Basilea 1,2,3 PDF

Title Basilea 1,2,3
Author Federica Verdino
Course Diritto degli strumenti finanziari
Institution Università degli Studi del Sannio
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Accordi di Basilea...


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Requisiti patrimoniali Le banche e i gruppi bancari sono tenuti a mantenere costantemente coperture patrimoniali adeguate contro il rischio di credito (v. coefficiente di solvibilità), i rischi di mercato (v. requisiti patrimoniali sui rischi di mercato) e, inoltre, a fronte degli immobili e delle partecipazioni assunti per recupero crediti. Le coperture assumono la veste di rapporti, o coefficienti, espressi in percentuale, il cui denominatore è costituito dal patrimonio di vigilanza e il numeratore dalla valutazione di ciascun rischio secondo certi criteri quantitativi e qualitativi specificati dalle Istruzioni di vigilanza della Banca d’Italia. La percentuale rappresenta il requisito minimo che le banche devono soddisfare e la somma dei requisiti costituisce il requisito patrimoniale minimo complessivo.

Accordi di Basilea Gli Accordi di Basilea sono linee guida in materia di requisiti patrimoniali delle banche, redatte dal Comitato di Basilea, costituito dagli enti regolatori del G10(composto attualmente da undici paesi) più il Lussemburgo allo scopo di perseguire la stabilità monetaria e finanziaria. Gli accordi (assieme alle linee guida, agli standard e alle raccomandazioni) sono una particolare forma operativa attraverso cui il Comitato agisce e sono stabiliti nell'aspettativa che le singole autorità nazionali possano redigere disposizioni operative che tengano conto delle realtà dei singoli stati. Infatti il Comitato, pur non avendo capacità regolamentare autonoma, riesce a conferire efficacia all'attività svolta, in quanto i paesi che vi aderiscono sono implicitamente vincolati e quelli che non aderiscono si adeguano a quello che, di fatto, diventa uno standard regolamentare. In questo modo il Comitato incoraggia la convergenza verso approcci e standard comuni. Basilea I (Il primo Accordo di Basilea - 1988) I requisiti di capitalizzazione delle banche sono stati definiti nel 1988 con l'Accordo sul Capitale Minimo delle Banche, noto anche come Accordo di Basilea, elaborato dal Comitato di Basilea, l'organismo rappresentativo delle principali banche centrali. Ad esso hanno aderito, fino ad oggi, gli enti regolatori di oltre 100 paesi. Nel caso delle banche operanti in uno degli Stati membri dell'Unione europea, l'obbligatorietà delle indicazioni del Comitato di Basilea sul capitale minimo discende anche dal loro recepimento da parte del legislatore comunitario nelle direttive sulle imprese bancarie, assicurative e finanziarie. Questo Accordo è stato, infatti, recepito nella Direttiva 647/1989. Esso contiene la prima definizione e la prima misura (standard) del capitale minimo bancario accettate a livello internazionale. L'assunto di fondo è che a ciascuna operazione di prestito deve corrispondere una quota di capitale regolamentare da detenere a scopo precauzionale (cd. onere di capitale). Il capitale obbligatorio si determina confrontando l'entità del capitale o patrimonio di vigilanza(detto anche capitale eligibile) e l'ammontare delle attività bancarie impiegate nella concessione di prestiti (banking book) ponderato per il rischio di credito (ossia di mancato o tardivo rimborso da parte dei prenditori). Per un gruppo bancario, il patrimonio di vigilanza bancario deve essere pari ad almeno l'8% delle attività creditizie ponderate per il rischio di credito (Coefficiente di solvibilità). Il coefficiente di solvibilità (solvency ratio) è una misura sintetica del grado di patrimonializzazione di un intermediario bancario o finanziario. È calcolato come rapporto percentuale tra il "patrimonio di vigilanza" dell'intermediario e il totale delle "attività ponderate per il rischio" (risk weighted activities, RWA) che si trovano nel bilancio dell'intermediario stesso a una certa data. Il patrimonio di vigilanza (numeratore del rapporto) è un aggregato contabile che può discostarsi significativamente dal patrimonio netto nella sua accezione civilistica: ad esempio, oltre che capitale di rischio (principalmente capitale apportato da soci e utili accantonati) accoglie anche capitale di debito (cioè fondi che sono apportati da non soci, che sono remunerati in misura più o meno predefinita contrattualmente e che non permangono in via indefinita nella disponibilità dell'intermediario). Da esso sono inoltre dedotte alcune componenti dell'attivo, come l'avviamento. Le attività ponderate per il rischio (denominatore del rapporto) sono le attività dell'intermediario (crediti a clientela, titoli obbligazionari o di stato, crediti nei confronti di altre banche eccetera) e gli impegni che questo ha assunto verso altri soggetti (ad esempio l'impegno contrattuale ad erogare una somma ad un cliente al verificarsi di un certo evento). Le attività vengono ponderate in funzione della diversa solvibilità delle controparti dell'intermediario, ossia della attitudine a rispettare il proprio impegno contrattuale. Lo schema di ponderazione delle attività è stato profondamente modificato e reso articolato con gli accordi che vanno sotto il nome di Basilea 2. Nell'approccio più semplice, alle attività viene assegnata una ponderazione variabile tra 0% e 150% a seconda del rating di cui gode la controparte dell'intermediario; la ponderazione è del 75% per i crediti

al dettaglio (praticamente tutti i crediti verso famiglie e piccole imprese), del 100% per i crediti verso altre controparti prive di rating, del 35% per i mutui erogati per l'acquisto di immobili destinati ad essere abitati o dati in locazione dal mutuatario. Il livello minimo del coefficiente di solvibilità che deve essere rispettato dagli intermediari è dell'8%, ed è dato quindi da Patrimonio di vigilanza (Pvig)/Attività ponderate per il rischio (APR) L'Accordo di Basilea obbligava le banche ad accantonare l'8% del capitale erogato, non investibile in attività creditizia tipica, né in attività para-assicurative, né in operazioni finanziarie sui mercati mobiliari, al fine di garantire solidità e fiducia nel sistema creditizio. Col tempo, l'Accordo si è rivelato inadatto a fronteggiare le nuove sfide poste in essere dalle nuove tecnologie di comunicazione, prodotti finanziari, mercati bancari e dalle tecniche di gestione dei rischi (risk management). In particolar modo, non vengono presi in considerazione i rischi derivanti dalle operazioni sui mercati immobiliari e non sono accuratamente misurati i rischi di credito, che vengono piuttosto sottostimati. La principale conseguenza di ciò è l'arbitraggio, ossia una certa elusione del vincolo di capitale minimo imposto nel 1988. In pratica, a fronte del rispetto apparente della formula di Basilea I, il management bancario è incentivato a: 1.concedere i tradizionali prestiti alle controparti relativamente più rischiose; 2.intraprendere operazioni finanziarie innovative sempre più sofisticate e con un basso o nullo onere di capitale corrispondente. Per far fronte a queste nuove problematiche si è provveduto ad una revisione dell'Accordo, culminata con il cosiddetto Basilea II Basilea II (o Basilea 2) è la denominazione breve con cui è conosciuto il documento International Convergence of Capital Measurement and Capital Standards (Nuovo Accordo sui requisiti minimi di capitale) firmato a Basilea nel 2004. È un accordo internazionale di vigilanza prudenziale, maturato nell'ambito del Comitato di Basilea[1], riguardante i requisiti patrimoniali delle banche, in base al quale, le banche dei Paesi aderenti devono accantonare quote di capitale proporzionate al rischio assunto, valutato attraverso lo strumento del rating. L'accordo è strutturato in tre "pilastri": 1.Requisiti patrimoniali; 2.Controllo delle Autorità di vigilanza; 3.Disciplina di mercato e Trasparenza. Il testo dell'accordo nella versione definitiva nel giugno del 2004, è entrato in vigore nel gennaio 2007, con una proroga di un anno concessa alle banche che hanno adottato il metodo advanced. A seguito della crisi finanziaria che ha colpito alcuni importanti istituti di credito, una nuova versione dell'accordo è stata emanata con il nome di Basilea III Lo scopo di Basilea II è assicurare una stabilità del sistema bancario e di modificare il rapporto tra banca e impresa, fondandolo su fiducia reciproca, informazioni reali, da aggiornarsi continuamente, vincolate alla effettiva capacità di produrre reddito in prospettiva di una crescita futura e non solo degli obiettivi a breve termine. Nel Basile II vengono individuati I requisiti minimi patrimoniali che devono coprire le perdite inattese dovute a tre rischi: •Rischio di credito •Rischio di mercato •Rischio operativo, che ne rappresenta la maggiore novità. Rischio operativo Con la collaborazione degli operatori di settore, il Comitato di Basilea ha individuato i principali fattori di rischio operativo[2]: •frode interna - esempi: alterazione intenzionale di dati, sottrazione di beni e valori, operazioni in proprio basate su informazioni riservate; •frode esterna - esempi: furto, contraffazione, falsificazione, emissione di assegni a vuoto, pirateria informatica;

•rapporto di impiego e sicurezza sul posto di lavoro - esempi: risarcimenti richiesti da dipendenti,

violazione delle norme a tutela della salute e sicurezza del personale, attività sindacale, pratiche discriminatorie, responsabilità civile; •pratiche connesse con la clientela, i prodotti e l'attività - esempi: violazione del rapporto fiduciario, abuso di informazioni confidenziali, transazioni indebite effettuate per conto della banca, riciclaggio di denaro di provenienza illecita, vendita di prodotti non autorizzati; •danni a beni materiali - esempi: atti di terrorismo e vandalismo, terremoti, incendi, inondazioni; •disfunzioni e avarie di natura tecnica - esempi: anomalie di infrastrutture e applicazioni informatiche, problemi di telecomunicazione, interruzioni nell'erogazione di utenze; •conformità esecutiva e procedurale - esempi: errata immissione di dati, gestione inadeguata delle garanzie, documentazione legale incompleta, indebito accesso consentito ai conti di clienti, inadempimenti di controparti non clienti, controversie legali con fornitori. Sono previste tre metodologie di valutazione del rischio operativo. Rischio di credito Ai fini della ponderazione delle attività per il rischio di credito assume una importanza fondamentale l'attribuzione del rating al cliente (sia esso azienda o persona fisica).

Il rating Il rating è l'insieme di procedure di analisi e di calcolo grazie al quale una banca valuta quanto un cliente sia rischioso e quanto sarà produttivo in futuro, se gli venisse concesso il credito che chiede. Tramite il rating si calcola la probabilità di default ovvero la Pd (probability of default) associata ad ogni classe di rischio misurata negli anni passati, si raccolgono nuove informazioni sulla capacità di generare reddito futuro del beneficiario. Il rating di Basilea II cambia notevolmente rispetto al passato ed è improntato a una notevole flessibilità, restando però vincolato ad un controllo incrociato di enti interni ed esterni all'istituto. Basilea II, infatti, introduce la possibilità, per gli istituti di credito, di affiancare ai rating emessi dalle agenzie specializzate, Ecai (External Credit Assessment Institution), rating prodotti al proprio interno. Ciò significa che le banche potranno dotarsi di strumenti particolareggiati volti alla misurazione del rischio. Oltre alla metodologia standard, troviamo il metodo di misurazione IRB (Internal Rating Based Approach), diviso a sua volta nel metodo di base e nel metodo avanzato. Questa novità procedurale fornisce molte più informazioni rilevanti e permette di fare valutazioni molto più concrete e realistiche. Il fatto che le banche possano usare strumenti analitici propri implica, chiaramente, la necessità di assicurare principi di trasparenza ed omogeneità. Le banche dovranno riferirsi a modelli che trovano le loro radici in procedure automatizzate; così un sistema di rating risulta essere l'intero complesso di raccolta, selezione, organizzazione, e valutazione delle informazioni sui soggetti che compongono il portafoglio crediti della banca, le regole che ne presiedono il funzionamento, le classi di rischio e le probabilità di insolvenza che le contraddistinguono. Il processo ed i suoi metodi, inoltre, sono ulteriormente supervisionati da strutture diverse ed indipendenti ed è chiesta espressamente una forte coerenza interna dei modelli ed un rodaggio di almeno tre anni per verificarne la validità: infatti gli istituti italiani stanno già adottando quei modelli in prospettiva dell'entrata in vigore della normativa nel 2007. I "fornitori di rating", per essere in regola con Basilea II, dovranno soddisfare una serie di requisiti, riguardanti in particolare la trasparenza e l'omogeneità dei criteri adottati. Una banca, inoltre, potrà "attingere" rating da più fonti, ma pur sempre nel rispetto di un insieme di regole volte a prevenire comportamenti opportunistici. Ad esempio, non sarà possibile scegliere, per ogni cliente, l'agenzia che gli assegna il rating migliore, così da ridurre il requisito patrimoniale totale. Le modifiche dell'approccio di rating comportano costi aggiuntivi dal punto di vista operativo. Tuttavia garantiscono informazioni maggiori, più realistiche e precise, più ancorate ai cambiamenti della realtà. È più facile calcolare la vera percentuale di rischio, evitando di assumersi rischi inutili da un lato ed individuando esattamente, dall'altro, la quota di accantonamento che si deve prevedere, evitando di fissarla troppo in alto e dovendo quindi ricaricare i suoi costi sul cliente.

Rischio di mercato Il rischio di mercato è definito come il rischio di perdite derivanti da negoziazione di strumenti finanziari sui mercati, indipendentemente dalla loro classificazione in Bilancio. Fra i rischi ponderati sono presenti il rischio di cambio, di tasso e di controparte. La determinazione del rischio di mercato viene tipicamente attribuita ad una specifica funzione aziendale, tipicamente la funzione di Risk Management, che su incarico del Consiglio di Amministrazione si occupa di applicare i modelli di ponderazione delle attività per il rischio di mercato. Sono previste due metodologie di valutazione del rischio di mercato, entrambe basate sul VaR (Value at Risk) ma molto diverse fra loro in termini di risultati ottenuti. Basilea, accordi di Linee guida riguardanti i requisiti patrimoniali e prudenziali degli istituti di credito, concordati a livello internazionale dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (CB). Dalla sua istituzione nel 1974, il CB ha raggiunto 3 principali accordi attinenti ai requisiti patrimoniali delle banche operanti a livello internazionale, denominati rispettivamente B. I, B. II e B. III.

Basilea I. Stipulato nel 1988, fissava un requisito minimo di capitale unico per le banche, in funzione del volume e delle caratteristiche del loro attivo. L’accordo prevedeva che le banche accumulassero capitale (in forma di azioni ordinarie, fondi propri e altre forme di raccolta privilegiata) nella misura dell’8% delle attività bancarie impiegate, ponderate per classi di rischio. Applicato con successo da più di 100 Paesi, negli anni 1990 il primo accordo di B. ha iniziato a rivelarsi inadeguato ad assicurare la stabilità di un settore bancario la cui dimensione, sofisticatezza e interconnessione crescevano in modo molto rapido nel sistema finanziario globalizzato. Per tenere conto di questi sviluppi, nel 2001, il CB ha pubblicato in un documento di consultazione una nuova proposta, denominata B. II. Basilea II. Gli obiettivi fondamentali del nuovo accordo erano 3: superare la rigidità costituita dal fatto che nel regime B. I la ponderazione dell’attivo non variava nel tempo in funzione delle caratteristiche di rischio del debitore; aggiungere alla considerazione dei rischi di credito, già insita in B. I, e a quella dei rischi di mercato integrata con emendamento nell’accordo originale, anche quella dei rischi operativi; prevedere che le banche potessero, per valutare la rischiosità dell’attivo e il suo evolversi nel tempo, utilizzare fonti di informazione alternative, fra cui le valutazioni delle agenzie di rating (➔) o anche modelli di valutazione del rischio elaborati internamente. Infine, il nuovo accordo affiancava al cosiddetto primo pilastro (i requisiti patrimoniali in senso stretto) ulteriori strumenti regolamentari e di supervisione da parte delle autorità di vigilianza e provvedimenti per garantire la trasparenza e l’autodisciplina del mercato, classificati rispettivamente come secondo e terzo pilastro. Con queste caratteristiche e dopo estese consultazioni con l’industria bancaria, l’accordo di B. II è diventato operativo nel 2006, con tempi di attuazione diversi a seconda dei Paesi. La crisi finanziaria iniziata nel 2007, tuttavia, ha rivelato che alcune delle caratteristiche dell’accordo avevano consentito, se non favorito, la formazione di rischi eccessivi nel sistema bancario. La diagnosi del CB e del Financial Stability Board (FSB) ha individuato 3 elementi di debolezza principali: la cosiddetta prociclicità dei coefficienti di capitale (cioè il fatto che l’aumento del rischio in fasi macroeconomiche recessive tende, attraverso l’adeguamento del capitale, a determinare una restrizione del credito aggregato, accentuando la recessione); i conflitti di interesse derivanti sia dall’uso dei modelli interni di valutazione del rischio sia dal rapporto di stretta collaborazione e clientela fra le agenzie di rating e le banche; l’insorgere di vaste aree di attività bancaria o parabancaria fuori bilancio e, come tali, non regolate e non soggette a requisiti prudenziali. Basilea III. A seguito delle critiche mosse all’accordo di B. II, il CB ha iniziato l’elaborazione di nuove linee guida, B. III, pubblicando le prime proposte nel 2009. Le principali innovazioni riguardavano: l’aumento dei requisiti prudenziali, ottenuto elevando i coefficienti minimi e adottando una definizione di capitale più stringente; la costituzione di un margine anticiclico, per evitare l’effetto di amplificazione ciclica a cui si è fatto riferimento; l’introduzione di criteri di

indebitamento (leverage;➔ leva) e liquidità, in aggiunta a quelli sul capitale. L’accordo è stato completato dall’imposizione di requisiti di capitale addizionali per le banche con rilevanza sistemica, da una più stretta regolamentazione delle agenzie di rating e da disposizioni per evitare l’insorgere di attività bancarie ombra (shadow banking), non riportate in bilancio. Dopo elaborazioni e affinamenti sotto la supervisione del FSB, l’accordo di B. III è stato approvato dal Gruppo dei 20 (➔G 20) nel summit di Seoul del novembre 2010....


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