Mario de Micheli - Le avanguardie artistiche del 900 PDF

Title Mario de Micheli - Le avanguardie artistiche del 900
Course Antropologia culturale
Institution Università degli Studi di Brescia
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Mario de Micheli - Le avanguardie artistiche del 900...


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M.De.Micheli

Le avanguardie artistiche del novecento

Il faut etre absolument mederne.

1. UNITA’ DELL’OTTOCENTO ARTE E RALTA’ L’arte moderna non nasce per via evolutiva dall’arte ottocentesca, nasce invece proprio da una rottura dei valori ottocenteschi. Ma non si possono spiegare le avanguardie cercando solo fra le motivazioni estetiche. La rottura è quella dell’unità spirituale e culturale dell’ottocento. Nelle rivoluzioni del 48 avevamo assistito ad una unità europea di speranzosi e scontenti che tentava di cambiare le cose, spinti dall’esempio della rivoluzione francese. Parole come “nazione, “popolo” e “libertà” sono all’ordine del giorno ed acquistano sempre maggiore concretezza. Le idee liberali, anarchiche e socialiste spingevano gli intellettuali a battersi non solo attraverso le opere, ma impugnavano le armi. Come Baudelaire che girava tra gli insorti col fucile in spalla nel Febbraio 48 (fondò anche il giornale rivoluzionario “Le Salut Public”). Sarà lo stesso Baudelaire a rinnegare motto “l’art puor l’art” e tutte le “mostruose creazioni della pigrizia e della solitudine” in favore della poesia dell’avvenire, che canta speranze e convinzioni popolari. Arte e letteratura sono specchio della realtà, espressione attiva del popolo. Anche Hegel nelle sue lezioni di estetica ribadisce lo stesso concetto: “l’artista appartiene al suo tempo […] crea per il suo popolo e la sua epoca”, l’attività estetica per Hegel ha specifico contenuto storico, dev’essere espressione dello spirito del tempo che vive. Questo ribadire la necessità di restare ben ancorati al reale, porta al culmine la stagione del realismo. IL CONTENUTO E LA FORMA La realtà storica diviene contenuto dell’opera, attraverso la forza creatrice dell’artista che ne mette in luce i valori. La realtà-contenuto, agendo nell’artista, determina anche la forma dell’opera. Sempre Hegel afferma che “è il contenuto a decidere, tanto nell’arte quanto in tutte le opere umane”. De Sanctis correggerà l’ipotesi hegeliana affermando che “la forma non è un’idea (astratta) , ma una cosa, l’artista ha davanti cose, non idee”. Lo stile è l’espressione che prende il carattere della cosa (o contenuto) che mira ad esprimere. La cosa vive nello spazio e nel tempo, lo stile è esprimere una cosa nella sua verità. Nel 1861 anche Courbet è della stessa opinione: quando gli si chiese di aprire la “scuola realista” egli rispose che l’arte consiste solo “nel saper trovare l’espressione più completa della cosa esistente”. RIFIUTO DELL’ARTE PER L’ARTE Nella Francia di fine anni ’30 i gusti estetici della nuova borghesia finanziaria non abbracciano le concezioni del genio, tantomeno gli slanci d’amore dell’umanità. Il conformismo dilagante vedeva moltiplicarsi le tele del Re e il clero (che ben presto riacquisisce influenza) commissiona quadri a soggetto religioso. Nel Salon del ’37 i quadri religiosi superavano quelli delle battaglie. Tutto questo viene spazzato via (insieme ai sostenitori di romanticismo e classicismo) dai moti insurrezionali, tanto che Courbet dirà che senza la rivoluzione di Febbraio non si sarebbe mai vista la sua pittura. Sempre C. mettendo al posto degli eroi contadini e borghesi, portò a termine una rivoluzione artistica. Si parla in particolare di Parigi perché vi confluivano artisti, patrioti esiliati e letterati rivoluzionari da ogni dove. Anche in Italia però gli artisti si legano strettamente alle vicende del Risorgimento. Come C. anche Fattori deve alla rivoluzione i macchiaioli. Sempre però nei limiti del Risorgimento, che poco ebbe a che vedere con le vicende storiche francesi. 1

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EPILOGO TRAGICO Proprio dalle crisi 48ine scaturisce la rottura e nascono l’arte e il pensiero contemporanei. Il ’48 è l’apice dell’unità delle forze borghesi-popolari. E le ragioni della crisi non sono metafisiche, ma sono e restano nella storia. Quello che ne scaturisce è solo un inizio, (ricordiamo la Parigi del ’71 ad esempio) ma l’unità degli intellettuali non sarà più così forte. Dopo il ’71 è la crisi a precipitare, e il dissidio fra gli intellettuali si fa acuto e le conseguenze arrivano fino alla nostra epoca.

2. I SEGNI DELLA CRISI IL DRAMMA STORICO DI VAN GOGH VG giunge a Parigi nell’86, a 33 anni e ne ha ancora 4 da vivere. Solo 6 anni prima era iniziato davvero il suo lavoro da pittore. Figlio sensibile ed appassionato di un pastore calvinista, segue le orme paterne e sceglie la predicazione evangelica fra i minatori belgi del Borinage (paese nero) come vocazione della sua vita. Da qui prende lezioni di dramma e miseria, ed ha della religione una idea kierkegaardiana, incorporata nella vita dell’uomo. Il minatore che usciva dai pozzi recava in sé l’immagine di Dio. Osserva tutto con una sensibilità ed una poeticità straordinarie, in tutti i posti che visita prima di Parigi non fa che osservare la vita di umili e lavoratori, anche quando lo sospendono dalla sua attività di predicatore. “operai emaciati e pallidi di febbre, dall’aspetto affaticato, le donne deboli ed appassionate” acrive al fratello Theo. Minatori e tessitori come una specie diversa. In Courbet e Delacroix vede indicazioni preziose per fare quello che “sente”, un sentire che travalica ogni riflessione su prati e nuvole per concentrarsi sull’uomo come uomo. L’espressione consisteva per lui nel “far uscir fuori” dalle cose il loro significato, restando sempre ben ancorati nel reale. Così i mangiatori di patate che con le stesse mani rudi con le quali mangiano i tuberi , han coltivato la terra che le ha prodotte. Chiaramente un uomo che sta dalla parte dei valori 48ini a Parigi cerca un ambiente, un gruppo, persone che “sentono” come lui. Ma,quando giunge in città, VG non trova più quel che sperava: la terza Repubblica boccia l’arte democratica e realista, a Courbet vengono affibbiate le invettive più malevole e feroci. Si pensa addirittura di esporlo al lubridio dei passanti parigini rinchiuso in gabbia. Questa idea anticourbettiana si estese presto anche agli impressionisti, dalla prima mostra del ’74 all’anno in cui arriva VG, i problemi di contenuto posti dagli impressionisti stanno sfociando nel divisionismo. Infatti la compagine impressionista proprio nell’86 si scioglie. Zola (ex amico degli impressionisti) racconta in un romanzo la disfatta di un pittore che sembra la fusione tra Manet e Cèzanne. VG, 48ino realista, arriva a Parigi in ritardo sui tempi, ma resta ugualmente colpito dalla freschezza e la vividezza del colore impressionista. Ma trova solo dei “pittori che lo disgustano come uomini”. Gli artisti, dopo la disfatta della comune, sono opposti alla società, rifiuti che si sentono molto vicini a barboni e prostitute. Ma VG continua a cercare quello che storicamente non potrà più trovare. Non perde la carica sentimentale che lo accompagna da sempre, anzi sembra accumularsi in lui. ma si sente solo in questi sentimenti e sono questi che finiranno col consumarlo. Nell’’88 è ad Arlès, insieme a Gauguin condanna gli impressionisti che guardano intorno con l’occhio e non al centro misterioso del pensiero. Un’arte puramente superficiale insomma. Lui non vuole l’arte di impressione, ma d’espressione, vuole imparare a distorcere la realtà in favore della verità, quella oltre la superficie. Una deformazione come quella che usa Zola per delineare al meglio il carattere dei suoi personaggi, per aderire alla sostanza delle cose, coglierne l’essenza. Non si può cercare una 2

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spiegazione di VG nell’ambito della patologia, lui è il primo caso evidente di una serie di casi isolati che genereranno un caso evidente. Come Rimbaud in letteratura, sente la crisi sulla pelle, e vede cadere ciò in cui crede. Ma entrambi sperano in una società “rinfrescata dopo tutti questi uragani”. L’ansia di non restare solo, della condivisione verrà tradita nuovamente quando, poco dopo il suo arrivo ad Arles, Gauguin va via. Nel Luglio 1890, con un colpo di rivoltella pone fine alla sua vita. “solo modo”scriveva “di protestare contro la società e difendersi”. L’atto finale della vita di un uomo che non riesce a rifuggire la sua inquietudine. E solo l’inquietudine e l’ardore latente fanno muovere il pennello sulla tela negli ultimi tempi. L’arbitrio del colore, l’uso psicologico che ne fa il precursore della tecnica coloristica di tutta l’arte moderna.

Il “caffè di notte” è un luogo ove ci si può rovinare, diventare folli, commettere un delitto. Il colore diventa forma, si modella col pennello, a differenza dell’impressionismo. Lui non va per tocchi, la pennellata è lunga e ondeggiante, il colore perde la funzione decorativa. Testimone della crisi dei valori, VG apre la strada all’espressionismo, che, seppur prenderà vie diverse, riconoscerà sempre nell’uomo il centro dei suoi interessi. IL MORALISMO IRONICO DI ENSOR Il pittore belga James Ensor vive contemporaneamente la stessa crisi di VG, insieme al norvegese Munch. Anch’essi provenienti da una esperienza realista e aventi un forte senso della socialità. Ensor per dieci anni dipinge (come VG) i più umili della sua città, pescatori, minatori e venditori. Confessa di aderire al socialismo, ma resosi conto della fallacia di sentimentalismo e mancanza di effettivo sostegno, Ensor passa ad una posizione di ribellione individuale. La posizione di anarchismo intellettuale assunta da Ensor è una delle prime. “per essere artisti si deve vivere nascosti!” . il suo nome ovviamente viene eliminato dagli elenchi della critica ufficiale. Accadeva ad Ostenda quello che accadeva anche a Parigi. Così Ensor sceglie la solitudine critica e beffarda, muore solo, nella casa in cui si ritira, all’età di 89anni. Non ha la passione divorante di VG, è un cinico, un moralista. Le sue tele sono permeate di macabra ironia, maschere e scheletri allegoria della tristezza reale. Così Ensor realizza la libertà che sente nello spirito, e riempie la volontaria solitudine, trova nella pittura quello che gli è impossibile raggiungere nel mondo reale. Il sarcasmo è portato all’esasperazione , dipinge il suo autoritratto col corpo in decomposizione. Ne “l’ingresso di Cristo a Bruxelles” dell’88, la vena satirico-grottesca si esprime al massimo : uno spettacolo di smorfie, buffoni, 3

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puttane e scheletri, vestiti da gentiluomini, un’aria di eccitazione carnevalesca circonda il Cristo sull’asino, confuso come uno dei tanti personaggi distorti.

L’intuizione gli permette di arrivare ad un uso del colore che a Parigi si attribuiva alla scienza, lo stesso arbitrio che coglie VG in provenza. Anche Ensor passa da un periodo scuro ad uno brillante, ma, come VG, non si può definire impr, division, puntinista. Perché “la ragione è nemica dell’arte” mette in chiaro vedendo la Grande Jatte di Seurat.la foga lontana dalla ragione è espressa dalla composizione, le regole che regolano la pittura realista saltano le une dopo le altre, Ensor introduce qualcosa che prima semplicemente non c’era. Qualcosa di inquietante e di demoniaco che attirerà Nolde. MUNCH O DEL TERRORE Il terrore che si celava sul fondo delle tele di Ensor, bussa alla porta di Munch quando , ventiduenne nel 1885 si reca per la prima volta a Parigi. La sua formazione, come quella dei due artisti già citati, avviene in ambito realistico, odia la morale convenzionale ed i pregiudizi della società borghese. Giunge forse troppo presto alla conclusione che “solo toccando la delusione assoluta si può giungere a vedere qualcosa”. E lo apprende dall’amico letterato Strindberg. Quando torna a Parigi, nell’89 ha anche lui un mondo poetico autonomo. Nella città francese assimila nuove tendenze :Gauguin,Toulose lautrec) ma senza sudditanza.

“ la notte” del 1890 è una delle prime tele che dichiarano la svolta artistica. Il problema del colore si

E me ne sto qui,seduto dietro una finestra ad osservare i passanti senza qualcosa da raccontare. Languisco nella malinconia di una vita non vissuta, non partecipata, soltanto osservata, pensata. Cosa c'è che va oltre il profilo di un viso? Quali sono i pensieri, i tumulti, le passioni che ne animano i lineamenti, ne conferiscono tempra, ne delineano il carattere? Non ho mai saputo nulla di tutto questo,pur avendo varcato già da tempo le soglie del mondo.Da esso però fui respinto e adesso giaccio qui, seduto dietro una finestra,la mia.

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risolve in tinte cupe, fredde. Il pezzo forte, che segna lo stile proprio di Munch, è “sera in corso Karl Johan” del ’92. La processione di figure spettrali porta i segni della desolazione interiore, l’energia vitalistica di VG s’è spenta, lo spirito beffardo di Ensor anche, il sangue è sbiancato, come se si fosse gelato nelle vene dei passeggiatori. Mentre ne “il grido” (93) la pittura si carica di sgomento e terrore, il disegno, il colore, la composizione, tutto è puntato e serve a rendere l’espressione del delirio. L’anno dopo stravolge l’iconografia cristiana con la sua ”madonna”, mai era stata concepita una visione tanto sacrilega del simbolo della purezza. La donna sensualmente sfatta. Circondata da una cornice di spermatozoi, è la verità che Munch vuol far passare, ed oppone alle bugie indotte dai moralisti cattolici. L’erotismo permea l’ opera tutta, quasi Munch volesse scavare sotto il perbenismo nordico. Nel 1909 un profondo turbamento psichico lo distrae dalla sua attività, si ritira in un fiordo ove si spegne nel 1944. La vita dei tre artisti sembra, in un modo o nell’altro, giungere allo stesso epilogo. Gli avvenimenti storici devastano coscienze ed esistenze, ma da lì a poco si entrerà nella crisi vera e propria, all’inizio del secolo, perduta ogni certezza, non resta che da chiedersi quali vie prenderà l’arte.

3. I MITI DELL’EVASIONE DIVENTARE SELVAGGI Una volta che la borghesia ha acquisito suo massimo potere si prepara a difenderlo e l’arte si fa quanto più antirealistica possibile perché mira ad occultare la scomoda vanità della borghesia.. l’arte ufficiale la copre sapientemente con un gradevolissimo velo d’ipocrisia. Ma lo zoccolo duro degli intellettuali e artisti più vivi e sensibili non si fa abbindolare, tanto che Baudelaire protesta violentemente contro il teatro di “buoni esempi” e della propaganda di sane idee con l’articolo “i drammi e i romanzi onesti”. Sempre B. ci offre una vincente metafora della situazione come si presentava al tempo, ne: “il mio cuore messo a nudo” paragona l’ “indecente” che una prostituta (che lui porta al Louvre per la prima volta) pronuncia scioccata di fronte a dei nudi classici all’ “immorale” della borghesia. Quando Luigi Napoleone tenta il colpo di stato per ristabilire l’impero, B getta la spugna, si spoliticizza. Così inizia per molti intellettuali un periodo di protesta diverso, caratterizzato dall’evasione. Il caso di Rimbaud è addirittura eclatante: rinuncia alla poesia a soli 19 anni, nel tentativo di abbrutirsi e riuscire così ad affrontare le insidie della società. Diventare selvaggi: questo è il segreto per sfuggire alla società insopportabile. Il mito del selvaggio è ciò che rincorre Gauguin (sulla scia del mito del “buon selvaggio” di Rosseau). Per alcuni si risolverà in annacquato esotismo, mentre per G diventa ancora di salvezza. Tenta prima di trovare il primitivo nei paesi bretoni, poco contaminato dalla società borghese, successivamente a Tahiti ove si trasferisce e muore nel 1903. C’è in lui un fervore mistico e naturalistico, il primitivo, prima del peccato originale e dei principi dello spirito, l’erotismo senza peccato che impregna le tele e diviene cosmico. Sulla casa dove morirà aveva scritto “Te Faruru” “qui si fa all’amore”, per difendere questa semplicità, questo amore innocente, fa guerra ai missionari cattolici e agli invasori che volevano far pagare le tasse. Finisce pure in prigione, perché fisicamente impedisce ai bambini di frequentare la scuola dei missionari. Ma per l’impetuoso G l’eden si risolve nel fallimento. Come lui molti altri cercano la felicità nell’altrove, ma anche questa via di scampo è vana, il malessere sembrano portarselo dentro, ovunque essi sfuggano. Rimbaud scrive “la vera vita è assente, noi non siamo al mondo”. AVANGUARDIA E DECADENTISMO 5

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L’anima rivoluzionaria dell’avanguardia non si può liquidare sbrigativamente associandola al decadentismo. Il decadentismo è nostalgia dello stato prerivoluzionario, l’avanguardia è ripartire da zero, è essa stessa lo zero. Il decadentismo muore quando si tuffa nell’esasperato nazionalismo, la torbida degustazione della morte viene presto a noia. Nei quadri i temi del romanticismo sono trattati con sonnolenza e perdono verve e drammaticità, il senso di tale arte decadente si ritrova nella bibbia del decadentismo: “A rebours”. Des Essentes passa ore a contemplare le opere di Moreau (ne acquista due) in particolare “salomè” di cui Huyssmans fa una prolissa e languida descrizione. Che al contempo è crudelmente sensuale, quasi un esercizio di erotismo mentale. Nulla però della rottura con l’800 sfiora il decadentismo.

I nomi da aggiungere a questa corrente che si fa presto europea sono Wilde, i preraffaelliti ecc.. in Italia D’Annunzio e Sartorio riprendono la tradizione decadente francese e la mescolano all’ambiente alto borghese (quello dello Sperelli) e alla politica, Sartorio dipinge 400mt in Parlamento e il ritratto a cavallo di Mussolini nel ’28, diviene deputato. Altri casi riguardano più che altro l’ambito del dilettantismo. Poi c’è Marinetti, che si plasma come poeta nell’ambiente simbolistadecadente parigino. Ma già in opere come “Mafarka il Futurista” utilizza senza ritegno tutto l’armamentario decadentista, alcuni capitoli sono resi famosi dalla denuncia di oltraggio al pudore. Da ricordare la scena grottesca del talamo nuziale del protagonista. Ma, ad un anno dall’uscita del manifesto, questo testo non può non portare l’impronta del movimento: Mafarka è costruttore di uccelli meccanici: aereoplani. PRIMITIVISMO E NEGRISMO L’ esotismo delle avanguardie sorge da una repulsione attiva, che nulla ha a che fare con quella passiva del decadentismo. L’atteggiamento polemico assunto verso la tradizione occidentale per quanto riguarda le arti, spinge gli artisti a ricercare uno stato di purezza, una tradizione vergine, non appesantita dalla storia della civiltà Europea. Servendoci sempre di Rimbaud “ giudicavo derisorie le celebrità della pittura e della poesia moderna; amavo le pitture idiote, i saltimbanchi, il latino in chiesa e i libri erotici senza ortografia”. Questa di R è forse la prima formulazione di una poetica che ha fatto la fortuna di pittori e scultori cosiddetti primitivi o ingenui. Uomini di fatica che dipingevano per diletto e con innocenza di cuore, 6

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ogni qualvolta riuscivano a rubare qualche ora al lavoro quotidiano. Anche questa indicazione, neanche a dirlo, viene dalla Francia e si estende a tutta l’Europa. Siamo nell’epoca degli artisti individuali, concetti come “bottega e “corporazioni” sono ormai obsoleti. Così chi aveva l’istinto, ma non aveva i mezzi, si mise a dipingere, pur facendo contemporaneamente un altro mestiere. I pittori ingenui, pittori della Domenica, si fanno strada dall’800 in avanti. Ma questo non spiega la fortuna che questa categoria vede arrivare solo nei primi anni del 900. In sintesi i verdi paradisi infantili sui quali fantasticava Baudelaire divengono un altro asilo, un altro rifugio. Lo stesso tipo di interessamento si manifesta per l’arte arcaica, in particolare per la scultura. Tutto ciò che era “barbaro” e veniva riscoperto proprio in quegli anni, attirava con una insolita violenza (ovviamente altro requisito era fuggire alla grecia classica o al rinascimento). Non c’è dubbio che l’influenza più forte sugli artisti europei venne esercitata dalla scultura negra. Emblematico è il caso di Vlaminck che porta nello studio di Derain, nel 1907, una scultura negra, la mette su di un cavall...


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