiana la responsabilità del mancato premio e del mancato riconoscimento della vittoria, questo perché al governo durante i trattati di pace c’era Orlando, diventato primo ministro dopo la rotta di Caporetto, Mussolini riesce ad avvicinare a se e quindi ottenere l’appoggio della media borghesia tendenzialmente antisocialista. Mussolini nella sua visione politica appariva molto più in vicino alla visione di Giovanni Giolitti, che per decenni era stato uno dei principali protagonisti della destra storica italiana, piuttosto che alla visione della sinistra più moderata e conservatrice. E da ex uomo di sinistra che che in qualche modo si era spostato a destra, appare agli occhi della media borghesia italiana come l’antisocialista per eccellenza. Nel 1919 Mussolini è ancora un elemento esterno al al gioco dei partiti, e il fascismo rinasce in una seconda versione. Il 23 Marzo 1919 Mussolini fonda i Fasci Italiani di Combattimento, un movimento politico appartenente alla destra nazionalista e conservatrice, il cui fine è quello di rivendicare i territori italiani dell’ex impero Austro Ungarico. La pressione politica operata dai Fasci di Combattimento porta alle dimissioni del primo ministro Orlando, ritenuto responsabile della pessima amministrazione dei trattati di pace. Orlando si dimette ad Agosto e il suo successore è Francesco Saverio Nitti, esponente della sinistra radicale che guiderà un governo transitorio fino alle elezioni del mese di Novembre, dove, nonostante i numerosi atti dimostrativi, e le manifestazioni dei fascisti, i socialisti riescono a confermarsi come la prima forza politica del paese, ottenendo una maggioranza del 32% contro un 20 % del Partito popolare italiano, “nonno” della Democrazia Cristiana, e un 15% del Partito Liberale Democratico, il partito della destra storica. Tra il 1919 ed il 1921 l’Italia è attraversata dal biennio rosso, e proprio perché in quegli anni la sinistra era stata al governo, senza produrre la desiderata rivoluzione operaia, quando nel 1921 si torna a votare, molti contadini e soprattutto operai che erano stati protagonisti del’occupazioni delle terre e delle fabbriche, si sentono delusi dalla sinistra, e allo stesso temo non si identificano ne nel neonato Partito Comunista Italiano, ne in altri partiti più a destra del PSI, dall’altra parte, molti esponenti della media borghesia italiana che da tempo non si identificavano più nella destra liberale, iniziato ad appoggiare apertamente Mussolini ed il suo movimento che sembra credere realmente nei valori della destra, e allo stesso tempo, da importanza ai lavoratori. La cosa buffa è che nel 1914 Mussolini nei suoi discorsi di propaganda interventista accusava i la piccola e media borghesia italiana, di vigliaccheria perché traeva i propri guadagni dal contrabbando con l’impero Austro Ungarico, e appena 6 anni più tardi, quella stessa medio borghesia di “contrabbandieri e vigliacchi”, appoggiava politicamente Mussolini. Alle elezioni del 1921 la situazione politica è leggermente diversa rispetto alle elezioni precedenti, il PPI rimane stabile sul 20%, il PSI ha un calo del 8% passando dal 32 al 24% mentre la destra italiana, riorganizzata nei Blocchi Nazionali, eredi della tradizione conservatrice incarnata nei Fasci di Combattimento, ottiene il 20% dei voti. La figura politica di riferimento dei Blocchi Nazionali è Giovanni Giolitti, icona della destra storica italiana, e il suo principale alleato è Benito Mussolini, anche se in realtà il ruolo di Mussolini è molto più centrale di quel che può sembrare a prima vista, basti pensare che il simbolo del partito dei Blocchi Nazionali era un Fascio Littorio, già simbolo del Fascio d’Azione Rivoluzionaria

fondato da Mussolini nel 1914 e dei Fasci Italiani di Combattimento fondati sempre da Mussolini nel 1919. Dopo le elezioni, precisamente il 10 Novembre 1921, i Fasci di Combattimento, che compongono gran parte dei blocchi nazionali, cambiano nome diventando Partito Nazionale Fascista. Come abbiamo visto il Fascismo per circa 6 anni è stato nelle strade, nelle campagne, nelle fabbriche, nelle piazze ma è mai stato in “parlamento”, almeno fino alle elezioni del 21, il cui esito aveva prodotto una situazione di grande instabilità e incertezza. E in questo contesto, dalle elezioni del 21 alla marcia su Roma è un attimo, uno schiocco di dita, per essere più precisi passano pochi mesi. Nel mese di agosto i Fascisti iniziano ad organizzare un convegno nazionale fissato per il 22 settembre a Napoli, e in questa occasione si raduneranno circa 40000 fascisti, ai quali Mussolini farà un importantissimo discorso, una sorta di dichiarazione di intenti dove il fondatore del partito dichiarerà di essere intenzionato a prendere il governo in ogni modo possibile. Iconiche le sue parole “O ci daranno il governo o lo prenderemo, calando su Roma, con l'obbietivo di dare vita alla Marcia su Roma. Ormai si Tratta di giorni, forse ore.” Con queste parole è evidente che il leader del fascismo non si accontenta di essere una figura marginale in una coalizione politica che deve gran parte del suo successo elettorale proprio all’attività politica e di propaganda effettuata da Mussolini. Decide così di mettere da parte Giolitti e di rivendicare per se la leadership del paese. Per ottenere l’incarico di governo deve incontrare il capo dello stato, all’epoca il Re Vittorio Emanuele III e chiedere o forse è meglio dire pretendere, di poter formare un governo. Mussolini incontra il Re pochi giorni dopo il convegno napoletano ed i 40.000 fascisti che si erano radunati a Napoli erano nel frattempo giunti alle porte di Roma e la loro presenza fuori dalla capitale è uno strumento di pressione fortissimo. Il re a questo punto ha due possibilità, dare a Mussolini il governo o vedere 40.000 fascisti violenti e incazzati, marciare sulla capitale. Il re ignavo si trova in una situazione complicata ed estremamente delicata e alla fine decide di affidare a Mussolini la guida del governo. Dopo l’incontro la marcia su Roma non è più necessaria, ma persino Mussolini ha paura di dire ai suoi fascisti “ok, abbiamo il governo, potete tornare a casa, qui non si fa più nulla”, e visto che quelle persone erano lì per marciare su Roma, la marcia viene trasformata sostanzialmente in una parata trionfale, estremamente pittoresca, con Mussolini alla testa di 40000 uomini dalle fattezze poco rassicuranti. La presa di potere del fascismo è quasi ultimata, Mussolini ha il governo in pugno, ma questo non basta perché i suoi progetti per l’Italia si realizzino a pieno, e grazie all’appoggio di altre forze politiche i fascisti riescono a produrre una nuova legge elettorale in grado di assegnare una maggioranza decisiva che permettesse al partito vincitore di governare senza “compromessi”, quella che viene fuori è la famosa legge Acerbo, che garantirà ai fascisti, alle elezioni del 1924 una maggioranza assoluta di oltre il 64%. Grazie a questi numeri i Fascisti possono fare quello che vogliono senza preoccuparsi delle opposizioni, anche perché le restanti forze politiche, il PPI e il PSU (partito socialista unitario) ottengono rispettivamente il 9 ed il 6 %.

Per molti quelle del aprile 1924 sono le ultime elezioni in un certo senso democratiche per l’Italia, visto che alle successive elezioni del 29 il PNF ottiene il 98% dei voti. Ma non tutti sono di questa opinione, per alcuni già il risultato elettorale del 1924 è falsato. Il primo sostenitore di questa tesi è Giacomo Matteotti, segretario del PSU, che all’indomani delle elezioni denuncia pubblicamente i brogli e la natura illecita della maggioranza ottenuta dal PNF. Questa denuncia avrebbe avuto di lì a pochi mesi, drammatiche conseguenza, poiché il 10 giugno Matteotti viene rapito, pestato e successivamente assassinato Se bene Mussolini non appaia ufficialmente come il mandante del delitto e gli inquirenti non siano riusciti a collegare il futuro dittatore italiano all’ordine di rapire e assassinare Matteotti, il 3 Gennaio 1925, in un discorso alla camera, Benito Mussolini assume la responsabilità politica e morale del rapimento ed omicidio del deputato Giacomo Matteotti. Di fronte a quella rivendicazione i deputati del PSU e del PPI lasciano il parlamento in segno di sdegno e di protesta, ciò che accade è la famosa “scissione dell’aventino”, che al di la del gesto puramente simbolico, si traduce nella sparizione di qualunque forma di opposizione al fascismo, almeno in aula, segnando la fine della democrazia e l’inizio effettivo del regime fascista in Italia. Molti sostengono che in seguito alle dichiarazioni del 3 Gennaio 1925 il Re avrebbe dovuto sollevare Mussolini dal governo, e probabilmente questo avrebbe risparmiato all’Italia e addirittura all’Europa il disastro della seconda guerra mondiale.

Bibliografia Consigliata Alberto Mario Banti, L’età contemporanea, dalla grande guerra ad oggi, La terza Giovanni Sabatucci, Vittorio Vidotto, Storia Contemporanea, Il Novecento, La terza. Emilio Gentile, Novecento Italiano, La terza, Eric Hobsbawm, Il secolo Breve, Rizzoli...


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