Cerchi di mohr - Appunti 2 PDF

Title Cerchi di mohr - Appunti 2
Author Stefano Fois
Course Scienza Delle Costruzioni 2
Institution Università degli Studi di Cagliari
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Summary

Dai tensori di sforzo e deformazione alla creazione di cerchi di mohr....


Description

SFORZI E DEFORMAZIONI E CERCHI DI MOHR 2018 Appunti Il vettore spostamento è il prodotto tra questo oggetto deformazione moltiplicato per il vettore dx:

ε

che abbiamo chiamato tensore di

s ' ' =ε d x ε ha come componenti quelle che abbiamo indicato nella lezione precedente, cioè le componenti disposte sulla diagonale principale sono chiamate dilatazioni e corrispondono alle variazioni di lunghezza relativa, cioè riportate alla lunghezza iniziale di segmenti come gli assi.

[ ] εx

ε=

1 γ 2 xy 1 γ 2 xz

1 1 γ xy γ 2 2 xz 1 εy γ 2 yz 1 γ εz 2 yz

Le altre componenti sono

1 1 γ xy , γ xz , , 2 2

1 γ 2 yz

che rappresentano le quantità medie della

variazione di angolo, che passa da retto a non più retto, sono qulle che subiscono le fibre originariamente disposte come gli assi xy, xz, o yz. La dilatazione è espressa da ε x , ε y ε z . Lo scorrimento complessivo è la somma di queste componenti. Per altro abbiamo anche visto che le componenti della deformazione sono esprimibili in funzione delle derivate parziali delle componenti dello spostamento rispetto agli assi coordinati. In particolare:

ε x=

∂u ∂x

ε y=

∂v ∂y

ε z=

∂w ∂z

εx

è la derivata dello spostamento in direzione x rispetto all'asse x, ε y è la derivata dello spostamento in direzione y, cioè v rispetto al’asse y ed ε z è la derivata dello spostamento in direzione z, cioè w, fatta rispetto a z. In generale u, v, w sono funzione di tutte e tre le coordinate e quindi queste sono effettivamente delle derivate parziali. Per quanto riguarda gli scorrimenti invece abbiamo visto che:

γ xy = γ xy

∂u ∂v + ∂ y ∂x

γ xz =

∂u ∂w + ∂ z ∂x

γ yz =

∂v ∂w + ∂z ∂ y

è la derivata dello spostamento in direzione x, fatta rispetto ad y, più la derivata in y, cioè v, fatta in direzione x. Lo stesso per quanto riguarda γ xz che evidentemente coinvolge lo spostamento in direzione x derivato rispetto a z e lo spostamento in direzione z derivato rispetto ad x. Infine γ yz

contiene la derivata dello spostamento secondo y derivato rispetto a z e la derivata dello spostamento secondo z derivato rispetto ad y. Quello che si può aggiungere è che questo oggetto qui è un tensore, nel senso che le sue componenti, se cambiassimo il sistema di riferimento, cambierebbero come quelle di un tensore, quindi seguiranno una particolare legge di trasformazione che sarebbe analoga a quella che abbiamo visto per le componenti dello sforzo nella lezione passata e cioè questa: Terna di riferimento: x1 , x 2 , x 3

→ εij

(i, j ¿ 1, 2, 3)

ξ1 , ξ2 , ξ3 → εαβ (α, β

¿ 1, 2, 3)

cioè se passassimo da un sistema di riferimento x1, x2, x3 ad uno con valori 1, 2, 3, allora succederà che le componenti di deformazione ε αβ da questa espressione:

ε αβ , dove α e β assumono saranno semplicemente date

ε αβ=ε ij nαj n βj

dove nαj sono i coseni direttore che l'asse etichettato α forma con l'asse etichettato i (quindi se questa espressione sarà scritta per esteso, dovendo fare la somma sugli indici i e j, consterà di nove termini.) Questa è comunque una legge di trasformazione che permette di passare dalle componenti di un tensore espresso in un certo sistema di riferimento a quello espresso in un diverso sistema di riferimento. Sulla base di queste considerazioni possiamo vedere che è possibile trovare delle particolari direzioni lungo le quali le componenti di spostamento associate alla deformazione pura sono dirette secondo quella direzione lì, cioè in questo particolare sistema di riferimento le tensioni di deformazione contengono solo dilatazioni, non contiene scorrimenti angolari. Il caso è lo stesso di quando abbiamo parlato delle tensioni e degli sforzi, abbiamo visto che esistono delle particolari direzioni (principali di sforzo) lungo le quali il tensore degli sforzi assume una particolare diagonale, cioè contiene solo sforzi normali e non ci sono sforzi tangenziali. Qui di nuovo il problema si formula nello stesso modo, cioè si tratta di trovare quelle particolari direzioni individuate dai vettori nα tali che:

ε nα n α =e  nα ,sta a significare che gli spostamenti che nascono sono diretti come la direzione che stiamo dove  considerando. La ricerca di queste direzioni principali corrisponde ancora ad una risoluzione di un problema di autovalori, in quanto si può tradurre in termini matriciali nella necessità di risolvere un sistema di tre equazioni e tre incognite fatto così:

[

ε x −e 1 γ 2 xy 1 γ 2 xz

][ ] { }

1 γ 2 xz n 0 x 1 ε y −e γ yz n y = 0 2 0 nz 1 γ yz ε z−e 2 1 γ 2 xy

Questo sistema è omogeneo, ammette soluzioni diverse da quella n x , n y , n z=0 che verranno scartate perché ci individuano una direzione che non vale. Con la condizione che il determinante della matrice sia uguale a zero, questa ci permette di arrivare all'equazione di terzo grado nella incognita e che rappresenterebbe una delle dilazioni principali, l'equazione che otteniamo è:

e 3−I 1 e 2+I 2 e −I 3=0 dove queste quantità I 1 , I 2 , I 3 sono gli invarianti della trasformazione. In particolare I 1 sarà uguale alla somma delle componenti di tensione e deformazione lungo la diagonale, I 2 è analogamente a quanto visto con il tensore degli sforzi lo sviluppo dei tre determinanti che si ottengono se eliminiamo una riga e una colonna, I 3 sarebbe lo sviluppo del determinante del tensore e quindi sarà un'espressione cubica.

I 1 =ε x + ε y + ε z 1 1 1 I 2 =ε x ε y + ε y ε z + ε x ε z − γ 2xy− γ 2yz − γ 2xz 4 4 4 ε (¿) I 3 =det ¿ Si può vedere che le tre soluzioni e I , e II , e III individuano questo tensore di deformazioni in questo riferimento principale che ha solo gli elementi nella diagonale principale.

[

eI ε= 0 0

0 0 e II 0 0 e III

]

Dal momento che queste quantità sono invarianti, cioè non dipendono dal sistema di riferimento, si può vedere che potranno avere anche un'espressione analoga quando le calcoliamo in base ai valori delle dilatazioni principali:

I 1 =e I +e II + e III I 2 =e I e II +e I e III + e II e III I 3 =e I e II e III Una volta che abbiamo determinato i valori delle dilatazioni principali risolvendo l’equazione cubica scritta in precedenza, si possono poi determinare le componenti con un modo analogo con quello visto per calcolare le direzioni di sforzo.

Alle componenti di deformazione ovviamente sono legate la tensione di volume e di forma. Consideriamo un elementino allineato con le tensioni principali.

Gli spigoli di questo volume saranno dx I , dx II , dx III . Inizialmente il volumetto prima della deformazione sarà dato da:

dV 0 =dx I dx II dx III . A deformazione avvenuta però gli spigoli subisranno un mutamento e quindi la lunghezza finale sarà data da:

dx I + e I dx I = dx I (1+e I ) dx II +e II dx II =dx II (1+e II ) dx III +e III dx III= dx III (1+ e III ) Vi faccio osservare che questo vale anche se una dilatazione è negativa, cioè significa che si sarà accorciato, ma complessivamente il ragionamento sarà lo stesso. Il volume finale quindi sarà dato da:

dV =dx I ( 1+e I ) dx II ( 1+ e II ) dx III ( 1+ e III )=dx I dx II dx III ( 1+e I )(1 + e II )(1+e III ) Questo termine tra parentesi può essere sviluppato, è lo sviluppo di un trinomio e questo fornirà:

1+e I ¿

+e II + e III + e I e II +e I e III + e II e III + e I e II e III ¿ 1+e I + e II +e III

Queste deformazioni sono molto piccole, quindi i prodotti di deformazioni saranno molto più piccoli degli altri tre, perciò lo possiamo approssimare eliminando i termini che contengono prodotti di due o più dilatazioni. A questo punto facciamo un'altra operazione e confrontiamo la variazione di volume con il volume iniziale, cioè consideriamo dV – dV0 dividendo per dV0 e questa quantità rappresenterebbe la deformazione volumetrica, questo lo possiamo scrivere come:

ε vol=

dV −d V O ( 1+ e I + e II + e III ) d V O −d V O =e I +e II +e III =I 1 = dVO dVO

ma allora vediamo anche che possiamo semplificare dV 0, quindi troviamo un risultato importante, cioè che la somma delle tre variazioni principali che formano l'invariante rappresenta la variazione di un volume di materiale per effetto della deformazione. La variazione riferita al volume dello spigolo è espressa da questa quantità, un po' come avevamo visto con la pressione idrostatica che era parente della somma degli sforzi principali, quindi:

ε vol=I 1 In analogia con quello che abbiamo visto per lo stato di sforzo, ricordandoci che lo stato di sforzo lo abbiamo scomposto in due pezzi, cioè uno sforzo idrostatico ed uno sforzo deviatorico, qui possiamo fare una cosa simile in questo modo. Possiamo definire una deformazione in questo modo, definendo una quantità θ pari a:

I 1 1 θ= 1= (e I +e II + e III )= ( ε x +ε y +ε z ) 3 3 3 che è il valore medio delle dilatazioni. La deformazione di ε la possiamo scomporre in questo modo:

ε =θ I + η come θ per la matrice identità I per un altro tensore, η, che si chiama deviatore di deformazione. Per esteso la formula ci dice che:

[ ]

[

ε x −θ

1 0 0 1 ε =θ 0 1 0 + γ xy 2 0 0 1 1 γ 2 xz

ε y −θ

1 γ 2 xz 1 γ 2 yz

1 γ 2 yz

ε z−θ

1 γ 2 xy

]

Questa parte qua ( θ moltiplicato per la matrice identità) è legata alla variazione di volume mantenendo la forma, perché se andiamo a vedere una deformazione di questo genere presenta le tre dilatazioni principali tutte uguali, quindi vuol dire che la deformazione è maggiore o minore a seconda che la dilatazione è positiva o negativa. Invece questa parte qua (la seconda matrice) è associata ad una variazione di forma che avviene a volume costante e fa sì che le dilatazioni che avvengono siano di natura tale da mantenere lo stesso volume ma cambiare la forma (ad esempio un cubo diventa un parallelepipedo, oppure un altro esempio potrebbe essere che mantenendo lo stesso volume il cubo potrebbe subire degli scorrimenti angolari, per cui le sue facce non si mantengono più perpendicolari tra loro. ) Quello che ci interessa osservare fino ad adesso è che a livello di definizioni di comportamento di un materiale continuo abbiamo finora introdotto queste quantità:



6 componenti dello sforzo , che sarebbero 9 ma di cui solo 6 indipendenti, quindi abbiamo 6 componenti di sforzo σ x , σ y , σ z e τ xy= τ yx , τ xz =τ zx , τ yz=τ zy Queste componenti di sforzo sono legate da tre equazioni di equilibrio in sede indefinita:

∂ σ x ∂ τ yx ∂ τ zx +F x =0 + + ∂x ∂ y ∂ z 

più altre due, oltre quella scritta, definite in modo analogo. Poi abbiamo introdotto tre componenti di spostamento: u, v, w



Infine abbiamo 6 componenti di deformazione:

ε x , ε y , ε z , γ xy , γ xz , γ yz . Complessivamente le nostre incognite sono 15. 

Oltre alle equazioni che abbiamo scritto ne abbiamo altre 6 che definiscono le deformazione in funzione degli spostamenti, quindi (riportiamo solo le prime, le altre sono costruite in modo analogo):

ε x=

∂u ∂ v ∂u + γ = ∂ x xy ∂ y ∂ x

Sono complessivamente 9 equazioni, le incognite sono 15 quindi, per pareggiare il conteggio incognite abbiamo bisogno di aggiungere altre 6 equazioni senza avere nuove incognite. Queste sei equazioni da dove devono uscire? Devono mettere in relazione gli sforzi e le deformazioni, gli sforzi li abbiamo visti considerando l'equilibrio, le deformazioni invece le abbiamo viste su una base di compatibilità cinematica e quindi dobbiamo metterle in relazione. La risposta di un materiale deformabile ad una forza a cui è soggetto dipende evidentemente dalle proprietà del materiale, allora a questo proposito dobbiamo introdurre il legame costitutivo. Un legame costitutivo fornisce le relazioni tra sforzi e deformazioni. I primi tentativi di successo di formulare queste formulazioni sono stati quelli di Hooke e quindi la legge fondamentale prende il nome di Legge di Hooke; siamo verso la fine del 600. La legge di Hooke era stata formulata come “ Ut tensio, sic vis “ dove qui bisogna interpretare tensio come deformazione e vis come sforzi, cioè tali sono le deformazioni quali siano gli sforzi. Tutto sommato si può vedere che un legame elastico può essere pensato come una generalizzazione di un comportamento di una molla che si allunga e, in funzione dell'allungamento che subisce, è in grado di esercitare una certa forza legata a questo allungamento. Se la molla ha un comportamento lineare ideale significa che quando dimezziamo l'allungamento si dimezza anche la forza e soprattutto è caratterizzata da reversibilità, cioè non tiene in memoria ciò che le è successo nel corso della storia, ma risponde sempre idealmente alle sollecitazioni a cui è sottoposta allungandosi di una certa misura e dando luogo alla forza di richiamo che è proporzionale a questo allungamento. I tentativi che sono stati fatti di scrivere direttamente le relazioni lineari sforzi deformazioni non hanno avuto sempre successo perché non garantiscono il rispetto della reversibilità (nel senso che i coefficienti che indicano il legame tra sforzi e deformazioni di un materiale elastico lineare vengono assegnati a caso), infatti può succedere che il materiale compia del lavoro lungo un

ciclo in cui abbiamo un percorso di carico in cui il materiale è sollecitato in un certo modo, che poi viene rilasciato attraverso una combinazione complicata. L'unico modo per esprimere il legame tra sforzi e deformazioni è quello di passare attraverso un potenziale degli sforzi, cioè una funzione tale che le deformazioni risultano essere le derivate di questa funzione che è una funzione degli sforzi. Cioè possiamo pensare che ci sia un potenziale degli sforzi che possiamo chiamare Ψ che dipende dalle componenti di sforzo σ x , σ y , σ z e τ xy , τ xz , τ yz e, sulla base di questo potenziale elastico complementare, si possono determinare le componenti di deformazione dicendo che:

σx , σ y , σ z , τ xy , τ xz , τ yz ¿ Ψ =Ψ ¿ ε x=

∂Ψ ∂σx

ε y=

∂Ψ ∂σy . . . .

γ yz =

∂Ψ ∂ τ yz

La stessa distinzione si può fare in termini di deformazione, cioè possiamo definire un potenziale elastico che è definito così:

φ=φ(ε x , ε y , ε z , γ xy , γ xz , γ yz ) σ x ,= σ y=

∂φ ∂ εx

∂φ ∂εy . . . .

τ yz=

∂φ ∂ γ yz

Queste funzioni, potenziale elastico complementare e potenziale elastico, ci garantiscono che il comportamento sia effettivamente reversibile, cioè che lungo un ciclo di carico che il materiale subisce si ritorni poi allo stato iniziale e non ci sia accumulo di energia, cioè che a parità di scatto iniziale e finale corrisponda una situazione analoga per le deformazioni e gli sforzi. Se vogliamo che il legame sia un legame lineare, cioè che la deformazione sia legata alle componenti di sforzo mediante una quantità lineare, è necessario che queste funzioni siano delle funzioni quadratiche, e vogliamo anche

che la deformazione sia nulla quando tutti gli sforzi sono nulli, quindi questa funziona quadratica che definiamo deve essere priva di termini costanti e di termini lineari. Allora capiamo che queste espressioni devono essere funzioni quadratiche; per un legame sforzi e deformazione lineare devono essere funzioni quadratiche. In particolare siamo interessati a materiali che rispondono in modo isotropo, cioè che la risposta alla sollecitazione sia indipendente dalla direzione secondo la quale lo si sollecita. La maggior parte dei materiali che utilizziamo possono essere schematizzati come isotropi, vuoi perché hanno una struttura casuale interna, oppure come può essere quella del calcestruzzo dove ci sono sì aggregati diversi, ma sono disposti in modo casuale e quindi la risposta è isotropa, o su scala microscopica il materiale può essere un metallo che ha dispersi dei cristalli che non seguono una direzione preferenziale, sono orientati in modo casuale e questo fa sì che il nostro materiale se lo sollecitiamo secondo direzioni diverse ci dia sempre la stessa risposta. Invece ci possono essere dei materiali come il legno che ha una struttura interna con direzioni preferenziale, se viene sollecitato secondo la direzione del tronco da cui è stato tagliato ha un certo tipo di risposta, se lo sollecitate secondo la tensione radiale ha un tipo di risposta completamente diverso; così pure ci possono essere dei materiali studiati appositamente per avere diverse risposte isotrope, per esempio i laminati. Se possiamo approssimare che il nostro materiale abbia una risposta isotropa, allora il nostro potenziale elastico complementare e il potenziale elastico possono essere ricavati mediante quantità di invarianti. Dobbiamo quindi avere una funzione quadratica espressa come una funzione di invariante 1, 2 e 3, ma se vogliamo che la funzione sia quadratica non può dipendere dall'invariante terzo, quindi questa dipendenza non ci deve essere. Se poi questa quantità deve essere quadratica allora questa quantità deve essere al quadrato. La forma che possiamo dare a questa quantità dovrebbe essere questa:

a( σ Ⅰ 2+ σ ⅠⅠ2+σ ⅠⅠⅠ2 ) + 2b ( σ Ⅰ σ ⅠⅠ+ σ ⅠⅠ σ ⅠⅠⅠ + σ Ⅰ σ ⅠⅠⅠ ) 1 Ψ= ¿ 2 Questa è una funzione che dipende da combinazioni quadratiche degli sforzi principali. Vedremo poi che queste costanti diventeranno pari a:

a=

1 E

e

b=

−ν E

Essendo E il modulo elastico e ν il coefficiente di contrazione trasversale. In questo modo si può vedere che la funzione può essere scritta così:

( σ Ⅰ2+ σ ⅠⅠ 2+ σ ⅠⅠⅠ2 )−2 ν ( σ Ⅰ σ ⅠⅠ+ σ ⅠⅠ σ ⅠⅠⅠ+ σ Ⅰ σ ⅠⅠⅠ ) Ψ=

1 ¿ 2E

Qui si può vedere che questa quantità rappresenta l’invariante secondo:

J 2=( σ Ⅰ σ ⅠⅠ+ σ ⅠⅠ σ ⅠⅠⅠ + σ Ⅰ σ ⅠⅠⅠ ) Mentre l’altro termine non è l’invariante primo al quadrato che invece vale:

J 1=σ Ⅰ+σ ⅠⅠ+ σ ⅠⅠⅠ

Questo termine può essere riscritto considerando il quadrato, ottenendo:

σ Ⅰ +σ ⅠⅠ+ σ ⅠⅠⅠ ¿ = ¿ J 12=¿ 2

2

2

¿ σ Ⅰ +σ ⅠⅠ +σ ⅠⅠⅠ + 2(σ Ⅰ σ ⅠⅠ +σ Ⅰ σ ⅠⅠⅠ + σ ⅠⅠ σ ⅠⅠⅠ ) Allora vediamo che J1 al quadrato è uguale alla somma dei quadrati degli sforzi principali più due volte la somma dei prodotti a due a due degli sforzi principali, ma quest’ultimo è l’invariante secondo, quindi alla fine otteniamo: 2

2

2

2

σ Ⅰ +σ ⅠⅠ +σ ⅠⅠⅠ =J 1 −2 J 2 Quindi la nostra forma finale del potenziale elastico è la seguente:

Ψ=

1 1 (J 2 −2 J 2 −2 ν J2 )= 2 E J 12−2(1+ν )J 2 2E 1

Da questo legame noi potremmo ricavarci i valori delle dilatazioni principali corrispondenti a questi sforzi, però noi vorremmo ottenere le espressioni delle deformazioni in funzioni delle componenti di sforzo. Per fare questo possiamo sostituire a queste espressioni gli invarianti primo e secondo in funzione delle componenti cartesiane, quindi scrivere gli invarianti nel seguente modo:

J 1=σ x +σ y + σ z J 2=σ x σ y + σ x σ z+ σ y σ z – ( τ xy 2+ τ xz2 +τ yz2 ) Effettuiamo la sostituzione ottenendo:

(σ x σ y +σ x σ z +σ y σ z) 2 ( σ x +σ y +σ z ) −2(1+ ν)¿ 1 Ψ= ¿ 2E

2 2 2 – ( τ xy + τ xz +τ yz ¿ ¿

( σ x σ y + σ x σ z + σ y σ z ) ++2(1+ ν) σ x + σ y +σ z2 + 2(σ x σ y + σ x σ z +σ y σ z)−2(1 + ν )¿ 1 ¿ Ψ= 2E 2

2

2 2 2 σ x + σ y +σ z −2 ν (σ x σ y + σ x σ z+ σ y σ z ) +2(1+ν) 1 ¿ Ψ= 2E

2 2 2 – ( τ xy + τ xz +τ yz )]

2

2

– ( τ xy + τ xz +τ yz


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