Ungaretti - RIASSUNTO CRITICA IN PROGRAMMA (Cortellessa) PDF

Title Ungaretti - RIASSUNTO CRITICA IN PROGRAMMA (Cortellessa)
Author Sarha Fiorenza
Course Letteratura italiana contemporanea
Institution Università degli Studi di Catania
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Summary

GIUSEPPE UNGARETTIQuel meraviglioso paese del sentito direIl paese del sentito dire è l'Italia, patria dei genitori di Ungaretti ma non sua, che è nato ad Alessandria d'Egitto da genitori immigrati; l’Italia è una patria lontana, luogo dell'immaginazione ma non della memoria (ne sente parlare da ami...


Description

GIUSEPPE UNGARETTI Quel meraviglioso paese del sentito dire Il paese del sentito dire è l'Italia, patria dei genitori di Ungaretti ma non sua, che è nato ad Alessandria d'Egitto da genitori immigrati; l’Italia è una patria lontana, luogo dell'immaginazione ma non della memoria (ne sente parlare da amici dei genitori e dai genitori stessi). Ungaretti nasce ad Alessandria nel 1888 (l'8 febbraio, ma all'anagrafe risulta il 10), pare in una notte di tempesta; analizzando il cognome, si pensa che il padre Antonio discenda dai mercenari ungheresi che arrivano in Italia nel '300 con i Valois; egli era originario della Lucchesìa (provincia di Lucca in Toscana) e si era trasferito in Egitto per lavorare come sterratore sul canale di Suez. Dopo qualche anno, sarebbe stato raggiunto dalla fidanzata Maria Lunardini (anche lei toscana e lucchese), e avrebbero messo al mondo Costantino, nel 1880. Il lavoro, ben presto, trasformerà il vigoroso Antonio in un relitto. Una terapia sbagliata contro l'edema alle gambe (per il troppo lavoro nella fanghiglia) lo porterà prima all'amputazione, poi alla morte, quando Giuseppe ha solo due anni. Resta la madre, tutta d'un pezzo, che manda avanti una piccola impresa (un forno), e che, essendo sempre affaccendata e rigida perché deve mandare avanti la famiglia da sola, non si abbandona molto spesso alla tenerezza con i figli. Per Ungaretti la madre viene rappresentata nel “Sentimento del Tempo”, come una “statua davanti all'Eterno” di marmorea fissità. L'unico momento di debolezza è il ricordo del compagno scomparso, ecco perché ogni settimana Giuseppe viene condotto al camposanto attraverso una lunga camminata nel deserto egiziano, i cui paesaggi desolati, gli strani scherzi della luce e del calore (il miraggio e l'abbagliamento tanto cari al poeta), restituivano un senso di morte e catastrofe continuo = “Ad Alessandria la vita non lascia alcun segno della sua permanenza nel tempo”, qualsiasi cosa viene portata via, mutata e anche distrutta dal tempo (il sentimento del tempo che darà il nome ad una delle raccolte più famose). Alessandria è divisa tra DESERTO e MARE, entrambi spazi sterminati da traversare, spazi di appartenenza ma anche di estraneità per il poeta. In Ungaretti troviamo il personaggio dello straniero, il déraciné (privo di radici). Vi è un’antinomia tra INQUIETUDINE ESISTENZIALE che spinge a spostarsi sempre; e TENSIONE AL RADICAMENTO, al riconoscimento di sé in una patria e all'adozione di immagini e miti familiari (cardine della personalità poetica e umana di Ungaretti). Alessandria è terra estranea anche perché è un luogo di incontro per tante etnie e lingue diverse (il porto del mondo); Ungaretti avrà sempre uno spirito cosmopolita, che lo farà sentire a casa in una metropoli come Parigi, o quando emigrerà in Brasile, o quando ancora, vecchio e famoso, viaggerà in tutto il mondo per riscuotere i propri successi letterari. Questo cosmopolitismo però è anche ragione di profonda inquietudine (perché non si ha una patria ben precisa, si è un “senza terra”), sensazione diffusa anche tra gli amici del poeta, tra i quali uno, Mohamed Sceab, che pagherà con la vita questa sensazione. Egli, infatti, come descritto nella poesia “In Memoria”, si toglierà la vita perché si sentirà di non appartenere a nessuna delle due “civiltà” a lui care (quella araba, delle origini, e quella francese d'adozione). Moamed Sceab si toglie la vita perché si sente senza radici (déraciné). Esule in Francia e nel proprio paese, subisce una crisi di identità. Rimane come sospeso tra la tradizione, che ha lasciato alle spalle, e il nuovo orizzonte culturale, non sufficientemente interiorizzato. La condizione di dericinè di Moammed rispecchia molto da vicino quella del poeta che, pur di origine italiana, era nato in Egitto, da dove era successivamente emigrato in Francia. Studia in una delle più prestigiose scuole di Alessandria, la Svizzera École Suisse Jacot. L'amore per la poesia nasce durante questo periodo scolastico e si intensificò grazie alle amicizie che egli strinse nella città egiziana, così ricca di antiche tradizioni come di nuovi stimoli, derivanti dalla presenza di persone provenienti da tanti paesi del mondo; Ungaretti stesso ebbe una balia originaria del Sudan, una domestica croata ed una badante argentina. In questi anni, attraverso la rivista Mercure de France, il giovane si avvicinò alla letteratura francese e, grazie all'abbonamento a “La Voce”, alla letteratura italiana: inizia così a leggere le opere, tra gli altri, di Rimbaud, Mallarmé, Leopardi, Nietzsche, Baudelaire. Nel 1906 conobbe Enrico Pea, da poco tempo emigrato in Egitto, con il quale condivise l'esperienza della "Baracca Rossa", un deposito di marmi e legname dipinto di rosso che divenne sede di incontri per anarchici e socialisti. Nel 1912 Ungaretti parte per Parigi (il salto vitale, l'esperienza che tutti i giovani intellettuali del tempo devono fare), ma prima fa tappa in Italia, dove, tra le altre cose, scopre la montagna. Arrivato a Parigi, divide una camera d'albergo con l'amico Sceab. Si trova in un vortice di nuove sensazioni, mille stimoli culturali che può veder nascere (e non arrivare in ritardo, come ad Alessandria); conosce tantissimi intellettuali del periodo, tra cui Aldo Palazzeschi che gli

pubblica tre poesie sulla rivista Lacerba. Studia alla Sorbona, frequenta le lezioni di Bergson e di filologi famosi a lui contemporanei; Parigi nell’itinerario esistenziale di Ungaretti significa l’assimilazione di una cultura vitale, la presa di coscienza delle sperimentazioni in atto che tanto lo attraevano, l’attenzione a tendenze artistiche che lasceranno il segno, la scoperta, forse, della propria vocazione di poeta. Ma Parigi è anche la città ‘’straniera’’ in cui l’antico compagno di studi Moammed Sceab si toglie la vita nel 1913, nell’alberghetto di una piccola via che sbocca proprio davanti alla Sorbona. Il vero maestro di Ungaretti è, però, APOLLINAIRE, “francese di nostalgia” (nato a Roma da famiglia ebrea, lei nobildonna polacca, lui ex ufficiale borbonico italiano di origine greca) con il quale il poeta stringerà una forte amicizia (ogni licenza dalla guerra i due la passeranno insieme, e addirittura si innamoreranno della stessa donna), arrivando a chiedergli di tradurre le sue poesie in francese. Apollinaire tradurrà solo “In Memoria” e allora Ungaretti inizia a scrivere pure in francese. Da Apollinaire Ungaretti prende l'abolizione dell'interpunzione, che conferisce uno stile vorticoso. Giuseppe Ungaretti e Guillaime Apollinaire sono uniti da un rapporto di reciproca stima, amicizia e affinità, sia artistica che personale. “La mia poesia è nata in realtà in trincea [...]; la guerra improvvisamente mi rivela il linguaggio. Cioè io dovevo dire in fretta, perché il tempo poteva mancare, e nel modo più tragico [...] e quindi se dovevo dirlo in fretta lo dovevo dire con poche parole, e se lo dovevo dire con poche parole lo dovevo dire con parole che avessero una intensità straordinaria di significato.” L’esperienza della Prima guerra mondiale è il punto d’avvio della biografia poetica di Ungaretti e rappresenta il contatto con la dimensione scarna ed essenziale dell’esistenza. Egli si pone come testimone lirico della guerra. Per lui la condizione sperimentata nel conflitto bellico diventa occasione di ricerca della sua identità profonda e insieme indagine sulla condizione umana messa a nudo dall’esperienza di trincea. Il poeta non si interroga sul perché della guerra, ma su come la condizione militare e la presenza del rischio strappino l’individuo a sé stesso spingendolo a ricercare l’innocenza perduta, ovvero quella condizione originaria in cui l’io riconosce la sua fragilità di creatura e cerca un intimo legame con i suoi simili e con il cosmo. La guerra diventa così una sorta di “esame di coscienza” del poeta. “L’uomo nella guerra manifestava i suoi peggiori istinti anche se quella guerra, anche se c’eravamo entrati, anche se l’avevamo voluta, ci sembrava che fosse l’ultima guerra, che fosse la guerra per liberare l’uomo dalla guerra. La guerra non libera mai l’uomo dalla guerra. La guerra è e rimarrà l’atto più bestiale dell’uomo”. In guerra si andava anche per risolvere i propri problemi esistenziali. Guerra farmaco. L’uomo della trincea come l’uomo della metamorfosi di Kafka. Uomini che ovviamente tornano dalla guerra diversi, cambiati, come in una metamorfosi. La nuova parola poetica deve essere vergine, pura, essenziale: la poesia emerge dal silenzio, dagli abissi misteriosi della coscienza e della condizione umana. Accanto alla parola rinnovata, anche la sintassi cambia: la frase si scarna, la punteggiatura e quasi assente, il ritmo si spezza. Egli trae spunto dai simbolisti (tensione verso l’assoluto, nell’importanza agli spazi bianchi e al silenzio) e dai futuristi (adozione del verso libero, abolizione della punteggiatura e il procedere delle analogie). Allegria di naufragi è una raccolta di poesie: Il primo nucleo di poesie fu stampato ad Udine nel 1916, durante la prima guerra mondiale, ed era intitolato Il Porto sepolto. Una seconda edizione, battezzata appunto Allegria di naufragi, viene pubblicata nel 1919. In questa seconda edizione vengono aggiunte alcune nuove poesie, fra cui quella che dà il titolo alla raccolta. La raccolta contiene poesie scritte a partire dal 1914. Infine, a partire da un'edizione del 1931, la raccolta viene presentata con il semplice titolo di L'Allegria. L'Allegria si presenta come un diario del tempo di guerra, e ognuno dei componimenti è seguito dall'indicazione del luogo e della data. La raccolta si divide in cinque sezioni, ognuna dedicata a periodi differenti, prima, durante e dopo la guerra: 1. Ultime, Milano 1914-1915; 2. Il Porto Sepolto, dal dicembre 1915 all'ottobre 1916;

3. Naufragi, dal dicembre 1916 ad agosto 1917, include la poesia Mattina; 4. Girovago, da marzo a luglio 1918, comprende la altrettanto celebre Soldati; 5. Prime, Parigi-Milano 1919. Sono poesie fulminanti, rapide, concise, dove l’emozione che le sostiene cerca la costante complicità del lettore. Una seconda edizione è datata 1923, con l’introduzione nientedimeno che di Benito Mussolini. In questa raccolta Ungaretti rompe con tutte le regole tradizionali della forma poetica e trionfa, invece, una tensione espressionistica che nasce dall’urgenza biografica; quindi, si esalta la parola in sé stessa come in una sorta di «religione della parola». Infatti, verso e parola molto spesso coincidono perché il poeta aveva bisogno di dire molto con poche parole: «Le poesie dell'Allegria sono scritte per dire con la massima precisione possibile (non si arriva mai ad esprimersi con precisione), ma, insomma, per dire con la massima approssimazione quello che sentivo: dire così in pochissime parole... Non c'era tempo». (da Vita, poetica, opere scelte, Mondadori, 2007). MITO DEL PORTO Il componimento, che dà il titolo alla prima raccolta ungarettiana, assume una particolare importanza per intendere l'idea di poesia che ne è alla base. Così ha scritto Ungaretti: «Si vuole sapere perché la mia prima raccolta s'intitolasse Il Porto Sepolto. Verso i sedici, diciassette anni, forse più tardi, ho conosciuto due giovani ingegneri francesi, i fratelli Thuile, Jean e Henri Thuile. Entrambi scrivevano. [...] Abitavano fuori d'Alessandria. in mezzo al deserto, al Mex. Mi parlavano d'un porto, d'un porto sommerso, che doveva precedere l'epoca tolemaica, provando che Alessandria era un porto, che già prima di Alessandro era una città. Non se ne sa nulla: quella mia città si consuma e s'annienta d'attimo in attimo. Come faremo a sapere delle sue origini se non persiste più nulla nemmeno di quanto è successo un attimo fa? Non se ne sa nulla, non ne rimane altro segno che quel porto custodito in fondo al mare, unico documento tramandatoci d'ogni era d'Alessandria. Il titolo del mio primo libro deriva da quel porto». Ciò suscita in lui un’immediata analogia: il porto sepolto di Alessandria corrisponde al luogo interiore in cui confluisce ogni segreto indecifrabile delle nostre esistenze. Il poeta è colui il quale va alla ricerca del suo porto sepolto (rappresenta simbolicamente la dimensione dell'interiorità dell'animo). L’intimità dell’animo è una dimensione "morta" in quanto non visibile alla luce del sole, ma sepolta nelle profondità del cuore, a cui si può arrivare solamente con lo scavo in sé stessi. Per riuscire a scoprire questo segreto, il poeta non può far altro che mettersi la muta da palombaro e scendere dentro sé stesso, come gli archeologi in fondo al mare, per scandagliare il proprio io, tornando al momento prenatale (in questo caso l’acqua è simbolo della placenta materna). Il poeta diventa così un nuovo Orfeo, mitica figura di cantore e poeta che era riuscito a commuovere gli dèi degli inferi e a farsi restituire Euridice, sua giovanissima sposa da poco defunta. Fare poesia significa così tirare fuori le parole dagli abissi, portarle alla luce e disperderle nel mondo, affinché vivano di vita propria. Al poeta, di questa complessa operazione, non resterà altro che “il nulla”, fatto però di un segreto inesauribile, che lo spingerà a reimmergersi nel suo io profondo altre mille e mille volte. Il poeta si inabissa nel proprio essere, prende la parola, torna alla luce (riemerge) e la disperde, ma essa non è che un eco, non è più il concetto ma una reminiscenza di esso. La parola poetica è, quindi, traccia di un abisso nella vita di chi la usa, che solo il poeta può perlustrare. LA LINGUA Ungaretti sin da piccolo è abituato a parlare italiano, quindi sviluppa questo amore per la patria mai vista anche per questo è un ITALIANO DI NOSTALGIA ma ritorno ad un'origine invisibile (lui non l'ha mai vista), quindi è una REMINISCENZA. L’IDEA DELLA REMINISCENZA rimonta a Platone, perché la memoria “assoluta”, che esplora un'esperienza mai vissuta, in realtà riporta a galla degli echi, delle tracce (in questo caso gli archetipi dell'italianità). Ai fratelli Thuile Ungaretti deve anche l'iniziazione alla letteratura europea. Essi, infatti, erano scrittori e letterati, sebbene studiassero ingegneria. Cambia la patria del “sentito dire”, non più l'Italia ma la Francia, e là Ungaretti si trasferirà nel 1912. La formazione letteraria passa anche per la rivista greca “Grammata”, attraverso la quale Ungaretti conoscerà il poeta Costantino Kavafis, e per le scuole: prima l'istituto Don Bosco, poi l'école suisse Jacot, dove conosce Sceab e ha come insegnanti Mr. Pickles, che gli parlerà di Nietzsche, e Monsieur Kohler, grazie al quale scopre il decadentismo francese (soprattutto Mallarmé). Gli anni della scuola sono anche forieri di amicizia e prime esperienze con l'altro sesso. Amicizia perché Ungaretti stringerà un rapporto fortissimo con Alcide Barriére, un suo

compagno che poi si trasferirà in un'altra scuola dopo la morte del padre, suscitando in lui un profondo sconforto (prima esperienza con la separazione da una persona cara). Per l'amico scriverà il suo primo sonetto. Prime esperienze con l'altro sesso perché Ungaretti racconta che un giorno, sempre a casa dell'amico Alcide, vi si trovasse anche Louise, la figlia della governante tedesca di lui. Questa ragazzina molto attraente convinse i giovanotti a giocare “alle galline”, ossia li fece accovacciare, sbottonò ad uno ad uno i pantaloni e tirò fuori l'arnese, ancora piccolo, di ognuno di loro. EVA entra nell'immaginario del poeta, e in certi componimenti si capisce che Ungaretti non è nuovo agli incontri occasionali con donne (esperienze di forsennata lussuria). Un'altra passione che si sviluppa nel poeta durante gli anni di Alessandria è la POLITICA = la figura di Enrico Pea, versiliano, arrivato in Egitto a 15 anni, semianalfabeta (ma in seguito valido scrittore), ateo, socialista e anarchico, diventa importante per il poeta, che con lui stringe una solida amicizia, arrivando per un periodo a condividerne le idee “rosse” e a frequentare la Baracca rossa, un centro di ritrovo per i socialisti alessandrini. Negli anni egiziani Ungaretti è sicuramente una figura di un certo rilievo, nella comunità italiana di Alessandria, ma la sua evoluzione è lenta e graduale, non trova subito il proprio stile e linguaggio. I primi pezzi, in prosa, li firma col nomignolo “giunga”, contrazione di nome e cognome, ma anche un auspicio a sé stesso per trovare la propria maturità artistica. Quando nel 1914 scoppiò la Prima guerra mondiale, Ungaretti partecipò alla campagna interventista, per poi arruolarsi volontario nel diciannovesimo reggimento di fanteria, quando il 24 maggio 1915 l'Italia entrò in guerra. Capitolo 2 – Mai stato tanto attaccato alla vita Nel 1966 Ungaretti torna sul Carso, la regione in cui aveva passato la maggior parte del tempo durante la Prima Guerra Mondiale. Eppure, non degna di uno sguardo le trincee, i memoriali... quello che tiene vivo l'interesse del poeta è la terra, i sassi del luogo. In chi è stato in guerra, ciò che lascia il segno sono i piccoli dettagli, gli odori, le luci, e soprattutto le materie con cui la carne umana è stata a contatto (fango, pietre...). E proprio la pietra (quella del San Michele, sul Carso, in una delle poesie appartenenti a Porto Sepolto, “Sono una creatura”) è la prima cosa che il poeta va a cercare cinquant'anni dopo la guerra. E la simbologia della pietra, correlata alla guerra, torna anche in un altro famosissimo componimento ungarettiano, “San Martino del Carso”, insieme al tema dello strazio: la tragedia e la morte si scontano sopravvivendo, con lo strazio di chi resta, disanimati, ridotti a pietra rigida e insensibile, sia pure pietrificati dall'orrore; ma si resiste, come i “brandelli di muro” delle case distrutte dai bombardamenti, l'anima in macerie, il cuore come “il paese più straziato”. Dall'idea della pietra e dello strazio, secondo Andrea Zanzotto, poeta amico di Ungaretti, viene fuori una delle caratteristiche più importanti di quello che sarà poi l'esistenzialismo, ovvero la sofferenza dell'uomo estraneo, lo straniero, che si vede gettato nel mondo (e di “gettatezza” e di “qui e ora” parlerà Heidegger, uno dei principali esponenti dell'esistenzialismo in filosofia) e che deve fare i conti con il proprio corpo, con il fardello (la pietra, appunto) della propria fisicità, e quindi della propria vulnerabilità. In poche parole, il peso. “Peso” è anche il titolo di una delle poesie contenute in Porto Sepolto, in cui l'anima viene descritta come “nuda”, ossia indifesa e priva di leggerezza (condizione dell'”uomo di pena”, altra proiezione di sé tipica di Ungaretti), che potrebbe essere restituita solo dal “miraggio”, dalla vaghezza della percezione. Miraggio e gettatezza sono le due facce, la dicotomia principale nell'Allegria: da un lato la raccolta funziona quasi come un diario (ogni poesia ha data e luogo; da qui il senso di gettatezza, immediatezza e nudità), dall'altro ogni poesia è una sperimentazione, è frutto di decenni di elaborazioni formali complesse (e qui ritorna la vaghezza della percezione, insieme alle tendenze avanguardistiche di “liberazione verbale”, ossia le varie tecniche legate sia alla creazione di immagini ardite e suggestive, sia alla disposizione di queste nel foglio, con poesie piccolissime che “naufragano” nel mare bianco del foglio di carta). In sostanza, l'esperienza della guerra non descrive “odio” verso il nemico, ma è più un ritrarre l'”appetito di vivere”, la precarietà della condizione dei soldati che si trovano a vivere faccia a faccia con la morte ogni giorno. In questo senso, “Veglia” spiega perfettamente la contraddizione tra la ricerca dell'assoluto e l'appetito di vivere, entrambi resi tali dalla vicinanza della morte. L'appetito di vivere è qui però risvegliato dalla morte “vista fisicamente”, non da quella idealizzata. Ed è ciò che manca all'Ungaretti africano, che viveva nel “mezzo sonno”, “staccato dalla vita, staccato da tutto” (in contrasto con l'Ungaretti soldato, che “non è mai stato così tanto attaccato alla vita”.). L'esperienza della guerra per Ungaretti è l'inaugurazione di un tempo fatto di istanti, di occasioni, è un tempo che esprime finitudine, e che esiste solo perché tutto intorno vi è la morte. (=Allegria di Naufragi, il primo titolo di Allegria, deriva da questo concetto qui, e in particolare dall'allegria che i naufraghi provano quando capiscono che sono ancora vivi dopo tutto quello che è c...


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