Aubrey Beardsley. L\'enfant terrible dell\'Art Nouveau PDF

Title Aubrey Beardsley. L\'enfant terrible dell\'Art Nouveau
Course Fenomenologia dell'arte contemporanea
Institution Università di Bologna
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Riassunto del libro del prof. Virelli "Aubrey Beardsley. L'Enfant terrible dell'Art Nouveau"...


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Aubrey Beardsley L’enfant terrible de l’Art Nouveau Di Giuseppe Virelli PROLOGO Beardsley simbolista Il Simbolismo: alle origini del movimento Tutti i più importanti studi dedicati ad Aubrey Beardsley concordano nell’inserirlo nelle fila del Simbolismo, finanche a considerarlo uno dei maggiori esponenti del movimento. Cionondimeno, è proprio la definizione stessa di Simbolismo a generare confusione e fraintendimenti: si potrebbe quindi partire dal Manifesto, redatto nel 1891 da Albert Aurier (Le Symbolism en peinture. Paul Gauguin) e pubblicato nelle pagine del Mercure de France. Dopo una lunga disamina intorno all’opera di Gauguin “La visione dopo il sermone” (1888) Aurier riassume, con programmaticità,i tratti caratteristici del Simbolismo. La pittura simbolista è: 1. Ideista, poiché il suo scopo sarà l’espressione dell’idea; 2. Simbolista, perché l’idea sarà tradotta in forme e simboli; 3. Sintetica, poiché essa ascriverà le sue forme a segni, a modi di comprensione generale; 4. Soggettiva, perché l’oggetto non va considerato in quanto oggetto, ma come idea filtrata dal soggetto; 5. Decorativa, come conseguenza dei punti precedenti, perché la pittura decorativa , come l’hanno concepita i popoli primitivi, gli egizi e i greci, è manifestazione di un’arte ideista, sintetica, soggettiva e simbolista. Aurier, pertanto, evidenzia un modo di fare arte che vada al di là del semplice dato oggettivo, allargandone i parametri conoscitivi a una sorta di “occhio della mente”. Ne discende un netto rifiuto all’arte impressionista, legata al realismo, alla sensazione, il cui obbiettivo è ancora l’imitazione della natura attraverso la luce, il colore e la forma in t0. Contrariamente, per gli ideisti, l’urgenza non è più quella di rappresentare il dato fenomenico, ma è quello di restituire la realtà a partire dall’idea che di essa si ha. Il discrimine che si crea tra idealismo e ideismo giace nell’utilizzo della forma sintetica che il secondo termine ha nei confronti del primo, che qualitativamente parla di un’economia semiotica nella scrittura del segno. Espressione formale di questa semplificazione è l’adozione di due tecniche di alleggerimento aneddotico: l’à plat e il cloisonnisme (che si riferisce all’uso di contorni netti e marcati). Questo comporta anche l’assenza della prospettiva albertiana, risolvendo la scena in istanze bidimensionali, talvolta paratattiche, e superficiali, nel regno di Flatlandia. Questa riduzione, tuttavia, ha la necessità di incarnarsi in qualcosa di tangibile, pena la perdita stessa di referenza (simbolismo). Per quanto riguarda il soggettivismo, Aurier, in perfetta sintonia con la poetica di cui si fa censore, precisa che soltanto un ‘iniziato’, un ‘illuminato’ è in grado di leggere in ogni oggetto il suo significato più astratto, l’idea primigenia, usando poi un alfabeto sublime per rendere la rivelazione. Ma questo non è sufficiente: per essere veramente degno di questo titolo di nobiltà, è necessario possedere un’emotività trascendentale che elettrizza l’anima di fronte al dramma ondeggiante dell’astrazione. Emblematico in tal senso l’appellativo Nabis (profeta in ebraico), usato dal gruppo di artisti francesi racconti intorno alla figura di Sérusier. 1

Infine, il fatto che sia un’arte decorativa, ornamentale, vale perché a pensarci bene la pittura decorativa è, in rigor di termini, il vero dipinto. La pittura non poté che essere creata per decorare con pensieri, sogni e idee, a partire dalla civiltà dei primitivi. Prende sempre di più l’idea che l’artista nuovo, come i primitivi prima di lui, possa operare al di furi della tela per invadere lo spazio. Con il Simbolismo si allarga dunque il campo d’azione degli artisti i quali non disdegnano più di cimentarsi in pratiche fino ad allora relegate all’ambito delle arti applicate proprie dell’artigianato. I simbolisti infrangono le tradizionali divisioni gerarchiche delle arti e diventano i primi e più importanti protagonisti dell’Art Nouveau (vd. Van de Velde). Quali artisti possono essere considerati legittimamente simbolisti e quali devono essere esclusi? È lecito mettere sotto la stessa etichetta artisti come Klimt, Denis, Segantini (tutti nati negli Anni Sessanta) con artisti di una generazione precedente come Böcklin, Moreau o Pierre Puvis de Chavannes? 1. I sostenitori di un simbolismo a larghe maglie giustificano questa posizione a partire da ragioni tematiche, sostenendo il soggetto trattato come fattore forte (temi misteriosofici). Questo modo di procedere però è viziato dal fatto che il soggetto rappresenterebbe una conditio sine qua non, e quindi si dovrebbe considerare arte simbolista ciò che in realtà non lo è, e viceversa escludere artisti che rientrano in questa koiné. 2. Va considerato il significante più del significato?

Arnold Böcklin (1827-1901), ad esempio, non lavora per sintesi. Le sue immagini, seppur formulate come rimandi ideali a significati ‘alti’, non rinunciano agli effetti atmosferici e al tradizionale sistema delle proporzioni, tanto meno alla prospettiva. Ci troviamo davanti sempre ad un “tratto dal vero”. Figura 1 A. Böcklin, L'isola dei morti (1880-86)

Discorso analogo si può fare per Gustave Moreau (1829-1898), il quale, pur affollando i suoi quadri con personaggi e oggetti appartenenti al mondo ‘altro’, li ritrae con scrupolo analitico.

Figura 2 G. Moreau, Prometeo (1886)

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Per ultimo, il caso di Pierre Puvis de Chavannes (1824-1898) che tuttavia si slega dall’esuberanza descrittiva dei colleghi in favore di una pittura più magra e sobria, basata su una semplificazione del disegno e sulla stesura a macchie della materia cromatica; per quanto vicino a uno spirito più ‘primitivo’ non si libera dell’abito mentale di matrice moderna, che vedeva nella natura l’unica maestra d’arte. Figura 3 P. P. De Chavannes, Il sogno (1883)

Tutti questi autori dunque, per quanto di grande spessore e importanti per le ricerche successive, devono essere considerati non simbolisti ma simbolici, nel regime non dell’ideismo ma dell’idealismo. Il Simbolismo: il contesto storico-geografico

Molti studiosi insistono sul presunto primato inglese. Tra i primi e più importanti studiosi dell’origine britannica dell’Art Nouveau è da ricordare Robert Schmutzler, che vede in Blake (1757- 1827) un artista “proto Art Nouveau”. Egli giustifica questa posizione facendo notare come le illustrazioni e le incisioni da lui stesso realizzate vengano usate in maniera profetica attraverso l’uso di elementi fitomorfi e zoomorfi, aperti, ondulati che caratterizzeranno il nuovo stile della fine del secolo.

Figura 4 W. Blake, Illustrazione per Paradise Lost di J. Milton

R. Barilli, Un grande iniziatore: William Blake (in Scienza della cultura e fenomenologia degli stili) Blake è quasi un “corrispondente anticipato di un secolo” rispetto al ruolo pioneristico che avrà Cézanne nel rifiuto della prospettiva albertiana, con il conseguente inizio dell’arte contemporanea propriamente detta. In Blake e nella sua produzione confluiva un vasto numero di interessi: - Artistici in senso stretto (disegnatore e illustratore) - Poetici - Filosofici, religiosi e morali Blake fu, in primo luogo, il predicatore, il profeta dell’apparire di un’onda energetica indivisa, pronta a manifestarsi nelle diverse forme espressive. Certo è che, tuttavia, il ricorso alla parola scritta ci 3

consente di fare un utilizzo esplicito. Da uno dei libri profetici blakeani – The marriage of Heaven and Hell (1794) – forse il più denso, si possono saccheggiare a piene mani ammissioni preziose (“L’Energia è la sola vita… e la Ragione è il confine o circonferenza esterna dell’energia”; “L’Energia è piacere eterno”; “Coloro che reprimono il Desiderio lo fanno perché il loro Desiderio è tanto debole da lasciarsi reprimere”). Il ricordo a Platone, o al suo allievo Plotino1, ha sempre indicato nel quadrante della storia, un ritorno in forze di ondate emotive, passionali, di quelle che possiamo definire irrazionaliste. Ma come qualificare questo ennesimo ritorno, se non lo si vuole appiattire in un fenomeno ciclico quasi fuori dal tempo? Come sottrarsi allora alla tentazione di gettare un ponte (di ipotizzare un’omologia) tra questa insorgenza di energie affettive, in ambito artistico-letterario, e i concreti interessi che gli scienziati dedicano, ugualmente incondite, dell’elettricità? Nell’un caso e nell’altro si crea un quid che mette a soqquadro le maglie ben ordinate del cartesianesimo o del newtonianesimo. Blake vede nella ragione un principio limitante, coibente ed essendo anche un artista visivo non esita a darle volto tangibile: un vecchione portatore di una barba canuta, anche se autorevole e imperiosa. Blake ama inoltre battezzare con dei nomi queste creature del suo Olimpo, così quel vecchione tremendo, iroso, prende il nome di Urizen2 . Quale sia la sua etimologia, Blake vuole portare a vedere il principio razionale (l’intelletto) come ciò che limita, frena, chiude. Esiste, quindi, un pensiero del finito e uno dell’infinito. Blake è un grande eversore nell’ambito delle arti visive della epistemologia moderna. Tra i nostri “grandi del Rinascimento” salva solo Michelangelo e il Raffaello precedente alle stanze vaticane. Di Michelangelo, Blake ammira la sua propensione neoplatonica, dalla quale discende un grande interesse verso l’uomo, e di conseguenza una minor attenzione per gli aspetti marginali e laterali del creato (come avevano fatto i maestri della “terza maniera” e la cultura del naturalismo barocca). Quello che a Blake piace del michelangiolismo è il supplemento di energia; non a caso, sarà anche il maestro dei Manieristi, la cui compagine si caratterizza proprio per un eccesso, per un sovrappiù energetico. Seguendo i parametri di Wölfflin, si direbbe che sia i Manieristi che Blake abbiano rilanciato il chiuso del disegno del contorno, contro l’aperto dell’arte post-rinascimentale3; e dunque insistono anche sui valori di superficie, su una composizione semplice, paratattica. Egli suddivise i 54 trattati in 6 gruppi di 9 ( da cui il titolo Enneadi ) , raggruppandoli per temi secondo una sequenza che espone l' itinerario del filosofo che si innalza dal mondo sensibile sino alla divinità. In tal senso, la filosofia è in primo luogo esegesi , ricerca del significato presente in quei testi. La filosofia di Plotino dà l' impressione di essere una filosofia complicata, artificiosamente complicata: va però detto che essa risente del clima culturale dell' epoca che favoriva collegamenti tra filosofia e religione. Se teniamo conto dell' epoca in cui Plotino vive, ci accorgiamo che egli è l' opposto di ciò che sembra essere: è l' ultimo strenuo difensore del platonismo e soprattutto del patrimonio classico antico. Plotino cerca di dare un' interpretazione fortemente positiva della realtà, provando a dimostrare l' inesistenza del male. Per Plotino al vertice della realtà c'è l'Uno, al secondo livello il Nous (la ragione), ciò che Platone chiamava diade. Plotino rende ancora più di Platone il distacco dal corpo, probabilmente anche per via del periodo in cui vive. L' ultima via di raggiungimento dell’Uno, quella estetica, riprende nettamente la ricerca dell' eros platonico, ossia la ricerca incessante del bello. Plotino per quel che riguarda l' arte ha avuto un'idea brillante : per lui Platone sbagliava a definirla "copia di copia" , in quanto lo scultore non si ispira alla persona fisica , ma all' idea. 1

2 Secondo alcuni il termine “Urizen” richiama in modo ironico l’espressione Your reason. Secondo altri si potrebbe trattare di un rinvio alla radice greca di Orizéin, da cui “orizzonte”. 3 Perspectiva indica un vedere lontano e attraversando (per) un mezzo vuoto, che non disturba, che non oppone ostacoli né fisici né teorici.

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In un regime elettromagnetico intervengono notevoli modifiche; intanto, l’oggetto non è più colpito da raggi ottici, bensì da onde le quali oltretutto hanno una velocità così alta da rendere praticamente irrilevante il concetto stesso di distanza, portando a un risultato di appiattimento spaziale.

Lo storico dell’architettura Nikolaus Pevsner, anch’egli tra i fautori del primato inglese della formazione del gusto Art Nouveau, si rifà a tesi di teorici di arti applicate tra i più autorevoli: Christopher Dresser (1834-1904) e Owen Jones (1806-1889). Jones pubblica una vera e propria Grammatica dell’ornamento (1856) in cui asserisce che “la bellezza della forma è prodotta da linee nascenti l’una nell’altra in ondulazioni crescenti” e che gli apparati ornamentali non dovrebbero essere ricavati dagli elementi naturali quanto dalla loro rappresentazione convenzionale. Sulla stessa linea si pone Dresser, il quale nel suo famoso Principles of Ornament (1869) stabilisce addirittura una scala di valori delle curve. In aggiunta in un altro testo dedicato al disegno fa esplicita menzione della vis naturaliter: “ho cercato di incarnare un’unica idea, quella dell’energia potenziale, forza o vigore, come idea dominante; e per far ciò ho usato linee sul tipo di quelle che vediamo nelle gemme sul punto di sbocciare, quando l’energia della crescita è al massimo”. Nelle formulazioni teoretiche dei due troviamo quindi l’idea della potenza, della curva eccentrica e complicata, sinuosa, che genera energia vitale, preannunciando i motivi tipici dell’estetica dell’Art Nouveau. Ciò detto, bisogna però constatare che tali insegnamenti non trovarono immediata corrispondenza della realtà dei fatti; anzi la produzione dei manufatti si basò su un funzionalismo scabro che piuttosto anticipa quello tipico del Bauhaus. Se passiamo poi al campo dell’architettura, l’emblema della produzione che si avvicina alle novità circolanti in Inghilterra a quel tempo è la famosa Casa Rossa (1859) progettata da Philip Webb per William Morris. Ora, se facciamo un paragone tra questa costruzione e un qualsiasi edificio progettato da un esponente dell’Art Nouveau propriamente detto, ci rendiamo conto delle immediate differenze. Gaudì, infatti, concepisce l’architettura come una concrezione di piante e rocce che, crescendo ‘spontaneamente’ dal terreno, si solidificano diventando case, palazzi, padiglioni. Gaudì sente le sue costruzioni come organismi viventi e come tale soggette unicamente alle leggi che regolano la vita dell’universo, rinunciando alla dittatura degli stili del passato. Medesimo discorso può essere fatto per il collega francese, Hector Guimard, noto soprattutto per gli ingressi della metropolitana di Parigi simili a corolle o ad antenne di insetti stilizzati. Parlando di Philip Webb si menziona spesso anche William Morris, un’altra personalità artistica di prestigio. Si è visto in precedenza la stretta relazione tra Simbolismo e Art Nouveau, specialmente per ciò che riguarda il tentativo di abbattere i confini tra arti maggiori e arti minori, rivalutando di conseguenza la figura dell’artigiano. Morris fu il primo a battersi per un pieno recupero proprio delle arti applicate: fondò una ditta di produzione di tappeti, tessuti, carta da parati, mobili e vetri (MorrisMarshall-Faulker & Co.), diede vita a una corporazione artigiana (Art Workers Guild) – di cui curò personalmente le esposizioni dei lavori col famoso nome di Arts and Crafts – e mise in piedi un’officina tipografica (la Kelmscott Press). A muovere Morris fu la sua fede politica di stampo socialista, volta a promuovere un ideale sociale di operosità e armonia ispirato a un utopico Medioevo; di qui l’avversione ai mezzi di produzione contemporanei passati ad anonimi operai soggiogati dalla borghesia capitalista. 5

Questo atteggiamento ostile al mondo produttivo industriale, tuttavia, non troverà riscontro nell’Art Nouveau che non sarà mai pregiudizialmente ostile all’oggetto prodotto in serie. Inoltre, dobbiamo constatare che le scelte stilistiche di Morris non si discostano molto da quello spirito ecletticoborghese contro cui egli stesso di batteva. Se da un lato, infatti, prende a modello il repertorio di immagini di ascendenza gotico-medioevale, le tratta con un rigore tale da non riuscire ad arrivare alla tipica astrazione Art Nouveau. Simili considerazioni vanno fatte anche per i Preraffelliti, considerati anch’essi alfieri dei Simbolisti. Al contrario di Morris, che vagheggiava un viaggio alla riscoperta del Medioevo, i Preraffelliti privilegiano il Quattrocento maturo, quello della “seconda maniera” vasariana4; prima di Raffaello, appunto. Di conseguenza, pittori come Rossetti, Hunt, Millais, Burne-Jones arrivarono sì a soluzioni dure, sintetiche, ma non abbastanza per contraddire la pittura moderna; i contorni insistiti, la ieraticità dei loro personaggi, di fatto, è indagata con estrema cura analitica, non vi è alcuna intenzione di riduzione per simboli. Inoltre, loro attingono dal patrimonio quattrocentesco, è un regredire tutto sommato timido rispetto all’interesse che avranno i Simbolisti per i ‘primitivi’ (dagli artisti del Trecento, ai maestri bizantini, fino alla pittura vascolare greca). Dovremmo, pertanto, inserire anche i Preraffaelliti nella linea degli idealisti. In aggiunta, grazie ai nuovi mezzi di trasporto, si aprirà la possibilità di fare viaggi extra-europei, alla scoperta della cultura e dell’arte delle popolazioni “selvagge”. Così Paul Gauguin ebbe l’occasione di interessarsi all’arte totemica polinesiana, Ranson a quella persiana-indiana e Toorop all’arte giavanese. Da considerare fondamentale è anche l’arte giapponese, caratterizzata da un’estrema sintesi dei motivi fitomorfi, naturali, di cui riescono ad estrarne l’essenza. Pertanto, l’Inghilterra ha giocato un forte ruolo di apripista per i motivi dell’Art Nouveau e per i motivi simbolisti, ma poi non è riuscita a dare seguito alle proprie stesse premesse. A queste considerazioni si aggiunga che si rischia spesso di far arenare le posizioni migliori su posizioni conservatrici. Anzi, personalità di rilievo come Oscar Wilde, Charles Rennie Mackintosh, e il nostro Aubrey Beardsley furono guardate con sospetto in patria, poiché accusate di atteggiamento smaccatamente esterofilo. Beardsley visto da Aurier Il giovane artista si dimostra essere subito in sintonia con lo Zeitgeist. I suoi soggetti non nascono mai da suggestioni prettamente naturali, non sono mai copiati dal vero, ma nascono da suggestioni prettamente mentali (letterarie soprattutto) che trovano formalizzazione mediante l’uso: - Del black blot (una sorta di “dripping controllato”, che permette un riempimento à plat) - Dell’outline in grado di creare confini netti e ben definiti (cloisonnisme) Questo modo di procedere conduce ad un sintetismo che però non è mai rigido ma, anzi, qui finalmente la proposta di Dresser, volta appunto a suggerire il ricorso a linee curve che non si lasciano agevolmente derubare del segreto della loro costruzione, trova un’applicazione piena, integrale – sintetismo. Le linee non si adattano ai corpi, viceversa, sono questi ultimi a sintonizzare il loro libero fluire entro limiti e raffinate sagome. Queste sofisticate silhouettes danno vita a scenette ad alto contenuto erotico, optando per una soluzione simbolica ai tabù imposti dalla società vittoriana – simbolismo.

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Si inseriscono nella “seconda maniera” le generazioni degli artisti nati intorno 1. al 1400 (Maccio, Beato Angelico, Paolo Uccello, Filippo Lippi; 2. al ’20 -’30 (Piero della Francesca, il Pollaiolo, il Verrocchio, Antonello da Messina, il Mantegna); 3. al ’40 -’60 (Botticelli, Ghirlandaio, Pinturicchio, Perugino). Questi artisti si caratterizzano per un uso duro e analitico del disegno, per un’ostinazione anatomica, per l’immanenza dei corpi, che celebra i fasti di una concezione fortemente antropocentrica fondata sulla retorica e sull’eloquenza (forme chiuse).

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Beardsley veste dunque i panni del malizioso vaticinatore di nuovi riti pagani, il custode del mistero dell’Eros e delle relative pratiche – soggettivismo. Il fitto gioco di linee, di puntini, le alternanze tra bianchi e neri hanno un unico, forte, scopo decorativo. Significato e significante vengono quindi a coincidere in nome del primato astrattodecorativo, in cui è tutto riportato a un gioco decorativo finemente lavorato. Questa propensione per il dato decorativo lo...


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