G.C.ARGAN, Voce Critica d\'arte, in Enciclopedia Treccani PDF

Title G.C.ARGAN, Voce Critica d\'arte, in Enciclopedia Treccani
Course Elementi di critica e letteratura artistica
Institution Università degli Studi di Genova
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voce critica d'arte in enciclopedia Treccani, a cura di G.C. Argan...


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Critica d'arte

di Giulio Carlo Argan

sommario: 1. Compito e significato della critica. 2. La critica militante. 3. La critica dell'arte e la storia dell'arte. a) La critica della forma. b) La critica dell'immagine. c) La critica delle motivazioni. d) La critica dei segni. 4. La crisi della critica e la crisi dell'arte. □ Bibliografia. 1. Compito e significato della critica Nella cultura moderna l'arte è oggetto di studio da parte di una disciplina autonoma e specialistica, la critica d'arte, che opera secondo proprie metodologie, ha come fine l'interpretazione e la valutazione delle opere artistiche e, nel suo sviluppo, ha dato luogo al formarsi non soltanto di terminologie appropriate, ma di un vero e proprio ‛linguaggio speciale', che ‟ricorre con frequenza abnorme a una data sezione del lessico e, relativamente all'uso corrente, è ricco di termini tecnici derivanti da diverse nomenclature tecniche e scientifiche" (v. De Mauro, 1965, p. 1). Le opere artistiche sono sempre state oggetto di giudizi di valore e considerate come componenti di un patrimonio culturale che esigeva particolari attenzioni da parte della società e dei suoi organi rappresentativi, interessati a conservarle e a tramandarle (ma anche, non di rado, a toglierle di mezzo, a distruggerle, a sostituirle); e fin dall'antichità si è sviluppata intorno all'arte una vasta e varia letteratura con carattere, di volta in volta, cronistico o memorialistico, teorico e precettistico, storico-biografico, erudito e filologico, commentario o interpretativo. Tuttavia, soltanto a partire dal sec. XVIII, e cioè dall'epoca dell'illuminismo, la letteratura sull'arte si è configurata come disciplina critica, sviluppandosi a livelli diversi: filosofico, letterario, storiografico, informativo, giornalistico, polemico. L'alto grado di specializzazione e il sempre maggior peso culturale della critica d'arte nella seconda metà del secolo scorso e specialmente nel nostro dimostrano che essa risponde a una necessità obiettiva e non può considerarsi un'attività secondaria o ausiliaria rispetto all'arte stessa. È infatti impossibile intendere il senso e la portata dei fatti e dei movimenti artistici contemporanei senza tener conto della letteratura critica che a essi si riferisce. Una parte non piccola di tale letteratura è del resto dovuta agli stessi artisti, che spesso hanno sentito il bisogno di accompagnare, giustificare e sostenere la loro opera con dichiarazioni programmatiche e interventi polemici. Il fatto che, nella presente condizione della cultura, la critica sia necessaria al prodursi e all'affermarsi dell'arte, legittima l'ipotesi di una sorta d'incompiutezza o, quanto meno, di una non immediata comunicabilità dell'opera d'arte: la critica adempirebbe così a una funzione mediatrice, getterebbe un ponte al di sopra del vuoto che è venuto a crearsi tra gli artisti e il pubblico, cioè tra i produttori e i fruitori dei valori artistici. Questa mediazione sarebbe poi tanto più necessaria in quanto si vuole che l'arte sia accessibile a tutta la società, a una gran parte della quale è ancora precluso l'accesso al godimento e al consumo dei prodotti della cultura e, specialmente, dell'arte: la critica offrirebbe così, delle opere d'arte, una interpretazione ‛giusta', o addirittura scientifica, che varrebbe per tutti, senza distinzioni di classi. Ma se la funzione della critica fosse principalmente esplicativa e divulgativa non si spiegherebbe il suo porsi come scienza o, in altri casi, come un ‛genere' letterario, il suo ricorrere ad argomentazioni astruse e, per lo più, meno accessibili del testo figurativo a cui si riferiscono, il suo valersi di un ‛linguaggio speciale' in cui abbondano nomenclature specialistiche e, per la maggior parte del pubblico, ermetiche. Ancora meno poi si capirebbe perché la critica moderna, e proprio nelle sue espressioni più avanzate, non si limiti a giudicare quali opere siano artistiche e quali no, operando cioè su quello che è stato fatto

e presentato come arte, ma direttamente partecipi degli assunti programmatici e polemici delle correnti e tendenze, delle poetiche e delle intenzionalità più o meno esplicitamente dichiarate, mostrando così di preoccuparsi di quello che è ancora da fare o si sta facendo, e cioè del futuro orientamento dell'arte. Il fatto stesso, poi, che l'attività artistica si sviluppi, nel nostro tempo, attraverso contrasti di tendenze o correnti, il cui successo sul piano dei fatti è in ogni caso aleatorio, spiega il saldarsi della critica alle intenzionalità più che ai risultati del lavoro artistico e il suo carattere prospettivo più che retrospettivo. Indubbiamente, la necessità della critica dipende dalla condizione di crisi dell'arte contemporanea (v. arte), dalla sua difficoltà di integrarsi nel sistema culturale in atto, dalla rottura del rapporto che la collegava funzionalmente alle altre attività sociali. Se nel passato l'arte era il modello della produzione economica e le sue tecniche rientravano nel sistema tecnologico dell'artigianato, sicché il rapporto arte-società avveniva nel normale circuito della produzione e del consumo, tale rapporto ha cessato di esistere con la rivoluzione industriale, con l'instaurazione di una tecnologia strutturalmente diversa, con la nuova organizzazione economica e sociale, con il mutamento radicale della morfologia degli oggetti e dello stesso ambiente materiale dell'esistenza. Sorge così il problema della relazione tra l'arte, come attività in cui la funzione estetica è dominante (J. Mukařovský), e le altre attività ‛normali' della società, siano esse estetiche (ma non artistiche) o non estetiche. Ogni volta, praticamente per ogni nuova opera presentata come artistica, bisogna dimostrare anzitutto che è veramente opera d'arte, e poi le ragioni della sua presenza e attualità, la sua capacità di adempiere a una funzione socialmente necessaria e che, non essendo più l'arte un'attività integrata, ha i suoi effetti al di là del campo specifico dell'arte. Il compito della critica contemporanea è dunque, sostanzialmente, di dimostrare che ciò che viene fatto come arte è veramente arte e che, essendo arte, si salda organicamente ad altre attività, non artistiche e perfino non estetiche, inserendosi così nel sistema generale della cultura: ciò che, appunto, spiega il ricorso ad argomentazioni assai complesse e l'impiego di un ‛linguaggio speciale' in cui abbondano non soltanto i termini tecnici e scientifici (in quanto scienza e tecnica sono le attività egemoni nel sistema culturale in atto), ma letterari, sociologici, politici. Se, infine, la critica è un ponte tra la sfera ‛separata' dell'arte e la sfera sociale, quel ponte si costruisce muovendo dalla sfera artistica verso la sociale (e non inversamente), sicché la critica può considerarsi come un prolungamento o un tentacolo col quale l'arte tenta di agganciarsi alla società, qualificandosi come un'attività non totalmente discrepante o dissimile rispetto a quelle che la società accredita come produttrici di valori necessari, quali la scienza, la letteratura, la politica, ecc. 2. La critica militante Come processo interpretativo e valutativo e come tipo di letteratura artistica, la critica d'arte ha le sue origini nel Cinquecento, e precisamente nelle testimonianze letterarie delle reazioni emozionali suscitate dalle opere d'arte in soggetti particolarmente sensibili. I suoi primi atti riguardano la pittura veneziana (P. Aretino, P. Pino, L. Dolce) e la sua indipendenza dai principi teorici e normativi dell'arte toscana e romana. Finché l'arte è concepita come diretta da una teoria attraverso un insieme di precetti, la sola valutazione possibile dell'opera d'arte è la verifica della conformità della prassi alla teoria; se non si ammette il principio teorico, l'arte è soprattutto un fare, benché diverso dal comune fare perché suscitato e sollecitato da un furor interno, cioè dal sentimento, da uno stato di concitazione emozionale o affettiva. È questo, e non la verità dogmatica di una teoria, che l'opera comunica all'osservatore, il quale non può che ripercorrere l' iter espressivo dell'artista,

riviverne in proprio l'esperienza. Poiché anche opere non artistiche possono emozionare, così come opere artistiche possono emozionare attraverso fattori che non sono propriamente artistici (per es. la drammaticità del soggetto), l'interprete deve saper separare i motivi artistici dell'emozione dai non-artistici, fornendo così il modello di una fruizione giusta, che permette di godere dell'opera d'arte in quanto è tale e non, per esempio, in quanto è insegnamento morale o atto devozionale o raffigurazione di cose o eventi. In altre parole, fin dall'origine la critica d'arte è l'accertamento della artisticità dell'opera d'arte, in quanto si ammette che proprio e soltanto per il suo essere tale adempia alla sua funzione. Fin da questo primo momento, la critica, esercitata per lo più da letterati, non tende a divulgare, ma piuttosto a restringere la fruizione del valore artistico a una cerchia di spiriti eletti, di persone di cultura; e poiché in essa rientrano coloro che, per la loro condizione sociale, sono in grado di influire sulla produzione artistica attraverso le commissioni e gli acquisti, la critica tende a orientare il gusto nel senso di creare condizioni più favorevoli all'affermarsi della tendenza artistica che si ritiene capace di dare i risultati migliori. Finalizzando l'arte a esiti religiosi o moralistici, la Controriforma fa leva sulla forza persuasiva e quindi sulla presa emozionale o affettiva delle immagini, pure esigendo che la mozione degli affetti venga controllata e organizzata in modo che gli effetti siano benefici. Soltanto gli intenditori o i dirigenti possono rendersi conto del valore intrinseco dell'opera d'arte, ma la sua forza persuasiva o edificante deve esplicarsi nell'intero corpo sociale. È tipico in questo senso il comportamento dei critici romani del Seicento: si richiamano a una teoria dell'arte e alla normativa che ne consegue, ma non perché siano persuasi che solo rispecchiando la teoria le opere possono essere veramente opere d'arte, bensì perché vogliono che anche nell'arte sia d'obbligo l'ubbidienza ai principi d'autorità. G. P. Bellori e G. Mancini capiscono l'importanza del Caravaggio, ma lo biasimano come ribelle all'autorità dell'idea e della storia, e preferiscono e raccomandano Annibale Carracci la cui pittura, meno traumatizzante, agisce positivamente sull'immaginazione e sul sentimento, senza creare problemi. La loro attenzione si concentra sul mezzo della persuasione, la retorica del discorso pittorico, più che sui contenuti del messaggio figurativo. Applicando estensivamente il principio ut pictura poësis, che postula la traducibilità della rappresentazione in discorso letterario, si procede a una descrizione o versione poetica (G. B. Marino) o prosastica (Bellori) del testo figurato, cercando di rendere nella scelta delle parole e nell'articolazione della frase la bellezza delle forme e dei colori. Meno diversa di quanto potrebbe a prima vista sembrare è, nell'ambiente veneziano, la posizione di M. Boschini, certamente più libero da premesse teoriche, ma ugualmente interessato al mezzo della persuasione, che, nel suo caso, è la fattura concitata, la gestualità medesima del fare pittorico. La critica specialistica, nel senso scientifico e professionale del termine, è nata in Inghilterra nel sec. XVIII, nell'ambito di quella cultura illuministica che, ricusando ogni dogmatismo, negava il valore delle teorie dell'arte e del bello nonché l'autorità del modello storico dell'antico. Se l'opera d'arte non è più valutabile dalla conformità a un dato ideale formale, soltanto dall'analisi del suo contesto, cioè del modo con cui è fatta, potrà dedursi se sia veramente artistica. L'Inghilterra non aveva una propria tradizione figurativa: la nuova ‛scuola' pittorica inglese, a cui si voleva dar vita, poteva nascere soltanto dalla scelta del ‛meglio', e cioè dalla critica di quelli che erano i due grandi filoni dell'arte europea: l'idealismo classicistico dell'arte italiana e francese e il realismo testuale dell'arte olandese. Inoltre si sentiva la necessità di proteggere il fiorente mercato artistico locale dall'invasione dei falsi, delle copie, degli scarti provenienti per lo più dall'Italia: per questo era necessario il formarsi di una ‛scienza' (il termine è di S. Richardson) capace di riconoscere l'autenticità delle opere d'arte. Il concetto di ‛qualità', che prende il posto del concetto di ‛bello'

come definizione del valore artistico, rimane tuttora il concetto fondamentale della critica; e poiché la qualità non si deduce da modelli, ma si consegue nel corso del processo espressivo, il critico non può far altro che ripercorrere l'iter operativo dell'artista, controllandone la continuità e la coerenza. L'arte è ormai concepita come un certo tipo di processo, l'opera d'arte è il risultato di un procedimento o di un comportamento artistico: soltanto l'esperienza dei vari modi di procedimento artistico, o delle diverse ‛maniere' degli artisti, può permettere al critico, ora inteso come ‛conoscitore', di riconoscere che una data opera è ‛autenticamente' artistica. La qualità, infatti, è la medesima cosa che l'autenticità; ma già W. Hogarth, il fondatore della scuola pittorica inglese, aveva dell'autenticità un'idea più vasta che non fosse quella dell'autografia, della fattura genuina, dell'attribuzione giusta. La conformità alle regole, ai modelli, alle convenzioni escludono l'autenticità, come l'escludono l'allegorismo forzato, l'oratoria celebrativa, l'adulazione encomiastica. Tutta l'arte della tradizione classico-barocca è dunque ideologicamente, anche se non tecnicamente, non-autentica, falsa: infatti è prediletta (e lo si vede nel primo quadro di The marriage à la mode di Hogarth) dalla classe aristocratica, che vanta le origini ‛storiche' e le ragioni ‛ideali' (non si sa quanto autentiche anch'esse) di un'autorità e di un potere che di fatto ha perduti. La borghesia, nemica del fasto e attenta alla realtà delle cose, ha altri interessi nel campo dell'arte: se la casa del ‛nobile signore' in rovina del primo quadro del Marriage era adorna di quadri italiani, la casa del ricco borghese dell'ultimo ha, alle pareti, quadri olandesi. Ma, nella pittura olandese, la descrizione minuta del vero riflette bensì lo spirito positivo e il senso della realtà, ma anche il limite della mentalità borghese: un limite da cui il borghese Hogarth vuole emendata la propria classe sociale, che vede destinata a succedere all'aristocrazia nella gestione del potere. Di qui la necessità della critica, sia nei confronti dell'idealismo sia nei confronti del verismo. Poco più tardi J. Reynolds, capo riconosciuto dell'ormai affermata scuola inglese di pittura e primo presidente del suo organo ufficiale, la Royal Academy, sosterrà che la critica non è soltanto la riflessione sull'opera compiuta, ma una componente strutturale e determinante dell'arte che, nel suo farsi, non è altro che un succedersi di scelte di gusto. L'arte, nel pensiero del Reynolds, non procede dalle teorie né dall'ispirazione, ma dalla conoscenza e dal giudizio dell'arte del passato. La storia dell'arte dimostra che i modi sono diversi e talvolta contraddittori, tali da non potersi conciliare nello stile del medesimo artista: non v'è dunque un'opera d'arte che realizzi l'arte nella sua totalità, l'artista deve giudicare e scegliere: per esempio tra la forza del disegno e la luminosità del colore, tra i ‛sentimenti sociali' di Raffaello e il ‛sublime' solitario e inaccessibile di Michelangiolo. La scelta dell'artista sarà sempre, inevitabilmente, univoca e parziale, condizionata dalle sue preferenze di gusto, finalizzata all'opera che sta compiendo; ma la critica, rilevando difetti e limiti, che in realtà sono caratteri distintivi, ricollega il particolare dei singoli artisti all'idea globale dell'arte, che risulta da tutte le maniere ed è comprensiva di tutti i caratteri, anche se tra loro contraddittori. È garantita così la non-arbitrarietà delle scelte individuali e, quindi, la libertà della ricerca. Anche J. B. Dubos e D. Diderot insistono sul tema della passionalità delle scelte di gusto e sulla necessità che l'opera d'arte ‛tocchi' l'osservatore: non più per persuaderlo, ma per comunicargli l'impulso del ‛genio' e riscattano così dall'inerzia e dalla piattezza della vita quotidiana. Poiché il critico è, tra gli osservatori, il più vicino all'artista, la critica è l'apparato mediante il quale la società utilizza l'energia creativa dell'arte. Nel secolo successivo, la vastissima opera critica di J. Ruskin, il primo scrittore non-artista che si sia occupato esclusivamente dell'arte, insiste tutta sul criterio dell'autenticità ideale. Nella sua prima fase, esemplarmente autentica è la pittura dei paesaggisti inglesi, specialmente quella di J. Turner, che vengono indicati come i veri ‛pittori moderni'; nella seconda, l'autenticità assoluta dell'arte è

ravvisata nei maestri del Trecento e del Quattrocento. La purezza dell'arte si offusca e scompare nel Rinascimento, quando l'arte viene inquinata dall'intellettualismo della scienza: e in questo il Ruskin riprende dallo spiritualismo di W. Blake la drastica distinzione tra la falsa conoscenza della scienza e la conoscenza autentica, la rivelazione della realtà che si dà soltanto, nella sua pienezza, nell'arte. La critica ruskiniana è apologetica, esortativa, polemica: rievoca l'eticità intrinseca e l'umiltà religiosa del lavoro artistico degli antichi maestri, deplora che l'avvento dell'industria abbia distrutto nella coscienza del popolo, con l'esperienza estetica, il sentimento profondo della vita, l'impulso a creare. Dopo Ruskin, W. Morris denuncia anche più duramente la contraddizione tra lavoro artistico e lavoro industriale, la condizione di subordinazione servile, di non-autonomia e di non-creatività, in cui quest'ultimo pone i lavoratori, l'azione diseducativa che la non-esteticità dei prodotti industriali esercita sulla comunità. Morris ha un'ideologia politica, è un socialista: la sua critica assume un carattere pragmatico. Morris è stato infatti l'ideatore, il promotore, il dirigente di quel centro di produzione di oggetti artistici utili all'esistenza (Arts and crafts), che diffonderà ovunque lo stile e l'ideale sociale dell'art nouveau . La critica diventa così intervento attivo in una situazione sociale e politica, perché la scomparsa della finalità estetica già congiunta a tutti gli atti del lavoro e dell'esistenza compromette la dignità e la libertà dei lavoratori, ridotti a meri strumenti e sottoposti allo sfruttamento degli imprenditori. In tutt'altro senso, aprendo il corso della critica romantica, Ch. Baudelaire afferma che essa deve essere ‟parziale, appassionata, politica", fatta da un punto di vista ‟esclusivo", ma tale da aprire ‟i più larghi orizzonti". La caratteristica dell'arte romantica, per il Baudelaire, è di appartenere al proprio tempo e di rispecchiarlo: qualità diventa sinonimo di attualità. L'artista romantico - di cui E. Delacroix è il perfetto esemplare - appartiene ormai a una minoranza intellettuale che coltiva le qualità che la media piccolo-borghese reprime: l'immaginazione, la sensibilità, l'entusiasmo. Baudelaire è critico perché, come poeta, si sente vicino e solidale all'artista: v'è tra le arti una ‛corrispondenza' che va molto al di là dei contenuti o dei soggetti ‛poetici', si estende alla qualità delle immagini, all'affinità tra il timbro del colore e il suono della parola poetica. Più tardi un altro poeta, S. Mallarmé, che amerà circondarsi di pittori (tra gli altri, Cl. Monet, P. Gauguin, J. Whistler), porterà più a fondo la ricerca di un'affinità strutturale tra pittura e poesia, fino a tentare, per primo, una poesia ‛visiva': non farà critica, ma, in una concezione globale dell'arte come vita, riunirà il lavoro artistico a quello letterario. Pittore e scrittore di estrazione romantica, E. Fromentin affronta il problema dell'arte del passato dal punto di vista dell'artista moderno: in Les maîtres d'autrefois descrive e analizza con estrema finezza le proprie reazioni d'artista davanti ai quadri di Rubens, di Rembrandt, di Frans Hals: si interessa soltanto dello stile pittorico, studia come quei maestri abbiano risolti, al cavalletto, problemi...


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