I tre dittatori del \'900 PDF

Title I tre dittatori del \'900
Course Storia - Anno 5 - Tecnico commerciale
Institution Liceo (Italia)
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Riassunto della vita e della carriera dei tre dittatori del '900 (Mussolini, Hitler e Stalin) poste a confronto ...


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I TRE GRANDI DITTATORI DEL NOVECENTO

Sofia Dellomonaco

Il totalitarismo fu il sistema politico che più spaventò l’Europa nel corso del ‘900. Esso prevede l’accentramento del potere nelle mani di un unico partito, di un capo o di un ristretto gruppo dirigente che, si poneva l’obbiettivo di mobilitare intere popolazioni nel nome di un’ideologia o di una nazione. Il regime totalitario è caratterizzato soprattutto dal tentativo di controllare capillarmente la società in tutti gli ambiti di vita: colui che domina sullo Stato non si limita, cioè, ad imporre delle direttive, ma vuole mutare radicalmente il modo di pensare e di vivere della società stessa. A dominare la scena politica e sociale del ventesimo secolo furono in particolare le tre figure a capo dei regimi totalitari più forti e distruttivi della storia: Stalin in Russia con il comunismo sovietico, Mussolini in Italia con il fascismo e Hitler in Germania con il nazismo. Il primo, salito al potere nel 1927, si pose l’obbiettivo di industrializzare il paese nel modo più breve ed efficace possibile, costringendo l’intera società ad uno sforzo produttivo elevatissimo. Per trovare la collaborazione di tutta la popolazione, tentò di mobilitarla e motivarla tramite un’abile operazione propagandistica. Tutti coloro che, invece, si opponevano alla sua politica, venivano considerati nemici del popolo e dunque, arrestati e spesso fucilati o deportati nei primi campi di concentramento, i lager sovietici. La sua politica, ben presto assunse tutte le caratteristiche di un regime totalitario: come crebbe la produzione, crebbe, anche, il suo stesso potere, il quale dal controllo delle industrie e delle campagne, si estese velocemente ad ogni aspetto della vita del cittadino. Il secondo, Mussolini, segnò la nascita del fascismo in Italia, che, inizialmente, si presentò con il nome di “fasci di combattimento”: un movimento violento ma riformista, a favore dei lavoratori e del popolo in generale; una volta diventato partito, però, per mano dello stesso Mussolini, cambiò radicalmente il suo programma, centralizzando sempre di più su di sé il potere dello Stato, fino ad assumerne il pieno controllo. Con le leggi “fascistissime”, venne stabilito quello fascista come unico partito riconosciuto e venne affidato al capo del governo il potere legislativo, sostituendo la figura del presidente del Consiglio con la sua, diventata responsabile solo di fronte al re. Avendo gran parte del potere nelle sue mani, fu facile per Mussolini, assumere velocemente il potere totale del paese: iniziando dagli aspetti economici, per poi passare a quelli sociali, fino ad arrivare a quelli territoriali, con la conquista dell’Etiopia nel 1934. Fu questa l’occasione decisiva per l’avvicinamento tra Italia e Germania, quest’ultima infatti garantì armi e materie prime utili alla spedizione e, due anni dopo, firmò il patto ”Asse Roma-Berlino”, simbolo di amicizia tra i due paesi. L’alleanza non fu ancora di tipo militare ma, le due potenze, si influenzarono fin da subito sul piano ideologico, accomunate dai concetti sempre più forti di nazionalismo e razzismo. Un’origine analoga al fascismo, spetta anche al nazismo. Nato anch’esso come semplice partito ed alimentato dalla delusione e dalla rabbia per gli esiti dei Trattati di Versailles, si proponeva come fine ultimo quello di dare vita ad una comunità ariana purificata da ogni elemento razziale estraneo ad essa, incarnato in particolare negli Ebrei, accusati di contaminare il popolo tedesco. Salito al governo, in soli sei mesi, Hitler fu in grado di edificare uno Stato totalitario: si assegnò i pieni poteri, nominò quello nazionalsocialista come unico partito, nazificò ogni organizzazione e attività sociale ponendole sotto il suo controllo e istituì i campi di concentramento, nei quali vennero rinchiusi gli oppositori politici e quella parte “impura” della popolazione germanica. Negli anni in cui operò, Hitler intraprese una politica di riarmo, così da preparare il paese alla guerra che lui stesso avrebbe fatto erompere ed, esercitò il controllo sulla società tramite l’educazione nazionalsocialista obbligatoria basata sull’istruzione militare e le “scienze razziali”. Rafforzato l’aspetto militare del paese, fu pronto ad attaccare per la conquista del cosiddetto “spazio vitale”, necessario alla costruzione della Grande Germania: inizialmente non incontrò oppositori nel suo cammino, in quanto, la volontà di mantenere la pace accomunava le più grandi potenze europee, che, per quanto possibile, tentarono di ignorare le azioni del Führer. Fu dalla richiesta della città di Danzica che Francia e Gran Bretagna si dichiararono pronte ad intervenire. Hitler, dunque, sotto minaccia, si alleò con l’Italia stipulando il Patto d’acciaio e con l’Unione Sovietica con un patto di non aggressione. Il periodo bellico cominciò e, quella che i tedeschi avevano programmato come “guerra lampo”, rapidamente divenne uno scontro mondiale, concluso nel 1945 con la sconfitta definitiva della Germania. Esaminando i tre regimi totalitari più devastanti della storia, si possono notare alcune analogie: nonostante i sistemi e le ideologie politiche di base fossero differenti, nazismo per Hitler, fascismo per Mussolini e comunismo per Stalin, è innegabile affermare la loro affinità nelle pratiche e nei risultati ottenuti dal loro dominio. Tutti e tre, infatti, desideravano il controllo totale di tutti gli aspetti della vita del cittadino, da quello politico a quello puramente relazionale ed ogni metodologia che permettesse questa loro affermazione, anche quella più distruttiva e crudele, era considerata legittima ed applicata principalmente con la violenza fisica,

tramite le persecuzioni, ed il terrore psicologico, con la diffusione di teorie totalmente folli ma, se approvate dal dittatore, completamente valide. Per quanto riguarda le figure dei tre capi, risulta evidente dai risultati ottenuti, come i loro programmi siano stati scanditi dalle loro personalità vacillanti tra l’intelligenza e la follia: sebbene ciò che scaturirono sia stato assolutamente sbagliato e disumano, la loro riuscita, segnala un barlume di intelligente ed abilità nel campo politico. Tutti loro, fin dagli anni della gioventù sembravano essere destinati a compiere tutt’altro nella loro vita, come ad esempio Hitler che, secondo il padre, sarebbe dovuto diventare un impiegato statale, o Stalin, costretto a studiare teologia contro il suo stesso volere, oppure Mussolini, che, seguendo le orme della madre, diventò maestro, senza, però, trovare fortuna nel campo lavorativo. Questo porta sicuramente a chiederci cosa sarebbe effettivamente successo se i loro animi ribelli nei confronti delle istituzioni scolastiche, non fossero intervenuti, rovinando i piani previsti dai loro genitori. Sfortunatamente, la sfiducia in questi ultimi, alimentata, probabilmente, da una disciplina rigida e violenta, portò i tre uomini a prendere strade diverse, sfocianti nello stesso grande mare della politica. A questa vi si avvicinarono con la prepotenza, dovuta al desiderio di incarnare un ruolo rilevante all’interno di un piccolo gruppo che, grazie alla loro influenza e alla loro volontà, che Hitler chiama “fanatismo”, in pochi anni, riuscì ad assumere il pieno potere dello stato. La loro carriera politica fu fortemente rappresentata dalla figura che essi stessi si crearono, tutti e tre, infatti, guidati da un forte orgoglio nei confronti di sé, cercarono di mitizzare il loro stesso personaggio: Stalin, in particolare, oltre che attribuirsi un “nome d’arte” per sottolineare la sua tenacia, nonostante la disagiante statura, si fece vedere sempre più raramente in pubblico, creando attorno alla sua immagine un’atmosfera di mistero e desiderio. Come accennato, non fu l’unico dei tre ad accrescere il mito attorno al suo nome: ad esempio, lo stesso Hitler, era convinto di essere il prescelto, inviato per compiere una missione e protetto dalla provvidenza. Inoltre, ad aumentare il misticismo del suo carattere, si dice che sia stato un’uomo fortemente superstizioso e fiducioso nei presagi più insignificanti. Per quanto riguarda Mussolini, il suo mito è di ispirazione romana: esso, infatti, salito al potere, si fece chiamare con l’appellativo di “duce”, termine con il quale, nell’antichità, ci si rivolgeva al generale valoroso e trionfante in battaglia. Inoltre, nel corso della sua carriera si fece sempre rappresentare con lo sguardo diretto all’orizzonte, tentando di descriversi attorno all’immagine dell’uomo che “scruta il futuro che, gli altri, ancora, non sono in grado di vedere”. Nonostante la sua evidente dedizione alla patria, Hitler, non fu mai descritto come un grande lavoratore, anzi, attorno alla sua figura, girava l’idea che avesse una vera e propria fobia nell’acquisire una professione stabile. Stalin, al contrario, venne definito come uno stacanovista, e questo suo atteggiamento si rispecchiò anche nella tecnica organizzativa promossa tra i lavoratori del suo regime costretti a lavorare fino allo sfinimento per l’obiettivo di produzione del capo. L’”uomo d’acciaio”, nonostante le sue caratteristiche da instancabile lavoratore, rimase alla storia per il suo carattere crudele: si racconta che, durante il periodo delle purghe, nella seconda metà degli anni ‘30, fosse solito chiamare a colloquio i dirigenti e funzionari che lavoravano a stretto contatto con lui e di cui non si fidava. Appena questi entravano nello studio, cominciava a fissarli negli occhi senza proferire parola. Chi non reggeva lo sguardo, veniva fucilato perché, secondo Stalin, aveva qualcosa da nascondere o era in malafede. Le vite dei tre dittatori non videro molto spazio per l’amore, sia per i loro caratteri poco apprezzati che per la scarsa considerazione attribuita alla donna del tempo: se per Mussolini e Stalin non fu difficile sposarsi, per Hitler parve impossibile. Sembrava che oltre alla fobia per il lavoro fosse terrorizzato anche dall’amore e dall’intimità. Nella sua vita, infatti, non ebbe figli ma solo un paio d’amanti, considerate da lui come faccende di poco conto e, l’unico barlume di amore che provò fu per una nipote in particolare, Eva Braun, la quale sentendosi trascurata ed usata per determinati scopi dal Führer, decise di porre fine alla sua vita. Gli altri due, invece, si sposarono: Mussolini, nonostante la presenza di una moglie e di diverse amanti non fu mai capace di provare amori esclusivi e profondi se non per la figlia Edda, per la quale i suoi sentimenti d’affetto paterno non avevano limiti, anche se questo non gli impedì di condannarne il marito per questioni politiche. Stalin, invece, si sposò ben due volte, restando vedovo in entrambi i casi: la prima moglie morì di tifo, portandosi nella tomba anche “gli ultimi sentimenti affettuosi” del marito e lasciandogli il figlio Jakov, il quale verrà perseguitato dal padre fino alla sua morte. La seconda, morì, forse suicida o forse di peritonite acuta, lasciando due figli maschi e una femmina, Svetlana. Tra i due filtrò l’amore fino a quando non venne allo scoperto la relazione di questa con un registra ebreo, il quale venne catturato e internato nel gulag di Vorkuta. Nonostante le varie esperienze amorose, i tre dittatori si mostrarono sempre e comunque fedeli e devoti ad un unico grande amore comune: il potere. Essi, infatti, inebriati dall’idea dell’onnipotenza, persero il lume della ragione, immergendosi nel folle tentativo di raggiungere un potere assoluto, totalmente inesistente....


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