Paolo Borsellino - Riassunto Storia contemporanea PDF

Title Paolo Borsellino - Riassunto Storia contemporanea
Author Valentina Scocca
Course Storia contemporanea
Institution Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia
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Summary

Paolo Borsellino e Giovanni Falcone hanno sfidato il mostro più cattivo d’Italia: la mafia. Lo hanno fatto da soli, con le armi della loro intelligenza, senza superpoteri. Paolo Borsellino e Giovanni Falcone erano due magistrati, due uomini che negli anni Ottanta quando ancora non si conosceva nulla...


Description

Paolo Borsellino Il giudice siciliano, componente del pool antimafia, venne assassinato in via D’Amelio a Palermo il 19 luglio 1992, insieme a 5 agenti della scorta. A distanza di 26 anni, la sua morte è ancora avvolta da misteri, come quello dell’agenda rossa, e depistaggi Paolo Borsellino è stato uno dei magistrati più importanti del pool antimafia, un simbolo della lotta a Cosa Nostra, che ha combattuto per anni prima di essere ucciso insieme alla sua scorta in un attentato, il 19 luglio 1992, in via D’Amelio, a Palermo. Insieme all’amico e collega Giovanni Falcone, anch’egli ucciso dalla mafia pochi mesi prima, è considerato una delle figure di spicco della guerra alla criminalità organizzata in Sicilia. La sua morte, anche a distanza di anni, è ancora avvolta da misteri, come la sparizione della sua agenda rossa, e depistaggi, come dimostrato dai processi.

1. Chi

era

Paolo

Borsellino

Nato a Palermo nel 1940, nel quartiere della Kalsa, dove vivono tra gli altri Giovanni Falcone e Tommaso Buscetta, Paolo Borsellino si laurea in Giurisprudenza il 27 giugno 1962 all'età di 22 anni. Nel 1963 supera il concorso per entrare in magistratura, nel 1967 diventa pretore a Mazara del Vallo, nel 1969 pretore a Monreale, dove lavora insieme ad Emanuele Basile. Nel 1975 viene trasferito a Palermo e a luglio entra nell'ufficio istruzione affari penali sotto la guida del giudice istruttore Rocco Chinnici, con cui strinse un rapporto molto stretto. Il 1980 vede l'arresto dei primi sei mafiosi grazie all'indagine condotta da Basile e Borsellino, ma nello stesso anno arriva la morte di Emanuele Basile e la scorta per la famiglia Borsellino. In quell'anno viene costituito il “pool antimafia”, un gruppo di giudici istruttori che, lavorando in gruppo, si sarebbero occupati solo dei reati di stampo mafioso, sotto la guida di Chinnici. Il 29 luglio 1983 viene ucciso Rocco Chinnici nell'esplosione di un'autobomba e pochi giorni dopo arriva da Firenze Antonino Caponnetto, che confermò Borsellino nel pool. Nel 1984 viene arrestato Vito Ciancimino e si pente Tommaso Buscetta. "Don Masino" come viene chiamato nell'ambiente mafioso viene arrestato a San Paolo del Brasile ed estradato in Italia. Buscetta descrive una mafia di cui fino ad allora si sapeva poco o nulla e la descrive in maniera molto dettagliata. Nel 1985 vengono uccisi da Cosa Nostra, a pochi giorni l'uno dall'altro, i commissari Beppe Montana e Ninni Cassara’. A metà anni 80 Falcone e Borsellino istituirono il maxi-processo di Palermo basato sulle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta. Per ragioni di sicurezza furono trasferiti nella foresteria del carcere dell'Asinara, dove iniziarono a scrivere l'istruttoria per il maxiprocesso. Lo storico procedimento nell’aula bunker dell’Ucciardone portò nel 1987 a 342 condanne. Il 19 dicembre 1986 Borsellino venne trasferito alla Procura di Marsala. Nel 1987 Caponnetto lasciò il pool per motivi di salute e tutti (Borsellino compreso) si aspettano la nomina di Falcone, ma il Consiglio Superiore della Magistratura

(CSM) non la vide nella stessa maniera e nacque la paura di vedere il pool sciolto. Il 14 settembre Antonino Meli divenne (per anzianità) il capo del pool; Borsellino tornò a Marsala, dove riprese a lavorare alacremente e insieme a giovani magistrati, alcuni di prima nomina. Iniziò in quei giorni il dibattito per la costituzione di una Superprocura e su chi porne a capo. Falcone andò a Roma per prendere il comando della direzione affari penali e preme per l'istituzione della Superprocura. Con Falcone a Roma, Borsellino chiese il trasferimento alla Procura di Palermo e l'11 dicembre 1991 Paolo Borsellino, insieme al sostituto Antonio Ingroia, tornò operativo alla Procura di Palermo. Già nel 1991, si scoprì in seguito, la mafia aveva iniziato a progettare l’omicidio di Borsellino, che intanto era tornato a Palermo come procuratore aggiunto. Il 19 luglio 1992, dopo aver pranzato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino si reca insieme alla sua scorta in via D'Amelio, dove vive sua madre. Una Fiat 126 parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre con circa 100 kg di tritolo a bordo esplode, uccidendo oltre a Paolo Borsellino anche Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traia. L'unico sopravvissuto è Antonino Vullo. Per la strage di via D’Amelio, il 3 luglio 2003, la Cassazione ha confermato le condanne all'ergastolo inflitte ai mandanti dell’eccidio. In particolare, i giudici della V sezione penale hanno reso definitive le condanne per Totò Riina, Pietro Aglieri, Carlo Greco, Giuseppe Calascibetta, Giuseppe Graviano, Francesco Tagliavia, Salvatore Biondino, Cosimo Vernengo, Natale e Antonino Gambino, Giuseppe La Mattina, Lorenzo Tinnirello, Gaetano Scotto, Gaetano Murano e Gaetano Urso.

2.

La

strage

di

via

D'Amelio

Il 23 maggio 1992 a Capaci, l’amico fraterno Giovanni Falcone venne ucciso in un attentato insieme alla moglie e a tre agenti della scorta. Borsellino denunciò l'isolamento dei giudici nelle ultime interviste, si dichiarò “un condannato a morte”. Il 19 luglio 1992 il giudice andò a trovare la madre in via D’Amelio e al suo arrivo un’auto parcheggiata imbottita di tritolo esplose uccidendo oltre a Borsellino anche i cinque agenti della sua scorta. Migliaia di persone parteciparono ai funerali ma i familiari rifiutarono quelli di Stato in aperta polemica con il mondo politico, colpevole secondo i parenti di non averlo difeso. La famiglia ha portato avanti una battaglia costante per arrivare alla verità sulla strage, grazie all’impegno dei figli (come Fiammetta che il 18 luglio 2018 ha inviato a la Repubblica una lettera con 13 domande), la sorella Rita, il fratello Salvatore che in diverse interviste ha parlato di “strage di Stato”. 2.1. Paolo Borsellino, la stagione breve: 23 maggio – 19 luglio 1992 «Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri».

Il lavoro cominciato a Capaci, sulla strada che porta dall’aeroporto alla città, fu completato a Palermo, cinquantasette giorni dopo, in via Mariano d’Amelio. Dopo Giovanni Falcone toccò a Paolo Borsellino. Anche stavolta con il carico aggiuntivo degli agenti di scorta, saltati in aria insieme all’obiettivo che avrebbero dovuto proteggere. Era scritto, e Borsellino lo sapeva bene. E’ il 19 luglio del 1992. L’Italia, ancora sgomenta per quell’atto di guerra messo a segno contro il simbolo della guerra al potere di Cosa Nostra con 200 chili di tritolo; l’Italia, ancora ammutolita davanti alle immagini dell’autostrada che si squarcia e inghiotte Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta; quell’Italia resta annichilita davanti alle edizioni straordinarie dei Tg che documentano, nemmeno due mesi dopo, l’ultimo atto di una vendetta violenta come mai prima. Fumo, lamiere contorte, quel che resta di corpi dilaniati, gente, attonita, che si aggira nel quartiere. Sguardi allucinati di chi ha capito di avere perduto anche l’ultimo baluardo della lotta alla mafia, ma non vuole crederci. Nei giorni che seguirono la morte di Falcone, Paolo Borsellino aveva capito e per questo aveva fretta. Aveva capito e aveva saputo che a Palermo era arrivato il tritolo che lo avrebbe annientato. “ Ora tocca a me” diceva. E aveva iniziato una corsa contro il tempo per scoprire chi aveva ucciso Giovanni. Voleva arrivare a qualche risultato prima che gli assassini arrivassero a lui. Lavorava senza sosta, scriveva ossessivamente su un’agenda rossa, dalla quale non si separava mai. Annotava minuziosamente, non sorrideva più, il volto di pietra. Quell’agenda, scomparsa dalla sua 24 ore pochi minuti dopo la strage, è il mistero attorno al quale ruota, assai probabilmente, la natura stessa dell’attentato. Dietro la sua morte e quello che s’è mosso intorno a lui prima e dopo la bomba di ventiquattro anni fa, non ci furono solo i padrini e i loro gregari. C’è ancora da scrivere una storia di mafia, insomma. Ma non solo. “Ho capito tutto, è una corsa contro il tempo quella che io faccio. Sto vedendo la mafia in diretta, devo lavorare tanto, devo lavorare tantissimo…" (Paolo Borsellino) 3.

Il

mistero

dell’agenda

rossa

La morte di Paolo Borsellino è rimasta circondata negli anni da episodi dubbi, sospetti e depistaggi. Una delle pagine più misteriose è legata alla sparizione dell’agenda rossa del giudice, un diario da cui Borsellino non si separava mai nelle settimane prima dell’attentato e che non è mai stato ritrovato. "Il giorno della sua morte, vidi mio padre mettere nella borsa l'agenda rossa", ha raccontato la figlia del giudice, Lucia Borsellino, chiamata a testimoniare al quarto processo per la strage.

Le sue parole sono state confermate dal fratello Manfredi che ha ricordato l’immagine del padre che scriveva "compulsivamente sul diario, e non per appuntare fatti personali. Era un modo per segnare eventi e cose di lavoro importanti". Ai giudici della corte d’Assise ha spiegato che "se non fosse andata persa, le indagini sulla sua morte avrebbero certamente preso un’altra direzione". Manfredi è certo che il diario abbia resistito, come l'altra agenda ritrovata intatta nella borsa del magistrato, alla deflagrazione di via D’Amelio. La valigetta venne restituita dopo qualche settimana alla famiglia. Ma dentro non c’era traccia dell’agenda rossa. 3.1. Cos’è l’agenda rossa di Paolo Borsellino Il diario del giudice rimasto ucciso in via d'Amelio non è mai stato ritrovato. Se non fosse andato perso, secondo quanto detto dal figlio Manfredi, "le indagini sulla sua morte avrebbero certamente preso un'altra direzione" Paolo Borsellino non si separava un istante dal suo diario, un’agenda rossa, nelle settimane prima della sua morte. A raccontare questo particolare, anche in sede processuale, sono stati sia amici che parenti del giudice ucciso in via D'Amelio il 19 luglio 1992. Ma dopo l'omicidio quell’agenda è scomparsa dalla borsa del magistrato e non è stata più trovata. • Le testimonianze dei figli di Borsellino sull'agenda rossa "Il giorno della sua morte, vidi mio padre mettere nella borsa, tra le altre cose, l'agenda rossa da cui non si separava mai", ha raccontato la figlia del giudice, Lucia Borsellino, il 19 ottobre del 2015, quando è stata chiamata a testimoniare al quarto processo per la strage. Le sue parole sono state confermate dal fratello Manfredi che ha ricordato l’immagine del padre che scriveva "compulsivamente sul diario". "Dopo la morte di Giovanni Falcone - ha detto Manfredi Borsellino ai giudici della corte d'Assise - la usava continuamente. E non per appuntare fatti personali. Era certamente un modo per segnare eventi e cose di lavoro importanti. Se non fosse andata persa, le indagini sulla sua morte avrebbero certamente preso un’altra direzione”. • L'ipotesi che il diario abbia resistito alla deflagrazione Manfredi è certo che il diario abbia resistito, come l'altra agenda ritrovata intatta nella borsa del magistrato, alla deflagrazione di via D'Amelio in cui rimase ucciso Borsellino. Ma la sorte del documento che entrambi i figli del giudice ritengono prezioso non si è mai scoperta. Come hanno raccontato i Borsellino, la valigetta del padre venne loro restituita dopo qualche settimana dalla morte del magistrato. Dentro c'era tutto tranne l'agenda rossa. • Corte d'Assise Caltanissetta: La Barbera "intensamente coinvolto nella sparizione" La Corte d'Assise di Caltanissetta in una motivazione depositata il 30 giugno 2018 parla dell’omicidio di Borsellino come "uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana". I magistrati hanno anche dedicato parte della motivazione proprio all’agenda rossa. Secondo la Corte, l'allora capo della Mobile Arnaldo La Barbera ebbe un "ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell'agenda rossa, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia

Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre".

4.

I

processi

e

i

depistaggi

Per la strage di via D’Amelio l’iter giudiziario è stato lunghissimo: confessioni, falsi pentiti, condanne poi ribaltate. Le rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza hanno riaperto le indagini sull’attentato scoprendo il depistaggio che era costato la condanna all'ergastolo a sette innocenti poi scagionati. Si è arrivati al cosiddetto “processo quater”, che ha messo un punto forse definitivo nello stabilire una verità sui fatti. Il 30 giugno 2018 la Corte d’Assise di Caltanissetta ha depositato 1865 pagine di motivazioni per il quarto processo sull’attentato Borsellino, la cui sentenza era arrivata 14 mesi prima. Secondo i giudici si è trattato di “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana" con protagonisti uomini dello istituzioni. Il 20 aprile del 2017 il processo aveva portato alle condanne all'ergastolo per Salvino Madonia e Vittorio Tutino, il primo tra i mandanti, il secondo tra gli esecutori materiali. Altri imputati sono stati condannati per calunnia in quanto finti collaboratori di giustizia usati per creare una ricostruzione a tavolino delle fasi esecutive della strage costata in precedenza l'ergastolo a sette innocenti. Per Vincenzo Scarantino, il più discusso dei falsi pentiti, protagonista di ritrattazioni nel corso di vent'anni di processi, i giudici hanno dichiarato la prescrizione concedendogli l'attenuante prevista per chi viene indotto a commettere il reato da altri. 4.1.Strage via D'Amelio, giudici: uno dei più gravi depistaggi di storia Le motivazioni della Corte di Assise di Caltanissetta sull'attentato al giudice Paolo Borsellino: investigatori mossi da un proposito criminoso. Intanto la procura chiede il rinvio a giudizio per tre poliziotti. "Uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana" con protagonisti uomini dello istituzioni. La Corte d'Assise di Caltanissetta, che 14 mesi fa concluse l'ultimo processo sulla strage di via d'Amelio che uccise il procuratore aggiunto Paolo Borsellino e gli uomini della scorta, non fa sconti. E in una motivazione lunga 1865 pagine, depositata nel tardo pomeriggio di sabato 30 giugno 2018, punta il dito contro i servitori infedeli dello Stato che imbeccarono piccoli criminali, assurti a gole profonde di Cosa nostra, costruendo una falsa verità sugli autori dell'attentato a Palermo del 19 luglio 1992. Per il depistaggio la procura ha chiesto il rinvio a giudizio di tre poliziotti. • Le condanne Che sarebbe stata una sentenza importante lo si era compreso dalla complessità del dispositivo che, il 20 aprile del 2017, condannò all'ergastolo per strage Salvino Madonia e Vittorio Tutino e a 10 anni per calunnia Francesco Andriotta e Calogero Pulci, finti collaboratori di giustizia usati per mettere su una ricostruzione a tavolino delle fasi esecutive della strage costata l'ergastolo a sette innocenti. Per Vincenzo Scarantino, il più discusso dei falsi pentiti, protagonista di rocambolesche ritrattazioni nel corso di vent'anni di processi, i giudici dichiararono la prescrizione concedendogli l'attenuante prevista per chi viene indotto a commettere il reato da altri.

• "Investigatori mossi da proposito criminoso" Ed è a questi "altri" che la Corte si riferisce nelle motivazioni della sentenza. A quegli investigatori mossi da " un proposito criminoso", a chi "esercitò in modo distorto i poteri". La Corte d'Assise di Caltanissetta, dunque, usa parole durissime verso chi condusse le indagini: il riferimento è al gruppo che indagava sulle stragi del '92 guidato da Arnaldo la Barbera, funzionario di polizia poi morto. Sarebbero stati loro a indirizzare l'inchiesta e a costringere Scarantino a raccontare una falsa versione della fase esecutiva dell'attentato. Sarebbero stati loro a compiere "una serie di forzature, tradottesi anche in indebite suggestioni e nell'agevolazione di una impropria circolarità tra i diversi contributi dichiarativi, tutti radicalmente difformi dalla realtà se non per la esposizione di un nucleo comune di informazioni del quale è rimasta occulta la vera fonte”. • Cosa Nostra e altri centri di potere Ma quali erano le finalità di uno dei più clamorosi depistaggi della storia giudiziaria del Paese? si chiedono i giudici. La corte tenta di avanzare delle ipotesi: come la copertura della presenza di fonti rimaste occulte, "che viene evidenziata - scrivono i magistrati - dalla trasmissione ai finti collaboratori di giustizia di informazioni estranee al loro patrimonio conoscitivo ed in seguito rivelatesi oggettivamente rispondenti alla realtà", e, sospetto ancor più inquietante, "l'occultamento della responsabilità di altri soggetti per la strage, nel quadro di una convergenza di interessi tra Cosa Nostra e altri centri di potere che percepivano come un pericolo l'opera del magistrato”. • L'agenda rossa I magistrati dedicano, poi, parte della motivazione all'agenda rossa del giudice Paolo Borsellino, il diario che il il magistrato custodiva nella borsa, sparito dal luogo dell'attentato. La Barbera, secondo la corte, ebbe un "ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell'agenda rossa, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre". La Barbera è morto, l'inchiesta sulla scomparsa dell'agenda rossa è stata archiviata, ma a Caltanissetta si continuerà a indagare. Non si sono accontentati delle verità ormai passate in giudicato i pm della Procura Stefano Luciani e Gabriele Paci che, anche grazie alle rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, hanno riaperto le indagini sulla strage scoprendo il depistaggio. E una nuova inchiesta è già in fase avanzata e riguarda i poliziotti che facevano parte del pool di La Barbera. • Chiesto rinvio a giudizio per tre poliziotti La Procura di Caltanissetta intanto ha chiesto il rinvio a giudizio di tre poliziotti per il depistaggio delle indagini. L'udienza preliminare non è stata ancora fissata. I l processo è stato chiesto per il funzionario Mario Bo, che è stato già indagato per gli stessi fatti e che ha poi ottenuto l'archiviazione, e per i poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Per tutti l'accusa è di calunnia in concorso.

5. I poliziotti rinviati a giudizio I giudici di Caltanissetta hanno puntato il dito anche contro i servitori infedeli dello Stato autori dei depistaggi. Secondo i magistrati, l’allora capo della Squadra Mobile Arnaldo La Barbera (ora morto) ebbe un "ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato intensamente coinvolto nella sparizione dell'agenda rossa”. Alcuni investigatori, mossi da "un proposito criminoso", avrebbero quindi indirizzato l'inchiesta e costretto Scarantino a raccontare una falsa versione della fase esecutiva dell'attentato. Inoltre avrebbero compiuto “una serie di forzature, indebite suggestioni, radicalmente difformi dalla realtà”. La Procura di Caltanissetta ha chiesto il rinvio a giudizio di tre poliziotti per il depistaggio delle indagini. Il funzionario Mario Bo, che è stato già indagato per gli stessi fatti e che ha poi ottenuto l'archiviazione, e i poliziotti Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei. Sono accusati di calunnia in concorso aggravata. Nel settembre 2018, i tre sono stati rinviati a giudizio.

6. La figlia di Borsellino: 13 domande sulla strage di via D’Amelio Fiammetta Borsellino, con una lettera al quotidiano la Repubblica, cerca di far luce "su un depistaggio iniziato nel 1992, ordito da vertici investigativi ed accettato da schiere di giudici". Poi dice: “Ancora aspettiamo delle risposte da uomini delle istituzioni e non solo”. "Sono passati 26 anni dalla morte di mio padre, Paolo Borsellin...


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