E. M. Cioran, Ineffabile nostalgia. Lettere al fratello 1931-1985, a cura di M. Carloni e H.-C. Cicortas, Archinto, Milano, 2015 PDF

Title E. M. Cioran, Ineffabile nostalgia. Lettere al fratello 1931-1985, a cura di M. Carloni e H.-C. Cicortas, Archinto, Milano, 2015
Author Massimo Carloni
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E.M. Cioran Ineffabile nostalgia Lettere al fratello 1931-1985 A cura di Massimo Carloni e Horia Corneliu Cicortas¸ Archinto Due fratelli, una malinconia Poursuivis par nos origines, nous le sommes tous. CIORAN Da vorace divoratore d’epistolari qual era, Cioran invitava a cer- care «la verità su un...


Description

E.M. Cioran

Ineffabile nostalgia Lettere al fratello 1931-1985 A cura di Massimo Carloni e Horia Corneliu Cicortas¸

Archinto

Due fratelli, una malinconia

Poursuivis par nos origines, nous le sommes tous. CIORAN

Da vorace divoratore d’epistolari qual era, Cioran invitava a cercare «la verità su un autore nella sua corrispondenza piuttosto che nella sua opera».1 Nel suo caso, l’assioma è presto dimostrato dal carteggio intrattenuto con il fratello Aurel, detto Relu. Lunga oltre mezzo secolo e composta da circa trecento lettere e cartoline, tale corrispondenza si rivela quanto mai decisiva per ripercorrere la parabola letteraria, ma soprattutto umana di Cioran. In particolare è il lato romeno della sua personalità ad emergere prepotentemente nel dialogo a distanza con Relu, ovvero quel suo côté balcanique che è possibile leggere solo in filigrana nell’opera edita. I destini dei fratelli Cioran, uniti in gioventù dalla passione intellettuale e dal fervore politico, si separano sul finire degli anni Trenta. Partendo per la Francia, Emil lascia il proprio paese, rinunciando in seguito persino alla sua lingua madre, pur di tagliare con quella parte di sé formatasi nei primi ventisei anni di vita. Installandosi al «centro del mondo», pensa di liberarsi per sempre dall’onta di appartenere ad una «piccola cultura». Da allora, salvo un breve e controverso rientro tra il 1940-41, non farà più ritorno in Romania. La guerra mondiale e la cortina di ferro che taglia l’Europa in due blocchi contrapposti, costringe i fratelli Cioran a quarant’anni di separazione forzata. L’uno, Emil, meteco a Parigi, nel cuore di quel «paradiso desolante»2 che è diventato ai suoi occhi l’Occidente; l’altro, Aurel, prigioniero in patria, in una Romania ridotta dal regime a un grigio inferno «che non è più di nessuno».3 I due fratelli affidano alla sorte incerta e vulnerabile della lettera il desiderio di sentirsi uniti, nonostante la storia stessa cospiri contro di loro. 5

Dal carteggio con Aurel emerge un altro Cioran, per certi versi inedito. Benché animato da un orrore gnostico per la procreazione, di fronte alle sofferenze dei congiunti il «persuasor di morte» cambia registro, rivelandosi di volta in volta provvidenziale medico dell’anima, consulente familiare e scrupoloso… farmacista. Maestro in quella sismografia dell’anima che è il genere epistolare, dove si registrano verità istantanee, Cioran rimane fedele al dogma della «santa concisione», cifra stilistica del suo inimitabile tono, passando con elegante disinvoltura dall’«insondabile all’aneddoto», dagli assalti di una notorietà sempre rifuggita alla piaga, ben più devastante, della noia, dosando sapientemente disincanto, vetriolo e ironia. All’intenso scambio epistolare fa da corollario, da parte del più «fortunato» Emil, l’invio di vestiario, cibo, medicinali e quant’altro possa tornare utile a cei de-acasa˘, dimostrando nell’occasione una premura, una generosità, una tenerezza quasi materne, nei confronti dei lontani e sventurati parenti. Aurel, da parte sua, ricambia come può, ovvero con l’invio di oggetti della sua terra e, soprattutto, con le immagini dei paesaggi dell’infanzia: Ra˘s¸inari, Sibiu, S¸anta, arricchite dalle stravaganti storie dei personaggi che li animano. Grazie alle affezioni magiche del temps retrouvé, quel passato torna di nuovo accessibile, suscitando in Cioran un’«ineffabile nostalgia» per i luoghi incontaminati dell’infanzia, considerati una sorta di paradiso perduto, una metafora del suo sradicamento metafisico. Cioran si riconcilia così col fondo romeno della sua anima che, al pari della visione del mondo, «non è parigina, è balcanica».4 Il sentimento romeno dell’essere, pervaso da un eterno esilio, è condensato nella parola dor (pressoché intraducibile in altra lingua), vale a dire in quel vago pathos dell’assenza, in quel senso d’estraneità e inappartenenza al mondo, che impregna trasversalmente la cultura di tutto un popolo, piagato da una sorte avversa e relegato alla periferia della storia. Da quel fondo di struggimento e frustrazione, fioriscono la malinconia, la rasse-

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gnazione, lo scetticismo, il lamento di fronte a un destino, sia individuale che collettivo, sentito come irreparabile.5 Tali tonalità affettive dell’anima romena, condannate da Cioran come tare culturali regressive ai tempi della Trasfigurazione della Romania, riemergono ora, nelle lettere a Relu, quali elementi essenziali di una saggezza primordiale, rurale che, beffandosi della storia, diventa preferibile alla fredda intelligenza parigina, poiché in grado di sopportare meglio le sventure della vita: «Più si è primitivi, più si è prossimi ad una saggezza originaria che le civiltà hanno perduto. Il borghese occidentale è un imbecille che pensa solo al denaro. Qualunque cioban [pastore] nostrano è più filosofo d’un intellettuale di qui».6 D’altronde, al di là del portato culturale, la malinconia dei fratelli Cioran risente anche di un’eredità familiare. Di quel male oscuro la madre Elvira aveva trasmesso loro «il gusto e il veleno».7 Il gusto, assaporato attraverso la musica sublime di Bach, unico antidoto al tormento dell’invano, autentico veleno che divora l’anima afflitta. Un giorno, poco prima di morire, la madre scrisse al figlio queste desolanti parole: «Qualsiasi cosa faccia l’uomo, la rimpiangerà sempre» – «Era il suo testamento. Vi riconosco la filosofia della nostra tribù», chiosa amaramente Cioran.8 Partoriti entrambi dall’umor nero materno, i caratteri dei fratelli si formano tuttavia in maniera antitetica, benché, a livello d’abisso interiore, l’esperienza rimanga identica: «Soffriamo ambedue dello stesso male ma lui, taciturno per natura, non ha accesso al verbo, mentre io, chiacchierone impenitente, esibisco le mie miserie e, convertendole in capricci, perciò stesso le comprometto. Detto questo, è legittimo affermare che quanto nell’uno è gând [pensiero] nell’altro è realitate [realtà]? Ciò che, di tutta evidenza, gioca contro di me, è il mio comportamento frivolo tanto in presenza d’amici che di sconosciuti. Da qui l’impressione di gioco, di commedia, d’inautenticità».9 Eppure, in una lettera a Wolfgang Kraus, Cioran confessa che Relu, in un certo senso, «ha tratto le conseguenze dal mio stesso

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malessere».10 Analogamente, un oscuro senso di colpa tormenta Cioran quando la disperazione autodistruttiva stronca le vite della sorella e del nipote, mentre lui, «scroccone dell’abisso», all’altro capo dell’Europa si limita «al ruolo modesto di teorico del suicidio».11 Precoce spirito filosofico e talentuoso scrittore, Emil, in qualità di fratello maggiore, esercita un certo ascendente nelle scelte esistenziali di Aurel, il quale, di tre anni più giovane, sembra seguirne a distanza il rapsodico cammino. Alla passione per il misticismo del giovane Cioran, corrisponde la volontà del fratello di entrare in un ordine monastico. Emil lo dissuade brutalmente, sfoderando nell’occasione tutto il suo vitalismo nietzschiano. In seguito al soggiorno in Germania del 1933-35, Cioran è in piena esaltazione politica. Non il cammino interiore, bensì l’azione collettiva, guidata da un capo carismatico, diventa l’unica via di salvezza in grado di condurre a quella trasfigurazione della Romania, che rappresenta l’ultima speranza di riscatto per la tâna˘ra generat¸ie.12 E così anche Aurel, sulla scia del fratello, abbandona la via religiosa per l’impegno politico. Tuttavia, se per Emil la passione per il destino del proprio paese si rivela un’infatuazione di breve durata – pretesto, più che altro, per sciorinare provocazioni geopolitiche e sfogare il suo irrefrenabile lirismo, frutto al contempo d’un disperato complesso d’inferiorità culturale e d’insonnie devastanti – per Aurel significa fede, culto, militanza in prima persona nella Guardia di Ferro.13 Quando nel secondo dopoguerra Cioran, dal suo isolamento parigino, pone in essere il personale «disormeggio» dalla storia – «Qualunque partecipazione ai tumulti temporali è tempo perso e vana dissipazione»14 – spingendo il fratello a fare altrettanto, è ormai troppo tardi. In patria, Relu sperimenta sulla propria pelle le tragiche conseguenze di una scelta politica rivelatasi perdente. La mannaia del socialismo di stato romeno non tarda ad abbattersi anche sul suo capo. Nel 1948, dopo un processo farsa, Aurel Cioran è condannato a sette anni di carcere e a otto anni di lavori forzati per attività legionaria. Stessa sorte tocca alla 8

sorella maggiore Virginia – evidentemente, per entrambi, il fatto di chiamarsi Cioran non è secondario. Aurel esce dal tunnel negli anni Sessanta, moralmente distrutto e con una depressione che lo accompagnerà per il resto dei suoi giorni. Si aggiunga a ciò, nel 1966, la perdita nel giro di un mese della madre Elvira e della sorella Virginia. Cioran lo sostiene a distanza, consigliandogli la lettura di Marco Aurelio – «non esiste consolatore migliore» – ed invitandolo al distacco dagli esseri e dalle vicende passate, insomma a non farsi cattivo sangue, prendendo le cose troppo seriamente. Dopo quarant’anni di separazione, Emil e Aurel si rincontrano nell’aprile del 1981 a Parigi. A tal punto il tempo e la sofferenza hanno segnato i loro volti, che alla stazione stentano a riconoscersi: «Sei tu?» – chiede Cioran al fratello. Nel crepuscolo delle loro vite, per una curiosa ironia del destino, ognuno vorrebbe trovarsi al posto dell’altro. Emil, per sfuggire all’asfissiante «garage apocalittico» parigino, sogna un’esistenza anonima, immerso nella campagna transilvana; mentre Aurel, al pari dei suoi compatrioti, sente ancora il fascino ammaliante di Parigi e della libertà occidentale. Quando nei primi anni Novanta il baratro dell’Alzheimer inghiotte progressivamente la mente lucida di Cioran, costringendolo al ricovero presso l’ospedale Broca, Aurel vorrà essere ancora accanto a lui. Impossibilitato a camminare, Cioran è costretto – lui infaticabile promeneur – sulla sedia a rotelle. Aurel lo accompagna nel parco dell’ospedale, rievocando insieme, in romeno o in francese, gli anni dell’infanzia. Simone Boué assicura di averli sentiti ridere, sghignazzare alla romena. Forse, ripensavano con sarcasmo a quel formidabile aforisma di Aurel, che Cioran volle includere in una sua raccolta: «La vecchiaia è l’autocritica della natura». Massimo Carloni

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Cfr. E.M. Cioran, Mania epistolare, in E.M. Cioran, Mon cher ami. Lettere a Mario Andrea Rigoni (1977-1990), trad. di Mattia Venturato, il notes magico, Padova 2007, p. 107. 2 E.M. Cioran, Storia e utopia, a cura di Mario Andrea Rigoni, Adelphi, Milano 1995, p. 23. 3 Ibid., p. 24. 4 Lettera a Renzo Rubinelli del 19 settembre 1987 in Cioran in Italia. Atti del Convegno (Roma, 10 novembre 2011), a cura di A. Di Gennaro e G. Molcsan, Aracne, Roma 2012, p. 50: «… credo al destino tanto intensamente quanto un contadino analfabeta. La mia visione del mondo non è parigina, è balcanica. Quello che viene chiamato il mio nichilismo, dall’altra parte dell’Europa è un’evidenza. La maledizione come certezza, e quasi come una forma di fede!». 5 Cfr. E.M. Cioran, Les secrets de l’âme roumaine. Le “dor” ou la nostalgie, ora in E.M. Cioran, Exercices négatifs. En marge du Précis de décomposition, Gallimard, Paris 2005, pp. 115-120. 6 Lettera al fratello del 6 aprile 1972. 7 Lettera al fratello del 17 ottobre 1967. 8 E.M. Cioran, Quaderni: 1957-1972, trad. di Tea Turolla, Adelphi, Milano 2001, p. 555. 9 Lettera a Gabriel Liiceanu del 28 giugno 1983, in Emil Cioran, Scrisori ca˘tre cei de-acasa˘, Editura Humanitas, Bucures¸ti 1995, pp. 297-298. 10 Lettera a Wolfgang Kraus del 4 marzo 1980, in Emil Cioran, L’agonia dell’Occidente. Lettere a Wolfgang Kraus (1971-1990), a cura di Massimo Carloni, trad. di Pierpaolo Trillini, Edizioni Bietti, Milano 2014. Su questo punto, vedi l’importante contributo di Renzo Rubinelli, che ha conosciuto entrambi i fratelli Cioran: «il pensiero di Emil è la vita concreta di Aurel. La sofferenza testimoniata da Emil è il dolore vissuto da Aurel», cit. in Renzo Rubinelli, Tra silenzio e parola: i miei incontri con Aurel ed Emil Cioran, in Cioran in Italia, cit., p. 42. 11 Lettera a Constantin Noica del 9 aprile 1980, in Scrisori ca˘tre cei de-acasa˘, cit., p. 323. 12 Giovane generazione degli intellettuali romeni degli anni Trenta comprendente, tra gli altri: Eliade, Ionesco, Noica, Vulca˘nescu e lo stesso Cioran. 13 Guardia di Ferro, altro nome con cui è noto il Movimento Legionario (Legione dell’Arcangelo Michele), formazione politico-religiosa e paramilitare ultranazionalista, fondata nel 1927 e guidata da Corneliu Zelea Codreanu (1899-1938), in seguito da Horia Sima (1907-1993). 14 Lettera al fratello del 1947.

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Nota al testo

La presente edizione è stata realizzata con l’intento di mettere a disposizione del pubblico italiano una raccolta significativa delle lettere che compongono il carteggio tra Cioran e il fratello Aurel, selezionate congiuntamente dai curatori. Il volume raccoglie 237 lettere, qui numerate in cifre arabe, che vanno dal 1931 al 1985, su un corpus totale stimabile, a tutt’oggi, intorno alle 400 unità. Tutti i manoscritti originali, su cui è stata condotta la traduzione delle presenti lettere, provengono dai lasciti di Aurel Cioran e sono conservati presso la Biblioteca Astra di Sibiu, ad eccezione della lettera n. 4, attualmente nella Biblioteca Academiei di Bucarest. Nei pochi casi d’irreperibilità o scarsa decifrabilità delle fonti manoscritte, abbiamo consultato le edizioni di alcuni carteggi di Cioran pubblicati in Romania, in particolare le raccolte Scrisori ca˘tre cei de-acasa˘, cit., e Aurel Cioran: fratele fiului risipitor, a cura di Anca Sîrghie e Marin Diaconu, Ed. Eikon, Cluj Napoca 2012. La scelta ha privilegiato i contenuti di particolare interesse letterario, filosofico e storico, utili all’esegesi dell’opera di Cioran, senza trascurare quei documenti che, apparentemente «insignificanti», rivelano il lato privato, quotidiano e affettivo dell’autore. Alcune di queste lettere (n. 5, 7, 11, 12, 44, 45, 47), vengono pubblicate qui per la prima volta, non essendo state finora comprese nelle varie edizioni di corrispondenza tra Emil Cioran e i familiari rimasti in Romania. I curatori non hanno evitato soggetti storicamente «scottanti», come alcune lettere politicamente «impegnate», scritte da Cioran negli anni Trenta e Quaranta, che, una volta estrapolate dal contesto storico e dall’evoluzione spirituale dell’autore, pos-

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sono condurre a lapidari e fuorvianti (pre)giudizi ideologici. Le lettere 1-6, 9, 11 e 13 sono scritte da Cioran in romeno (trad. di Horia Corneliu Cicortas¸), tutte le altre in francese (trad. di Massimo Carloni). Le espressioni in romeno, utilizzate di tanto in tanto da Cioran nelle lettere in francese, sono state lasciate in lingua originale in corsivo, e tradotte a fine lettera. L’apparato di note, ridotto all’essenziale, chiarisce alcune espressioni in lingua romena usate da Cioran, fornendo al contempo brevi informazioni su persone o luoghi citati. In alcuni casi, è stato necessario spiegare in modo esplicito il «codice» comunicativo usato da Cioran nel dopoguerra, per via della censura esercitata dal regime comunista in Romania. Alcuni brani tratti dai Quaderni 1957-1972 e dalla corrispondenza, completano il quadro delle vicende narrate. Desideriamo infine ringraziare il «Centre National du Livre» per aver concesso l’autorizzazione alla pubblicazione italiana delle lettere; Antonio Di Gennaro e Lilia Mentrasti per i preziosi suggerimenti in fase di rilettura; Mihaela Enache per il fondamentale supporto a distanza da Sibiu; Renzo Rubinelli per i ricordi di viaggio tra la Romania e Parigi, i consigli e… l’amicizia. Massimo Carloni e Horia Corneliu Cicortas¸

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