Censo equestre e rango equestre PDF

Title Censo equestre e rango equestre
Course Storia Romana
Institution Università di Bologna
Pages 3
File Size 71.5 KB
File Type PDF
Total Downloads 67
Total Views 151

Summary

il censo e il rango equestre...


Description

Censo equestre e rango equestre. Percorso stipendiato dei cavalieri in età imperiale. Carriera legata alla volontà dell’imperatore. La carriera equestre, di quei cittadini che avevano un censo superiore ai 4000 sesterzi, che voleva terminare con la carriera pubblica, prevedeva all’inizio il comando delle parte dell’esercito, sottoposti comunque al comandante delle legioni. Coloro che andavano avanti nella carriera arrivava al ruolo di procurator (a partire dall’età adrianea). Ai cavalieri vengono anche conferiti incarichi come il governo di province poco importanti, con l’eccezione della provincia dell’Egitto (provincia che aveva uno status diverso da tutti gli altri). Incarichi importanti erano: il prefetto della flotta, prefetto dei vigili (che regolavano l’ordine pubblico notturno che quello degli attuali vigili del fuoco), prefetto dell’annona (che gestiva il grano che arrivava a Roma e ne regolava il prezzo sul mercato), prefetto d’Egitto e prefetto del pretorio (apice della carriera equestre; si trattava di soldati che seguivano l’imperatore nei suoi spostamenti). Come si faceva ad essere cittadini? Requisito fondamentale è il fatto di essere nati da Iustum Matrimonium (matrimonio giusto = rispettoso di una serie di regole consuetudinarie, non scritte). Le regole che sanciscono il matrimonio sono legati a una grande questione storica e antropologica: quale gruppo di persone consente di scegliere il proprio compagno o compagna? Le persone sposabili separano da un lato le persone che sono troppo vicine e dall’altro lato le persone che sono troppo lontane; non posso sposare dunque il parente, ma neanche lo straniero. Nella legge italiana è consentito di sposarsi fra cugini primi, mentre nel matrimonio religioso serve una particolare dispensa del Vescovo. Tale particolare dispensa è qualcosa che in qualche misura rimanda al mondo romano; nel mondo romano esistevano delle interdizioni molto precise sulle persone che erano imparentati tra loro. I confini non erano solo stabiliti dai costumi e dalla legge, ma dallo stesso vocabolario latino. Se un parente ha un nome specifico sancisce il fatto di poterlo sposare o meno. (Handout 11 – passo 1) → i parenti più lontani del quadrisavolo non hanno parenti specifici. (passo 2) → si è parenti e dunque non ci si può sposare fino al VI grado di parentela, esso incluso. Dal VII grado in poi non c’è parentela. Ciò che è culturale viene naturalizzato. Per la cultura romana era naturale che ci si potesse sposare dopo il VII grado di parentela, esso incluso. 1. Filius 2. Nepos 3. Prunepos 4. Abnepos 5. Adnepos 6. Trinepos Questo è il grado di parentela discendente. 1. Faber 2. Avus 3. Proavus 4. Abavus 5. Adavus 6. Triavius Questo è il grado di parentela crescente. (vedi collegamenti esterni paterni e materni). Claudio è l’eccezione alla regola: si sposa infatti con Agrippina. Era il fratello del padre di Agrippina, e dunque Claudio nei confronti della donna era al III grado di parentela. Claudio legando il Senato riesce a sposare la giovane donna. Una volta morto Claudio questo tuttavia non si ripete più. Se ci si sposa tra concittadini al di fuori del VI grado di parentela si ha un Iustium Matrimonium. Il matrimonio giusto può anche avvenire tra romani e stranieri ma con delle limitazioni precise che riguardano lo Ius Conubii.

Ci si può sposare solo con i stranieri purché a loro venne riconosciuto appunto lo Ius Conubii che venne assegnato primariamente alle popolazioni latine, considerate molto vicine ai romani. Nel tempo, con la concessione della cittadinanza a un numero più elevato di persone, la possibilità dello sposalizio con stranieri aumenta. Il fatto che tra romani e stranieri esistesse un matrimonio lecito non rendeva per forza il figlio romano; infatti la prole seguiva quella che era la condizione del padre. Se il padre era un latino, il figlio era latino. Se una romana si sposava con un Fennio (della Finlandia), il figlio era illegittimo e se il padre non lo riconosceva seguiva la condizione della madre, ma era privo di una parentela maschile (terribile per i romani); l’unico modo per redimere questo “peccato” per la società romana era che il nonno lo adottasse. (passo 4) → il cittadino che si sposa con una donna che non ha connubio ha un figlio che non può essere romano perché non ci sono diritti appunto da entrambe le parti. Se il padre non si sposava degna di essere romana il figlio non poteva essere cittadino romano. Con un padre romano e la madre con il diritto di connubio, il figlio è romano. In questo caso le pratiche che consentono che un matrimonium sia giusto sono: (passo 5) → o due cittadini romani, o un cittadino romano e una donna che abbia diritto di connubio, che entrambi siano in grado di procreare, che siano entrambi autonomi, che abbiano il consenso del pater familias se questi è ancora in vita. Queste sono le condizioni che producono un matrimonio giusto; stanti queste condizioni quando un uomo e una donna si mostrano pubblicamente come marito e moglie sono effettivamente marito e moglie. Tali manifestazioni concrete sono stare insieme, procreare dei figli, mostrarsi in pubblico, al di là di ogni festa e rito. Il termine matrimonium → insieme di pratiche che fanno sì che la donna sia madre legittima. L’unica forma di rituale comune quando ci sposava era la passeggiata che la sposa faceva dalla casa paterna alla casa del futuro sposo. Non era indispensabile la sanzione di un sacerdote. Queste pratiche minime producono una forma di matrimonio che si chiama Sine Manu. Tale matrimonio consente che la sposa resta nella linea di parentela del Pater, della famiglia in cui è nata. Dunque alla morte del padre eredita la sua parte di patrimonio. Questa pratica è funzionale all’interno di un sistema in cui i divorzi erano comuni e diffusi. Perché nel momento in cui la donna decideva di separarsi dal marito bastava che percorresse a ritroso il percorso che aveva fatto dalla casa paterna a quella del marito, dimostrando alla comunità che quel rapporto si era concluso. In questo modo veniva cancellato il matrimonio, ma solo nel caso in cui la donna avesse il padre in vita. Se invece questo era morto la donna doveva semplicemente dichiarare che tale matrimonio era concluso e poteva poi andare via. Tutto si complica quando il matrimonio, tipicamente aristocratico e delle età più antiche, viene praticato Cum Manu; la parola manus indica il tipo di potere che l’uomo esercita sulla donna. Nel mondo romano esistevano tre forme di matrimonio cum manum. Le finalità erano quelle di far spostare la donna dalla linea di parentela originaria a quella del marito (la donna veniva dunque adottata dal Pater Familias del marito). La donna dunque diventando quasi sorella del marito rendeva molto più difficile la separazione della donna dal marito. I matrimoni cum manu sono tre, due dei quali hanno un aspetto contrattuale e commerciale che ha a che vedere con la compravendita sul diritto delle donne. (passo 6) → il primo è quello per usus: due persone sono riconoscibili come marito e moglie per un anno interno; se per un anno la donna vive sempre lo stesso tetto del marito la donna entra nel grado di parentela del marito. Perciò dalla legge delle XII tavole se una donna non voleva entrare nella parentela del marito, la donna ogni anno si allontanava dal tetto del marito. La seconda forma è la cumfarraeatio, in cui gli sposi spiegavano un pezzo di pane di farro; in questa pratica erano presenti 10 testimoni e un sacerdote. Pratica della piena età imperiale. [vedi terza forma].

Il matrimonio per cumfarreatio, l’unico sacralizzato, essendo formalizzato richiedeva delle formalità non solo in caso di divorzio, ma anche in caso di ripudio. (passo 7) → nella piena età repubblicana e in un contesto aristocratico; si parla di un esclusione dal Senato di un cittadino che aveva ripudiato la moglie che lo aveva tradito senza aver consultato amici e parenti. I censori nell’età repubblicana redigono la lista dei senatori ma hanno anche la facoltà di mandare via qualcuno. Se si avevano dei figli nelle giuste nozze, essi erano cittadini liberi e che dunque avevano tutti i diritti e doveri, sia religiosi che civili. Il primo indicatore del cittadino nato da giuste nozze era il suo nome. Infatti nel mondo romano gli individui hanno nomi diversi; il nome indica se la persona è nata da giuste nozze, oppure se è uno straniero, uno schiavo o un liberto (schiavo liberato dal padrone che ottiene cittadinanza e alcuni diritti). Il cittadino romano nato libero, e dunque da giuste nozze o per successiva adozione, presenta un’organizzazione nominale che consente di capire la sua condizione di libertà; dalla fine della Repubblica fino all’inizio dell’età Imperiale il nome è costituito da tre parti: il prenome, un nome = indicatore della famiglia, e un cognome = un soprannome (spesso identificava ciò che coltivavano, come Cicero = ceci, oppure per alcune caratteristiche fisiche). Il cognome si afferma nella piena età repubblicana quando appunto le famiglie si ramificano notevolmente e si ha dunque bisogno di distinguerle. La serie dei prenomi è molto ridotta e solitamente nelle iscrizioni si trovano abbreviate. Erano dei nomi individualizzanti nelle età più antiche (in cui si avevano due nomi). Nelle iscrizioni → quando non si ha nome e cognome è sicuramente dal II secolo a.C. in giù, poiché molto arcaica. (ASCOLTA REGISTRAZIONE SU ESEMPIO DELL’EPIGRAFE). Se trovo l’indicazione della tribù è questa è corrisposta in altre fonti nello stesso cotesto può identificare la tribù che viveva nella zona. Per quanto riguarda la donna nata da giusto matrimonio: il nome era il femminile del nome della famiglia. Ciò che caratterizza dunque la figlia è la femminilizzazione del nome della famiglia. [MF → figlia di Marcus], che poteva essere seguito dal numero I, II, III, IV, … L’onomastica consente di individuare se il cittadino fosse schiavo, che dunque veniva identificato con un cognome, spesso scelto dal padrone. A metà strada si trova il nome dei liberti: nella loro onomastica mantengono il cognome della condizione di schiavo e quando viene liberato prende il nome e il prenome della famiglia del padrone che lo ha reso liberto, indicando di essere liberto. Se una donna non aveva antenati maschili vivi era formalmente pater familias; aveva un tutore, ma la paternità era la sua. Quando tale donna liberava uno schiavo questo teneva il suo nome, il prenome scelto dalla padrone e il cognome della famiglia della donna, indicando ovviamente che si trattava di un liberto. Nel caso delle donne veniva anche indicato il nome Gaia, con la C, il quale indicava appunto tutte le donne nella loro onomastica. All’interno del sistema romano il peso dei poteri attribuiti alle diverse componenti della parentela erano: il ruolo centrale rispetto a tutto ciò che riguarda la parentela, da tutti i punti di vista, è gestito dal Pater Familias. (passo 8-9) → aveva dei poteri estesissimi. Nel diritto romano il potere che hanno i padri è superiore a quello che avviene in altre società....


Similar Free PDFs