LE Avanguardie Artistiche DEL 900 - DE Micheli PDF

Title LE Avanguardie Artistiche DEL 900 - DE Micheli
Course Storia Dell'Arte Contemporanea I
Institution Università degli Studi di Siena
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Riassunto integrale del libro...


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Mario De Micheli - LE AVANGUARDIE ARTISTICHE DEL NOVECENTO Vuole cogliere i motivi di fondo delle avanguardie per sottolinearne la validità storica e l’eredità; distingue due correnti di fondo: una che parte dal cubismo e una dall’espressionismo, seguendole separatamente ma tenendo conto dei loro punti di contatto e fusione; arriva fino al 1930 (più Guernica di Picasso del ’37). 1 – Unità dell’Ottocento L’arte moderna è nata da una rottura con i valori Ottocenteschi, non solo estetica ma anche ideologica e storica. Si spezzò la straordinaria unità spirituale e intellettuale dell’Ottocento, sorta dalla rivolta, dalla tendenza rivoluzionaria di quel secolo. Tutta l’Europa tentò una rivoluzione nel ’48, preparandola attraverso una straordinaria coesione dal punto di vista ideologico e intellettuale. Stavano giungendo alla maturità gli ideali della Rivoluzione Francese, spingendo gli intellettuali a impegnarsi direttamente, con le opere e con le armi, a conquistare la libertà. La pressione delle forze popolari fu sentita dagli intellettuali come un elemento decisivo della loro storia, quindi anche l’arte fu vista come espressione attiva di essa, specchio di questa realtà; Michelet insisteva sulla necessità della presenza del popolo nella cultura e sul carattere essenzialmente attivo dell’azione umana nel suo tempo; incitava gli artisti a intendere la propria arte come una forma di azione sociale, esaltando il lavoro di Daumier ; diceva che proprio attraverso l’arte il popolo poteva parlare al popolo. Anche Hegel sosteneva l’appartenenza dell’artista al proprio tempo, quindi l’occorrenza di opere d’arte comprensibili e vicine al popolo. È comunque naturale che in un periodo di così fervente rivoluzione la realtà diventasse il problema centrale anche nella produzione artistica, prorompendo e decidendo in ogni campo. E questa realtà, prima accettata anche nei suoi ineluttabili aspetti negativi, dopo il ’40 diventa qualcosa da poter cambiare; la società vuole vedere nell’artista il proprio ispiratore. Goethe disse che le tutte le epoche in regresso sono soggettive, mentre quelle progressive hanno una direzione oggettiva; questa oggettività si manifesta nelle opere più significative, dato che nella realtà si manifesta obiettivamente il movimento rivoluzionario borghese-popolare. La realtàcontenuto dell’opera d’arte, agendo prepotentemente sull’artista, ne determina anche la forma. Prima del ’48 De Sanctis disse “lo stile è la cosa” intendendo con quest’ultima il contenuto. Lo stile si definisce a partire dalla cosa che si vuole esprimere; la cosa non andava comunque considerata in modo isolato ma nel suo spazio e nel suo tempo, e dal secolo e dalla società andava a definirsi lo stile. Lo stile era esprimere la cosa nella sua verità. Per De Sanctis l’arte non può che essere un’espressione obbiettiva della realtà, senza deformazioni, e questa concezione aveva ampiamente conquistato scrittori e artisti. Courbet pronuncerà parole simili. Tutto ciò portò al rifiuto del soggettivismo romantico, accettando solo un romanticismo di fondo realistico, che indagasse lo scorrere della storia e i sentimenti da essa provocati. La dottrina dell’arte per l’arte aveva avuto successo in Francia durante la Restaurazione, ma era stata già intaccata dalla rivoluzione degli anni ’30: Daumier iniziò a disegnare e Delacroix dipinse la Libertà che guida il popolo. La nuova borghesia finanziaria in auge col governo di Luigi Filippo si dilettava di un’arte mediocre, priva di slancio o genialità, esaltazioni del re o soggetti religiosi. Le forze politiche e culturali più aperte reagivano preparando il clima del ’48: la coscienza della stretta relazione tra arte e popolo e società determinerà la svolta della pittura in senso realista ad opera di Courbet. Nel 1848 volle mettere l’arte al servizio dell’uomo, lottando contro tutte le forme di

governo autoritario affinché ogni uomo governi se stesso a seconda dei propri bisogni. L’uomo stava al centro della nuova estetica, sconfiggendo gli ideali neoclassici o romantici. Lo spirito scientifico si diffondeva in ogni disciplina, i progressi della tecnica davano una diversa impronta alla vita. Dalla confluenza di queste circostanze storiche nacque il realismo, e per i realisti era intorno all’uomo che si raccoglievano tutte le circostanze. Il realismo propugnava lo stretto legame con tutti gli aspetti della vita, anche i più quotidiani, togliendo ogni strascico di mitologia o idealizzazione o rievocazione storica. Dipingendo contadini e borghesi a grandezza naturale, dandogli il vigore fino ad allora riservato agli eroi o agli dei, Courbet determinò una rivoluzione artistica. Con Millet e Daumier. L’insistenza sulla Francia è dovuta alla tipicità della sua situazione: Parigi è in questo secolo la capitale delle arti e delle idee, giungendovi da ogni luogo gli artisti che volevano creare una nuova arte. Comunque il processo rivoluzionario toccò anche paesi come l’Ungheria, Romania, Bulgaria che non avevano ancora una propria cultura nazionale: fiorirono anche qui studi sulla storia della patria e l’arte iniziò a svincolarsi dal bizantinismo per osservare la realtà. Anche in Italia ci fu un risveglio della cultura nazionale e artistica: i nuovi artisti furono proprio quelli legati alle vicende del Risorgimento. Caddero le formule neoclassiche in favore di un romanticismo storico, fino all’emergere della scuola dei Macchiaioli. Le riunioni del 1850 al Caffè Michelangelo accoglievano artisti impegnati politicamente, e dalle loro discussioni, di carattere tecnico, emerse la teoria di dipingere a macchia per una nuova ricerca di verismo, rendendo la realtà dell’impressione dal vero; si ricercava la verità, l’aderenza alle cose. Il movimento italiano andava nella stessa direzione dell’arte europea democratica, interessata ai problemi e alle preoccupazioni della storia in atto. Se poi i risultati di questa tendenza non furono intensi come quelli degli artisti francesi fu probabilmente dovuto agli stessi limiti del Risorgimento. Dalla crisi dell’unità storica, politica, culturale negli anni intorno al ‘48, dalla sua rottura, nasce l’arte d’avanguardia e molto del pensiero contemporaneo. Anche durante questo momento di unità c’erano contraddizioni e divergenze, che poi diverranno cause della crisi. Dall’analisi dei fattori che porteranno alla crisi si può riconoscere il significato che acquisteranno gli elementi operanti nella crisi stessa, che esploderà per questioni essenzialmente storiche. L’inizio della crisi fu con il concludersi delle rivoluzioni europee di metà secolo, facendosi più evidente alla fine della Comune di Parigi del ’71, momento da cui le contraddizioni si acuiranno con sempre più violenza. Dopo il ’71 il dissidio tra intellettuali e la loro classe si fece acuto e la rottura dell’unità divenne un fatto compiuto, rendendo il fenomeno generale. 2 – I segni della crisi Il dramma storico di Van Gogh Arrivò a Parigi a febbraio 1886, restandogli 4 anni da vivere. La sua attività era iniziata nell’80. Figlio di un pastore calvinista, preso dalle idee della redenzione sociale francesi, scelse di esercitare la predicazione evangelica tra i minatori belgi del Borinage, leggendo Hugo, Dickens, Michelet, Zola, fondendo l’evangelismo e il socialismo umanitario. Vedeva nella realtà di quei lavoratori un’incarnazione della religione, una dimora di Dio. In tutti i luoghi in cui andò prima di approdare a Parigi aveva osservato la realtà dei lavoratori nelle fabbriche, miniere e campi, anche quando smetterà di predicare. Da ciò pare ovvio che Van Gogh si orientasse verso un realismo denso di contenuto sociale, e tutte le sue fatiche consistevano nel trovare un modo per riprodurre

efficacemente questa realtà; per questo si ispirò agli artisti che l’avevano presa più spesso come soggetto: Delacroix, Millet, Courbet, Daumier. Ammirava soprattutto la loro capacità di accentuare l’espressione attraverso la deformazione realistica, il caricare l’espressione, l’uso del colore in senso espressivo; Van Gogh voleva esprimere la realtà, “l’uomo aggiunto alla natura” sua definizione dell’arte; natura come realtà o verità, i cui caratteri sono estrapolati dall’artista. L’espressione consisteva nel far uscir fuori dalle cose il loro significato più vero, ma senza tradire la realtà. I Mangiatori di patate vennero dipinti in questa concezione; bisognava fare uscire la fatica e la penuria dei contadini e in ciò fu aiutato dalla deformazione realistica di Daumier, passando dalla caricatura all’intensificazione drammatica dell’espressione. Esalta il lavoro manuale e il cibo da essi guadagnato con le stesse mani con cui lo mangiano. Prima di arrivare a Parigi era quindi un uomo con i valori del ’48. Cercava qui dei pittori che sentissero come lui, ma il volto della città era molto cambiato: Courbet, Millet e Daumier erano morti, l’arte realista era osteggiata e disprezzata in ambiente ufficiale (Napoleone III), vista come minacciosa espressione di rivolta. In città si era molto diffuso un odio radicale per Courbet, in tutti i settori della vita culturale, tanto da investire gli stessi pittori impressionisti che provenivano dalle intuizioni del realismo. Questa ostilità promossa dall’ambiente conservatore e lo spegnersi del fervore ideologico che animò gli anni del ’48 allontanò gli artisti dalla visione realistica e dall’impressionismo. Iniziarono ad essere indagati i problemi scientifici, tecnici, di luce, sostituendo quelli di contenuto. Dalla prima mostra degli impressionisti del 1874 al 1886 l’esperienza impressionista andò evolvendosi verso il divisionismo, per poi sciogliersi. Comunque l’impressionismo ebbe il merito di mettere l’uomo a diretto contatto con la realità, liberando il colore da ogni residuo accademico, rinnovando il linguaggio figurativo. Van Gogh, animato ancora dagli ideali del ’48 si trovò quindi in un ambiente completamente diverso; è colpito dalle loro tele luminose e chiare accogliendone la teoria e la tecnica ma avverte allo stesso tempo la fine di quella stagione. Sente che gli artisti non sono più inseriti ma opposti alla società, ma comunque non desiste dalla sua ricerca. Non potendo esternare la propria carica sentimentale, questa gli esplode all’interno e attraverso questa esasperazione guarderà la realtà, la investe con la sua fame di amore e si sente solo. Avverte che le teorie divisioniste sono inadeguate a decidere dell’opera, in cui parlano gli uomini. Nell’88, ad Arles, il pittore che più lo interessa è Gauguin, che giudicava l’impressionismo un’arte superficiale in cui non risiede pensiero. Van Gogh vuole fare una pittura tutta meditata, espressiva e non positivistica, riprendendo l’esperienza formale dei Mangiatori di patate, ricorrendo alla deformazione in senso espressivo. Non un’arte di impressione ma di espressione che esprima la profonda sostanza delle cose, continuando sempre a indagare operai e contadini. Non si può spiegare Van Gogh solo da un punto di vista clinico. È il primo caso evidente di una serie di altri casi, inizia ad indicare una situazione di crisi culturale: la distruzione della base storica su cui gli intellettuali si erano formati, entrando in crisi, in essi, i valori spirituali che prima sembrava dovessero durare per sempre. Van Gogh è il primo caso nell’arte come Rimbaud lo è nella letteratura; avevano entrambi visto distruggere ciò in cui credevano. La febbre di Van Gogh si scatena quando vorrebbe disperatamente riparare con l’amore la frana di tutti i suoi ideali. Voleva lavorare in gruppo, non restare solo o isolato; la pittura doveva sorpassare la potenza di un solo individuo ma essere creata da gruppi di uomini, esecuzione di un’idea comune. Ma proprio lui finirà in solitudine dopo la breve visita di Gauguin.

Ha dato un significato al suo suicidio del 28 luglio 1890: era il solo modo di protestare e difendersi da quella società. Negli ultimi anni è proprio la sua inquietudine a guidarlo nell’esecuzione delle sue opere, deformando la realtà; usa il colore in modo violentemente psicologico facendo cadere le leggi del colore naturalistico impressionista; diventa una metafora, un modo autonomo di persuasione anche se non distinto dall’impianto generale dell’opera. Nel Caffè di notte cerca di esprimere quanto questo sia un luogo in cui ci si possa rovinare, diventare folli. Aveva osservato come Delacroix modellasse il colore direttamente col pennello, lo rendesse forma, ma alla pennellata neo-impressionistica sostituisce una più lunga, ondeggiante e circolare. Il colore non ha una funzione decorativa come per Gauguin, non punta all’armonia dei rapporti, non è un veicolo di evasione. Van Gogh apre la strada alla corrente artistica di contenuto che sarà l’espressionismo moderno, che avrà esiti diversi e contrastanti ma quasi sempre avrà l’uomo al centro dei suoi interessi. Moralismo ironico di Ensor Anche il pittore belga James Ensor avvertì la crisi dell’unità spirituale dell’Ottocento, anche se in modo diverso, insieme al pittore norvegese Edward Munch. Entrambi provenivano da un’esperienza realista e fecero proprie le istanze sociali. I disegni di Ensor tra 1879-80 sono analoghi a quelli del primo Van Gogh. Per 10 anni dipingerà gli uomini più umili di Ostenda e Bruxelles. Entra in relazione col poeta Emile Verhaeren, e aderirà esplicitamente al socialismo di cui si possono trovare manifestazioni nelle incisioni che ha dedicato allo sciopero di Ostenda del 1887 e nel quadro I Gendarmi. Quando si rese conto che non c’era riscontro a queste predicazioni umanitarie (socialismo utopistico) si spostò su posizioni di ribellione individuale arrivando all’anarchismo intellettuale. Si immise in un gruppo di artisti belgi che criticavano deliberatamente la borghesia (con lo scultore Costantin Meunier). Si rinchiuse in una “sdegnosa” solitudine nella sua casa, in cui morì nel 1949 a 89 anni. Non aveva la passione di Van Gogh, era più un moralista che un predicatore. Inizia a dar forma a fantasie grottesche di maschere e teschi, creando opere di gusto comico e macabro. È un mondo di allusioni, allegorie, simboli, di assurda commedia di contraddizioni e non-senso. Con queste tele riempiva la sua solitudine volontaria, credendo nei poteri liberatori della fantasia e della spietata chiarezza nel guardare al proprio destino e a quello degli altri, censore di vizi pubblici e privati. La solitudine che uccise Van Gogh è per lui un ossigeno tragico e esilarante. Nelle acqueforti il suo sarcasmo moralistico giunge agli estremi, come nell’ Autoritratto dell’89 dove presenta il suo corpo in decomposizione con il solo volto intatto. Nell’Ingresso di Cristo a Bruxelles del 1888 ha dato pieno sfogo alla sua vena satirico-grottesca. Appare come una grande farsa, una sequenza di smorfie e bizzarrie. C’è ogni tipologia della società, ridicolizzata da volti strani e deformati, in un’aria carnevalesca in cui Cristo è confuso tra i tanti personaggi. La grande energia dell’opera proviene anche dalla sua invenzione pittorica, l’acidità delle dissonanze cromatiche, i colori puri. Sono scoperte d’istinto le leggi del colore che gli artisti parigini indagavano con la scienza. Anche se come Van Gogh era passato da un periodo scuro a uno chiaro, proprio come lui non può essere detto né impressionista né divisionista. Pensava che il puntinismo uccidesse il sentimento, che la ragione fosse nemica dell’arte, ignorò l’esposizione della Grande Jatte a Bruxelles dell’87. Ensor riprendeva il problema della luce ispirandosi agli artisti inglesi, soprattutto a Turner, e basta

guardare Maschere sulla spiaggia per accorgersene. Nell’Ingresso di Cristo a Bruxelles ogni ricerca è sottomessa all’impulso dell’artista, all’immediatezza del trasferimento sulla tela degli umori interiori, e anche la composizione obbedisce a questa foga. L’espressione determina forma e colore. La visione di Ensor è qualcosa che prima non c’era, che attirò l’espressionista tedesco Nolde che troverà nelle maschere di questa tela ispirazione per molte sue opere. Munch o del terrore Quando Munch nel 1885 compì il primo viaggio a Parigi aveva 22 anni e si era formato nell’ambito del realismo naturalistico; aveva un’impostazione culturale di impronta ibseniana, frequentando il Caffè del Grand Hotel di Oslo di Ibsen (ne eseguirà una litografia nel 1902). Da Ibsen aveva imparato a odiare la morale convenzionale, i pregiudizi borghesi e la loro società. I personaggi borghesi di Ibsen, spogliati delle loro ipocrisie appaiono ripugnanti e meschini. Strappare le bugie di dosso dalla borghesia diventò una delle principali missioni degli intellettuali a partire da questi anni. Svelare tutta la verità poteva anche provocare un grande terrore, ed è quello che Munch si prefisserà di fare. Molti fatti ve lo condurranno, in primo luogo l’amicizia con Augusti Strindberg, che in letteratura approderà ad un pieno nichilismo. “Quando si è veduto se stessi si muore”. Nel suo primo soggiorno parigino Munch si interessa all’impressionismo, ma solo nel viaggio successivo nell’inverno del 1889 la sua pittura ha la svolta. Come Van Gogh aveva una poetica autonoma usando liberamente le scoperte pittoriche francesi: assimila Van Gogh, ToulouseLautrec, Gauguin, elementi del simbolismo floreale, andando verso una pittura visionaria. Una delle prime tele dopo la svolta è La notte del 1890: c’è un totale abbandono del naturalismo, la sostituzione della tavolozza schiarita del primo viaggio con toni scuri. Nel 1892 dipingerà Sera nel corso Karl Johan, passeggiata dei borghesi di Oslo: vi dispone una folla di spettri su cui affiorano colori lividi (gialli, blu, viola). Ha una forte esaltazione lirica ma è molto diverso da Van Gogh, non c’è la sua energia vitale ma una fredda esaltazione; è assente anche la vena violenta di Ensor. L’Urlo del 1993 approda a una deformazione della figura inaudita a queste date. L’uomo in primo piano con la bocca gridante e le mani sulle orecchie per non ascoltare il proprio incontenibile urlo, che è l’urlo della natura, è ridotto a una parvenza ondeggiante in un paesaggio delirante. Tutto è puntato sull’espressione: disegno, colore, composizione. La Madonna del 1894-95 è una prostituta, di una bellezza depravata, inquadrata da una decorazione di spermatozoi; questa Madonna sacrilega è una verità che oppone alle bugie moralistiche borghesi. Temi funebri o erotici, sotto la crosta del puritanesimo nordico, occuparono Munch fino al 1909 quando entrerà in una casa di cura a Copenaghen, da cui uscirà per rintanarsi su un fiordo norvegese fino alla morte del 1944. Era rimasto svuotato e in solitudine. In Van Gogh, Ensor, Munch si manifestarono i segni della crisi dell’800. Si chiudeva così un’epoca, aprendo la crisi vera e propria. 3 – I miti dell’evasione L’arte ufficiale borghese nacque quando la borghesia conquistò definitivamente il potere e si rese conto che le armi da essa stessa formate le si volgevano contro. Mantenendo una parvenza realistica, era allo stesso tempo antirealista, espressione di occultamento e non espressione della verità. Aveva una funzione per lo più celebrativa di virtù ormai inesistenti. Il fenomeno fu consistente a partire dagli anni successivi al ’48 per intensificarsi dopo il ’70.

Gli artisti più aperti e sensibili vi si opposero con forza. Il distacco degli intellettuali dalle posizioni politiche e culturali della loro classe li porterà a vivere in una protesta fatta soprattutto di evasione; la polemica antiborghese romantica non era così radicale, ora il rifiuto diventa concreto, la fuga è dalla civiltà e si trasformerà spesso in pratica di evasione vera e propria. Uno dei modi per evadere dalla società era quello di diventare selvaggi (come Rimbaud), ed è ciò che fece Paul Gauguin. Il mito del selvaggio non era nuovo in Francia; con l’illuminismo il selvaggio aveva un ruolo attivo, contro le costrizioni della società feudale e tutto ciò che tentava di modificare la libera spontaneità dell’uomo; l’uomo di natura di Rousseau è il mito del buon selvaggio in chiave politica. Ora però tutto ciò non può essere usato per modificare la società, per darle un fondamento di libertà; questa appare perduta e il mito diventa un veicolo di evasione, per trovare una felicità incontaminata. Per alcuni si risolse in pittoresco esotismo, per altri fu una vera ricerca di salvezza. Proprio dopo il ’70 la Francia stava ricostruendo il suo impero...


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