Il fu Mattia Pascal - Riassunti/Appunti PDF

Title Il fu Mattia Pascal - Riassunti/Appunti
Course Letteratura italiana
Institution Università degli Studi di Macerata
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Riassunti/Appunti...


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IL FU MATTIA PASCAL STESURA Quando viene composta l’opera? La genesi del romanzo, pubblicato a puntate sulla rivista Nuova Antologia, si colloca tutta nel 1903. 1

In che contesto storico viveva l’autore? Siamo all’inizio dell’età delle avanguardie quando si manifesta apertamente l’idea di crisi delle certezze positivistiche, mentre in Italia cresce, presso una nuova generazione di intellettuali che si raccoglie attorno alle riviste fiorentine, un atteggiamento sovversivo il cui obiettivo polemico sarà la figura del capo del governo Giolit.

Quale situazione viveva in quel momento l'autore? Il 1903 è un anno particolarmente sfortunato della vita di Pirandello, segnato dall’allagamento delle miniere gestite dal padre in Sicilia, nelle quali tra l’altro Pirandello aveva investito la dote della moglie, che, alla notizia, è colpita da una paralisi alle gambe cui segue un’instabilità psichica che si manifesterà con frequenti e immotivate crisi di gelosia, di fronte alle quali Pirandello sperimenta l’impossibilità di far comprendere alla consorte che la realtà non corrisponde a quello che a lei pare. Le difficoltà economiche (solo la rendita paterna gli consentiva di continuare l’attività letteraria, essendo il reddito che gli proveniva dall’insegnamento ben poca cosa, circa 2500 lire annue) potevano significare per lo scrittore la necessità umiliante di trasferirsi in casa del suocero per poter meglio provvedere alla moglie e ai suoi tre figli. Pirandello reagisce moltiplicando in varie direzioni (pubblicazioni su riviste, quotidiani, racconti…) la sua attività di pubblicista. Da pochi anni si era inoltre compiuta l’evoluzione ideologica e poetica di Pirandello che era partito da una sostanziale adesione al positivismo, seppure filtrato dalla visione criticonegativa del progresso, propria della narrativa siciliana sia in Verga che in De Roberto. Pirandello si era iscritto alla Facoltà di Lettere a Roma dove i contrasti con il proprio professore di latino lo avevano indotto a completare gli studi nel 1889 all’Università di Bonn, circostanza che lo mise in contatto con la cultura tedesca: è infatti in questo periodo che legge autori come i romantici Goethe, Heine, Tieck, Chamisso e filosofi come Schopenhauer e Nietzsche. Tale percorso giunge a compimento nel 1893 quando Pirandello pubblica il saggio Arte e coscienza d’oggi nel quale abbandona la fiducia positivista che sia possibile giungere a una conoscenza oggettiva della realtà. Siamo inoltre in una fase in cui la produzione letteraria di Pirandello si concentra sulle prove di carattere narrativo,2 dopo alcuni tentativi poetici dei decenni precedenti, mentre non è 1 756,1. 2 Prima de Il fu Mattia Pascal, aveva pubblicato i romanzi Il turno nel 1895 e L’esclusa nel 1901, mentre seguiranno I vecchi e i giovani del 1909, Suo marito del 1911, Si gira del 1915 e Uno nessuno e centomila del 1925. Contemporaneamente Pirandello realizzerà una vasta produzione novellistica

ancora concentrata sulla produzione teatrale, che diventerà preminente a partire dal 1916.3

A quali singole opere, generi letterari o tradizioni culturali l’autore s’ispira come modelli o attinge come font? Redivivo di Emilio De Marchi ricorda molto nella trama (un chimico che approfitta di un disastro ferroviario per fingere la sua scomparsa) la vicenda pirandelliana. I romanzi sul tema del patto con il diavolo in cambio della propria ombra, in particolare la Storia straordinaria di Peter Schlemihl di A. von Chamisso e i racconti di Hoffmann dove gli uomini perdono la loro immagine davanti a uno specchio. In uno dei primi colloqui con Adriana, alle domande della donna che le chiede se non abbia amici o parenti – Nemmeno un amico? Possibile? Nessuno? Mattia risponde: – Nessuno. Siamo io e l’ombra mia, su la terra. In realtà l’ombra è ciò che non possiamo staccare dal nostro corpo. Mi guardai attorno; poi gli occhi mi s’affisarono su l’ombra del mio corpo, e rimasi un tratto a contemplarla; infine alzai un piede rabbiosamente su essa. Ma io no, io non potevo calpestarla, l’ombra mia. L’ombra rappresenta quel legame con il proprio passato da cui risulta impossibile liberarsi, il Mattia che Adriano non riesce a staccare da sé come comprende il protagonista per le vie di Roma dopo aver sperimentato la condizione d’impotenza cui lo costringe la sua nuova identità di Adriano Meis Allora mi mossi; e l’ombra, meco, dinanzi. Affrettai il passo per cacciarla sotto altri carri, Sotto i piedi de’ viandanti, voluttuosamente. Una smania mala mi aveva preso, quasi adunghiandomi il ventre; alla fine non potei più vedermi davanti quella mia ombra; avrei voluto scuotermela dai piedi. Mi voltai; ma ecco; la avevo dietro, ora. «E se mi metto a correre,» pensai, «mi seguirà!» Mi stropicciai forte la fronte, per paura che stessi per ammattire, per farmene una fissazione. Ma si! così era! il simbolo, lo spettro della mia vita era quell’ombra: ero io, là per terra, esposto alla mercé dei piedi altrui. Ecco quello che restava di Mattia Pascal, morto alla Stìa: la sua ombra per le vie di Roma. Il conte di Montecristo di A. Dumas per il motivo del ritorno di una vittima che si credeva morta e della sua vendetta (anche se Pirandello attenua molto fino a farli scomparire le caratteristiche del perseguitato e del vendicatore).

Come va letta l’opera? Pirandello, negli anni che precedono la stesura dell’opera, coerentemente con la sua nuova impostazione ideologica, sviluppa anche una nuova poetica che troverà appunto nel poi raccolta dal 1922 nelle Novelle per un anno. 3 Le opere del teatro del grottesco sono Pensaci giacomino, Liolà, Il berretto a sonagli, Il piacere dell'onestà, Il gioco delle parti . Dal 1921 inizierà invece la fase del teatro nel teatro, con i due grandi capolavori, Sei personaggi in cerca d’autore, Enrico IV e Questa sera si recita a soggetto. L’ultima fase sarà quella dei miti teatrali, tra cui, nel 1930, I giganti della montagna.

romanzo una sua prima applicazione, la poetica dell'umorismo, poi compiutamente definita nel saggio L'umorismo del 1908. Qui teorizza la distinzione tra il comico, che consisterebbe nella semplice percezione del contrasto all'interno della realtà (avvertenza del contrario) da cui si genererebbe il riso, e l’umorismo, che nascerebbe invece dall’intervento della riflessione che individuerebbe il fondo tragico che sta dietro quel contrasto (sentimento del contrario). Tale contrasto consiste nel fatto che da un lato la realtà appare caotica, irrazionale, priva di senso, mentre dall’altro l’uomo si sforzerebbe, illudendosi, di trovarvi un significato. Chi ha disvelato l’inganno e ha sperimentato sia l'impossibilità di trovare un senso nell'esistenza sia il carattere ingannevole di tutte le forme con le quali noi cerchiamo di dare un significato alla vita, non può che porsi ai margini di questa, cessare di vivere per porsi nell'atteggiamento di spettatore. Chi ha compiuto questo passo, il “forestiere della vita”, non può che assumere un atteggiamento umoristico, vale a dire comico e tragico al tempo stesso, di fronte alla realtà.4Nella visione umoristica della vita tutto si mescola, come nota Mattia Pascal nel caos della biblioteca di Miragno, simbolo dell’insensatezza del reale. Si sono strette per la vicinanza fra questi libri amicizie oltre ogni dire speciose: don Eligio Pellegrinotto mi ha detto, ad esempio, che ha stentato non poco a staccare da un trattato molto licenzioso Dell’arte di amar le donne libri tre di Anton Muzio Porro, dell’anno 1571, una Vita e morte di Faustino Materucci, Benedettino di Polirone, che taluni chiamano beato, biografia edita a Mantova nel 1625. Per l’umidità, le legature de’ due volumi si erano fraternamente appiccicate.

STRUTTURA Come è diviso il testo? Il testo si divide in 18 capitoli, numerati e titolati, con stacchi net da un capitolo all’altro, seguiti in un’edizione successiva del 1921 da un’avvertenza dell’autore.

Ogni capitolo può dunque essere letto a sé, costituisce un episodio in qualche modo in sé concluso o, se si preferisce, si può ogni volta ricominciare la lettura del successivo: tale caratteristica dipende dalla modalità di pubblicazione originaria del romanzo. Spesso i capitoli si chiudono con auto esortazioni a riprendere il racconto e al tempo stesso annunciano l’argomento del capitolo successivo secondo una tecnica che è legata alla primitiva forma di pubblicazione dell’opera. Le prime accuse dei critici furono quelle di inverosimiglianza, tanto che Pirandello volle appunto aggiungere al romanzo un’ Avvertenza sugli scrupoli della fantasia , 5 dove tra l’altro citava una notizia di cronaca apparsa sul Corriere della Sera, molto simile alla vicenda di Mattia Pascal, come dire che la vita è più assurda e imprevedibile della fantasia, mentre l’arte, per obbedire ai canoni retorici, primo fra tutti quello della mimesis, dovrebbe essere verosimile. Al contrario Pirandello, con questo romanzo, ci dà una storia che, invece che riflettere e riprodurre la realtà, la 4 766,4 5 766,3

anticipa. Si possono individuare cinque macrosequenze nel romanzo in base agli spazi prevalenti: 1. capitoli dedicati a Miragno che ricostruiscono le origini, la formazione e la maturazione del protagonista; 2. capitoli dedicati a Montecarlo, dove domina il motivo del gioco; 3. viaggi per l’Italia e per l’Europa con la a costruzione della nuova identità; 4. capitoli dedicati a Roma con il romanzo di Adriano Meis; 5. ritorno a Miragno quando entra in scena il “fu Mattia Pascal”.

In realtà la narrazione vera e propria parte dal terzo capitolo, in quanto i primi due, che non a caso hanno entrambi il titolo Premessa, ricostruiscono le ragioni che hanno spinto il personaggio a raccontare la sua vicenda. Inoltre il testo si apre e chiude nello stesso luogo, Miragno, e va dal presente al passato per poi tornare al presente, ha dunque una struttura circolare o concentrica, basata sul topos della cornice come luogo della narrazione che risale al Decameron di Boccaccio.

Quali informazioni ci fornisce il ttolo? Ci troviamo di fronte a un titolo eponimo e dunque abbiamo una caratterizzazione anagrafica del protagonista. Il titolo è in grado di fornirci dunque anticipazioni sulla natura del personaggio ma anche sulla trama: il personaggio a cui si fa riferimento è morto? morirà nel corso della vicenda? Il nome del protagonista rimanda al tema della follia: “Mattia, l’ho sempre detto io, Mattia, matto. Matto! matto! matto!” gli ripete il fratello al momento della riapparizione in famiglia nel XVII capitolo. Il cognome è invece un omaggio a Blaise Pascal, il filosofo che per primo aveva messo in evidenza le conseguenze disorientanti del copernicanesimo, oggetto d’invettiva nel primo capitolo. Nel “fu” premesso al nome del protagonista, c’è poi, oltre all’anticipazione del tema della morte, il gusto per l’accostamento dei contrari (il racconto che una persona morta fa della propria vita!), tipico della poetica dell’umorismo. Esistono poi le titolazioni parziali dei singoli capitoli che tuttavia non sono mai denotative, ma allusive (“tac tac” rimanda alla roulette nel capitolo su Montecarlo) o ironiche (“Acquasantiera e portacenere”). I titoli dei singoli capitoli hanno la funzione di accendere l’interesse del lettore visto che il romanzo venne originariamente pubblicato all’interno di una rivista dunque non esisteva l’assoluta garanzia che chi acquistasse la rivista poi lo leggesse.

INTRECCIO La biblioteca di Miragno: la cornice del romanzo L’incipit pone fin dall’inizio il tema dell’identità, riducendolo alla pura convenzionalità del nome e dunque anticipando l’esito finale del romanzo: la perdita dell’identità.

Una delle poche cose, anzi forse la sola ch’io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal. E me ne approfittavo. Ogni qual volta qualcuno de' miei amici o conoscenti dimostrava d’aver perduto il senno fino al punto di venire da me per qualche consiglio o suggerimento, mi stringevo nelle spalle, socchiudevo gli occhi e gli rispondevo: - Io mi chiamo Mattia Pascal. - Grazie, caro. Questo lo so. - E ti par poco? Non pareva molto, per dir la verità, neanche a me. Ma ignoravo allora che cosa volesse dire il non sapere neppur questo, il non poter più rispondere, cioè, come prima, all’occorrenza: - Io mi chiamo Mattia Pascal. Siamo nella biblioteca comunale di un immaginario paese ligure, Miragno, dove in realtà non si reca nessuno a chiedere in prestito i libri che giacciono nel più completo disordine, sommersi dalla polvere e mangiucchiati dai topi. Il narratore si chiede allora se valga la pena scrivere la propria storia, aggiungere un altro libro dimenticato a quelli che ha attorno, ma si convince a farlo comunque proprio per la diversità e la stranezza del suo caso. Fui, per circa due anni, non so se più cacciatore di topi che guardiano di libri nella biblioteca che un monsignor Boccamazza, nel 1803, volle lasciar morendo al nostro Comune [...] e fin dal primo giorno io concepii così misera stima dei libri, sieno essi a stampa o manoscritti (come alcuni antichissimi della nostra biblioteca), che ora non mi sarei mai e poi mai messo a scrivere, se, come ho detto, non stimassi davvero strano il mio caso e tale da poter servire d’ammaestramento a qualche curioso lettore. Nella seconda premessa, Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa , compare un primo personaggio, don Eligio Pellegrinotto, l’attuale bibliotecario, che cerca con instancabile volontà di dare un ordine e un senso a quel caos che lo circonda. Don Eligio, che ha già sentito dal protagonista la sua singolare vicenda, vuole convincere Mattia a raccontare la sua storia. La duplicazione della premessa era presente nel romanzo umoristico ottocentesco (Jean Paul, Chamisso …). La parentesi suona auto-ironica, ma al tempo stesso nega e afferma la natura filosofica del capitolo. Questo secondo capitolo sviluppa il tema della crisi dell’uomo post copernicano che vive ormai privo di punti di riferimento e certezze, che ha scoperto il suo peso infinitesimale, la sua insignificanza nell’immensità dell’universo, l’irrilevanza dei suoi destini di fronte ai movimenti della macchina della natura. … io debbo ripetere il mio solito ritornello: Maledetto sia Copernico! [...] Siamo o non siamo su un’invisibile trottolina, cui fa da ferza un fil di sole, su un granellino di sabbia impazzito che gira e gira e gira, senza saper perché, senza pervenir mai a destino, come se ci provasse gusto a girar così, per farci sentire ora un po’ più di caldo, ora un po’ più di freddo, e per farci morire - spesso con la coscienza d’aver commesso una sequela di piccole sciocchezze - dopo cinquanta o sessanta giri? Copernico, Copernico, don Eligio mio ha rovinato l’umanità, irrimediabilmente. Ormai noi tutti ci siamo a poco a poco adattati alla nuova concezione dell’infinita nostra piccolezza, a considerarci anzi men che niente nell’Universo, con tutte le nostre belle scoperte e invenzioni e che valore dunque volete che abbiano le notizie, non dico delle nostre miserie particolari, ma anche delle generali

calamità? Storie di vermucci ormai le nostre. Avete letto di quel piccolo disastro delle Antille? Niente. La Terra, poverina, stanca di girare, come vuole quel canonico polacco, senza scopo, ha avuto un piccolo moto d’impazienza, e ha sbuffato un po’ di fuoco per una delle tante sue bocche. Chi sa che cosa le aveva mosso quella specie di bile. Forse la stupidità degli uomini che non sono stati mai così nojosi come adesso. Basta. Parecchie migliaja di vermucci abbrustoliti. E tiriamo innanzi. Chi ne parla più? L’invettiva anticopernicana era già presente in Pascal, Leopardi, Giordano Bruno e Nietzsche. L’unica giustificazione a volgere lo sguardo dentro se stessi dimenticando quello, sgomento, verso l’universo infinito, può venire (leopardianamente) dalle illusioni, o, come la chiama Mattia, dalla “distrazione universale”. Don Eligio Pellegrinotto mi fa però osservare che per quanti sforzi facciamo nel crudele intento di strappare, di distruggere le illusioni che la provvida natura ci aveva create a fin di bene, non ci riusciamo. Per fortuna, l’uomo si distrae facilmente. Questo è vero [...] dimentichiamo spesso e volentieri di essere atomi infinitesimali per rispettarci e ammirarci a vicenda, e siamo capaci di azzuffarci per un pezzettino di terra o di dolerci di certe cose, che, ove fossimo veramente compenetrati di quello che siamo, dovrebbero parerci miserie incalcolabili. Solo dopo aver convenuto con don Eligio su questo punto, il racconto è giustificato. Ebbene, in grazia di questa distrazione provvidenziale, oltre che per la stranezza del mio caso, io parlerò di me, ma quanto più brevemente mi sarà possibile, dando cioè soltanto quelle notizie che stimerò necessarie. Alcune di esse, certo, non mi faranno molto onore; ma io mi trovo ora in una condizione così eccezionale, che posso considerarmi come già fuori della vita, e dunque senza obblighi e senza scrupoli di sorta. Cominciamo. Il capitolo introduce il tema della perdita della centralità dell’uomo nel passaggio dall’universo geocentrico a quello copernicano che anticipa la contrapposizione tra Oreste e Amleto, tra eroe classico ed eroe moderno, sviluppata nel cap. XI da Anselmo Paleari). La fine delle certezze razionali non cancella però le certezze del sentimento. Esse ci consentono di vivere con altre verità necessarie all’esistenza, con dei “come se”, con il lanternino dell’illusione sentimentale, con la “distrazione” che ci consente di dimenticare di essere “atomi infinitesimali” di innumerevoli galassie e di considerarci, a dispetto “dell’infinita nostra piccolezza”, degni di essere ricordati. Ecco che allora raccontiamo le nostre storie personali, producendo romanzi su romanzi.6

Miragno: la prima vita di Mattia Pascal Mattia ricostruisce la sua infanzia (cap. III, La talpa)durante la quale rimane presto privo del padre, non più tornato da uno dei suoi tanti viaggi, probabilmente vittima di una malattia fulminante, che però aveva altrettanto misteriosamente accumulato, secondo alcune dicerie, una fortuna, giocando a carte a Marsiglia col capitano d'una nave inglese. La moglie e i suoi 6 762,2

due figli, Mattia appunto, e Roberto possono così vivere nell’agiatezza. Si precisa subito la figura di un padre assente (prima tara costituiva dell’inetto) che però ha lasciato terre e case alla sua famiglia e che permetteranno sostanzialmente a Mattia di vivere senza lavorare, almeno in una prima parte della sua vita. La voce leggendaria che riferisce che tali ricchezze fossero state guadagnate al gioco, è un accenno, ancora oscuro per il lettore, ad un’identificazione del protagonista col genitore. Le proprietà sono amministrate da Batta Malagna che in modo subdolo sottrarrà a poco a poco ai Pascal tutte le loro ricchezze. Mattia e Roberto crescono non preoccupandosi di nulla, non mostrando alcun interesse né per lo studio né per la cura delle proprie ricchezze. Fummo due scioperati; non ci volemmo dar pensiero di nulla, seguitando, da grandi, a vivere come nostra madre, da piccoli, ci aveva abituati. L’inconsistenza della personalità di Mattia è frutto di una madre debole e di un padre assente. Alle soglie della maturità, Mattia non ha più nulla e rimane ormai povero a Miragno con la madre, mentre il fratello riesce a trarsi d’impaccio grazie a un matrimonio vantaggioso. Nel IV capitolo ( Fu così) Batta Malagna, dopo la morte della moglie, si risposa con una giovane contadina, figlia di un fattore dei Pascal, Oliva, di cui si era già invaghito a suo tempo il giovane Mattia (un altro furto dell’antagonista). Neppure con la nuova moglie, Malagna riesce però a diventare padre e attribuisce la colpa alla giovane, arrivando a malmenarla, tanto che Oliva va spesso a cercare conforto dalla madre di Mattia e quest’ultimo si adopera per “consolarla”. Nel frattempo, su invito di un amico, Gerolamo Pomino, Mattia s’introduce nella casa di Marianna Pescatore, cugina del Malagna, sempre più oggetto delle visite di quest’ultimo, forse attratto dalla giovane e bella nipote, Romilda, della quale è innamorato lo stesso Pomino. Mattia si offre di fare le parti del timido Pomino presso Romilda, ma la ragazza finisce per innamorarsi proprio di lui. Mattia finisce ...


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