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Course TFA SOSTEGNO SCUOLA SECONDARIA II grado
Institution Università degli Studi di Sassari
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INDICE

Presentazione (Andrea Canevaro) Capitolo 1 Conoscere per comprendere

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Definizione • Autismo e ritardo mentale Punti di riferimento per l’osservazione • Caratteristiche cognitive e meta-cognitive • Modalità sensoriali • Caratteristiche collegate all’età Eziologia Diagnosi clinica e valutazione funzionale Programmi specifici di intervento • Interventi comportamentali • Interventi comportamentali ad approccio evolutivo • Altri «strumenti» per l’intervento • Conclusioni

Capitolo 2 Le finalità della scuola Apprendimento, generalizzazione e integrazione Il bambino con autismo a scuola • Accoglienza • Apprendimento • Socializzazione • Problemi di comportamento

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Capitolo 3 Raccomandazioni per l’intervento psicoeducativo nella scuola 43 Principi guida per l’intevento Raccomandazioni • Flessibilità • La strutturazione e organizzazione del tempo e dell’ambiente • Indicazioni metodologiche e didattiche • L’aggiornamento periodico della valutazione • L’organizzazione di colloqui con la famiglia e gli operatori di

conoscenza • La presentazione del bambino in collaborazione con la famiglia e con i Servizi che l’hanno in carico • Il personale educativo • Il lavoro di rete • Dentro o fuori dalla classe? • Avere chiare le abilità su cui concentrarsi (Interventi prioritari) • Ruolo dei compagni di classe

Capitolo 4 Autismi e Pedagogia

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Tempi e storie diversi La lettura della realtà permette l’assunzione di impegni educativi Le sfide che ci aspettano • La sfida all’esposizione a stimolazioni eccessive • La sfida a un tempo sempre più rattrappito sul momento attuale • La sfida all’autoreferenzialità • La sfida della comunicazione senza elaborazione

Riferimenti bibliografici

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Appendice A chi rivolgersi: l’intervento di rete e la collaborazione tra i differenti attori

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INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO

Programmi specifici di intervento I programmi specifici di intervento per l’autismo sono numerosi, di varia natura e orientamento teorico e, non per tutti, è stata provata la validità scientifica. Sulla base della letteratura di riferimento e della pratica applicativa si riporta di seguito una sintesi dei principali, arbitrariamente suddivisi secondo le impostazioni teoriche di riferimento, sebbene spesso la linea di demarcazione tra essi sia molto sottile.

Comportamentali DTT (ABA) Naturalistici

Evolutivi

Efficaci (validati)

Approcci Modello

Tipi di intervento

LOVAAS

X

PRT

X

Presumibilmente efficaci (non valutabili ma basati su elementi validati) Di dubbia efficacia (solo rapporti anedottici di casi singoli) Inefficaci (nessuna evidenza di efficacia)

TABELLA 1 Gli interventi per l’autismo

DIR

X

TEACCH

X

DENVER TED

X X

Psicoterapie psicodinamiche AIT (Auditory Integration therapy) Terapie sensoriali SIT (Sensory Integration therapy) Secretina Farmaci e terapie Vitamine nutrizionali Diete Farmaci

X X

X X X X X (continua)

24

Conoscere per comprendere

(continua)

Altri

Comunicazione facilitata Option Therapy Pet Therapy

X X X

Adattato da Schreibman L., The Science and Fiction of Autism, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, 2005.

Interventi comportamentali Gli interventi comportamentali ispirano i loro principi all’analisi sperimentale del comportamento, disciplina che mira a scoprire le leggi che regolano il comportamento umano. L’applicazione di tali leggi al trattamento viene definita ABA (Applied Behavior Analysis, ossia Analisi Applicata del Comportamento), che non è quindi un modello specifico di intervento, ma piuttosto una metodologia di applicazione e di ricerca, che implica una progettazione sperimentale specifica dell’intervento. I programmi educativi che ne derivano, rivolti alle persone con autismo, vertono sull’insegnamento di competenze attraverso tecniche specifiche quali: l’apprendimento senza errori, il rinforzo positivo, il modellamento (shaping), l’aiuto (prompting), l’attenuazione degli aiuti/stimoli (fading), il concatenamento anterogrado e retrogrado (chaining), l’analisi del compito (task analysis) e l’insegnamento incidentale. Un tipo di intervento spesso utilizzato in programmi di intervento comportamentale è il Discrete Trial Training o Insegnamento in sessioni separate (DTT), attraverso il quale le competenze da apprendere sono suddivise in sotto-obiettivi e proposte all’interno di attività in un rapporto uno-a-uno con l’adulto. La procedura di insegnamento prevede che si tengano in considerazione tre componenti: l’istruzione, la risposta e la conseguenza. I progressi del bambino in questo caso sono valutati attraverso una rilevazione costante e precisa dei dati, che permette di determinare la percentuale di risposte corrette ed eventualmente il passaggio al successivo sotto-obiettivo. Le caratteristiche principali di tale procedura sono: – l’insegnamento è condotto dall’operatore; – l’operatore sceglie i materiali didattici, definisce il programma e prestabilisce quale sia la risposta corretta; 25

INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO – il rinforzo è estrinseco al compito; – vengono ripetute più volte le stesse attività; – il focus del trattamento è la risposta del bambino. Altri tipi di intervento comportamentale, quelli definiti più «naturalistici», mirano a ridurre le criticità spesso riconosciute agli approcci di insegnamento DDT, ovvero l’«artificiosità» dell’insegnamento e la difficoltà a generalizzare le competenze apprese. Gli interventi comportamentali naturalistici infatti tendono a insegnare il comportamento all’interno dell’ambiente in cui questo si verifica e lo fanno offrendo al bambino la possibilità di scegliere l’attività, in cui l’adulto poi si inserisce per creare occasioni di apprendimento; in questo caso il rinforzo è intrinseco al compito dal momento che è il bambino a sceglierlo. Attualmente vi sono diversi approcci comportamentali naturalistici (ad esempio, l’Incidental Learning, il Milieu Training), anche se certamente il meglio documentato è il Pivotal Response Training (PRT). Il PRT (Koegel, 2000) è un approccio che mira a insegnare comportamenti fondamentali (importanti per le diverse aree di funzionamento) nell’ambiente di vita quotidiana, utilizzando le occasioni che si presentano naturalmente.1 Gli autori hanno individuato alcune caratteristiche dei bambini che favoriscono una buona risposta al PRT: buon interesse per i giocattoli, tolleranza alla prossimità sociale, pochi comportamenti ripetitivi, molti comportamenti comunicativi verbali. Il PRT ha ricevuto l’attenzione della comunità scientifica per il successo ottenuto nell’aumentare la motivazione e la spontaneità del lavoro con il bambino, nello sviluppare il linguaggio, nel mantenere le abilità acquisite, nel generalizzare le risposte e nel ridurre i comportamenti problematici.

Interventi comportamentali ad approccio evolutivo Parallelamente al fiorire degli approcci comportamentali, si sono sviluppati altri modelli di intervento educativo di cui non è stata effettuata una validazione empirica, ma che possono essere consi1

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In questo caso viene sfruttato il principio del cosiddetto apprendimento incidentale che si verifica quando si è esposti a esperienze il cui scopo primario non è quello di generare un apprendimento e tuttavia ci si trova ad aver imparato cose nuove.

Conoscere per comprendere derati validi con molta probabilità, in quanto condividono principi e strategie con gli interventi che sono stati verificati sperimentalmente. Questi approcci sono definiti evolutivi perché sottolineano l’importanza di seguire, nell’insegnamento di nuove competenze, le tappe dello sviluppo tipico. Enfatizzano, come gli approcci comportamentali più naturalistici, l’uso della motivazione intrinseca come movente positivo dell’apprendimento. Nelle pagine che seguono ne vediamo alcuni esempi.

Developmental Individual difference Relationship based (DIR) Ideato da Greespan e Wieder (Greenspan e Wieder, 1999), è un modello globale per la valutazione e l’intervento che pone l’accento sull’incontro con il bambino in un approccio integrativo che tiene conto del livello evolutivo, del tono affettivo e delle motivazioni. Il trattamento proposto da tale modello è il floortime: un modo sistematico di lavorare la cui prima finalità è quella di superare le difficoltà sensoriali per ristabilire il contatto affettivo interpersonale, partendo dal presupposto che sono le relazioni sociali che guidano lo sviluppo delle abilità cognitive; in assenza di tali relazioni non si sviluppano neppure l’autostima, la capacità di prendere iniziativa e la creatività. Lavorando intensamente con genitori e terapisti si aiuta il bambino a ripercorrere le tappe evolutive non raggiunte. Il trattamento prevede sessioni di lavoro di 20-30 minuti in un rapporto uno-a-uno, durante le quali l’adulto segue il bambino nelle attività da lui scelte, incoraggiandolo a interagire.

Denver Model Ideato da Sally Rogers (Rogers, 1998) è un programma di intervento rivolto a bambini con autismo in età prescolare; l’enfasi è posta sul potenziamento delle abilità di interazione sociale del bambino, in quanto principale deficit che caratterizza il disturbo autistico. La cornice in cui si svolgono le interazioni tra il bambino e l’adulto deve essere caratterizzata da coinvolgimento sociale, reciprocità, alternanza di turni ed emozioni e affettività condivise; durante la terapia, quindi, si cerca di creare routine sociali che permettano di creare tali condizioni. Le strategie utilizzate sono in linea con i principi dell’analisi applicata del comportamento (ABA), in particolare le strategie di insegnamento comprendono: 27

INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO – essere sicuri di avere l’attenzione del bambino prima di impartire una istruzione o fornire una dimostrazione; – l’insegnamento deve seguire un formato ABC (Antecedent-Behavior-Consequence: Antecedente-Comportamento-Conseguenza); – utilizzare tecniche come shaping, chaining, prompting, fading e correzione degli errori per modificare le prestazioni; – utilizzare rinforzi preferibilmente intrinseci. La motivazione viene, anche in questo caso, ottenuta e mantenuta seguendo l’iniziativa del bambino, alternando compiti acquisiti a compiti non acquisiti, rinforzando i tentativi, utilizzando materiale intrinsecamente rinforzante e permettendo un’alternanza nel controllo dei materiali e delle interazioni. Il modello, inoltre, integra nelle proprie pratiche di insegnamento elementi del PRT. L’approccio è di tipo evolutivo e ciò si riflette in particolare nella scelta degli obiettivi di trattamento.

Treatment and Education of Autistic and related Communication-handicapped CHildren (TEACCH) Ideato da E. Schopler nel North Carolina rappresenta il più vasto e influente programma di Stato per l’attuazione di Servizi rivolti ai bambini e alle loro famiglie. La caratteristica fondamentale di questo trattamento è la natura globale e multidisciplinare, basata sulla collaborazione tra servizi, operatori e famiglia, che mira ad accompagnare l’individuo per l’intero arco di vita e in tutti gli ambiti di vita; viene effettuata, quindi una «presa in carico globale». La finalità principale dell’intervento è il raggiungimento dell’indipendenza e dell’inclusione sociale, attraverso un programma individualizzato che tiene in considerazione i punti di forza e di debolezza del bambino. A questo proposito sono stati sviluppati strumenti di valutazione come il già citato PEP-3 e l’Adolescent and Adult Psychoeducational Profile (AAPEP; Mesibov et al., 2007) che permettono di identificare il profilo delle competenze dell’individuo e le abilità emergenti, utilizzate come base per la costruzione del programma di intervento, e anche di monitorare i cambiamenti nel tempo (Schopler, Reichler e Lansing, 1980; Schopler et al., 1990; Schopler et al., 1984). L’intervento comprende l’insegnamento strutturato, quello incidentale e l’eventuale utilizzo di supporti visivi per favorire la comunicazione e la comprensione del contesto. 28

Conoscere per comprendere Tale intervento non dispone di ricerche solide che forniscano dati oggettivi sull’efficacia, tuttavia l’utilizzo di strategie empiricamente validate, come le strategie comportamentali naturalistiche, il DTT, l’uso delle immagini e il parent training, permette di considerarlo un intervento di probabile efficacia (Schreibman, 2005).

Thérapie d’Echange et de Development (TED) Ideata da Lelord in Francia verso la metà degli anni Settanta (Lelord et al., 1978) e successivamente rielaborata dal gruppo di Tours, la TED si pone l’obiettivo di potenziare le abilità correlate all’intersoggettività primaria e secondaria come l’utilizzo del contatto oculare, dell’attenzione ed emozione congiunta e della capacità di iniziare intenzionalmente uno scambio comunicativo. Lo sviluppo di queste competenze avviene attraverso giochi e scambi con l’operatore, realizzati in un ambiente tranquillo e rassicurante e con precise sequenze temporali delle attività. I principi che stanno alla base di questa tipologia di intervento e che il terapista deve sempre tenere presente nel lavoro con il bambino sono: – la tranquillità (l’ambiente deve essere il più possibile sobrio e privo di stimoli distraenti, l’interazione è uno-a-uno, i messaggi devono essere semplici, le attività vanno proposte una alla volta); – la disponibilità all’interazione (il terapista deve offrire occasioni affinché il bambino possa apprendere dall’ambiente, ma deve anche essere attento a cogliere tutti quegli atteggiamenti che possono far pensare che il bambino stia interagendo, ad esempio, ogni volta che il bambino accenna, anche per un breve istante, l’aggancio oculare con l’operatore, questo va incoraggiato); – la reciprocità allo scambio interattivo (rappresenta l’obiettivo principale dell’intervento e dovrebbe essere raggiunto attraverso scambi basati su gesti, mimica, gesti, vocalizzazioni ed emozioni). L’intervento è realizzato attraverso sedute di gioco in uno spazio circoscritto, ad esempio, un tappeto, che viene deputato solo a questa attività. La modalità di lavoro prevede che inizialmente vengano proposte attività ripetitive, prevedibili e quindi rassicuranti, introducendo gradualmente le novità (Bathelemy, Haumeury e Lelord, 1997). 29

INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO

Teoria della mente Risultano poi particolarmente importanti tutti quegli approcci educativi di tipo strutturato (cognitivo-comportamentali) che, all’interno di una dimensione relazionale, aiutino il bambino a cogliere i meccanismi e le sfumature che caratterizzano i rapporti interpersonali. Trasversale a tutti questi approcci è il concetto di «teoria della mente» con cui ci si riferisce «all’abilità di inferire gli stati mentali degli altri, vale a dire i loro pensieri, opinioni, desideri, intenzioni e così via, e all’abilità di usare tali informazioni per interpretare ciò che essi dicono, dando significato al loro comportamento e prevedendo ciò che faranno in seguito» (Howlin, Baron-Cohen e Hadwin, 1999, p. 8). Deficit nella teoria della mente e nella lettura sociale sembrano spiegare bene l’incapacità dei soggetti con disturbi dello spettro autistico a comunicare e a relazionarsi con gli altri. In particolare i soggetti con autismo mostrano «percorsi evolutivi deficitari e devianti rispetto allo sviluppo nell’attenzione condivisa, nei gesti dichiarativi, nella capacità di assumersi prospettive diverse dalle proprie, nella distinzione delle entità fisiche da quelle mentali, nella capacità di finzione» (Lecciso et al., 2008, p. 179), quindi uno stile cognitivo del tutto particolare in cui la psicologia intuitiva è in qualche modo compromessa. Nell’intervento educativo è dunque molto importante aiutare il bambino a leggere e a interpretare le situazioni sociali a partire dalle inferenze che si possono fare sugli stati mentali dell’interlocutore. Le attività per insegnare le abilità sociali devono basarsi sulle reali esperienze del bambino ed essere facilmente comprensibili. La lettura sociale è un approccio basato sul tentativo di migliorare non solo la comprensione del bambino riguardo agli eventi, ai comportamenti e alle aspettative che lo circondano, ma anche la comprensione degli altri rispetto alle percezioni e alle risposte del bambino (Gray, 2007). Più nello specifico è importante insegnare al bambino la capacità di stabilire con un partner comunicativo un comune focus di interesse (attenzione congiunta), premessa per la cognizione sociale (capire e anticipare le motivazioni e le intenzioni degli altri), e l’uso dei simboli che gli permettono di padroneggiare i codici verbali e paraverbali (SINPIA, 2005). 30

Conoscere per comprendere

Altri «strumenti» per l’intervento Comunicazione Alternativa Aumentativa (CAA) Nella CAA sono racchiuse e comprese diverse metodologie di intervento, tutte comunque finalizzate all’insegnamento di un sistema di comunicazione funzionale. Appare inoltre significativa la specificazione della scelta degli aggettivi: – alternativa sta a significare che questa modalità di comunicazione è alternativa al linguaggio verbale (ad esempio, comunicazione per immagini, linguaggio dei segni, codice Braille, scrittura, ecc.), pur mantenendo inalterata la funzione comunicativa; – aumentativa rappresenta l’efficacia che questa disciplina ha ottenuto, attraverso indagini prospettiche. Infatti, tutte le diverse tipologie di CAA portano generalmente, oltre che a una maggiore funzionalità della comunicazione, anche a un globale aumento dell’utilizzo del linguaggio verbale. Questo, ovviamente, in relazione alle caratteristiche specifiche di funzionamento del bambino (ad esempio, nel caso in cui non siano presenti disfunzioni specifiche delle abilità prassiche, articolatorie o motorie dell’apparato oro-buccale). La CAA viene in genere proposta a bambini che presentano un’assenza o un ritardo significativo nella produzione e/o nella comprensione linguistica-verbale, ma non solo. Capita frequentemente che un genitore appaia preoccupato dall’introduzione di un sistema di comunicazione alternativo a quello verbale, per il timore che questo vada a sostituire definitivamente la possibilità di apprendere l’altro. Tuttavia, è necessario che gli operatori (logopedisti, educatori, psicologi, neuropsichiatri, ecc.) enfatizzino la valenza comunicativa di questo sistema in virtù di una maggiore funzionalità della comunicazione ed esplicitino che in circa il 60% dei casi trattati con CAA emerge secondariamente anche il linguaggio verbale.

Picture Exchange Communication System (PECS) Il PECS è un esempio di sistema di comunicazione aumentativa/ alternativa creato e diffuso dalla Pyramid2 all’interno di un approccio 2

Pyramid Educational Consultants, Inc. è la compagnia fondata da Andy Bondy e Lori Frost, creatori del metodo PECS (Sistema di Comunicazione per Scambio di Simboli).

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INTEGRAZIONE SCOLASTICA DEGLI ALUNNI CON DISTURBI DELLO SPETTRO AUTISTICO educativo globale. Nei bambini con disturbi dello spettro autistico è particolarmente utile l’apprendimento di una comunicazione attraverso lo scambio di immagini, perché permette loro di comprendere il «potere della comunicazione» attraverso lo scambio. Il sistema si pone l’obiettivo di incoraggiare la spontaneità e l’iniziativa del bambino nella comunicazione e si basa sull’utilizzo di rinforzi. La prima funzione che viene insegnata è la richiesta spontanea, successivamente vengono insegnati la risposta e il commento. Inizialmente si insegna al bambino ad avvicinarsi all’altro (interlocutore) e a consegnare la carta-simbolo (pittogramma) di un oggetto desiderato in cambio dell’oggetto ste...


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