Intorno alla vita che nasce (parte sul diritto ebraico) PDF

Title Intorno alla vita che nasce (parte sul diritto ebraico)
Course Diritto canonico
Institution Università degli Studi di Milano
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problematiche di diritto ebraico...


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CAPITOLO I Secondo la Genesi, l’uomo occupa nella Creazione una posizione privilegiata in quanto creato a immagine e somiglianza di Dio ed è destinatario di una serie di precetti cd noachidi (dati ad Abramo e poi a Noè, da cui discende l’umanità intera), di cui il primo, esplicitato nella Genesi, è “Prolificate e moltiplicatevi”. L’Ebraismo è sostanzialmente focalizzato più sui doveri che sui diritti dell’uomo, e anche riguardo al nascituro dunque si trovano nei principali testi, Torà (legge scritta) e Mishnà e Talmud (trascrizioni della legge orale), riferimenti a ciò che è permesso o proibito rispetto all’embrione; tuttavia la Torà orale ha stabilito che si ha il dovere di trasgredire ogni precetto per salvare la vita umana, fatta eccezione per i tre ritenuti fondamentali, ossia i divieti di idolatria, omicidio e adulterio. Quindi, ad esempio, bisogna trasgredire lo Shabbat l’ubàr (feto), il quale a sua volta in vita osserverà molti sabati; idem per il Kippùr (il giorno del digiuno). NB sarà l’opinione del medico a decidere se una determinata situazione è pericolosa per la vita e le autorità rabbiniche possono richiedere il parere di un medico di fiducia. Si capisce quindi l’immenso valore attribuito alla vita umana, tanto che si parla di santità della stessa. I Maestri si sono interrogati sulla liceità dell’intervento umano nell’operato di Dio risolvendo l’apparente contrasto tra malattia e tentativi di cura con riferimento a un versetto dell’Esodo in cui si stabilisce che chi colpisce un’altra persona sia obbligata a pagarne le spese mediche, versetto che dà implicitamente il permesso di curare (e anzi, ne fonda il dovere per chi ne ha la capacità, diventando una mitzvà); non si dimentica comunque che tutto viene da Dio, come testimoniano le preghiere di chi riceve un trattamento medico “Possa essere Tuo desiderio, Signore, che quello che sto per fare sia proficuo per la mia cura, perché tu sei il medico che non chiede ricompensa”. Nel Levitico inoltre si rinviene un’esortazione a carattere generale di non assistere inerte al pericolo del prossimo. La vita umana richiede dunque protezione in ogni sua fase (persino nel momento dell’agonia) e la Torà stessa esprime il principio fondamentale secondo cui si devono osservare le leggi e gli statuti seguendo i quali l’uomo ha la vita. Consenso L’ebreo ha la consapevolezza di trovarsi sempre al cospetto del Signore, il che influenza profondamente la sua condotta. La superiorità dell’uomo, espressa dal versetto della Genesi “l’uomo è diventato come uno di noi in quanto conosce il bene e il male”, deriva da una caratteristica che lo distingue dalle altre specie animali, ossia il libero arbitrio: il paziente ha di conseguenza una propria autonomia e libertà di scelta all’interno di limiti stabiliti dalla Halachà (tradizione normativa religiosa dell’Ebraismo). L’etica medica moderna richiede che il medico, prima di una cura, debba ottenere il consenso informato del malato (persona adulta capace di intendere e volere), espresso in modo libero e consapevole; nella Halachà si parla di dovere del medico di curare e del paziente di curarsi il malato deve tener presente di non essere il vero padrone del proprio corpo, ma solo colui a cui esso è stato affidato perché ne faccia uso secondo il dovere divino; quindi non ha il diritto di mettersi in pericolo rifiutando una cura e, in caso contrario, il medico sarebbe autorizzato a non tener conto del suo rifiuto. Il consenso del malato è richiesto solo nei casi di cure pericolose o in stadio sperimentale. Procreazione essa rappresenta il primo precetto espresso dalla Bibbia, riguardo al quale la legge orale precisa che nessun uomo (la donna non è contemplata) deve astenersi dal connubio a meno che non abbia già figli (a seconda delle scuole due maschi oppure un maschio e una femmina): nell’ottica ebraica è dunque un delitto astenersi dal matrimonio o dai rapporti coniugali, come anche ricordato dal profeta Isaia ad Ezechia (morto senza figli). NB alla creazione dell’uomo compartecipano l’uomo, la donna e Dio che fornisce spirito e anima al momento del concepimento (non della formazione dell’embrione). Il dovere della procreazione rappresenta a fortiori un fondamento logico rispetto alla proibizione dell’aborto: se si ha il dovere di procreare, si ha a maggior ragione il dovere di astenersi dal far cessare la via dell’embrione. Terminologia ebraica Il termine ubàr si riferisce sia all’embrione sia al feto e indica chi si trova all’interno del ventre materno, ossia un adàm baadàm (uomo nell’uomo). Per quanto riguarda il termine nefesh (persona)

l’opinione di Rashì_ prevalentemente accolta_ ritiene che l’ubàr non sia considerabile nefesh; teorie intermedie lo considerano tale solo in relazione al divieto di aborto, mentre la scuola di Maimonide lo considera nefesh a tutti gli effetti. Queste differenze di opinione giustificano le divergenti teorie sul procurato aborto. Paternità Nel diritto ebraico esiste la presunzione secondo cui il marito della madre è considerato padre del bambino; sorgono problemi in caso di scioglimento del matrimonio (per morte del marito o divorzio): secondo la Halachà la donna deve aspettare tre mesi prima di potersi risposare, per essere certi della paternità dell’embrione. Inoltre il Talmud vieta a un uomo di spossare una donna incinta di un altro, per timore che possa durante un rapporto sessuale danneggiare il feto. Qualora non si sappia chi sia il padre, il bambino adotta lo status di shtuki, il che comporta varie limitazioni matrimoniali. Contratti e proprietà Non è ammesso il trasferimento di diritti a un embrione, mentre è possibile un contratto a favore del nascituro e può essere nominato un curatore per proteggerne i diritti. VI sono opinioni diverse sulla personalità giuridica dell’ubàr in materia di proprietà. Donazioni ed eredità E’ discusso se il feto abbia la capacità di ricevere donazioni: la Mishnà stabilisce un’eccezione alla generale incapacità di acquistare del feto, ossia il padre in punto di morte. Tuttavia interpretazioni più recenti oggi comunemente accolte ritengono che il passo si riferisca al padre in generale, in base alla presunzione secondo cui il padre ami il figlio anche prima della nascita (ma non prima della concezione) e abbia quindi voluto fare una donazione valida al nascituro. L’opinione legale accolta dalla Halachà è quella dell’invalidità della donazione a un postumus alienus e della validità se effettuata dal padre. L’embrione quindi non ha diritti (vengono acquisiti con la nascita), quindi se muore nel ventre materno i diritti di eredità saranno trasmessi agli eredi del defunto, come se l’embrione non fosse mai esistito; se invece nasce dopo la morte del padre erediterà dal padre, come se fosse nato prima di essa. Diagnosi prenatali e pre-impianto Ci si chiede se sia possibile effettuare esami durante la gravidanza, per sapere se esistono complicazioni col feto (es. malattie genetiche o anomalie cromosomiche) ed esaminare col rabbino se ci si trovi in uno dei casi in cui è permesso l’aborto. Diverse sono le posizioni: quelle più avanzate si esprimono a favore di tali esami, considerando che risultati negativi procurano più serenità alla madre, mentre quelle più tradizionaliste sono disposte a concedere gli esami solo se la coppia ha già avuto un figlio affetto es. dalla sindrome di Down e l’interruzione di gravidanza se il risultato positivo provoca alla madre seri problemi psichico-mentali. NB quando viene ammessa la diagnosi pre-impianto si ammette generalmente anche la possibilità di selezionare gli embrioni, scartando quelli affetti da malattie. CAPITOLO II L’inseminazione artificiale è un’azione medica attraverso cui si inietta lo sperma di un donatore nella vagina/utero della donna nei casi di infertilità totale o parziale dell’uomo. A seconda della fonte dello sperma distinguiamo inseminazione omologa (marito), eterologa (estraneo, v. banca dello sperma) e mista (entrambi); esse pongono problematiche diverse. Inseminazione omologa: nonostante alcuni ritengano che l’atto sessuale sia parte integrante dell’adempimento del precetto “crescete e moltiplicatevi” oggi la maggioranza delle autorità rabbiniche ritiene che conti il risultato finale, ossia la nascita del bambino. Un ulteriore problema si trova nel divieto di dispersione dello sperma, cioè di ogni sua emissione al di fuori di un comune rapporto sessuale; tuttavia è opinione comune che il marito, lungi dal desiderare un’inutile perdita del seme, aspira al contrario a generare un figlio. NB l’inseminazione eterologa è concessa anche per conservare l’interezza del nucleo famigliare, la quale si fonda anche sulla presenza di figli. Sul fatto di dover pagare gli alimenti al figlio nato da inseminazione omologa non sussistono dubbi, mentre se la donna rimane incinta per inseminazione dopo la morte del marito questo non esclude l’obbligo del levirato (usanza secondo cui una donna il cui marito muore senza figli deve sposare il fratello di questi e il loro primogenito sarà considerato figlio del defunto).

Inseminazione eterologa Già il Talmud babilonese aveva nel VI secolo previsto la possibilità che una donna rimanesse incinta senza il compimento di un atto sessuale, esaminando il caso dello sperma emesso da un uomo in un bagno e penetrato nella donna che avesse fatto il bagno dopo di lui; ci si chiede se tale donna possa sposare il Sommo Sacerdote (che può prendere in moglie solo vergini) e si giunge a conclusione positiva. Caso analogo quello del figlio di Geremia e di sua figlia concepito in questo modo e considerato non incestuoso in quanto non vi era stato un rapporto sessuale tra padre e figlia. In tempi recenti le opinioni rispetto all’inseminazione eterologa sono divise: vi è chi vede in questa pratica un atto di adulterio e considera i figli così nati adulterini, in quanto questa pratica_ al contrario dei casi offerti dalla tradizione_ è volontaria; i sostenitori di questa tesi fanno riferimento a un versetto del Levitico “Non darai alla moglie del tuo prossimo il tuo giacere per seme”, che fonda, oltre al divieto di avere contatto carnale con lei, anche quello di farle avere il proprio semeproibizione di origine biblica. L’opinione maggioritaria invece vede nella donazione eterologa con seme di donatore ebreo una procedura vietata dall’autorità rabbinica superabile con alcuni accorgimenti: questo è possibile perché si ritiene che il divieto di adulterio sia infranto solo attraverso un atto sessuale. Quanto al problema della responsabilità per gli alimenti, si ritiene che il marito sia tenuto a pagarli se ha acconsentito all’inseminazione, altrimenti no. Secondo l’opinione comune la paternità del bambino nato da eterologa va attribuita al donatore del seme (secondo altri è dubbia) e il figlio non è adulterino, ma la madre è riprovevole per aver violato la religione, il che può costituire per il marito motivo di divorzio. Il divieto di adulterio è originariamente imposto col fine principale di evitare al figlio inconsapevoli unioni incestuose e questo stesso problema si presenta nel caso dell’inseminazione eterologa (salvo che nei Paesi scandinavi in cui le donazioni di seme sono registrate). Caso: Leah e Rachel rimangono entrambe incinte col seme di un donatore X: i rispettivi figli si conoscono e decidono di sposarsi (NB madri, donatore e padri adottivi sono ebrei). Il medico, che aveva tenuto un registro e mantenuto i contatti, si accorge che i fidanzati sono fratello e sorella e si rivolge al Rabbino, che lo invita a rivelare la veritànozze non celebrate. Ma se donatore anonimo? In generale una coppia che vuole avere un figlio deve rivolgersi al rabbino, il quale contatta l’autorità rabbinica competente in materia: si valuta il tempo trascorso dal matrimonio senza figli, il parere di medici competenti e il problema della salvezza del nucleo famigliarenon esiste una soluzione univoca: fondamentale è il desiderio prevalente del marito di avere figli e riconoscerli come propri, solo così il rabbino darà il proprio consenso. Comunque si dovrà fare il possibile per conoscere l’identità del donatore (preferibilmente non ebreo). Inseminazione post-mortem questa pratica può essere dovuta al desiderio della vedova di avere un figlio dal defunto o della stessa persona di assicurarsi una discendenza. Diverse sono le questioni etiche che l’inseminazione post-mortem pone, prima tra tutte la condizione del bambino che nascerà senza padre. Coloro che si oppongono si appellano all’onore dovuto alla dignità umana e al corpo del defunto, al divieto di mutilazione/uso improprio della salma e a quello di trarre beneficio dalla salma stessa, mentre altri ribattono che non si ledono questi divieti quando la cosa è fatta per il compimento di una mitzvà, ossia il precetto della procreazione. Altre considerazioni riguardano il consenso all’estrazione post-mortem, che può essere esplicito, implicito (naturale desiderio di avere figli) o mancare del tutto; se il consenso è espresso o se è chiaro che il defunto avrebbe acconsentito, secondo alcuni è concessa questa pratica, in quanto la Torà ha dato importanza al desiderio di avere figli e gli eredi non possono opporsi. CAPITOLO III La madre surrogata è colei che offre il proprio utero per ricevere un ovulo fecondato da un’altra donna e dal marito di lei, la quale non ha la possibilità di portare avanti la gravidanza per problemi fisici o psichici; il bambino verrà poi consegnato ai genitori genetici. L’uomo donatore sarà riconosciuto come padre sia che la fecondazione sia avvenuta durante un normale rapporto sessuale sia che sia avvenuta attraverso l’inseminazione artificiale; chi è la madre del bambino? La madre genetica o quella fisiologica che l’ha partorito? Rav Goren, rabbino capo di Israele, sostiene la posizione della madre genetica, ritenendo che così come il donatore di sperma è considerato padre, allo stesso modo la donna che dona l’ovulo deve essere

considerata madre; il ragionamento è fondato anche su un passo del Talmud che sottolinea la compartecipazione di uomo e donna nella formazione genetica del figlio, i quali forniscono rispettivamente la sostanza bianca (cervello, nervi, unghie, ossa) e quella rossa (pelle, carne, capelli). Ne deriva che se la madre genetica è ebrea, il figlio sarà considerato ebrea (NB l’identità ebraica è trasmessa per via matrilineare), indipendentemente dalla surrogata. Caso Nachmani In Israele gli embrioni possono rimanere congelati per 5 anni (e altri 5 con consenso speciale delle autorità); la madre può ottenere l’embrione fecondato dopo la morte del marito, ma non vale il contrario, mentre in caso di divorzio serve il consenso dell’ex-marito. Caso: Ruti, sposata con Daniel, non poteva avere figli in modo naturale in seguito a un’operazione; decidono di effettuare la fecondazione artificialeovuli della donna fecondati con seme del marito conservati in attesa di essere impiantati nell’utero di madre surrogata. Nel frattempo Daniel abbandona il tetto coniugale (rimane sposato perché Ruti si rifiuta di concedere il divorzio) e va a convivere con un’altra donna. Ruti chiede all’ospedale di avere gli ovuli per portare avanti la procedura; il Tribunale rabbinico di Haifa invita i coniugi a tornare a vivere insieme, ma Daniel si rifiuta e manifesta a propria opposizione a proseguimento della fecondazione assistita. Le due posizioni si fondano sul diritto di non essere padre di figlio non voluto (consenso iniziale di Daniel è venuto meno al mutare delle circostanze) vs ultima possibilità di avere un figlio (la procedura medica aveva tolto a Ruti la possibilità di dare anche solo ovuli). Il Tribunale distrettuale accoglie la domanda di Ruti, mentre la Corte Suprema il ricorso di Daniel, ma riesamina il caso alla presenza di 11 giudici e accoglie la posizione di Ruti (7 vs 4). I giudici di minoranza hanno ritenuto che il diritto di Ruti di essere madre non significava per forza avere un figlio dal signor Nachmani e che l’accordo tra i coniugi s era formato in previsione di una vita comune (possibile recesso). La maggioranza si è basata invece sul promissory estoppel=principio di common law secondo cui una promessa può essere vincolante se vengono effettuate spese o assunte obbligazioni come conseguenza dell’affidamento ingenerato dalla promessa: Ruti si era sottoposta a un’operazione dolorosa e pericolosa (che le aveva tolto la possibilità di futuri esperimenti) facendo affidamento sull’accordo col marito; inoltre il consenso del marito era venuto meno in uno stadio molto avanzato della procedura, quando il materiale genetico dei due era già stato unito. Interessante notare che la Corte ha fatto ampio uso del diritto ebraico, v. richiamo alla prima mitvà, il precetto della procreazione, il cui rifiuto ad adempiere da parte dell’uomo è causa di divorzio, non di costrizione ad avere figli (argomento vs Ruti); e ancora v. richiamo all’importanza dei figli come continuatori della vita dell’individuo secondo la tradizione ebraica (argomento pro Ruti). Fecondazione in vitro: consiste nell’asportare alcuni ovuli dalla madre per farli fecondare in provetta da cellule di sperma del marito; quindi si tengono in osservazione per poi selezionare quali impiantare nell’utero materno. Nel 1989 il prof. Grazi, direttore del dipartimento di fecondazione femminile in un ospedale di New York, propose a due rabbini israeliani tre questioni: 1) qual è lo status degli ovuli in provetta? 2) hanno status di ubàr per salvare i quali si può profanare lo Shabbat? 3) si possono eliminare gli ovuli non scelti? Entrambi sostennero che gli ovuli fecondati, finché si trovano in provetta, non hanno lo status protetto di embrione, quindi quelli non scelti possono essere eliminati (non è considerato aborto perché non si trovano all’interno dell’utero) e per essi non si può profanare lo Shabbat. Questa posizione è basata principalmente sul versetto della Genesi che racchiude il principio “non uccidere” e sull’insegnamento rinvenuto nel Talmud secondo cui chi uccide un embrione nel ventre materno commette colpa capitale, in quanto l’embrione è uomo nell’uomo (adàm baadàm). Dunque, finché l’ovulo non è impiantato nell’utero non ha lo status di ubàr. Secondo le prevalenti opinioni si possono distinguere tre fasi: 1. Pre-embrionale (in vitrono protezione) 2. Ubàr (nel ventrediritto a protezione inferiore rispetto alla madre, perché non è ancora nefesh) 3. Nascita=la testa del bambino è uscita (protezione piena). Diradamento di embrioni Se la donna ha nell’utero più embrioni (v. cure per la fertilità) e sussistono complicazioni per cui non potrà portare a termine la gravidanza (alcuni nascerebbero prematuri con probabili difetti fisici o cerebrali che in molti casi li porterebbero a morire poche settimane dopo il parto), è

permesso abortirne alcuni per salvare gli altri (cd. diradamento dei feti entro 3 mesi mediante puntura uterina)? Basandosi sui testi che trattano della legittima difesa, si ritiene che, come è permesso uccidere un individuo che minaccia di assassinare un’altra persona (cd. rodèf, persecutore), allo stesso modo è consentito il diradamento di feti che mettono in pericolo la sopravvivenza degli altri. La decisione in merito al numero di feti da eliminare è lasciata al medico, che esamina la situazione sia dei feti sia della madre; i criteri di scelta sono basati su considerazioni mediche (es. non rilevante il sesso). Controverse le opinioni sul periodo in cui effettuare il diradamento: si propende per i 40gg, ma alcuni sono elastici in situazioni particolari. Comunque se il diradamento è proposto in caso di pericolo per la vita della madre concesso senza alcun dubbio; se pericolo per gli altri feti non esiste l’obbligo di procedere (la coppia può affidarsi alla misericordia divina). Cellule staminali In materia, si ritiene che sia permesso l’uso di feti abortiti spontaneamente per ricerche scientifiche eseguite allo scopo di salvare vite umane o alleviare intensi dolori. Di Segni, medico e rabbino capo di Roma, esplicita le tre condizioni che le rendono legittime: embrione in vitro (extracorporeo rispetto alla donna); meno di 40gg; la ricerca ha il fine ultimo di salvare vite umane. Ingegneria genetica è l’insieme delle tecnologie che permettono la manipolazione in vitro del dna, in modo da provocare cambiamenti predeterminati nel genotipo dell’organismo; gli scienziati son...


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