Avanguardie PDF

Title Avanguardie
Author Samantha Bellato
Course Italiano anno 5
Institution Liceo (Italia)
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Summary

Le avanguardie:
- Caratteristiche del futurismo come movimento e analisi del "Manifesto del futurismo"
- Crepuscolarismo: movimento ed esponenti (Sergio Corazzini, Marino Moretti, Guido Gozzano, Aldo Palazzeschi)...


Description

LE AVANGUARDIE! Termine militare: pattuglia di soldati, va in avanscoperta, precede il grosso delle truppe = maggiori pericoli In politica nell’800: gruppi che si ponevano a capo di movimenti rivoluzionari Nel 900: designa anche alcune tendenze letterarie e artistiche. Questi gruppi si propongono una NETTA FRATTURA con la tradizione culturale del passato che rifiutano radicalmente. PRIMO NOVECENTO: - Nazionalismo - esaltazione della guerra - interventismo - Psicoanalisi di Freud > mette in discussione la visione tradizionale dell’Io (Es,super-io) - Relatività di Einstein > superamento della fisica classica, nuovo concetto di spazio e tempo - Bergson > tema del tempo

FUTURISMO • Se i crepuscolari cercavano un rifugio nel buon tempo passato, i futuristi evadevano da una realtà deludente nel futuro, celebrando la civiltà meccanizzata, la bellezza della velocità >> “un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia” • Volevano liberare l’Italia dalla cultura tradizionale e borghese >> “dalla sua fetida cancrena di professori, archeologi, ciceroni e antiquari”, “musei: cimiteri! Assurdi macelli di pittori e scultori” • Glorificazione della guerra, “sola igiene del mondo”, interventisti, nazionalismo = sostegno fascismo.

“Manifesto del Futurismo” > pubblicato sul quotidiano parigino “Le Figaro” nel 1909, da Marinetti PROGRAMMA: “noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie” = rivolta contro la cultura del passato, gli istituti tradizionali = azzeramento e creazione di valori nuovi (velocità, dinamismo, attivismo >>>> moderna realtà industriale, che ha come emblema il mito della macchin

- Il coraggio, l'audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia - La letteratura esaltò fino ad oggi l'immobilità pensosa, l'estasi e il sonno. Noi vogliamo esaltare il movimento aggressivo, l'insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno.

- Nessuna opera che non abbia un carattere aggressivo può essere un capolavoro. La poesia deve essere concepita come un violento assalto contro le forze ignote, per indurle a prostrarsi davanti all’uomo.

- Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il disprezzo della donna.

- Noi canteremo le grandi folle agitate dal lavoro, dal piacere o dalla sommossa: canteremo le maree multicolori e polifoniche delle rivoluzioni nelle capitali moderne […]; le officine […]; i piroscafi […]; le locomotive […]; e il volo scivolante degli aeroplani [...] STILE: concitato, scandito, volontà che trova espressione nei futuri e negli imperatori (“vogliamo”). “Noi” = nuova generazione di poeti, “noi, giovani e forti futuristi”.

“Manifesto tecnico della letteratura futurista” >p 665

- Bisogna distruggere la sintassi, disponendo i sostantivi a caso, come nascono. - Si deve usare il verbo all’infinito, può dare il senso della continuità della vita. - Si deve abolire l’aggettivo = avendo in sé un carattere di sfumatura, è incompatibile con la nostra visione dinamica, poiché suppone una sosta, una meditazione.

- Abolire anche la punteggiatura = senza le soste assurde delle virgole e dei punti. - Ogni sostantivo deve avere il suo doppio, cioè il sostantivo deve essere seguìto, senza congiunzione, dal sostantivo a cui è legato per analogia = permette di correre con la mente e creare nuovi legami = rapporti sempre più profondi e solidi, quantunque lontanissimi, l’analogia non è altro che l’amore profondo che collega le cose distanti, apparentemente diverse ed ostili = CATENA DELLE ANALOGIE, orchestrare le immagini disponendole secondo un MAXIMUM DI DISORDINE.

- Distruggere nella letteratura l’”io”, cioè tutta la psicologia. L’uomo completamente avariato dalla biblioteca e dal museo, sottoposto a una logica e ad una saggezza spaventose, non offre assolutamente più interesse alcuno > dobbiamo sostituirlo finalmente colla materia, di cui si deve afferrare l’essenza a colpi d’intuizione, la qual cosa non potranno mai fare i fisici né i chimici = Sostituire la psicologia dell’uomo, ormai esaurita, con l’ossessione lirica della materia.

- Noi vogliamo dare, in letteratura, la vita del motore. Bisogna introdurre nella letteratura tre elementi che furono finora trascurati: rumore, peso e odore.

- Non avremo più la sinfonia verbale > utilizziamo, invece, tutti i suoni brutali, tutti i gridi espressivi della vita violenta che ci circonda, FACCIAMO CORAGGIOSAMENTE IL «BRUTTO» IN LETTERATURA, E UCCIDIAMO DOVUNQUE LA SOLENNITÀ. (> poesia che nasce da uno stato d’animo di stanchezza e rinuncia = stato d’animo dell’intellettuale che non ha più fede, sente spenta ogni capacità di esprimere e sentire. Nell’800 > poeta vate (+ D’Annunzio) che poteva sollecitare le coscienze, dotato di qualità superiori. Alcuni autori riprendono il modello d’annunziano per criticarne l’efficacia > consapevoli di essere eredi di una tradizione che si sta spegnendo. I crepuscolari, con senso di rinuncia, non hanno una parola forte, scrivono della loro tristezza e del loro mondo fatto di cose non belle, ma esemplificative del mondo che ci circonda. Consapevoli di non avere più niente da dire: “Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange” (Corazzini, Desolazione del povero poeta sentimentale) + “Il saltimbanco dell’ anima mia” (Palazzeschi, Il saltimbanco). Anche Montale raccoglierà questo tema crepuscolare in Non chiederci la parola: “Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì qualche storta sillaba e secca come un ramo” = la sua voce non ha più quella autorevolezza. STILE: repertorio volutamente umile: le “cose buone di pessimo gusto”, ricordi d’infanzia evocati con tono sommesso, ritmo prosastico, parole usuali. Questa poesia è l’antitesi di quella solenne di Carducci e si contrappone polemicamente a quella lussureggiante e fastosa di D’Annunzio.

SERGIO CORAZZINI BIOGRAFIA: lasciò presto gli studi per il dissesto economico della famiglia e cercò un impiego in una compagnia di assicurazioni. Colpito dalla tisi, morì giovanissimo. La sua poesia è profondamente segnata dalle sofferenze e dalla malattia + solitudine esistenziale = personalità esacerbata, non ha vissuto nella vita, non ha alcun mezzo per prenderla in mano con coraggio. È consapevole di essere incapace di vivere, di non avere una voce autorevole ma solo lacrime da versare. Qui gli elementi che rappresentano il quotidiano perdono il contorno delle cose, rimane tristezza, morte.

DESOLAZIONE DEL POVERO POETA SENTIMENTALE < Piccolo libro inutile! Perché tu mi dici: poeta? Io non sono un poeta. Io non sono che un piccolo fanciullo che piange. Vedi: non ho che le lagrime da offrire al Silenzio. Perché tu mi dici: poeta?

> personificato, una sorta di compagno di viaggio

Le mie tristezze sono povere tristezze comuni. Le mie gioie furono semplici, semplici così, che se io dovessi confessarle a te arrossirei. Oggi io penso a morire.

Io voglio morire, solamente, perché sono stanco; solamente perché i grandi angioli su le vetrate delle catedrali mi fanno tramare d'amore e d'angoscia; solamente perché, io sono, oramai, rassegnato come uno specchio, come un povero specchio melanconico. Vedi che io non sono un poeta: sono un fanciullo triste che ha voglia di morire. Oh, non maravigliarti della mia tristezza! E non domandarmi; io non saprei dirti che parole così vane, Dio mio, così vane, che mi verrebbe di piangere come se fossi per morire. Le mie lagrime avrebbero l'aria Di sgranare un rosario di tristezza Davanti alla mia anima sette volte dolente, > rivive le sofferenze della Vergine ma io non sarei un poeta; sarei, semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo cui avvenisse di pregare, così, come canta e come dorme. Io mi comunico del silenzio, cotidianamente, come di Gesù. E i sacerdoti del silenzio sono i romori, poi che senza di essi io non avrei cercato e trovato il Dio. Questa notte ho dormito con le mani in croce. Mi sembrò di essere un piccolo e dolce fanciullo Dimenticato da tutti gli umani, povera tenera preda del primo venuto; e desiderai di essere venduto, di essere battuto di essere costretto a digiunare per potermi mettere a piangere tutto solo, disperatamente triste, in un angolo oscuro. Io amo la vita semplice delle cose. Quante passioni vidi sfogliarsi, a poco a poco, per ogni cosa che se ne andava! Ma tu non mi comprendi e sorridi. E pensi che io sia malato. Oh, io sono, veramente malato! E muoio, un poco, ogni giorno. Vedi: come le cose. Non sono, dunque, un poeta: io so che per essere detto: poeta, conviene viver ben altra vita! Io non so, Dio mio, che morire. Amen

> si associa alla Madonna

MARINO MORETTI - “Poesie scritte col lapis” - “Il giardino dei frutti” >>> dai titoli si comprende il tono dell’opera = semplicità di quel mondo conosciuto, familiare

A CESENA

< Il giardino dei frutti

Riprende un episodio dell’esperienza biografica: la sorella, da poco sposa, riceve il poeta nella sua nuova casa di donna maritata con un “sano borghese” (Svevo). Il poeta descrive il cambiamento della giovane, divenuta donna forse precocemente, che vuole già essere legata ad un codice di regole tipicamente borghesi. Ella parla della suocera, della sorella, del suocero che “dopo il lauto pasto è sonnolento”, della speranza di essere già incinta. Il fratello non la riconosce, ricorda come l’”anno scorso” era ancora bambina mentre fuori piove = tristezza del poeta che sta vivendo una condizione di estraneità consapevole = lacerazione forte nonostante il tono estremamente pacato, il tono colloquiale e quotidiano, così come proprio dei crepuscolari. INAUTENTICITÀ: sorella che una volta sposa di adegua all’ipocrisia borghese (rapporto con la suocera che chiama “mamma”, voler essere legata ad una famiglia che non le appartiene). Stile = aspetto prosastico dato da 3 momenti. Dopo strofa lunga D’Annunzio > rispetto metrica tradizionale. Poesia senza colore, tono del grigio che si sposa con la pioggia. Domina il perbenismo borghese dato dallo status, dal buonnome della famiglia + aspetto economico + discendenza (la ragazza aspetta un figlio). Ella si è inserita in quella “sana” famiglia borghese. Sa che ormai è tardi, la società ha rinchiuso l’animo della sorella (= chiusa).

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena, ospite della mia sorella sposa, sposa da sei, da sette mesi appena. Batte la pioggia il grigio borgo, lava la faccia della casa senza posa, schiuma a piè delle gronde come bava. Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse triste è per te la pioggia cittadina, il nuovo amore che non ti soccorse, il sogno che non ti avvizzì, sorella che guardi me con occhio che s’ostina a dirmi bella la tua vita, bella, bella! Oh bambina, o sorellina, o nuora, o sposa, io vedo tuo marito, sento, oggi, a chi dici mamma, a una signora; so che quell’uomo è il suocero dabbene che dopo il lauto pasto è sonnolento, il babbo che ti vuole un po’ di bene…

occhio del poeta osserva le cose e le esprime in modo pacato = tristezza, il cui sottofondo è dato dalla pioggia, che ritma il testo

«Mamma!» tu chiami, e le sorridi e vuoi ch’io sia gentile, vuoi ch’io le sorrida, che le parli dei miei viaggi, poi…

= ipocrisia, maschera

poi quando siamo soli (oh come piove!) mi dici rauca di non so che sfida corsa tra voi; e dici, dici dove, quando, come, perché; ripeti ancora quando, come, perché; chiedi consiglio con un sorriso non più tuo, di nuora. Parli d’una cognata quasi avara che viene spesso per casa col figlio e non sai se temerla o averla cara; parli del nonno ch’è quasi al tramonto, il nonno ricco, del tuo Dino, e dici: «Vedrai, vedrai se lo terrò di conto»; parli della città, delle signore che già conosci, di giorni felici, di libertà, d’amor proprio, d’amore. Piove. È mercoledì. Sono a Cesena, sono a Cesena e mia sorella è qui tutta d’un uomo ch’io conosco appena. tra nuova gente, nuove cure, nuove tristezze, e a me parla... così, senza dolcezza, mentre piove o spiove: «La mamma nostra t’avrà detto che... E poi si vede, ora si vede, e come! sì, sono incinta... Troppo presto, ahimè! Sai che non voglio balia? che ho speranza d’allattarlo da me? Cerchiamo un nome... Ho fortuna, è una buona gravidanza...» Ancora parli, ancora parli, e guardi le cose intorno. Piove. S’avvicina l’ombra grigiastra. Suona l’ora. È tardi. E l’anno scorso eri così bambina!

= vede quello che la circonda e rappresenta il suo status, ma in realtà il guardare indica la non appartenenza a quelle cose, il fratello lo sa

GUIDO GOZZANO LA SIGNORINA FELICITA OVVERO LA FELICITÀ

< Colloqui!

Ricorda i giorni felici e lontani trascorsi a Villa Amarena in compagnia di una donna semplice e spontanea, di cui si era invaghito fino a chiederle di sposarlo. Ella sembra incarnare un ideale di vita semplice, sana e tranquilla, capace di emozionarsi e offrire slanci e passioni, implicito il confronto con l’età e l’ambiente del poeta. Non è colta, appariscente, però ha un’anima pura, pulita, valori, innocenza che incanta il poeta. In un tono nostalgico, ravvivato da ironia, Gozzano tratteggia il tranquillo paese = mondo angusto di provincia, pulito, autentico + la casa in cui Felicita vive, lontana dal mondo cittadino sofisticato e privo dell’aspetto intellettuale che contraddistingue l’animo del poeta. Stile: lineare, espressioni e lessico quasi prosastico per rendere l’immediatezza della scena, toni che appartengono alla poesia crepuscolare. Egli tuttavia legge il mondo con una lente diversa da quella dei crepuscolari, i toni sono uguali ma vi è un atteggiamento di ironia e critica (pacata ma sferzante). Signorina Felicita, a quest'ora scende la sera nel giardino antico = ricordo, nostalgia dei valori del passato incarnati dalla donna della tua casa. Nel mio cuore amico scende il ricordo. E ti rivedo ancora, > ricordo pacato, tende a ricreare quel mondo per tenerlo vivo in lui e Ivrea rivedo e la cerulea Dora e quel dolce paese che non dico. Signorina Felicita, è il tuo giorno! > ritratto ove emerge tenerezza + onomastico A quest'ora che fai? Tosti il caffè: = semplicità di un gesto quotidiano, ambiente semplice come aroma caffè e il buon aroma si diffonde intorno? O cuci i lini e canti e pensi a me, = “A silvia” all'avvocato che non fa ritorno? > amore idealizzato secondo lui, non torna per malattia o sempl. alla casa E l'avvocato è qui: che pensa a te. > passione ricambiata Pensa i bei giorni d'un autunno addietro, Vill'Amarena a sommo dell'ascesa coi suoi ciliegi e con la sua Marchesa dannata, e l'orto dal profumo tetro di busso e i cocci innumeri di vetro = Montale, “Meriggiare..” sulla cinta vetusta, alla difesa… Vill'Amarena! Dolce la tua casa in quella grande pace settembrina! La tua casa che veste una cortina di granoturco fino alla cimasa: come una dama secentista, invasa dal Tempo, che vestì da contadina.

= Montale, “Limoni” (= grondaia)

Bell'edificio triste inabitato! > senso di degrado-abbandono, passato sfiorito Grate panciute, logore, contorte! Silenzio! Fuga dalle stanze morte! Odore d'ombra! Odore di passato! Odore d'abbandono desolato! > odore di umido, muffa Fiabe defunte delle sovrapporte!

Ercole furibondo ed il Centauro, le gesta dell'eroe navigatore, Fetonte e il Po, lo sventurato amore d'Arianna, Minosse, il Minotauro, Dafne rincorsa, trasmutata in lauro tra le braccia del Nume ghermitore... Penso l'arredo - che malinconia! penso l'arredo squallido e severo, antico e nuovo: la pirografia sui divani corinzi dell'Impero, la cartolina della Bella Otero alle specchiere... Che malinconia!

= ballerina di fine secolo

Antica suppellettile forbita! Armadi immensi pieni di lenzuola che tu rammendi paziente... Avita semplicità che l'anima consola, semplicità dove tu vivi sola con tuo padre la tua semplice vita! Sei quasi brutta, priva di lusinga nelle tue vesti quasi campagnole, ma la tua faccia buona e casalinga, ma i bei capelli di color di sole, attorti in minutissime trecciuole, ti fanno un tipo di beltà fiamminga E rivedo la tua bocca vermiglia così larga nel ridere e nel bere, e il volto quadro, senza sopracciglia, tutto sparso d'efelidi leggiere e gli occhi fermi, l'iridi sincere azzurre d'un azzurro di stoviglia… Tu m'hai amato. Nei begli occhi fermi rideva una blandizie femminina. Tu civettavi con sottili schermi, tu volevi piacermi, Signorina: e più d'ogni conquista cittadina mi lusingò quel tuo voler piacermi!

> genera malinconia nel poeta, mentre lei è serena = sono le sue certezze, anche se sola

> critica alla società mondana, alto-borghese, donne voluttuose = bellezze sofisticate e donna ammaliatrici (D’Annunzio). Lei, inserita in un quadro antico, ispira tenuità e sincerità >>>> donna angelo di Petrarca > assomigliava a quadri fiamminghi

> straniamento, non elegante, volgare = ANIMA, esprimono fermezza = valori, solidità della persona, non ha bisogno di allettamenti mondani > esprimono la sua femminilità

= non interessato alle donne di mondo, vuole onestà e semplicità

Ogni giorno salivo alla tua volta pel soleggiato ripido sentiero. Il farmacista non pensò davvero un'amicizia così bene accolta, quando ti presentò la prima volta l'ignoto villeggiante forestiero. Talora - già la mensa era imbandita mi trattenevi a cena. Era una cena d'altri tempi, col gatto e la falena e la stoviglia semplice e fiorita e il commento dei cibi e Maddalena decrepita, e la siesta e la partita...

QUOTIDIANITÀ

Per la partita, verso ventun'ore giungeva tutto l'inclito collegio politico locale: il molto Regio Notaio, il signor Sindaco, il Dottore; ma - poiché trasognato giocatore quei signori m'avevano in dispregio… M'era più dolce starmene in cucina tra le stoviglie a vividi colori: tu tacevi, tacevo, Signorina: godevo quel silenzio e quegli odori tanto tanto per me consolatori, di basilico d'aglio di cedrina... Maddalena con sordo brontolio disponeva gli arredi ben detersi, rigovernava lentamente ed io, già smarrito nei sogni più diversi, accordavo le sillabe dei versi sul ritmo eguale dell'acciottolio. Sotto l'immensa cappa del camino (in me rivive l'anima d'un cuoco forse...) godevo il sibilo del fuoco; la canzone d'un grillo canterino mi diceva parole, a poco a poco, e vedevo Pinocchio e il mio destino... Vedevo questa vita che m'avanza: chiudevo gli occhi nei presagi grevi; aprivo gli occhi: tu mi sorridevi, ed ecco rifioriva la speranza! Giungevano le risa, i motti brevi dei giocatori, da quell'altra stanza. Bellezza riposata dei solai dove il rifiuto secolare dorme! In quella tomba, tra le vane forme di ciò ch'è stato e non sarà più mai, bianca bella così che sussultai, la Dama apparve nella tela enorme: "é quella che lascò, per infortuni, la casa al nonno di mio nonno... E noi la confinammo nel solaio, poi che porta pena... L'han veduta alcuni lasciare il quadro; in certi noviluni s'ode il suo passo lungo i corridoi...". Il nostro passo diffondeva l'eco tra quei rottami del passato vano, e la Marchesa dal profilo greco, altocinta, l'un piede ignudo in mano, si riposava all'ombra d'uno speco arcade, sotto un bel cielo pagano.

= ambiente non grigio (come nei crepuscolari)

Intorno a quella che rideva illusa nel ricco peplo, e che morì di fame, v'era una stirpe logora e confusa: topaie, materassi, vasellame, lucerne, ceste, mobili: ciarpame reietto, così caro alla mia Musa! Tra i materassi logori e le ceste v'erano stampe di persone egregie; incoronato dalle frondi regie v'era Torquato nei giardini d'Este. "Avvocato, perché su quelle teste buffe si vede un ramo di ciliege?" Io risi, tanto che fermammo il passo, e ridendo pensai questo pensiero: Oimè! La Gloria! un corridoio basso, tre ceste, un canterano dell'Impero, la brutta effigie incorniciata in nero e sotto il nome di Torquato Tasso! Allora, quasi a voce che richiama, esplorai la pianura autunnale dall'abbaino secentista, ovale, a telaietti fitti, ove la trama del vetro def...


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