capire il conflitto, costruire la pace PDF

Title capire il conflitto, costruire la pace
Author Annalisa Venditti
Course Sociologia generale e dei conflitti e della pace
Institution Università di Pisa
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riassunto capitoli 1, 2, 3, 4, 5 e 10...


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CAPIRE IL CONFLITTO, COSTRUIRE LA PACE (Valentina Bartolucci e Giorgio Gallo) _____________________________________________________ CAPITOLO 1 – PACE, GUERRA E CONFLITTI GUERRA: esito violento e distruttivo, possibile ma non necessario, di un conflitto. (guerra commerciale – guerra alla criminalità – guerra alla fame) CONFLITTO: realtà complessa caratterizzata da diversi elementi: 1. Origine del conflitto: interessi ed esigenze delle parti coinvolte 2. Contesto: territoriale e culturale 3. Parti coinvolte: attori del conflitto e altre parti (interne, che subiscono il conflitto, ed esterne, che lo influenzano) Tutti gli elementi sono necessari per capire la natura e l’evoluzione del conflitto per arrivare ad una sua risoluzione → STUDIARE IL CONFLITTO significa: a) Analizzarlo → studio della realtà così com’è (aspetto analitico) b) Capire come affrontarlo → studio dei modi di intervento sulla realtà stessa (aspetto propositivo) MACROCONFLITTO: guerre di ampia scala fra Stati. MICROCONFLITTO: conflitti svolti tra piccoli individui o gruppi sociali ristretti. PACE: • • • • • • •

ANTICA GRECIA: “eirene” (pace duratura, benessere), “filothe” (condizione temporanea di non belligeranza), “polemos” (guerra) LATINO: “pax” (mettere insieme, riparare, accordo o compromesso fatto fra due parti fra loro in contrasto → corrisponde alla fine di un conflitto), “bellum” (guerra) EBRAICO → “shalom” (assenza di guerra, completezza, benessere, prosperità, vita, salvezza), “chamas” (violenza), “milchamah” (guerra) ARABO → “salam” (amore, fratellanza, benessere, completezza e armonia con se stessi) SANCRITO → “shanti” (assenza di guerra, felicità, soddisfazione spirituale CINESE → “ping” (armonia, complementarità tra “yin” e “yang”). INDIA → “satyagraha” (lotta per la verità per far emergere i conflitti latenti e risolverli), “ahimsa” (non-violenza), “sarvodaya” (benessere di tutto ciò che esiste naturalmente in un mondo non violento) → Avremo pace quando cercheremo la verità e la verità implica giustizia, verità e giustizia sono entrambe prerequisiti essenziali per il raggiungimento della pace.

VIOLENZA: Galtung decide di definire la pace partendo dal concetto di violenza (no guerra o conflitto): qualsiasi cosa o azione che fa si che in un essere umano le “attuali realizzazioni somatiche e mentali siano al di sotto delle loro potenziali realizzazioni”. (È violenza ogni qual volta che le possibili realizzazioni delle attuali realizzazioni somatiche e mentali di una persona incontrano un ostacolo)

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1. VIOLENZA DIRETTA: un soggetto esercita violenza su un altro soggetto (tenere prigioniera una persona). 2. VIOLENZA STRUTTURALE: è il sistema sociale-economico-politico che porta alla situazione di violenza (la speranza di vita mondiale è 80 anni ma nei paesi più poveri è di 40 anni). 3. VIOLENZA CULTURALE: violenza culturalmente accettata perché considerata “nell’ordine naturale delle cose” (società fortemente patriarcale). Sen (collegamento tra idea di violenza e idea di libertà) sostiene che violenta diventa ogni azione, o ogni condizione, che impedisca alle persone di godere della libertà di vivere il tipo di vita alla quale si dà valore e si ha motivo di dare valore. 1. LIBERTÀ POSITIVE (“libertà di…”): politiche e civili – economiche e sociali – culturali e religiose 2. LIBERTÀ NEGATIVE (“libertà da…”): dal bisogno, dalla fame, dalla sofferenza… NARRARE IL CONFLITTO: (esempio conflitto israelo-palestinese) sebbene le due parti possano essere talvolta in accordo su singoli fatti storici, lo scontro comprende il significato e le implicazioni di questi fatti, lo scopo del conflitto, gli interessi e i valori che sono incompatibili tra le parti e che, perciò, fomentano il conflitto. → la guerra del 1948-49 per Israele è una “guerra di indipendenza” e per la Palestina è una “catastrofe”. Analizzare le narrazioni può essere d’aiuto per comprendere meglio le relazioni strutturali di potere, generare uno spazio pubblico e intellettuale di contestazione, parlare, scrivere, dare voce alle opinioni subalterne e alle storie che rimangono inascoltate. RISOLUZIONE di un conflitto → NO / GESTIONE!! O TRASFORMAZIONE!! → SI GESTIONE e TRASFORMAZIONE: in maniera che produca effetti non distruttivi o addirittura esiti costruttivi. Bisogna far crescere le parti in maniera tale che riescano autonomamente ad arrivare ad una migliore comprensione reciproca e ad un accordo che le soddisfi → trasformazione dei sentimenti e delle percezioni che uno ha dell’altro, far emergere l’idea di EMPATIA (disponibilità nell’immedesimarsi nell’altro). _______________________________________________________________________________________

CAPITOLO 2 – DECLINO DEGLI STATI NAZIONALI E NUOVE GUERRE CARTA DELLE NAZIONI UNITE (1945) 1^ CLASSIFICAZIONE DEI CONFLITTI: • • •



CONFLITTI EXTRASISTEMICI: tra uno stato e dei soggetti non statali, si svolge al di fuori dello stato. CONFLITTI TRA STATI CONFLITTI INTERNI: tra governo e gruppi di opposizione. Si suddividono in: - Conflitti di tipo rivoluzionario - Conflitti basati sulle identità (secessione da uno Stato) CONFLITTI INTERNAZIONALIZZATI: tra governo e gruppi di opposizione/minoranze dove altri stati intervengono a favore delle parti coinvolte.

2^ CLASSIFICAZIONE DEI CONFLITTI: • • •

MICROCONFLITTI: coinvolgono singoli individui o gruppi sociali limitandosi però ad un conflitto di piccole dimensioni e con uno sporadico uso della violenza. MESOCONFLITTO: conflitto di medie dimensioni e di media complessità, tipo le guerre civili. MACROCONFLITTI: conflitti su ampia scala attualmente o potenzialmente violenti. 2



MEGACONFLITTO: conflitti tra intere culture e ideologie.

NON TUTTI I CONFLITTI SONO FACILI DA INCASELLARE !! Soprattutto dopo la Guerra Fredda perchè le guerre hanno acquistato nuove caratteristiche. DECLINO DEL MODELLO DI WESTFALIA (1648) 1. 2. 3. 4. 5.

Il mondo è suddiviso in più stati sovrani che non riconoscono un potere superiore. Ogni stato ha l sua giurisprudenza e il modo con cui risolvere le dispute interne. La legge internazionale si limita a regolare la coesistenza tra gli stati. Gli stati sono considerati parificati dalla legge internazionale. Le dispute tra gli stati sono spesso risolte con la forza.

Questo sistema ha cominciato ad essere messo in discussione da un lato dalla crescente attenzione verso i diritti umani e, dall’altro, dalla crescente globalizzazione. INTERVENTO UMANITARIO → “Minaccia o uso della forza al di là dei propri confini da parte di uno Stato (o gruppo di Stati), con l’obbiettivo di prevenire o di far cessare diffuse e gravi violazioni dei diritti umani fondamentali di individui diversi dai propri cittadini, senza l’autorizzazione dello Stato nel cui territorio la forza viene usata”. DOTTRINA DELLA RESPONSABILITÀ A PROTEGGERE → Agli Stati è affidata la responsabilità primaria di proteggere la propria popolazione da genocidio, crimini di guerra, pulizia etnica e crimini contro l’umanità. Nel caso in cui gli Stati non siano in grado di garantire questa protezione, allora il principio di non ingerenza viene meno di fronte alla responsabilità internazionale a proteggere → PREVENZIONE, REAZIONE E RICOSTRUZINE → Solo nel caso in cui questi mezzi falliscano, risultino inefficaci o non appropriati, allora il Consiglio di Sicurezza dell’ONU può dare mandato di utilizzare altri mezzi, anche militari. → anche se questa nuova attenzione ai diritti umani ha portato nuove guerre e, molto spesso, la giustificazione umanitaria ha nascosto interessi e motivazioni geopolitiche da parte dei Paesi coinvolti, tuttavia, L’IDEA CHE STA ALLA BASE È QUELLA DI SPOSTARE L’ATTENZIONE DALLA SICUREZZA DELLO STATO ALLA SICUREZZA DELLA PERSONA. GLOBALIZZAZIONE ha portato allo svilupparsi di una crescente rete di nuovi legami di tipo economico, commerciale e finanziario. Questo processo ha portato ad indebolire la pretesa di sovranità assoluta da parte dello Stato e ha contribuito al declino del sistema westfaliano. La nuova realtà è: • • •



Istituzioni con sovrapposizioni di giurisdizioni (a carattere nazionale e internazionale); Confini territoriali facilmente valicabili tra gli stati; Disuguaglianze e marginalizzazione all’interno degli Stati e una crescente divaricazione fra le aree tecnologicamente avanzate e dinamiche del Nord del mondo a discapito delle aree del Sud del mondo: Tendenza alla privatizzazione della sicurezza e della difesa con un una conseguente perdita di autorità statale (a volte milizie o veri e propri eserciti mercenari) → NEOMEDIEVALISMO

NUOVE GUERRE: Come manifestazione estrema dell’erosione dell’autonomia dello stato nazionale sotto l’impatto della globalizzazione (cosiddetti “STATI FALLITI” - es. Somalia) → a causa di violenza interna o estrema povertà lo Stato non può più svolgere la sua funzione di base 3

GUERRE INTRA-STATO dove le dinamiche interne rendono molto difficili la fine del conflitto per la grande frammentazione degli attori in campo perché basta che un attore minore si rifiuti di cessare le violenze che anche per gli altri diventa pericoloso farlo (es. Jugoslavia con 6 repubbliche e molteplici nazionalità che miravano all’indipendenza) → LA GUERRA SI AUTOALIMENTA. PRIVATIZZAZIONE DELLA SICUREZZA ricorso a compagnie private per addestrare gli eserciti statali (es. caso della Bosnia Herzegovina con la MPRI, e degli USA per le attività all’estero). Uno dei problemi che si riscontrano con l’utilizzo di queste compagnie private è che i contractor (queste aziende) non sono soldati e di conseguenza non sono tenute a rispettare le norme del diritto internazionale umanitario né le regole di ingaggio né la disciplina militare che limitano l’azione dei soldati regolari → Ricorrere a questi contractor è un tentativo da parte degli Stati di poter operare con maggiore libertà rispetto alle regole e all’opinione pubblica. QUESTO PORTA NECESSARIAMENTE AD UNA FRAMMENTAZIONE DELL’AUTORITÀ CENTRALE DELLO STATO CON RISCHI PER LA SUA STESSA SOPRAVVIVENZA SUL BREVE E SUL LUNGO TERMINE (moltiplicarsi di nuove milizie, commercializzazione della forza militare). VIOLENZA E SVILUPPO da un lato la violenza è uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo (anche se la maggior parte delle tecnologie sono state inventate per scopi militari), dall’altro lo sviluppo crea violenza. EFFETTI DELLA VIOLENZA PER LO SVILUPPO: -

Con l’aumento della violenza, aumenta il numero delle reclute per i gruppi armati. La presenza di un numero sempre maggiore di gruppi armati fa aumentare la criminalità perché spesso queste si finanziano con la criminalità stessa. La criminalità porta a far migrare la popolazione e l’economia si deprime, i migranti diventano rifugiati e cadendo nell’arruolamento nelle milizie armate e questo porta alla crescita della violenza.

SI CREA COSÌ UN CICLO DAL QUALE RISULTA DIFFICOLTOSO USCIRE EFFETTI DELLO SVILUPPO SULLA VIOLENZA: -

Processi economici, politici e sociali portati avanti in nome dello sviluppo e della modernizzazione dove le attività produttive sono alla ricerca di manodopera a basso costo. Trasformazione dell’agricoltura da quella di sussistenza a quella industriale, deforestazione e la costruzione di grandi dighe producono un forte danno ambientale di cui risentono le fasce della popolazione più povera che vive nelle campagne.

PRIVILEGIARE LA CRESCITA ECONOMICA DI TIPO QUANTITATIVO/MATERIALE COME LA PRINCIPALE VIA ALLO SVILUPPO DISTRUGGE STILI DI VITA, PORTA ALLA FRAMMENTAZIONE E ALLA ROTTURA DELLE COMUNITÀ CON UN CONSEGUENTE AVVICINAMENTO ALLA POVERTÀ, ALLA CRIMINALITÀ E ALLA MARGINALIZZAZIONE. COOPERAZIONE ED EMERGENZE UMANITARIE Ovunque la cooperazione intervenga si trova, in un modo o nell’altro, coinvolta nella realtà del conflitto: – a volte unendo e risolvendo il conflitto, ponendosi da mediatore, – a volte separando ancora di più le parti del conflitto (questo quando alle organizzazioni locali interessa . più acquisire visibilità dalle ONG, che elargiscono fondi, piuttosto che dal proprio Stato) PER CHI OPERA IN SITUAZIONI DI CONFLITTO è ESTREMAMENTE IMPORTANTE CAPIRE QUALI ELEMENTI CONDUCONO AD UN’UNIONE CON CONSEGUENTE GESTIONE E TRASFORMAZIONE DEL CONFLITTO, E QUALI ELEMENTI CAUSEREBBERO UN IRRIGIDIMENTO DELLA DIVISIONE E UN ULTERIORE DRASTICO ALLONTANAMENTO TRA LE PARTI. 4

COME INTERFERISCE UN’ORGANIZZAZIONE UMANITARIA NEL CONFLITTO? • •

TRASFERIMENTO DELLE RISORSE: la cooperazione, per poter arrivare ai beneficiari, accetta di pagare ad alcuni dei combattenti un prezzo, monetario o in natura. MESSAGGI ETICI IMPLICITI: una organizzazione che si fa proteggere da armati dà implicitamente un messaggio che legittima l’uso delle armi come strumento per ottenere accesso a cibo, a risorse e a sicurezza.

1. CAMPI PROFUGHI GESTITI DALLE ORGANIZZAZIONI UMANITARIE I campi profughi, sono anche il centro di rifornimento e di forze di riserva della guerra di conseguenza si potrebbe dire che parte dell’aiuto umanitario viene convertito in risorse per la continuazione della guerra. Qui, spesso, si possono riorganizzare le milizie usando la protezione da parte delle organizzazioni umanitarie. 2. CONFLITTO CON ASIMMETRIA STRUTTURALE Un intervento che non colga le peculiarità del conflitto, per quanto bene intenzionato, rischia di rafforzare la parte più forte e di mantenere le condizioni di ingiustizia e oppressione della parte più debole. GUERRE UMANITARIE Guerre guidate dalla cosiddetta “dottrina della responsabilità a proteggere”. – Da un lato: con la loro presenza, le organizzazioni umanitarie, giustificano e legittimano l’intervento armato; – Dall’altro lato: con le campagne di mobilitazione e sensibilizzazione dell’opinione pubblica, le organizzazioni umanitarie spingono alla realizzazione di interventi armati. È MOLTO IMPORTANTE NELLO STUDIARE I RAPPORTI TRA COOPERANTI E CONFLITTO TENERE PRESENTI I DIVERSI LIVELLI DECISIONALI CHE SONO COINVOLTI NEGLI INTERVENTI DI COOPERAZIONE: 1. DONOR → istituzione che fornisce il finanziamento; 2. UFFICI CENTRALI → uffici dell’organizzazione che dovrà effettuare l’intervento; 3. RESPONSABILI IN LOCO → persone che concretamente effettuano l’intervento. IL RISCHIO È CHE IL DONOR ABBIA UN’AGENDA POLITICA CHE MALE PUÒ ADATTARSI CON LE ESIGENZE REALI RISCONTRATE DAI RESPONSABILI IN LOCO. CONFLITTI PROTRATTI E INTRATTABILI PROTRATTI → crisi molto complesse, durature, gravi e spesso violente. Per analizzare il conflitto è necessario studiare l’identità delle parti coinvolte (identità religiosa, etnica, culturale, o altro tipo). INTRATTABILI → conflitti distruttivi che si sono protratti a lungo nel tempo e per i quali non è stato ancora trovato un meccanismo risolutivo efficace. Essendo anche CONFLITTI PROTRATTI tendono a divenire sempre più complessi e ad espandersi. Sono caratterizzati da un altissima sfiducia tra i contendenti. . = TRATTABILI PROBLEMATICHE CENTRALI DEI CONFLITTI INTRATTABILI: • • •

INSTABILITÀ E VUOTI DI POTERE SBILANCIAMENTI DI POTERE (dove il più forte sfrutta, controlla e maltratta il più debole) RUOTANO INTORNO AI VALORI E ALLE ESIGENZE CENTRALI PER L’ESISTENZA UMANA E SOCIALE PROBLEMATICHE AD ALTO VALORE SIMBOLICO 5

RELAZIONI NEI CONFLITTI INTRATTABILI • • •





RELAZIONI ESCLUSIVE con pochissimi contatti tra i diversi gruppi coinvolti I contendenti, con il passare del tempo, SI POLARIZZANO sempre di più in discorsi carichi di ostilità → COSTRUZIONI SOCIALI NEGATIVE Dinamiche interne complesse e dalla frequente presenza di OBIETTIVI NON ESPLICITATI O NASCOSTI. Questo porta ad un senso di minaccia, paura, stati di ansia causati dalle possibili azioni del nemico e spinge le parti ad arroccarsi su posizioni di segretezza e difesa → GRADO DI EMOTIVITÀ MOLTO FORTE RISULTATI DEI CONFLITTI INTRATTABILI TRAUMI PROTRATTI (le persone che vivono in situazioni di conflitti intrattabili perdono la fiducia in un mondo stabile e sicuro, si trovano a soffrire di sintomi quali la depressione, la demoralizzazione, l’insonnia, i tentativi di suicidio e a non avere nessuna fiducia nel futuro) NORMALIZZAZIONE DELLE OSTILITÀ E DELLA VIOLENZA (l’unica realtà concepibile dalle comunità coinvolte è la situazione di conflitto e violenza, la sopraffazione e l’annientamento dell’altro sono visti come naturali)

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CAPITOLO 3 – CONFLITTI ASIMMETRICI CONFLITTO NEL QUALE è EVIDENTE UNA ASIMMETRIA STRUTTURALE, DI POTERE E TATTICO-STRATEGICA. FORZA: cosa è e come si può misurare? C’è la FORZA FISICA, ma c’è anche il tipo di TECNOLOGIA di cui si dispone e la STRATEGIA di cui si fa uso. Altri elementi possono essere la dimensione della popolazione o le caratteristiche degli stati (totalitari o democratici), la forza economica. 1. ASIMMETRIA DI POTENZA: quando i due ATTORI in conflitti sono caratterizzati da una forza fortemente sbilanciata a favore di uno di essi. 2. ASIMMETRIA TATTICO-STRATEGICA: si ha quando i due ATTORI, in conseguenza delle loro caratteristiche, seguono approcci molto diversi dal punto di vista tattico-strategico. Il tipo di forze armate, di tecnologie militari e di addestramento che caratterizzano l’esercito di un Paese dipende dalla dottrina militare che il Paese stesso ha sviluppato nel tempo. Si tratta di elementi fortemente integrati che è difficile cambiare nel breve periodo. L’APPROCCIO RADICALMETE DIVERSO AL CONFLITTO NON È TANTO O SOLAMENTE IL RISULTATO DI UNA SCELTA CONTINGENTE E TEMPORANEA, QUANTO PIUTTOSTO ANCHE DI UNA DIFFERENZA STRUTTURALE FRA GLI ATTORI. • Se entrambi gli attori del conflitto usano un APPROCCIO STRATEGICO DIRETTO, nel caso di un’asimmetria di potenza vincerà la parte più forte. • Se l’attore “forte” (in un conflitto con asimmetria di potenza) usa un approccio strategico diretto e la parte “debole” contrattacca con un APPROCCIO STRATEGICO INDIRETTO (guerriglia, terrorismo, resistenza non violenta) ha più possibilità di vincere. 3. ASIMMETRIA STRUTTURALE: nei casi in cui esiste un forte sbilanciamento nelle condizioni strutturali e legali che caratterizzano i due attori. ALLA RADICE DI QUESTI CONFLITTI C’È PROPRIO LA STRUTTURA DELLE RELAZIONI FRA LE PARTI. In essi l’obiettivo della parte più “debole” è quello di cambiare questa relazione, mentre la parte più “forte” vuole mantenere lo status quo. (Es. conflitti che nascono nei processi di decolonizzazione dove ci sono ORGANIZZAZIONI CHE LOTTANO PER LA LIBERAZIONE contro lo STATO COLONIZZATORE).

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RELAZIONE OPPRESSO/OPPRESSORE: 1. COSCENTIZZAZIONE: l’oppresso acquista coscienza dell’ingiustizia strutturale (coscienza del conflitto, identità di gruppo, mobilitazione e organizzazione) → La popolazione e gli individui oppressi comprendono la necessità di RESISTERE ALL’OPPRESSIONE. 2. CONFRONTO: l’oppresso rivendica i propri diritti. Contestualmente, il conflitto da latente diventa reale e aperto → CON IL CRESCERE DEL PROCESSO DI COSCENTIZZAZIONE CRESCE ANCHE IL LIVELLO DI SCONTRO E SPESSO ANCHE LA VIOLENZA. 3. NEGOZZIAZIONE: si sviluppa un atteggiamento di ascolto e riconoscimento degli interessi altri. 4. SVILUPPO PACIFICO: processo di trasformazione non violenta e costruttiva che porta entrambe le parti ad una relazione più giusta ed equilibrata. Solitamente abbiamo da un lato la POTENZA COLONIALE che ha uno status riconosciuto a livello internazionale, e dall’altra un MOVIMENTO generalmente non riconosciuto e privo di rappresentanza diplomatica.

QUESTO PROCESSO PORTA USUALMENTE A CICLI CHE SI AUTO-ALIMENTANO, PRIMA DI ARRIVARE ALLO SVILUPPO PACIFICO. (NATURALMENTE È UN PROCESSO CHE NON VA VISTO COME DETERMINISTICO, Né NECESSARIAMENTE LINEARE) _______________________________________________________________________________________

CAPITOLO 4 – TERRORISMO E TERRORISMI Il RISCHIO di finire coinvolti in un attentato terroristico almeno in Occidente è davvero basso, ma il terrorismo continua ad essere considerato come il più grande PERICOLO per la sicurezza pubblica. Ben diversa è la situazione in Iraq, Nigeria, Pakistan, Siria, Afghanistan, in cui la violenza terroristica è utilizzata quotid...


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