Giuseppe Ungaretti PDF

Title Giuseppe Ungaretti
Course Letteratura italiana moderna e contemporanea
Institution Università degli Studi di Catania
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Lezione Ungaretti - Prof.ssa Paino...


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Giuseppe Ungaret Considerazione preliminare: in tutta la strada della poesia del Novecento che abbiamo seguito finora (Pascoli e D’Annunzio, passando per i vociani e i crepuscolari, poi abbiamo visto Saba) abbiamo fatto attenzione a qualcosa di specifico, ovvero al rapporto di ogni singolo autore col linguaggio, con il suo strumento espressivo. Il linguaggio della natura per il fanciullino pascoliano, un linguaggio sommamente idealizzato per D’Annunzio (diceva Andrea Sperelli “il verso è tutto”), un linguaggio espressionisticamente sforzato per i vociani, abbiamo visto la poesia di Clemente Rebora, un linguaggio che diventa “colloquiale” con Guido Gozzano e anche nella lezione su Saba che abbiamo indirizzato verso una lettura di tipo psicoanalitico del Canzoniere alla luce del freudismo (la lirica da cui siamo partiti era “Amai”, “amai trite parole”, “la rima fiore:amore”). La storia della poesia si può raccontare attraverso una storia del rapporto tra il poeta e lo strumento linguistico. Ci cominciamo ad affacciare a quello che sarà il Novecentismo: Pasolini parla del Novecentismo come della linea forte,vincente,della lirica italiana del Novecento, quella che si afferma maggiormente e di cui l’Ermetismo fiorentino degli anni Trenta e Quaranta sarà l’espressione più compiuta. Alla base di quest’esperienza, due grandi lezioni, coloro che verranno considerati dagli ermetici (che sono di una generazione più giovane) i maestri: Giuseppe Ungaret ed Eugenio Montale. Il rapporto Ungaret-Montale (che costituiscono una di quelle coppie o terne che stiamo incontrando, Ungaret e Montale marciano sempre in coppia, ma come Pavese e Vittorini sono anche loro due gemelli diversi, perché? Si distanziano proprio sul rapporto col linguaggio, con la parola. La poesia montaliana, sin dagli Ossi di seppia, e da “Non chiederci la parola” quindi sin dagli anni Venti, è segnata da una profonda sfiducia nella possibilità che la parola poetica possa esprimere la vita. Poi, nella seconda stagione di Montale, nella sfiducia che la parola possa farsi poesia nel senso nobile della poesia con la P maiuscola. Antitetica la strada seguita da Ungaret, sempre segnata da un’incrollabile fede nella capacità evocativa del linguaggio, della parola. Nelle sue dichiarazioni di poetica Ungaret si prefigeva sempre come obietvo la scoperta di un linguaggio originale, dove l’aggetvo originale va inteso in una duplice accezione semantica. Nel senso di originale fuori dalla consuetudine, nel senso di originalità dunque, una parola non scontata. Ma originale semanticamente inteso anche come originario, cioè come parola delle origini. Un linguaggio delle origini,un linguaggio da riscoprire vergine. Qui ci riagganciamo a discorsi fat tante volte: questo stesso approccio al linguaggio in chi lo abbiamo incontrato? In Giovanni Pascoli. Ma il grande maestro di Pascoli in questa riscoperta di un linguaggio vergine, incorrotto e originario chi era? Leopardi. Il Leopardi che faceva la distinzione tra poesia, immaginazione, ecc. Ungaret lo desume anch’egli proprio da Giacomo Leopardi. Per la lirica otto-novecentesca il classico per antonomasia è Leopardi, quello a cui tut si rifanno. Se questa parola originaria non può essere scoperta, trovata, perché ormai troppo lontana nel tempo, Ungaret si prefigge in alternativa di risillabarla la parola, ripronunciarla, dice “risillabare parole ingenue”. La parola di Ungaret, sempre stando alle sue dichiarazioni, deve essere scavata nella vita come in un abisso. Originari età, risillabare parole ingenue, ingenuità, abisso, l’idea di una parola capace di atngere l’abisso. Siamo nell’ambito di un’idea alta della poesia, non nell’ambito di una perdita d’aureola. Anzi, ipervalutazione del potere stesso della parola poetica. Altra questione su cui puntare l’attenzione è che molto spesso nel Novecento il fare poesia diventa oggetto di poesia, in una forma di autoreferenzialità. Quella lirica di Saba “Amai” che cos’è, se non una dichiarazione di autoreferenzialità della poesia stessa? È la poesia che parla di come si fa la poesia. Ma anche “Non chiederci la parola”di Eugenio Montale, che cos’è? Una lirica su come si fa poesia, sul senso della poesia per il poeta Eugenio Montale. Gozzano intitola la sua raccolta “Colloqui”, colloqui appartiene all’area semantica del pronunciamento della parola. Ecco i poeti del Novecento e in particolare questi che cronologicamente gravitano in area ermetica, assumono la parola non solo a strumento, ma anche a tema della poesia: la poesia parla della parola. Giuseppe Savoca ha scritto dei saggi sulla ricorrenza della parola “parola” nelle poesie di Ungaret e Montale, cioè tutte le volte che i poeti

parlano di come si devono esprimere, di cos’è loro la parola. Proprio per questa loro comune attenzione per la parola nella poesia, Ungaret e Montale vengono visti dagli ermetici ancora di là da venire come dei maestri, degli iniziatori, dei modelli ai quali guardare. Perché? Perché l’Ermetismo sarà un’esperienza letteraria che giocherà sulla parola tutto quanto. Una parola per gli ermetici anche lì da riscoprire vergine, incorrotta. Una parola dagli ermetici idolatrata, la parola poetica avrebbe dovuto atngere l’assoluto. Dentro l’Ermetismo c’è anche una forma di misticismo areligioso che tende ad attribuire al fare poesia una sorta di valore ultraterreno. Importanza per l’Ermetismo per la parola liberata dal sintagma, come una collana di perle sciolta in una coppa: la parola è la singola perla e del resto tutta la genìa degli Ermetici guarderà con attenzione alla poesia di Mallarmé, l’attenzione al silenzio e allo spazio bianco che non fanno che isolare la parola. Il giovane Ungaret tra le sue prime dichiarazioni di poetica ebbe a dire:” se il carattere dell’Ottocento era stato quello di stabilire legami a furia di rotaie e di ponti (intendete quest’affermazione sia a livello letterale che a livello metaforico), il poeta d’oggi cercherà di mettere a contatto immagini lontane, senza fili”. La poesia ottocentesca, dunque, come poesia di ponti e rotaie. La poesia del poetad’oggi non si serve di ponti e rotaie ma mette senza mezzi di collegamento espliciti in collegamento immagini lontane, senza fili. Chi aveva parlato di immaginazione senza fili? I futuristi. Era uno dei dettami della poetica futurista quello dell’immaginazione senza fili e infat possiamo senz’altro parlare di una fortissima consonanza dell’Ungaret degli esordi con i crepuscolari e con i futuristi, con i futuristi in particolare riuniti intorno alla rivista “Lacerba” che era vicinissima alle posizioni di Filippo Tommaso Marinet. Quest’impronta sperimentalista e avanguardista ci fa sorgere una domanda: ma se in Italia quest’impronta avanguardista e sperimentalista non ce l’ha nessuno, com’è che questo giovane poeta agli esordi si lascia affascinare dalla sperimentazione? Perché Ungaret non nasce in Italia. La sua autentica formazione culturale, a prescindere dal luogo di nascita, avviene a Parigi. La Parigi che era il centro delle culture d’avanguardia dell’Europa in quegli anni di primo Novecento. Inquegli anni lui conosce a Parigi e frequenta Apollinaire e Picasso, va alle lezioni di Bergson, respira una cultura di rottura che non avrebbe mai potuto respirare se la sua formazione fosse avvenuta in Italia. La storia esistenziale e artistica tuttavia non comincia a Parigi, Parigi è la seconda tappa, quella della formazione culturale. La sua storia biografica -esistenziale comincia ad Alessandria d’Egitto, in nord africa. Non sottovalutiamo questa nascita fuori dai confini nazionali, all’inizio addirittura fuori dalla cultura occidentale, che rende Ungaret una personalità artistica molto diversa dalle altre. Nasce peraltro ai confini con un luogo metaforico di grandissima importanza: il deserto. Il deserto resterà sempre un’immagine catalizzatrice del mondo ungaretano. Il deserto, dunque, niente degli scenari che abbiamo visto finora: la campagna, la Roma barocca, la Torino industrializzata di Guido Gozzano, la Trieste con il mare e il cielo di Saba con il ghetto ebraico, niente di tutto questo. Qui abbiamo sabbia, il nulla, il deserto e soprattutto il contatto con una cultura che non è quella cristiana occidentale, ma è la cultura musulmana. Ungaret nasce dentro un ambiente diverso da quello in cui siamo cresciuti tut noi, immerso nella cultura musulmana. Racconta sempre di come sin da ragazzo era suggestionato dalle cantilene degli abitanti del deserto, da questa nenia, da questa musica, che proveniva dal deserto. Una cantilena che lui ebbe a scrivere “pareva dicesse incessantemente «Dove, dove,dove» “ . intanto una cantilena non comprensibile, non sottovalutiamo questo. Quindi in qualche modo fatta di parole per lui asemantiche, puro suono, pura cantilena che non diceva “dove dove dove”,ma pareva dicesse “dove dove dove”. Dove implica l’idea di un canto che in qualche modo si fa ricerca di qualche cosa, si fa quete, ma anche un canto poetico associato idealmente all’idea di viaggio, all’idea soprattutto di una poesia intesa come musica, canto. Quindi: centralità dell’idea di una poesia come canto. Una poesia che è anche ricerca. Ma le grandi quêtes medievali cosa cercavano? Qualcosa di trascendente, la ricerca anche poi della poesia ermetica che cercherà di atngere ad una sorta di quid assoluto. E l’idea del deserto come luogo sterminato ha anche l’idea del

viaggio verso l’ignoto,connesso al fase poesia. Tra l’altro, canto, deserto… uno dei suoi maestri in assoluto era Giacomo Leopardi, autore del Canto notturno di un pastore errante per l’Asia. Il pastore errante, uno che viaggia e che però ha nelle orecchie il canto. Altra cosa che lui atnge dalla cultura musulmana e non avrebbe potuto atngere se nato e cresciuto in un mondo cattolico l’idea del piacere come premio per l’anima. Nella cultura cattolica la corporeità e l’anima sono due cose distinte. Nel paradiso islamico i premiati, coloro che vanno in paradiso hanno a disposizione delle figure mitologiche, delle eurì, delle donne bellissime con cui consumare rapporti e avere piacere e che poi diventano vergini dopo ogni rapporto. L’idea di una corporeità come elemento centrale della poesia, una poesia che non punta solo all’anima, eterea, ma che è piena di corpo. Nella religione musulmana Allah è vita di tut, è fibra dell’universo. La religione cattolica ha come simbolo un corpo martirizzato e crocifisso, che poi sì, risorge, ma c’è la sofferenza del corpo come immagine centrale del cattolicesimo. L’Egitto è al centro della sua prima raccolta, il Porto sepolto del 1916. Il titolo stesso ha a che fare con l’Egitto: l’immagine del porto sepolto, un porto di cui gli avevano parlato due fratelli ingegneri che lui frequentava che gli avevano detto che a largo di Alessandria c’era un antico porto sommerso. Ovviamente nell’intitolazione dell’opera questo porto sepolto assume una valenza metaforica. Dice Ungaret: “Il porto sepolto è ciò che di segreto rimane a noi indecifrabile”. Indecifrabile. C’è già nel giovane Ungaret la sfida alla parola: questa parola che sfugge perché troppo alta e spesso non può essere decifrata. L’edizione del 1916 si apriva con una lirica: In memoria.

Sic hi ama va MoammedSc eab Di sc endent e diemi r idinomadi s ui c i da per c hénona vev api ù Pat r i a Amòl aFr anc i a emut ònome FuMar c el manoner aFr ances e enons ape vapi ù v i v er e nel l at endadeisuoi dov esias c ol t al ac ant i l ena delCor ano

Prof legge facendo sentire le pause –

Sensazione che la frantumazione del verso non sia a casaccio. Poi legge tutto di seguito, senza pause. Siamo in presenza di una poesia che si legge e si capisce: l’Ungaret maestro degli ermetici non è ancora l’Ungaret del Porto sepolto. Sarà quello che verrà dopo, a partire dagli anni Trenta, a partire dalla seconda raccolta Sentimento del tempo. Qui una lirica che si legge e si capisce, potremmo dire “colloquiale”, tuttavia introduce una sperimentazione di tipo formale, l’abbandono della metrica tradizionale. Lo spezzettamento del verso cambia il senso stesso della lirica. Es. primi due versi: v.1 Si chiamava: ha già un valore assoluto, assolutizza l’imperfetto e ci dice che c’è qualcuno che non si chiama più. Che non è più. v.2 Moammed Sceab: il nome dell’amico, isolato all’interno di un verso, come a restituire identità a colui che non c’è più. E tra l’altro l’importanza del nome: abbiamo visto come quest’importanza venisse demistificata ad esempio in Gozzano “meno male che sono nato Gozzano, un po’ scimunito, ma greggio, che non gabrieldannunziano, sarebbe stato ben peggio”. “L’unica cosa che sapevo era di chiamarmi Mata Pascal”, l’identità e il nome. Qui il nome viene isolato a restituire valore.

gus t andounc affè Enons ape va

v.3 Discendente: assolutizzato. Era qualcuno che aveva una storia, un passato, qualcosa dietro.

s ci ogl i er e i lc ant o delsuoabbandono

v.4 di emiri, di nomadi: il fatto che sia discendente di emiri e di nomadi e che siano separati nel verso fa acquistare importanza alle due espressioni singolarmente.

L ’ hoacc ompagnat o i nsi emeal l apadr onadel l ’ al ber go dov eabi t av amo

v.5 suicida: all’interno di questo versicolo isolato mette al centro il fatto che quest’uomo si è tolto la vita v.6 perché non aveva più: cosa non aveva più? La patria. Ma nel verso il complemento oggetto non c’è. Noi leggiamo “perché non aveva più”,

aPar i gi dalnumer o5del l ar uedesCar mes appass i t ov i col oi ndi sc es a. Ri pos a nelcampos ant od’ I vr y s obbor goc hepar e s empr e i nunagi or nat a diuna dec ompos t afi er a

senza il complemento oggetto che è stato mandato nell’altro verso. Questo assolutizza il concetto che quest’uomo non aveva più, non aveva più niente. v.7 Patria: maiuscolo e isolato. Ovviamente acquista valore, la terra d’origine. v.8-9 amò la Francia e mutò nome: fu pronto a rinunciare a quello che gli dava identità. v.12: e non sapeva più: non è “e non sapeva più vivere”, è “e non sapeva più”. Richiama “e non aveva più”. “vivere”, isolato nel verso successivo, acquista un’altra valenza”. v.14 nella tenda dei suoi: il nido da cui Moammed era partito. È un dentro, un luogo chiuso, protetvo

Ef or s ei os ol o s oanc or a c hev i s se

Frantumazione del verso, dunque.

v.15 dove si ascolta la cantilena: questo luogo protetvo, originiario, che è un luogo in cui si ascoltano cantilene. Nell’isolamento del verso ancora non meglio definite. E ricordiamo che la cantilena del deserto fu la prima fonte d’ispirazione per il giovane Ungaret. v.18 e non sapeva: ritornano i vv. 12 e 6 .

Montale parla di versicoli Ungaretani, di uno stillicidio poetico, uno stillicidio è qualcosa che cade

v.19 sciogliere: da solo è sciogliere i nodi

poco a poco. Se non ci fosse stata la

v.20 il canto: isolato, che assume importanza cos’ come prima aveva assunto importanza il dove si ascolta la cantilena, ora il canto, da solo.

frattura dei verso il livello semantico

Ultimi tre versi. “e forse io solo so ancora che visse”, ma Ungaret li spezza.

profondo della lirica sarebbe stato un altro. E poi l’idea del canto come canto salvifico. Uno schema analogo in un’altra lirica celeberrima.

v.34 e forse io solo: tutta la lirica è una lirica in morte, dove gli unici elementi positivi sembrano essere il canto, la possibilità della cantilena in un interno rassicurante. Canto notturno di un pastore errante per l’Asia, ma qui a parte il vecchierello e “a me la vita è male”, l’ultima strofe: “FORSE se avess’io l’ali da volar su le nubi e noverar le stelle… ecc” FORSE. Il canto della disperazione, il Canto notturno, si chiude con quella strofe che comincia con Forse che è un segno di possibilità. Dice il poeta “e forse io solo”, ribadisce la propria solitudine, ma con un forse. v.35 so ancora: si mette in controcanto con “non sapeva più”, e poi “non sapeva” e nella seconda ricorrenza non sapeva sciogliere il canto, il canto salvifico. Ora l’io lirico di sé dice “so ancora”, quello non sapeva più, lui sa ancora. E cosa sa? Sa ancora cantare, essere poeta. E se sa essere poeta cosa sa? Che visse, v.36. il canto della morte si chiude con il verbo vivere. Come verità ultima rivelata dal canto di Ungaret. Che questo diventi uno schema ricorrente lo vedremo in altre liriche.

Unav egl i a Un’intera nottata buttato vicino a un compagno massacrato con la sua bocca

E’unadel l el i r i c hediguer r adelPor t osepol t o .unadel l el i r i c hediguer r a,l o abbi amogi àac cennat opar l andodiGadda,delGi or nal ediguer r aedi pr i gi oni a,l ’ es per i enz adel l apr i maguer r amondi al eperinat idiquest a gener az i one( ancheUngar et t ièdel1800,èdel1888,qui ndist es sa gener az i onediUmber t oSaba)di v ent aun’ es per i enz adev as t ant eches egnal a mat ur az i onedit ut t iques t iar t i st ianc heper chél aguer r aveni v aal l ’ i ni z i ovi s t a dagl ii nt er v ent i s t iconspi r i t odir i nnov ament o ,comeunqual c osac heav r ebbe dov ut odet er mi nar eunasor t adipal i ngenesidelmondo;quest ocheav r ebbe dov ut odet er mi nar eunc ambi ament o,unat r asf or maz i one ,di v ent ai ll uogo del l as t as i ,guer r adipos i z i one,dit r i ncea,l ìi nat t esadel l amor t e. v v .12not t at abut t at o:as s onanz at r anot t at aebut t at oc hemet t ei n c ol l egament oi lbui oi nt er mi nabi l edel l anot t ec onques t oco r poc heèl ì , but t at o ,per òv i c i no:i deadiv i c i nan z aef r at el l an za v . 3auncompagno:nonèunoqual unque ,èuncompagno v . 4but t at o:not ar el asuccess i onedeipar t i ci pi( but t at omas s ac r at o)

digrignata volta al plenilunio con la congestione delle sue mani penetrata nel mio silenzio

v . 5conl as uabocc a:dal l aboccaesconol epar ol e v . 6di gr i gnat a:v er s odove ?v . 7vol t av er sol al una,chenel l ’ i mmagi nar i ol eopar di anoè sempr ef ont edii s pi r az i onedelcant o.Ques t aboc cadi gr i gnat aches embr aquasil a t r aduzi onedel l ’ ur l odiMunc h,aper t adac uinones c epi ùness unapar ol a. v . 10penet r at a:al t r opar t i c i pi o.at t r av er s ol emaniquest oc ompagnopenet r adove ?Nel si l enz i o.I lsi l enzi odel l aboc c adi gr i gnat ac henonpuòpi ùpr of er i r epar ol a,maanchei l si l enz i odelpoet adi nanziat ut t oquest ost r az i o.Al l or as el apar ol anonpuòusc i r edal l a bocc a,s if apar ol as cr i t t a,par ol adel l apoes i a.

ho scritto

v . 12hos c r i t t o:i sol at o,as anci r el ’ i mpor t anz adiques t oat t odel l as cr i t t ur a.Ecos ahas cr i t t o dif r ont eal l amor t ec headdi r i t t ur aaffondal emaninels uosi l enz i o ,penet r ai ls uos i l enz i o conl emani ?Scr i ve

lettere piene d’amore

v . 13l et t er epi ened’ amor e:l amor t echev i enet r as f or mat adal l apoes i ai namor e.

Non sono mai stato

v . 14nons onomais t at o:di nanziaques t ’ es per i enz aest r emadel l acont i nui t àc onl amor t e,si t r ovadav ant ialdubbi odinoness er e .Dubbi oches iev i nc es ol oi s ol ando“ nonsonomai st at o” ,per c hésedi ces si mo“ nons onomais t at ot ant oat t ac c at oal l av i t a”i ls i gni fi c at o sar ebbeunal t r o.Masenoil eggi amosol o“ nons onomaist at o”c’ èl ’ abi s s odel l ’ i nc r edul i t àdi f r ont eal l amor t eepoi . . .

tanto attaccato alla vita.

v . 15t ant o:i s ol at o,dàl ’ i deadiampi ez za, digr andezz a v . 16at t accat oal l av i t a:v er s oconc l usi v odiques t al i r i c adimor t e .At t accat ocher i pr ende but t at o,mass acr at o,di gr i gnat a,penet r at a.Epoic ’ èsc r i t t oeat t ac c at o.HO s c r i t t ol et t er e pi ened’ amor eeat t acc at oal l av i t a.L ’ emer genzadel l apoes i at r asf or mal amor t ei nvi t a,i n l et t er ed’ amor e.Ques t operv eder ec oncr et ament equelgr andeval or echeUngar et t ides t i na al l apar ol apoet i ca.

Quest a pr i ma r ac col t a ungar et t i ana è s t at a pubbl i c at a nel1916 con i lt i t ol oI lpor t o sepol t o. Ri pubbl i cat a nel1919,r i maneggi at ac on nuov el i r i c he,con un t i t ol oc ompl et ament ec ambi at o: Al l egr i adinauf r agi ...


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