Campo totale e Flashback PDF

Title Campo totale e Flashback
Author Daniela Santroni
Course Storia del cinema
Institution Università di Bologna
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CAMPO TOTALE: Solitamente la scala delle inquadrature si definisce in base alla figura umana. Ciò non accade per il campo totale. Esso è definibile in base allo spazio profilmico e al “contesto sintagmatico” in cui è posto (cioè dalle inquadrature che lo precedono e da quelle che lo seguono)..... “Insomma, il totale sembra restituire lo spazio allo stato puro, se così si può dire, non manipolato, come pura virtualità, come a-priori che dà le condizioni di qualunque possibile articolazione e manipolazione”1. Spesso il campo totale è ricondotto narrativamente ad una sorta di “focalizzazione zero” (nota su Genette e focalizzazione) , grammaticalmente ad una visione “oggettiva e neutrale” e figurativamente ad una rappresentazione già organizzata a livello profilmico; invece non sono rari i totali “orientati” attribuibili ad un punto di vista improbabile, ma esistente. “Siamo di fornte a quella che Aumont nella sua tipologia sui punti di vista (nota sull’articolo e sunto), chiama il punto di vista predicativo definendolo “un’attitudine mentale (intellettuale, morale, politica, ecc.) che traduce il giudizio del narratore sull’evento””2. Il punto di vista predicativo è inscritto negli altri due (rappresentativo e narrativo) e genera un registro simbolico. Per quanto riguarda il campo totale è constatabile che la valorizzazione “della spazialità non ha un significato univoco” (40) può essere essenziale per determinare i rapporti tra personaggi e ambiente, nonché creare atmosfere particolari e interpretazioni simboliche.

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Antonio Costa, “Campo totale”, in Cinema & Cinema , ?? p. 42. Costa, op. cit., p. 39.

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Costa propone, rifacendosi alla tipologia delineata da Hamon per la letteratura3 una mappa delle funzioni del campo totale nel cinema narrativo: a) funzione descrittiva; b) funzione retorica (simile a quella demarcativa di Hamon); c) funzione ritmica (simile a quella dilatatoria) contribuisce a rendere più fluido il ritmo del film e a produrre l’effetto di suspense; d) funzione simbolica (simile a quella indiziale) attiva una significazione di tipo connotativo, allusivo, evocativo. Questa quarta funzione è quella che qui si intende argomentare. Il totale è un’inquadratura molto usata, anche in funzione simbolica, nel cinema classico, per questo il cinema di Hitchcock ne è ricco di esempi. L’uso che questo regista fa di questa particolare inquadratura non è affatto convenzionale. Hitchcock fa uso del totale anche quando per rispettare le regole del continuity system avrebbe dovuto far uso di primi piani o campi medi. “In realtà la scelta di circoscrivere in uno spazio vasto e apparentemente neutro un evento particolarmente importante nello sviluppo della vicenda produce un inusitato effetto drammatico”4. “Come tutti i registi dotati di una grande consapevolezza della forma, Hitchcock conosce perfettamente il valore espressivo e drammatico dello spazio e sa che il totale è l’inquadratura più adatta a coglierne l’espressività, così come il primo piano lo è per il volto umano. L’uso del totale in Hitchcock è sempre basato su criteri di rigorosa economia narrativa e plastica. Il che significa che i totali nel suo cinema non sono frequentissimi, ma in genere si imprimono 3

Ph. Hamon, Semiologia, lessico e leggibilità del testo narrativo , tr. it., A. Martinelli, 1977, pp. 140-143: distingue quattro funzioni della descrizione letteraria: decorativa , dilatatoria (disseminare segnali di attesa che ritardano lo scioglimento finale e creano suspense), indiziale (atte a connotare simbolicamente e psicologicamente i vari personaggi) e demarcativa (come segnali di interpunzione che delimitano l’inizio e la fine di una sequenza). 4 Costa, op. cit., pp. 40-41.

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nella memoria dello spettatore forse più dei primi piani, in quanto legati a momenti non solo di tensione emotiva e espressività plastica, ma anche e soprattutto di importanza decisiva per lo sviluppo dell’azione” (41). Le stesse considerazioni possono essere fatte per Tarantino. Ciò che accomuna i due registi è proprio la ricerca di una spazialità spesso simbolica e “geometricamente” rilevante (monumenti di Hitch, hangar, Jack Rabbit slim’s ecc., aereoplano, rear window, caso paradine, north by northwest, notorius) Sul fuori campo in hitch vedi pp. 41-42. Sullo sfondo: In Hitchcock a volte gli “sfondi” assurgono a ruoli da “protagonisti”. Gli sfondi hitchcockiani sono spesso dei trasparenti (nota definitoria) che non hanno alcuna pretesa di credibilità oggettiva, la loro funzione è esclusivamente quella di contestualizzazione. A volte però capita che questi sfondi rivestano un ruolo di “primo piano” e così assurgono a veri e propri personaggi. In Psycho è la casa dietro al Motel Bates che cattura l’attenzione sin dall’inizio della narrazione. In Rear Window tutto avviene sullo sfondo, in primo piano c’è l’immobilità fisica e sentimentale di Jeffries che Grace si ostina a curare. FLASHBACK: Il flashback cinematografico come oggettivazione del ricordo è un procedimento che può essere assimilato “all’escussione dei testi” nei processi penali5 in cui si tende a cancellare la soggettività per restituire “la pienezza della visione”.

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Questa analogia ci è suggerita da Antonio Costa in “Il flashback o la memoria espropriata”, in Cinema & Cinema, 1986, 46, pp. 14-16. Per “escussione dei testi” nel codice di procedura penale si intende “una sorta di espropriazione della memoria dei singoli chiamati a deporre. Le testimonianze, depurate di ogni elemento soggettivo e inessenziale, devono portare all’oggettivazione del fatto. Al teste si chiede di rinunciare alla privatezza della propria memoria e di metterla a disposizione di una ricerca comune della verità”, in Costa, op. cit., p. 14.

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Per questo il racconto ambiguo o menzognero è problematicamente correlato ad una sua “visualizzazione” in flashback. La possibilità di cancellare, eludere o intaccare “l’ontologia dell’immagine” ha reso questo procedimento estremamente raro. Gli esempi più celebri sono senz’altro Stage Fright6 e Rashomon (ib., Akira Kurosawa, 1950). Le analisi precedentemente considerate (ci riferiamo a quelle di Burgoyne, Casetti, Chatman e Thompson) avevano come scopo principale quello di “prevedere” la possibilità di una visualizzazione menzognera dei fatti nella loro teoria della narrazione o più specificatamente (per Thompson) nella narrazione classica. “In realtà questo tanto discusso flashback menzognero (...) è molto di più di un flashback menzognero o comunque qualcosa di molto diverso (...) in quanto mescola in modo inestricabile verità e menzogna”7. Il passaggio sancito dalle due dissolvenze che racchiudono il flashback non è tra menzogna e verità, ma tra uno “stile” di messa in scena ad un altro. “Hitchcock sembra dire al suo personaggio: tu racconta pure la tua piccola bugia, io ci costruisco sopra un pezzo di grande cinema (alla mia maniera). In realtà questo pezzo di grande cinema è costruito come un trompe.l’oeil, una perspective faussée alla Escher”8. Infatti l’intero film può essere letto come mise en abyme delle infinite possibilità di rappresentazione9. Stage Fright è tutto giocato su di un “falso” movimento tra piano oggettivo e piano soggettivo che 6

“Il segmento di film in questione è racchiuso tra due dissolvenze incrociate: quella iniziale che raccorda i due personaggi in auto con l’appartamento di Jonathan e quella di chiusura che raccorda i due personaggi abbracciati sul palcoscenico con l’auto in cui si è svolto il dialogo. La contestualizzazione del segmento è assicurata da due battute di dialogo: la prima di Eve che dice: ®Ti piacerebbe dirmi cosa è successo? Vorrei proprio saperlo ¯, e la seconda di Jonathan che dice: ®Ora che sai di Charlotte e di me, mi odi vero? ¯”, in Costa, op. cit., p. 14. Comunque di questo film e delle sue interpretazioni si è già ampiamente discusso nel paragrafo 2.......??? a p. ??? 7 Costa, op. cit., p. 14. 8 Costa, op. cit., p. 15. 9 Qui appare evidente l’analogia con la dominante del film messa in luce dall’analisi di Thompson (cfr. p. ???).

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permette di velare e nascondere la soggettività di uno stile che invece in-forma e domina l’intera pellicola. Ciò porta Costa ad esclamare: “Altro che falso flashback: questo è autentico Hitchcock!”10. Nello stesso anno in cui usciva Stage Fright, un’altra pellicola, proveniente dall’altra parte del “mondo”, metteva in scena, visualizzandoli, una serie di racconti inattendibili: Rashomon11. Il film propone quindi più racconti di un medesimo evento stabilendo una forte tensione narrativa tra versioni soggettive, oggettivizzate e contrastanti. La particolarità di Rashomon sta nel fatto che i protagonisti non sono alla ricerca di una versione oggettiva dei fatti per individuare il vero colpevole, ma si interrogano sulle ragioni che hanno spinto i soggetti implicati a fornire delle false testimonianze. Spesso è stato rimproverato al regista di aver reso i racconti “dimenticando immediatamente la loro origine soggettiva e acquistando lo statuto di una mostra oggettuale”12. Ciò pur non essendo completamente vero resta l’impressione predominante che la pellicola lascia trasparire13. Questa “impressione oggettivizzante” è veicolata dall’omologazione dei vari racconti allo “stile Kurosawa”. “Come Hitchcock ha dato in Stage Fright lo stile del suo grande cinema alla piccola bugia di Jonathan, così Kurosawa dà, alle piccole, narcisistiche, bugie dei suoi personaggi il grande stile del suo cinema. Se diverso è il tono, se diverse sono le scansioni con cui il bandito, la donna e il samurai fanno il loro racconto davanti all’invisibile

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Costa, op. cit., p. 15. Inserisci breve sinossi del film. Il film intreccia tre piani temporali ed enunciativi: a) presente (il monaco ed il boscaiolo narrano i fatti al ladro sotto la porta di Rashò); b) passato prossimo (l’insieme delle testimonianze rese in quella stessa giornata dal monaco, dal boscaiolo, dalla donna, dal bandito e dal samurai: tutti flashback di primo livello); c) passato remoto (flashback di secondo livello - mise en abyme - sui fatti che portarono alla morte del samurai accaduti tre giorni prima). 12 Gianfranvco Bettetini, La conversazione audiovisiva , Milano, Bompiani, 1984, p. 83. 13 Infatti, analizzando dettagliatamente le sequenze dei flashback è possibile rintracciare delle marche che designano la soggettività della visione (cfr. Costa, op. cit., p. 15). 11

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tribunale, unitario, compatto è lo stile con cui Kurosawa visualizza i loro tre racconti”14. “Il flashback è sempre una ®forzatura¯, una sorta di espropriazione della memoria e di oggettivazione dell’interiorità: ma è pur sempre nella soggettività dello stile di un autore che va cercato il significato di ogni forma di ®oggettivazione¯ visiva della memoria e della soggettività di un personaggio. La dispersione, il camuffamento della funzione-autore nel gioco distributivo di ruoli enunciativi, focallizzazione e contestualizzazione è un problema estetico non meno che semantico”15. Questo ovviamente vale anche per Tarantino. In Reservoir Dogs => flashback come stile soprattutto quello di Mr. Orange con mise en abyme, reiterazione simile a Stage Fright in quanto “oggettivizza” visualizzandola la menzogna, che noi spettatori già sappiamo essere tale, di Orange (visualizzazione senza deformazioni ottiche)..... Unico vero flashback di Pulp Fiction è la sequenza dell’orologio (come Mc Guffin)...... Un altro film hitchcockiano sulla difficoltà di oggettivare gli eventi che precedono una “morte misteriosa” è The Trouble with Harry (La congiura degli innocenti, A. Hitchcock, 1956).... “Il film è composto da un intreccio di ®deposizioni¯ spontanee che di volta in volta suggeriscono diverse soluzioni, non tanto per l’identificazione del colpevole, quanto per l’occultamento del cadavere”16. Qui è attraverso il dialogo (non il flashback) che viene “rivissuto” l’antefatto. Il momento della morte è tenuto rigorosamente “fuori campo” per l’intera durata del film (così come in Reservoir Dogs la rapina viene spesso rievocata, ma mai mostrata direttamente). Ad essere “prepotentemente” in campo è invece l’ingombrante cadavere che tutti vorrebbero invece fuori. “Hitchcock rinuncia all’uso del flashback: non gli interessa visualizzare i momenti della colpa 14

Costa, op. cit., p. 16. Costa, op. cit., p. 16. 16 Costa, op. cit., p. 14. 15

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(supposta), quanto piuttosto i comportamenti di chi si crede colpevole”17. In altre occasioni Hitchcock “nega” il flashback per creare l’effetto di suspense. Questo è il caso di quei film (celebre tra questi The Paradine Case - Il caso Paradine, 1947) che si reggono sull’ambiguità del protagonista. “L’interiorità del personaggio, inaccessibile alla vista, può costituire l’enigma sul quale è costruito l’intero film”18. Aggiungi sul rapporto sequenze oniriche-flashback (incipit di Rebecca, Io ti salverò, Vertigo, Marnie).

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Ibidem. Ibidem.

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