Diderot e la scultura PDF

Title Diderot e la scultura
Author Rossana Gisondi
Course Estetica
Institution Università degli Studi di Parma
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Estetica in Diderot...


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DIDEROT E L’ARTE DELLA SCULTURA.

DIDEROT E L’ARTE DELLA SCULTURA 1. La scultura nei Salons Nell’opera di Diderot, critico d’arte, potrebbe sembrare che la scultura occupi una posizione piuttosto modesta e irrilevante, a causa di una minore articolazione di commenti critici rispetto alla pittura. Tuttavia nel corso di questa breve analisi che proporremo, potremmo accorgerci di quanto la scultura occupi una posizione quasi privilegiata all’interno del discorso di confronto e intreccio tra le arti della rappresentazione. Quest’ultima infatti per ragioni sia storico-artistiche sia espressive e tecniche, assume un valore esemplare in diversi passaggi più propriamente teorici dei Salons. Certamente, come Jean-René Gaborit scrive1, nell’ordine di esposizione delle opere presenti, Diderot si occupa della scultura solo dopo aver esaurito ciò che aveva da dire sulla pittura, e sovente silenzia sulle opere in esposizione. Ma non possiamo non notare le lunghe analisi del salonnier a gruppi scultorei come l’ Alexander et Campaspe di Falconet, la Baigneuse di Allegrain o il Tourville di Houdon in cui « il pousse sa démarche analytique jusqu’à son point extrême: celui où il propose à l’artiste une nouvelle approche de sujet, une nouvelle composition, de nouveaux caractères. Tel est cependant le cas pour le Pigmalion de Falconet»2. Così come si entusisma difronte a queste composizioni, con la stessa enfasi si scaglia nel criticarne altre; è il caso per esempio del Prométhée enchaîné di Nicolas-Sébastien Adam3, di cui Diderot, più che la lampante composizione barocca, denuncia la pericolosa ambiguità delle passioni espresse: questo Prometeo sta urlando il suo dolore o è colto nell’attimo di massima energia prima di uno sforzo? Per il salonnier, la volontà implicita di Adam di rivaleggiare con il Laocoonte torna a suo svantaggio, dato che la minuzia nello studio anatomico del corpo supplicato gli fa dimenticare la cura nel creare movimento al volto. La raffigurazione di un ciuffo di capelli in mezzo al petto (che potrebbe essere un’allusione alla natura selvaggia dei Titani) è un dettaglio, certo minore, ma che Diderot ha stimato incompatibile con la dignità della scultura. Diversamente, della Baigneuse di Christophe-Gabriel Allegrain‒ esposta al Salon del 1767 ‒ Diderot scrive: «Belle, belle, sublime figure; ils disent même la plus belle, la plus parfaite figure de femme que les modernes aient faite. Il est sȗ r que la critique la plus sévere est restée muette devant elle»4. La semplicità e la naturalezza caratterizzano questa composizione che non si rifà esplicitamente ad alcun modello antico. Le proporzioni allungate e la linea serpentinata 1 AA.VV, Diderot & l'art de Boucher à David: les Salons: 1759-1781, cit., p. 431. 2 Ibidem, p. 432. 3 Ibidem, p. 436. 4 Denis, Diderot, Salon 1767, II, cit., p. 250.

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del corpo e del volto, potevano invece indicare l’interesse dell’artista per la scultura manierista, e più precisamente per certe tipologie di piccoli bronzi alla Gianbologna. Diderot è così sensibile a quest’opera, di cui tanto decanta la flessibilità e la grazia nella resa del marmo, da non notare una sorta di “ponte” sostegno dietro la nuca della graziosa bagnante, pensato proprio per compensare l’inclinazione della testa5. Delle quattro statue de “Français illustres” esposte al Salon del 1781, quella di Tourville ‒ militare francese, comandante della flotta navale di Luigi XIV, fu uno dei protagonisti della guerra della Grande Alleanza ‒ fu la più ammirata dal filosofo; il suo punto di vista su questa opera differì sensibilmente da quella dei suoi contemporanei, ed in un certo modo Diderot rispose alle loro critiche. Approva la bellezza del suo volto, giudicata dagli altri critici troppo giovanile per un uomo di cinquant’anni, loda il movimento donato dal vento del mare ai capelli e ai vestiti, quando invece Moufle D’Angerville voleva situare l’episodio in una camera bene chiusa durante un consiglio di guerra. Risulta ambiguo invece il riferimento che Diderot fa alla pittura e più precisamente a Van Dyck:

«le moment choisi est sublime; ce n’est pas de la

sculpture, c’est de la peinture, c’est un beau Vandyck»6. Jean-René Gaborit7 ipotizza che la riflessione del salonnier potrebbe indicare che nel Tourville non vi è la grandeur eroica che dovrebbe caratterizzare questo tipo di statue. All’inizio del capitolo «sculpture» del Salon de 1763 è inserita una breve dissertazione sulla scultura, nella quale Diderot risponde a cinque questioni di importanza ineguale che gli si sono presentate esaminando le produzioni scultoree. Il filosofo ci appare quasi “imbarazzato” nel parlare di scultura, forse in ragione di conoscenze tecniche più fragili da parte dell’autore che non ne fa segreto, o forse per l’assenza, in scultura, di riferimenti a lui veramente familiari: afferma infatti di non disporre di nessun equivalente scultoreo di Raffaello, Correggio, Annibale Carracci, Van Dych o di Le Sueur8. Sostiene che se la pittura ci ricorda per certi aspetti ciò che vediamo o ciò che abbiamo visto, la stessa cosa non può valere per la scultura, motivo per cui potrebbe comprare un quadro affidandosi al suo gusto ma non farebbe altrettanto con una statua, poichè sarebbe necessario l’ausilio di un artista. Non si tratta di facilità nell’esecuzione (antica querelle che già infuriava Michelangelo e Leonardo ben due secoli prima) ma del coinvolgimento di una senso in più rispetto a quelli immediatamente coinvolti dalla pittura: il tatto. La scultura è una forma d’arte rivolta sia ai ciechi sia a coloro che ben vedono. Se il pittore in un istante può impugnare il pennello e imprimere idee frivole immediatamente cancellabili, lo scultore deve fare i conti con una materia 5 AA.VV, Diderot & l'art de Boucher à David: les Salons: 1759-1781, cit., p. 437. 6 Denis, Diderot, Salon 1781, III, cit., p. 231. 7 AA.VV, Diderot & l'art de Boucher à David: les Salons: 1759-1781, cit., p. 458. 8 Denis, Diderot, Salon 1767, trad. it. cit., p. 60.

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dura, ribelle ed eterna, l’idea prima di essere liberata, creata e modellata deve scontrarsi con un travaglio ben più faticoso: «la scultura presuppone un entusiasmo più ostinato e più profondo, più profondo di quella verve forte e tranquilla in apparenza, più del fuoco coperto e nascosto che crepita dall’interno. È una musa violenta, ma silenziosa e segreta» 9. Nella scultura si trova la traccia del modello allo stato nascente, è un arte non mimetica, idealizzante, che per il numero ridotto di soggetti che può praticare, è più difficile da giudicare per l’uomo di gusto, il quale, per riconoscerne il valore o gli inganni, dovrà rivolgersi al giudizio esperto e tecnico degli scultori stessi. La posizione di Diderot, in relazione alla scultura, diviene ancora più singolare se rapportata ai principi del neoclassicismo nascente: il suo gusto per l’azione, la messa in scena, le situazioni parossistiche che predilige lo proiettano indietro verso i dettami dell’arte rococò. Rigetta, certamente, il Prométhée d’Adam per l’eccesso anatomico ma si entusiasma poi per il Pygmalion di Falconet, una delle rare sculture francesi ad avere riconosciuto esplicitamente il suo debito con Bernini10. Inoltre i due scultori del suo tempo, che considera tra i più importanti, l’uno, Pigalle, è ancora pienamente rococò, l’ altro, Bouchardon, risulta più classicheggiante che veramente neoclassicista. Per Diderot infatti la mimesi dello scultore assume l’aspetto di una performance attoriale, di una piéces teatrale, poichè la scultura si anima, prende vita, così come l’attore diviene sulla scena il personaggio11. «Lo scultore di genio, come il grande attore, riesce a far vedere la metamorfosi di un corpo nel suo compiersi, a indirizzare lo sguardo del pubblico verso un altrove, un al di là della presenza fisica che è forse il privilegio simbolico delle arti della rappresentazione: in entrambi i casi l’imitazione, da naturalistica, diventa alterazione e variazione espressiva della natura»12. Diderot nel Salon del 1765 definisce l’arte scultorea per natura sublime, più semplice e più patetica della pittura, la scultura infatti sembra connaturata da una più esplicita ricerca del modello ideale, da quella tendenza che tende a superare la semplice ritrattistica, la mera imitazione fedele degli esseri individuali, per elevarsi invece verso il «vero modello ideale della bellezza, la linea vera»13. Il salonnier arriva ad individuare nell’opera di Falconet la possibilità di un’interpretazione moderna del modello ideale, contrariamente alla tendenza dominante della pittura contemporanea verso “l’oggetto individuale”, l’ individualità di un’arte “portaritiste”, capace comunque di raggiungere risultati artistici di ottima qualità (vedi Chardin, Vernet o La Tour). Risulta ancora più 9 Denis, Diderot, Salon 1765, trad. it. cit., p. 199. 10 AA.VV, Diderot & l'art de Boucher à David: les Salons: 1759-1781, cit., p. 433. 11 Denis, Diderot, Sulla poesia drammatica, trad. it. cit., pp.311-313. 12 Maddalena, Mazzocut-Mis, Entrare nell'opera : i Salons di Diderot : selezione antologica e analisi

critica, cit., p. 65. 13 Denis, Diderot, Salon 1767, trad. it. cit., p. 60. 3

degno di nota il fatto che Diderot si serva della scultura come pietra di paragone critico per giudicare il fallimento di alcune opere pittoriche, come nel caso delle vezzosità ridondanti di Boucher, del suo petit goût; le figure di questo pittore non sono trasportabili nel marmo, un’arte che esige severità, rigore e castità, contrapposta a quell’arte frivola e capricciosa, contro cui Diderot, pur subendone a tratti la fascinazione, si è sempre scagliato.

2. La scultura come arte della memoria Nelle pagine precedenti abbiamo constatato come la scultura nell’estetica di Diderot abbia un forte valore ideale. Come già affermava Winckelmann 14, sono proprio le opere della scultura che trasmettono alla posterità i progressi delle belle arti di una nazione, poichè grazie alla resistenza del loro materiale sono logorate dal tempo in minor misura, il quale «annienta tutti quadri ma conserva i frammenti del marmo e del bronzo»15. Ecco come la scultura riesce ad assumere una dimensione sovrastorica ed universale che la avvicina a quella ricerca perenne di un modello, capace di accompagnare l’ascesa e lo sviluppo delle civiltà. I frammenti superstiti del passato diventano testimonianze archeologiche di monito per le generazioni future (Diderot discute a lungo con l’amico scultore Étienne Falconet, scettico riguardo alla gloria postuma dell’artista 16), ragion per cui la scultura può vantare un rapporto più intimo ed essenziale con la memoria storica e collettiva, detentrice di un valore etico. Non a caso dai Salons si evince come l’arte per Diderot possegga anche una funzione morale, civilizzatrice, spia della condizione di “salute” della condotta sociale; nel Salon del 1767 si legge: «Non c’è quasi più occasione di fare dei grandi quadri. Il lusso e i cattivi costumi, che suddividono i palazzi in piccoli bugigattoli, annienteranno le belle arti» 17, ma già quanche anno prima nel Salon del 1763, circa la Piété filiale di Greuze, Diderot chiosa: «Per prima cosa il genere mi piace; è la pittura morale. Ma insomma! Il pennello non è stato abbastanza e troppo a lungo destinato alla dissolutezza e al vizio? Non dobbiamo esser soddisfatti di vederlo, infine, in competizione con la poesia drammatica per commuoverci, per istruirci, per correggerci e per invitarci alla virtù? Coraggio Greuze, amico mio, fa’ della morale in pittura e fanne sempre così!»18. La scultura diviene così sia testimonianza archeologica del passato sia speranza di rinnovamento per il futuro, di fronte alla decadenza del gusto delle civiltà raffinate. Il suo 14 Johann J., Winckelmann, Pensieri sull’imitazione, trad. it. cit., p. 112. 15 Denis, Diderot, Salon 1765, II, cit., p. 224. 16 Denis, Diderot, Diderot e Falconet: correspondance. Le six premières lettres, a cura di J. Seznec e H.

Dieckmann, V. Klostermann, Frankfurt, 1959. 17 Denis, Diderot, Salon 1767, trad. it. cit., p. 287. 18 Denis, Diderot, Salon 1763, trad. it. cit., p. 143. 4

linguaggio, e in particolare quello del bassorilievo, entra in contatto con una «dimensione preartistica delle immagini»19, priva di una vera storia ed evoluzione, connaturata all’origine da implicazioni politiche e religiose, non necessariamente estetiche: «Questi bassorilievi così puri, così corretti, non erano che copie di brutti bassorilievi antichi di cui si era serbata tutta la banalità, per conservare loro la venerazione dei popoli, [...] un catechismo tanto più utile ai popoli, visto che non si aveva molto altro, oltre a questo mezzo, per tenere presenti alla loro mente e ai loro occhi, e per incidere nella loro memoria, le azioni degli dei, la teologia del tempo»20. Diderot pone la sua attenzione non solo sulla dimensione testimoniale e monumentale della scultura (documento e memoria della società), ma la investe anche di poteri taumaturgici, quasi come se si trattasse di un “feticcio”, un artefatto scolpito in una preistoria della storia dell’arte, in cui le qualità artistiche ed estetiche passano in secondo piano rispetto alle implicazioni antropologiche, morali e religiose. Risulta molto interessante constatare come, in una prospettiva storica e progressiva, il bassorilievo divenga modello primitivo e originario della pittura, per occupando una posizione inferiore rispetto alla scultura a tutto tondo. L’imitazione non mimetica a cui ricorre la scultura le permette la produzione di opere d’arte adatte ad essere concepite come exempla morali per le generazioni future, il linguaggio plastico acquista il carattere di un’ interpretazione, una messa in scena di un ruolo immaginario. Pensiamo infatti quanto Diderot sia spesso critico nei confronti della ritrattistica scolpita, per via della scelta di soggetti non degni, per suo giudizio, di una raffigurazione in pietra (come i busti di Trudaine e Gerbier eseguiti da Lemoyne per il Salon del 1767): il ritratto risulta riuscito quando, senza conoscere il soggetto rappresentato, lo spettatore coglie un sentimento, un’intenzione morale e psicologica della persona perfettamente comprensibile. L’esigenza morale e monumentale della ritrattistica scolpita, oltre che in Falconet, emerge anche in Diderot, che spesso però risulta in disaccordo con i soggetti scelti, proprio per la convinzione che i busti di nobili e personaggi famosi debbano fungere da modelli morali da trasmettere ai posteri. Sicchè, la posizione del salonnier nei confronti della scultura sembra essere ambivalente, da una parte di speranza per un rinnovamento delle arti attraverso il ritorno alla semplicità e alla severità di un’arte delle origini, dall’altra di ammirazione per un prodotto artistico che esige dal fruitore non solo di essere ammirata ma anche abitata21. 19 Maddalena, Mazzocut-Mis, Entrare nell'opera : i Salons di Diderot : selezione antologica e analisi critica, cit., p.61. 20 Denis, Diderot, Salon 1767, III, cit., pp.81-82. 21 Maddalena, Mazzocut-Mis, Entrare nell'opera : i Salons di Diderot : selezione antologica e analisi critica, cit., p.63.

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3. ‘Pygmalion et Galatée’ di E.M Falconet: metafora dell’attraversamento fra mondo inanimato e animazione. Proprio il mito di Pigamlione e Galatea, e la rappresentazione plastica di Falconet, cui Diderot dedica un’appassionata interpretazione nel Salon del 1763, ci permettono di cogliere le implicazioni antropologiche, oltre che estetiche, che il lavoro dello scultore suscita nel suo rapporto con le altre arti. Il mito in questione che racconta la magica trasformazione della pietra in carne palpitante, funge da metafora della creazione plastica, ma non solo, mette in scena il rapporto tra sensibilità e giudizio, tra freddezza e calore, tra distanza e partecipazione, tra eros e contemplazione. Se la figura di Galatea rappresenta il fantasma arcaico dell’idolo che si anima e prende vita grazie al prodigio divino, il Pigmalione di Falconet rappresenta l’espressione dell’abilità tecnica e del genio ispirato dell’artista che è riuscito a ripetere il miracolo attraverso l’arte. Ma rispetto alla realizzazione plastica di Falconet, Diderot introduce alcune correzioni che investono proprio la figura dello scultore appassionato della sua opera e il suo atteggiamento nei confronti della creatura che prende vita; il filosofo infatti ritiene che Pigmalione, da contemplatore rapito dalla sorpresa, paralizzato dalla gioia e dall’amore per Galatea che quasi lo paralizza, così come l’ha pensato e creato Falconet, dovrebbe essere rappresentato in un istante di movimento, di azione, nell’atto di toccare leggermente con la mano sinistra il cuore della statua animata, mentre con l’altra mano dovrebbe afferrare il suo scalpello, riconoscendo così in qualche misura il suo statuto di artista, la sua capacità demiurgica, la sua identità di autore. Il salonnier pensa ad una composizione più solida, più unitaria, legata al contatto delle mani che s’intrecciano fra i tre personaggi del gruppo, in cui lo scultore è colto nell’intervallo fra due intenzioni e due sentimenti, la sorpresa e la curiosità, l’ammirazione e il desiderio, la fascinazione e l’azione. Diderot immagina il gruppo scultoreo di Falconet tutelando lo sguardo e la posizione dello spettatore dal fascino meduseo di Galatea, restituendo anche lo sforzo dell’artista nel suo movimento di avvicinamento e di presa di distanza dalla sua opera, di sentimento e riflessione. Descrivendo l’opera di Falconet, Diderot sottolinea che la testa di Galatea è come animata di pensiero e il resto del corpo desta l’impressione della carne 22. Certamente la sfida di Falconet è ardua: deve plasmare una metamorfosi; cerca così una soluzione nella differente resa degli incarnati, donando uno spiccato effetto realistico al corpo di Galatea a alle mani di Pigmalione. Il marmo sembra quasi scomparire, «appoggiatevi un dito e la materia che ha perduto la propria durezza cederà alla pressione»23. Per il salonnier un bravo scultore deve essere in grado di operare 22 Denis, Diderot, Salon 1763, trad. it. cit., p. 147. 23 Denis, Diderot, Salon 1763, trad. it. cit., p. 146.

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la metamorfosi del marmo in carne vivente, palpitante, animata e senziente, poichè l’arte scultorea eccelle laddove sia in grado di creare una notevole differenza qualitativa rispetto al suo duro materiale di partenza, nella mollezza della carne o nell’impressione di movimento che riesce a donare all’opera. Solo in questo modo l’imitazione da naturalistica diviene alterazione e variazione espressiva della natura «capace di farsi veicolo di un sentimento, di un corpo animato dalle passioni, un segno di espressione»24. Nonostante ciò, il distacco contemplativo che induce alla virtù, per Diderot, non deve mai venire a mancare; stigmatizza infatti quell’artista che eccede nei particolari anatomici, lasciando trasparire sotto la pelle e la carne «il muscolo con la sua radice, l’innesto, l’attaccatura» 25. Il fruitore è come se venisse invitato a trasgredire la percezione visisva a favore di quella tattile, rompendo quel distacco contemplativo per permette allo spettatore di divenire egli stesso un Pigmalione. Ecco perchè Diderot avrebbe preferito un Pigmalione in azione: per liberarlo da un godimento contemplativo quasi estatico. Il fruitore non deve partecipare all’evento scenico così come un attore non deve rivolgersi direttamente alla platea (Galatea non deve scendere gli scalini del piedistallo invitando il fruitore a toccarla). Chi agisce non può confondersi con chi osserva; questa sembra una regola inderogabile per Diderot, per l’esteica del Settecento, per la struttura della fruizione 26. L’attore, l’artista, l’autore devono agire come se il fruitore non esistesse, il fruitore, da parte sua, non può confondere uno sguardo disinteressato con uno volto all’azione poichè il giudizio di gusto è fondato sulla natura della visione27. La rappresentazione non deve ammiccare e neppure escludere. Chiosa lucidamente Maddalena Mazzocut-Mis: «La riflessione di Diderot valorizza il ruolo del fruitore, fa comprendere come l’opera abbia nei suoi confronti un potere altissimo di seduzione che tuttavia non è e non deve essere compiaciment. La s...


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