Ermetismo, post-Ungaretti, Neorealismo PDF

Title Ermetismo, post-Ungaretti, Neorealismo
Author ale laera
Course Italiano
Institution Liceo (Italia)
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Summary

ErmetismoL’ermetismo fu una corrente che ispirò molti autori degli anni 30 del 900, la quale prese a piene mani dal simbolismo derivato dai movimenti decadentisti ma estremizzando molto il concetto di ritrovamento dell’essenza della realtà, quella voglia cioè di voler cogliere il senso della vita at...


Description

Ermetismo L’ermetismo fu una corrente che ispirò molti autori degli anni 30 del 900, la quale prese a piene mani dal simbolismo derivato dai movimenti decadentisti ma estremizzando molto il concetto di ritrovamento dell’essenza della realtà, quella voglia cioè di voler cogliere il senso della vita attraverso la parola, spesso carica di significati molto intrinsechi. Per intenderci, dunque, parliamo di ciò che fece Ungaretti con i suoi scritti e in particolare l’Allegria, raccolta che fu pubblicata proprio nel 1931. Le poesie di Ungaretti (si sta come d’autunno sugli alberi le foglie, m’illumino d’immenso), infatti, cercavano di cogliere con pochissime parole e con la figura dell’analogia il senso della vita, di decifrare la realtà. Il movimento ermetico si sviluppò moltissimo a Firenze, dove vi era un punto di ritrovo chiamato Caffè delle giubbe rosse. Punta, come già detto, a carpire l’essenza stessa della realtà che ci circonda, e lo fa caricando la parola di significati che essa non può rappresentare, in modo simile al paradosso della qualia. Ovvero, è impossibile spiegare ad un cieco che non ha mai visto un colore come questo sia fatto attraverso delle parole, perché queste non hanno la capacità di farlo. La qualia è proprio quel paradosso che si crea quando si cerca di spiegare, con le parole, qualcosa di inesprimibile con esse. Il rosso è un colore caldo, vivace, pimpante. Sebbene queste parole possano effettivamente essere attribuite al rosso, nessuna di queste descrive realmente cosa sia il rosso. Gli ermetici, in maniera analoga, dovevano cercare di esprimere (con le parole) il significato stesso della vita, ma ciò è impossibile proprio come lo è spiegare con le parole cosa sia il rosso. La qualia, in realtà, è un paradosso potenzialmente risolvibile: cioè, magari siamo noi a non aver trovato un ordine, un abbinamento particolare di termini e parole che riesca a descrivere il rosso. I poeti ermetici cercano di risolvere il paradosso con le loro liriche particolari e cariche di significati densi e oscuri. Il linguaggio, infatti, sempre tenendo a mente Ungaretti, è molto allusivo e oscuro, tant’è vero che la maggior parte del pubblico non riesce a capire granché. Ciò, da un certo punto di vista, è un bene, perché ricordiamo che gli ermetici si svilupparono proprio a ridosso delle due guerre, quindi in pieno movimento nazista e fascista. Allora, tramite una poesia così ambigua, è possibile mandare ad una ristretta nicchia di persone dei messaggi antifascisti, che vengono dunque abilmente camuffati. Come già detto, è molto usata la forma dell’analogia come si vede in Ungaretti. L’analogia è infatti l’unico mezzo che possa esprimere l’essenza della realtà. Ciononostante, lo fa sempre in modo irrazionale, mai in modo concreto come si vedrà invece con il correlativo oggettivo di Montale.

Eugenio Montale (1896-1981) Montale nacque a Genova nel 96, il padre era titolare di una ditta commerciale. Frequenta le scuole tecniche e consegue il diploma di ragioniere. Partecipa alla prima guerra mondiale, in seguito stringe le prime amicizie con i poeti liguri, iniziando la sua attività di traduttore e finalmente di poeta. Conosce Piero Gobetti, fiero antifascista, di cui condivide appieno gli ideali. Montale non fu mai un poeta ermetico, anzi si oppone a molti degli ideali descritti da Ungaretti e in generale da molti altri poeti più tradizionali, però rifiuta del tutto il moto fascista proprio come facevano gli ermetici. Montale, in questo periodo, scrive un ampio saggio dedicato ad Italo Svevo. Ciò è molto importante in quanto Svevo fu sempre più riconosciuto in Francia e non in Italia, anzi in patria era quasi del tutto ignoto alle masse. Montale rimase comunque uno dei pochi a dar valore alle grandi abilità di Svevo, forse realmente riconosciutegli solo in tempi più odierni. Nel 25 Montale pubblica, sempre tramite Gobetti e la sua rivista, Ossi di Seppia, la sua prima raccolta. Firma inoltre il manifesto antifascista, ad ulteriore riprova del suo pensiero nei confronti del movimento. Fra l’altro, ospita Saba per proteggerlo dal regime nazifascista per motivi di persecuzione. Dopo la guerra, diventa il redattore del prestigioso corriere della sera. Nel 67 viene insignito dei premi quali venire eletto senatore a vita e il Nobel per la letteratura. Ossi di seppia, la sua prima raccolta del 25, si riferisce appunto a quegli ossi facilmente ritrovabili sulle spiagge nostrane. Alludono, sostanzialmente, sia all’aridità della vita (male di vivere), sia all’aridità della poesia stessa di Montale, molto spoglia e secca (praticamente, ridotta all’osso). Si rifà molto ai paesaggi liguri, che conosce bene, dove il sole, che non viene interpretato come un simbolo di pienezza vitale bensì come un sole che prosciuga avidamente ciò che lo circonda, secca e inaridisce la terra e l’aria. In questo ambiente così arido, si individua un uomo che è prigioniero della sua condizione, che cerca di giungere alla pienezza vitale valicando un muro invalicabile, e che è costretto a ripercorrere i suoi istanti all’infinito. Il tempo pare scorrere, ma in realtà l’uomo è sempre fermo nella sua posizione, e il moto è solo un’illusione. Queste le premesse, l’uomo si ritrova dunque a convivere con un male che frammenta il suo animo, disgregando il suo io, un po’ come accade con Pirandello. Questo male si traduce innanzitutto in un rimpianto eterno dell’infanzia, ma non si risolve secondo Montale in nessun modo, neanche con i ricordi stessi che sono fugaci e svaniscono come fossero nebbia. Una soluzione potrebbe, in definitiva analisi, essere quella di mostrarsi indifferente, in modo che la sofferenza scivoli via semplicemente perché ignorata. Questo emerge nella poesia Spesso il male di vivere ho incontrato, dove il poeta parla del malessere che si manifesta non solo nell’uomo ma in tutti gli oggetti, inanimati o animati che siano. Nella poesia appare anche uno degli strumenti che usa Montale per esprimersi: il correlativo oggettivo. Questo si contraddistingue dall’analogia perché, a differenza di essa, si basa su oggetti razionali, puntando ad evocare dei legami diretti fra la parola e l’oggetto, che si carica di significati molto profondi. Ad esempio, parlando del male di vivere, Montale scrive che era il rivo strozzato che gorgoglia, l’incartocciarsi della foglia riarsa, il cavallo stramazzato. Ritroviamo cioè elementi della natura che soffrono allo stesso modo in cui soffre l’uomo per via del male di vivere. Da notare anche il particolare della foglia riarsa, che si rifà a quanto detto prima (scenari aridi e secchi). Nella seconda parte della poesia vi sono correlativi oggettivi che invece mettono in relazione la divina indifferenza, rappresentata fieramente da una statua, da una nuvola e da un falco. L’indifferenza è uno dei modi che l’uomo può usare per contrapporsi a questo male di vivere. In tutto questo si riversa il profondo pessimismo che nutre l’autore nei confronti della vita in generale, e che si traduce anche nel suo pensiero sulla poesia. La poesia, infatti, secondo Montale non può dare messaggi positivi, ma soltanto negativi. Inoltre, la poesia non rappresenta la risposta, non trova l’essenza della realtà

o il senso della vita. Montale, dunque, si distingue da tutta la serie di poeti decadenti / simbolisti (fino a Ungaretti) e invece adotta una poetica che non dà risposte. Ciò emerge dalla poesia Non chiederci la parola, dove Montale dice che la poesia, in generale, non può ordinare i pensieri dell’uomo, cioè dargli delle risposte. Di ciò sono pienamente consapevoli il poeta e tutti i lettori in grado di comprendere la poesia; il conformista, invece, non capisce di trovarsi in questa situazione negativa, perturbata dal male di vivere e dal non poterlo risolvere in alcun modo. Il poeta dice infatti che il conformista (l’uomo sicuro) non si preoccupa neanche della sua stessa ombra, che simboleggia gli aspetti negativi della vita. La poesia si conclude in modo secco, intimando a tutti di non chiedere al poeta ciò che non è, ciò che non vuole, perché la poesia non può rivestirsi di un ruolo simile, di rivelatrice di risposte e del senso della vita. Per quanto riguarda il linguaggio, Montale punta ad unire aulico e prosaico (prosaico vuol dire volgare), in modo contrapposto e quasi ironico. Ci sono ritmi aspri e poco musicali. Nella seconda raccolta, fatta nel 39 quindi in pieno regime nazista e fascista, chiamata Le occasioni, Montale invece abbandona il registro misto fra prosaico e aulico in favore di quest’ultimo. I temi, in realtà, non cambiano molto. Innanzitutto si fanno più estremi gli strumenti già utilizzati negli Ossi di seppia, quali ad esempio il correlativo oggettivo, che viene qui portato al massimo. La poetica degli oggetti si riveste di significati sempre più densi e profondi. Inoltre, ancora una volta Montale rifiuta la poesia ermetica, disdegnando l’analogia e l’ambiguità del linguaggio. Va chiarito che Montale risulta difficile da comprendere semplicemente perché omette alcuni dati che potrebbero esplicare il significato della sua poetica degli oggetti, non perché scrive in modo ambiguo e allusivo come gli ermetici. Come unica similitudine si ha forse il pensiero ermetico: quello di rifiutare la società dittatoriale, il periodo nazifascista, cercando di contrapporsi ad esso con la poesia. In effetti, in questa seconda raccolta compare la figura di una donna-angelo in tutto e per tutto assimilabile a quella classica dantesca; la donna di Montale, che si ispira ad alcune che conobbe lui stesso, rappresenta l’intelligenza e la lucidità mentale. Se da un lato Montale è cosciente del fatto che la guerra non possa essere fermata con la pura forza della mente, dall’altro sa che conservare la lucidità è l’unico modo per impedire all’umanità di sprofondare nel caos. Questa donna-angelo può forse anche in parte risolvere la questione del male di vivere e dello scorrere ininterrotto del tempo, che si ripete all’infinito. La donna è dunque salvifica, cioè ha il potere di salvare l’uomo dalla sua condizione negativa. La terza raccolta del poeta, la Bufera, è infine decisamente più segnata dalle esperienze della guerra passata. Vi sono comunque le figure delle donne-angelo, fra le quali la Mosca che rappresenta sua moglie, ma in Montale si raccoglie il profondo pessimismo della società odierna (lui era liberalista, movimento che fu decisamente eliminato dopo la seconda guerra mondiale) e dell’incubo di un’imminente disastro atomico. Dopo questa raccolta, decisamente più cupa delle altre, Montale si raccoglie in un silenzio poetico che si protrarrà decisamente a lungo.

Neorealismo e gli autori (Levi, Pasolini) Il Neorealismo fu una corrente artistica che si sviluppò in campo letterario ma anche cinematografico. Nasce di fatto negli anni della guerra (1940/41) per poi svilupparsi appieno nel dopoguerra (1945), come conseguenza di quelli che furono i tragici avvenimenti portati dalla stessa. In effetti, la guerra cambiò del tutto moltissimi aspetti immutati precedentemente ad essa, e portò una carrellata di avvenimenti importanti, quali ad esempio lo sterminio degli ebrei o la lotta partigiana. A proposito del movimento della Resistenza, infatti, la stessa corrente neorealista si basa su ideali antifascisti. Come sappiamo, il crollo del regime fascista si ebbe proprio a causa della seconda guerra mondiale. Il neorealismo si basa su aspetti molto, appunto, reali, ovvero non c’è una mistificazione degli avvenimenti bensì essi vengono descritti come sono, non romanzati, in modo molto crudo. Come già detto, la corrente investì anche il campo del cinema: ebbene, è proprio qui che troviamo gli esempi più evidenti di crudezza. Le immagini proiettate sfaldano quelli che furono i tabù fino alla seconda metà del Novecento, valicando nuovi orizzonti. Uno dei film più famosi, la Crocevia, narra dello sbarco dei soldati americani in Sicilia del 43, avvenimento che portò alla prima liberazione dell’Italia e all’armistizio. I soldati italiani non combatterono contro gli Alleati, e i cittadini accoglievano gli Americani con giubilo. Ma il film neorealista si vanta anche di trattare gli aspetti peggiori, che si cerca sempre di nascondere, degli eventi: il Crocevia parla anche degli stupri e degli abusi degli americani nei confronti del popolo italiano.

Primo Levi (1919-1987) Una branca importante del movimento neorealista fu, di fatto, la memorialistica. Si tratta di narrare i propri ricordi, in maniera pulita, come detto prima non romanzati. Primo Levi nasce a Torino nel 1919. Era un ragazzo molto dotato, che riesce a laurearsi in Chimica (nei suoi scritti, comunque, appaiono molti riferimenti alla chimica. Il Sistema Periodico riferisce ogni evento ad un simbolo della tavola periodica); in particolare, sulla laurea compare anche la sua origine ebrea, che non gli crea troppi problemi almeno fino all’avvento delle leggi razziali in Italia. Nel 1943, anno in cui fu fondata la Resistenza e la guerra partigiana divenne più spietata, Levi non esita ad arruolarsi con i ribelli, ma viene catturato e posto in un campo di raccolta, e infine smistato ad un campo di concentramento in Polonia, Auschwitz. I campi di Auschwitz erano i più grandi e si vantavano di essere sia di concentramento che di sterminio. Ovvero, in breve, la vita di ogni ebreo deportato lì era sempre sul filo di un rasoio; non venivano mandati lì puramente per il genocidio, è vero, ma Auschwitz aveva tutti i mezzi per attuarlo. Levi, anche grazie alla sua laurea, riesce a fuggire dal campo, ma ha occasione di vedere tutte le situazioni sviluppatesi lì. Viene adoperato in laboratori dove venivano condotti esperimenti affatto etici, sul testare la resistenza dell’uomo o sulla genetica. Gli esperimenti adottavano raramente l’anestesia, a volte addirittura la vivisezione. Levi viene segnato a vita dall’esperienza ad Auschwitz e scrive molti libri di stampo memoriale riguardanti essa. Inoltre, il campo di concentramento influenza moltissimi aspetti del suo pensiero stesso. Per esempio, l’ateismo viene indotto dall’esistenza del campo stessa (). Levi muore nella tromba delle scale a Torino: dopo il campo, aveva lavorato come chimico e scritto diversi libri, sempre sulla corrente neorealista. Si pensa sia morto suicida. Levi diceva che il suicidio deriva da un pensiero filosofico. Diceva che ad Auschwitz, a causa delle urgenze quotidiane, nessuno aveva il tempo di pensare al suicidio, al massimo auspicarlo, ma mai metterlo in pratica. Se questo è un uomo fu il suo più importante scritto e racconta in modo crudo della sua esperienza al campo. Si tratta anche di uno dei primi memoriali mai scritti sulla deportazione degli ebrei, infatti venne inizialmente giudicato immaturo per i tempi. La popolazione non era ancora stata sensibilizzata riguardo ciò

che erano realmente i campi, ma grazie a Levi ed altri autori neorealisti si riuscì a rompere anche questo tabù. Pasolini (1922-1975) Pasolini nasce a Bologna da famiglia borghese. Ragazzo molto facoltoso, in università già a 17 anni, si laurea in lettere con una tesi su Pascoli. Per alcuni anni, vive nel paese natale della madre, Casarsa, dove inizia la carriera da insegnante, ma viene costretto a lasciare il paese a causa di uno scandalo sulla sua omosessualità. Pasolini non nascose mai il fatto di essere omosessuale, anzi quasi lo lasciava intendere pubblicamente, lo sbandierava. Quando lascia Casarsa, si trasferisce a Roma, dove inizia a scrivere poesie e romanzi, di stampo apparentemente neorealista, ma che in realtà si colloca nell’Ermetismo e nel Decadentismo. L’uso del dialetto, però, non è usato in modo ambiguo come facevano gli ermetici, bensì come una lingua pura e innocente. Pasolini voleva racchiudere nei suoi scritti quella che era l’innocenza pura del mondo contadino, che mise radici a tutte le altre forme di società. Vi sono altri concetti propri del Decadentismo, come l’attrazione per ciò che è, appunto decadente, e lo slancio vitale dato dalle teorie del vitalismo. Il suo romanzo più famoso, Ragazzi di vita, uscito nel 55 (poco prima del boom), parla della difficile vita degli adolescenti delle borgate romane, toccando concetti di criminalità, violenza, ma anche di umanità (come quando il personaggio di Riccetto si commuove per la morte di una rondine). Il linguaggio è molto semplice mentre nei discorsi viene usato il dialetto romagnolo. Ragazzi di vita fu solo il suo romanzo più conosciuto, ma in generale i temi che trattava si discostavano dal neorealismo proprio perché Pasolini non cercava negli umili (per esempio, nei ragazzi di strada) gli ideali positivi, come invece facevano i neorealisti, bensì puntava su una crudezza totale, descrivendo i lati buoni e quelli più oscuri delle realtà delle borgate. Inoltre, Pasolini ebbe anche occasione di conoscere questi ragazzi, dato che viveva in quartieri simili, e infatti da qui apprese il romagnolo usato poi nei libri. Intorno al 1960, si ha un potente boom economico che cambia radicalmente la società e lascia sconvolto la figura intellettuale di Pasolini. A causa di questo boom, infatti, Pasolini comprende che la letteratura è stata ormai messa da parte e passa al giornalismo e al cinema. Servendosi di questi mezzi, scrive articoli molto aspri riguardanti questo cambiamento della società, questo rinnegare le radici contadine che rappresentano le nostre umili origini. Si scaglia contro il consumismo e contro la nuova epoca, definendo il tutto come un nuovo fascismo; si scaglia anche contro il ceto politico, che accumula potere alle spalle del popolo, a cui si riferisce come “Palazzo”. Nei suoi saggi, pubblicati su quotidiani e riviste, inneggia nostalgicamente a quella che era la purezza del mondo contadino, e invece critica senza mezzi termini quella che è la nuova perfida società conformista e consumista. Questa società così corrotta non riserva più alcun ruolo alla figura dell’intellettuale, motivo per cui Pasolini si dedica al giornalismo e al cinema, come già detto. La letteratura non ha più alcuna funzione, se non quella di perdere la sua aura poetica e di essere usata come un mezzo di discussione, o di polemica, come fa Pasolini stesso. Pasolini fu dunque un intellettuale molto scomodo, che fu ampiamente criticato, sia per i suoi aspri saggi giornalistici, sia per i suoi film (molto espliciti, come da corrente neorealista). Veniva infatti perseguitato, subendo denunce e arresti. Fu assassinato in circostanze misteriose, forse proprio a causa di queste sue posizioni intellettuali, a Ostia....


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