Diritto Romano Il furto di terra e di animali in diritto ebraico e romano PDF

Title Diritto Romano Il furto di terra e di animali in diritto ebraico e romano
Author Alexis Sanchez
Course Storia del Diritto Romano
Institution Università degli Studi di Salerno
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Il Furto di terra e di animali in diritto ebraico e romano. “Studi sulla Collatio VII”. - Capitolo Primo : Proprietà e furto. 1) Famiglia e proprietà. Il furto, ovvero l'indebita appropriazione di cose altrui, è sempre stato sanzionato, poiché considerato una grave violazione della proprietà privata, fondamento primario per una pacifica convivenza. Nell'antica Roma sacro veniva considerato il matrimonio che sottintendeva il divieto di promiscuità sessuale per la donna : lei poteva avere rapporti solo con il legittimo marito – padre dei suoi figli – e la violazione – adulterio – veniva considerato una colpa grave, in quanto metteva in dubbio la certezza della paternità. D'altra parte la promiscuità sessuale dell'uomo non veniva considerata reato poiché la stessa non metteva in pericolo la certezza della sua prole. Un marito – in sintesi – era libero di andare con una prostituta o una donna libera, mentre se aveva rapporti con una donna sposata, entrambi potevano essere puniti. 2) Furto di terra. Per i ladri esistevano diverse forme di sanzione a seconda delle modalità con le quali avveniva l'indebita sottrazione del bene. Aggravante, al tempo dei romani, veniva considerato il furto commesso di notte o a mano armata. Negli anni della repubblica particolare attenzione venne data al furto commesso attraverso la violenza (rapina, maleficium), che prevedeva un risarcimento privatistico. La gravità del furto veniva considerata anche attraverso il tipo di oggetto sottratto : in età imperiale venne data considerazione al plagium (furto di uomini), ovvero l'abusiva cattura e riduzione in servitù di uomini liberi o schiavi altrui. In età sillana venne istituita un'apposita quaestio perpetua per il peculatus (pecunia sacra, religiosa o pubblica), ovvero l'appropriazione indebita di beni pubblici. Un reato particolarmente grave venne considerato il furto di terra. Non sempre i confini terreni erano delimitati da elementi naturali e dunque per delimitare il proprio terreno l'uomo ricorreva a termini artificiali come pietre, cartelli, pali, alberi, etc..._ Al tempo dei romani il terminus veniva venerato e temuto come un dio, il Dio Terminus. E la sua rimozione fraudolenta veniva considerata come un'offesa al dio violato, un sacrilegio, e chi avesse osato rimuovere il termine diveniva homo sacer, consacrato al dio offeso. 3) Furto di animali. Considerazione a parte la ebbe il furto di animali (abigeatus), non solo perché lesivo del diritto di proprietà sulle bestie, ma anche perché danneggiava un ciclo produttivo impedendo di lavorare la terra e sfamare i propri figli. I responsabili, del furto di animali da agricoltura e pascolo, vennero classificati come abigei, termine che risulta fino ai giuristi severiani e che tra il IV e V secolo venne affiancato da abactores (lo userebbero le Pauli Sententiae fino a Giustiniano quando torna la parola abigei). Secondo Isodoro la parola abactor sarebbe l'espressione colta del concetto, mentre

abigeus quella popolare : abigere significava “condurre innanzi”, probabilmente perché chi ruba una bestia è portato a spingerla davanti a se. In ogni caso la Collatio usa il termine “De abactoribus”.Ai diversi interrogativi sorti riguardo la specifica fattispecie di reato e la sua catalogazione (numero di animali, specie e modus operandi del ladro), avrebbero provato a dare risposte nei primi decenni del IIIsecolo i giuristi Ulpiano e Paolo. 4) La Collatio. Collatio legum Moisacarum et Romanarum, opera singolare, di autore incerto, così come la località, la data di redazione e la funzione. Redatta probabilmente tra il 400 e l'800 d.C, sembrerebbe una sorta di rudimentale comparazione tra il diritto ebraico e quello romano. Ogni titulus si apre con una citazione di uno o più precetti biblici tratti da 4 dei 5 libri della Torah (manca solo la Genesi), tradotti in maniera approssimativa. E dopo ogni titolo vengono riportati alcuni brani di 5 giureconsulti romani (prevalentemente di Paolo e Ulpiano, in quantità minore di Gaio, Modestino e Papiniano). Ogni titolo ha un'intitolazione che ne indica il contenuto (solo il 1 ne ha 2), anche se la pertinenza degli argomenti trattati, insieme alla somiglianza tra parte ebraica e romana, è spesso approssimata e apparente. E l'opera appare piena di errori e incongruenze. Ma c'è da dire che le inesattezze della Collatio non compaiono in tutto il testo: la parte relativa al diritto romano (i responsa giurisprudenziali e le leges imperiali)sono altamente precise, come se questa parte fosse stata trascritta attraverso una diretta consultazione delle fonti ; mentre la parte relativa ai precetti biblici sembrerebbe riportata a memoria , da parte di un autore che magari conosceva bene il testo biblico ma che al momento della scrittura non aveva il testo davanti. Anche la scelta dei testi appare frettolosa e grossolana. Nel complesso, però, da un'idea di un'opera lasciata incompiuta. L'ordine dei tituli della Collatio segue approssimativamente quelle del decalogo, in quanto pare ricalcare la sequenza dei Comandamenti mosaici (dal VI al XI). – Capitolo secondo : De abactoribus. 1)Paolo. Il titolo della Collatio si apre con la consueta traduzione in latino di un passo della Torah (Esodo). I primi 5 brani sono di Paolo (4 di questi contenuti nelle sue Sententiae dove è presente un titulus De abactoribus), e altri due di Ulpiano. *(2 brano) Scrive Paolo che la qualifica di abactores verrebbe data tenendo conto di tre fattori : sesso dell'animale, numero e specie. L'illecito è integrato anche dalla sottrazione di un solo cavallo, un bue, o di almeno due giumente o vacche, o – indipendentemente dal sesso – di 5 maiali, 10 pecore o capre. Differenza fondata sul valore economico del bestiame. E cavalli e buoi probabilmente valgono di più poiché rilevanti ai fini della riproduzione (possono fecondare più femmine nello stesso periodo). Questo spiegherebbe anche il perché dell'esclusione dei volatili, delle galline, delle api e dei cani. Stessa cosa per gli animali da circo, visto che l'abigeato si riferisce al furto degli animali da pascolo e da agricoltura. Sulla sanzione il giurista chiarisce che se vengono rubati capi di bestiame in numero minore a quelli enunciati

viene considerato un semplice furto, quindi verrà applicata solo una sanzione pecuniaria con il risarcimento in duplum o in triplum di ciò che è stato rubato : a differenza di ciò che riportano le fonti (duplum vel quadruplum). Ma non si può pensare ad una manipolazione al testo fatta dal collazionatore : piuttosto una riduzione di pena agli inizi del terzo secolo. L'abigeatus, invece, verrà punito tramite fustigazione e 1 anno di lavori forzati (resta intesa la possibilità di un risarcimento di tipo privatistico). Se invece il responsabile sia stato un servo, questo verrà restituito al suo padrone per espiare presso di lui la condanna. *(3 brano) Paolo cita il caso di una sottrazione di pecore mentre era in corso una contestazione legale sulla proprietà di esse : in questo caso verrà considerato come ladro semplice condannato in duplum o in triplum. Questo perché essendo in corso una controversia si presume che egli avesse preso – anche se abusivamente – qualcosa che pensava gli spettasse già di suo. *(4 brano) Paolo affronta il caso della sottrazione di un bue, 1 cavallo o un altro animale sfuggito al controllo del padrone e catturato allo stato brado : in questo caso viene considerato un fur. *(5 brano) Paolo riporta uno stralcio dell'imperatore Antonino Pio diretto al concilium della Betica, regione della Spagna, nota per allevamenti di cavalli, nel quale spiega che gli abigei – nel caso del furto di cavalli – saranno puniti più duramente con la condanna a morte. Poi ribadisce che nel caso di controversie in corso i ladri verranno considerati come fur e condannati al risarcimento danni ma non in duplum o in triplum, ma in duplum o quadruplum. Anche se nell'espressione usa il termine “si victus fuerit” (se venga condannato) che potrebbe apparire superfluo : non è chiaro se si voglia intendere che il ladro verrà condannato se si dimostri che abbia effettivamente rubato i capi, o se si dimostrerà che non era il proprietario e quindi non poteva prenderli. La formulazione del testo fa riferimento quasi sicuramente alla seconda ipotesi. 2) Ulpiano *(1 brano). Ulpiano rimanda ad uno scritto dell'imperatore Adriano che dispone per gli abigei punizioni durissime venendo mandati a morte (ad gladium); ma se c'è reiterazione del reato questo verrà condannato ai lavori forzati per un limitato periodo di tempo nelle miniere. Ulpiano, però, sottolinea la contraddizione del brano di Adriano,in quanto la condanna ai lavori forzati sembrerebbe più “grave” della stessa pena capitale. Il giurista suppone che forse l'imperatore con l'espressione “poena gladii” abbia voluto intendere non la pena di morte – con uccisione a mezzo spadama una “ludi damnatio” condanna ai combattimenti nell'arena: la differenza è che coloro che vengono condannati ad gladium vengono uccisi subito o entro un anno; mentre chi viene mandato in ludum, può essere anche liberato in 5 o 3 anni. In ogni caso – sottolinea Ulpiano – la punizione per gli abigei non è sempre la stessa. Ma il brano solleva consistenti dubbi : non appare credibile che l'espressione “ad gladium” sia stata adoperata in questo senso, anziché nel suo significato consueto di condanna a morte immediata e sia perché, anche a volerla intendere come una condanna ai combattimenti nell'arena, resta una sanzione più pesante di quella ai lavori forzati. Quindi è probabile che il testo sia stato riportato da Ulpiano in modo errato, meno

probabile una modifica da parte dell'autore della Collatio. Altra circostanza da considerare è che nel brano dei Digesti sono citate le parole del rescritto fino a “damnatur”, mentre non si fa parola del proseguo della norma, da “ideoque puto...”. *(2 brano) vi è una definizione della categoria degli abigei, considerati tali coloro che sottraggono i capi di bestiame dai loro pascoli o mandrie, e chi in modo professionale ruba cavalli e buoi dai loro armenti. Ma se invece qualcuno sottrae un bue o un cavallo solitario viene considerato fur. E chi ruba un maiale o una capra o un montone non va punito cosi gravemente come chi sottrae animali di maggiori dimensioni. Poi viene riportato un rescritto dell'imperatore Adriano che dispone per i responsabili del misfatto un'assegnazione temporanea ai lavori forzati o una condanna ad gladium, e per i cittadini di rango superiore una relegazione in insulm o la rimozione dal loro ordo di appartenenza. Ulpiano sottolinea che nell'antica Roma gli abigei vengono anche dati in pasto alle belve feroci chi commette il crimine con l'uso delle armi. 3) Atroces abactores (1 brano) Paolo riferisce dell”aggravante dell'aggravante” per la qualifica di atroces abactores : chi abbia sottratto dalla loro stalla o dai loro pascoli i capi di bestiame; chi abbia compiuto più volte lo stesso reato (saepius); con l'uso delle armi (ferro); attraverso un'incursione collettiva violenta (conducta mano). I responsabili in questo caso vengono passati per le armi (plerenque); o condannati ai lavori forzati nelle miniere (ad metallum); o a svolgere forzatamente un altro lavoro pubblico (opus publicum). Sembra strano, però, che la qualifica di atroces abactores venga prima degli abactores “semplici”. Si è ipotizzato sia un errore del collazionatore che abbia invertito l'ordine dei brani contenuti nelle Pauli Sententiae. Non verosimile poiché è vero che la Collatio è piena di errori e imprecisioni – ma questo valeva solo per i brani mosaici – è stato sottolineato più volte che per la parte romana l'autore aveva consultato le fonti in maniera diretta; improbabile anche l'idea di un'alterazione volontaria, anche in questo caso il collezionatore lo ha fatto sempre per la parte relativa alla parte ebraica; non si capisce perché debba essere incolpato il collezionatore di questa inversione d'ordine dei brani e non l'autore delle Pauli Sententiae (visto che forse l'autore di quest'ultimo abbia scritto il testo in questo modo). Quindi il collezionatore ha certamente riprodotto fedelmente il testo di Paolo nel quale per motivi sconosciuti vengono classificati prima gli atroces abactores e poi gli abactores. 4) Vitulus aut ovis Il passo mosaico con cui inizia il titolo “De abactoribus” rappresenta in realtà l'accorpamento di due distinti brani del libro dell'Esodo, esposti in modo casistico. *Se qualcuno avrà rubato un bue o una pecora e l'avrà ammazzato o venduto, restituirà 5 buoi per il bue e 4 pecore per la pecora. *Se non avrà i mezzi per restituire il valore, verrà venduto egli stesso come schiavo. Due spiegazioni di due commentatori: -Zakkai : il bue vale di più perché cammina sulle sue zampe ed il ladro non si degrada portandolo sulle spalle come dovrebbe fare con la pecora.

-Meir : il bue sarebbe stato allontanato dal lavoro che svolgeva nei campi a differenza della pecora che veniva impiegata diversamente. *Se un ladro è colto nel momento in cui compie lo scasso e il proprietario lo colpisce a morte, non è considerato omicidio. *Se però il fatto è avvenuto dopo lo spuntare del sole (all'alba) il proprietario verrà punito e il ladro dovrà restituire quanto rubato ( e se non avrà i mezzi per farlo sarà venduto come schiavo). In questo stralcio il collezionatore fonde due diverse disposizioni, una relativa al furto di animali, l'altra al furto in generale. – Capitolo terzo : Categorie criminali. 1) Quantitas e qualitas. La Collatio, dunque, inquadra il furto di animali in : a) furto semplice; b) abigeato, ossia furto di animali, di una determinata natura e in un determinato numero; c) abigeato atrox, in quanto realizzato in determinati modi. Nel secondo secolo il giureconsulto Venulenio Saturnino in un piccolo trattato riportato nel 48° libro dei Digesti, qualifica i diversi crimina in 4 genera : i facta (i fatti, come i furti o gli omicidi); i dicta (le parole, come le istigazioni a delinquere); gli scripta (gli scritti, come i libelli diffamatori); i consilia (i progetti delittuosi, come i complotti, le congiure o le induzioni a delinquere). Sette modi per classificare i 4 genera: – Causa : a che titolo viene commessa una data azione. Es. Se qualcuno viene picchiato tale fatto è lecito se compiuto da un maestro o genitore (a scopo correttivo); va sanzionato se effettuato da un estraneo. – Persona : chi compie l'azione e chi la subisce. Es. Vengono applicate diverse sanzioni se a commettere quel reato è uno schiavo o un uomo libero; se si realizza a danno di un estraneo, o del proprio padrone o di un genitore; nei confronti di un magistrato il reato è considerato più grave. Si valuta anche l'età del responsabile (se minore non c'è punizione). – Locus : luogo dove è stato commesso il crimine. Es. Rubare un oggetto da un tempio è considerato non furtum, ma un sacrilegium, e la punizione può portare alla pena capitale. – Tempus : ora del misfatto. Es. Se un prigioniero o uno schiavo scappa di notte è considerato emansor e non un semplice fugitivus, e il ladro che agisce di notte viene punito più severamente e la vittima può punire direttamente il bandito. – Qualitas : gravità dell'offesa subita. Es. Si distingue il furto manifesto (colto il flagranza di reato) da quello non manifesto, la rissa dalla grassazione (aggressione a mano armata), la expilatio (saccheggio) dal furto semplice. – Quantitas : numero degli oggetti rubati. Differenza tra fur e abigeus. Es. Se uno ruba un solo maiale, è punito come fur; se ruba un intero gregge, come abigeus.

– Eventus : il fatto nella sua concreta manifestazione. Es. La legge punisce sia chi brandisce l'arma con l'intenzione di uccidere, sia chi abbia realmente ucciso, le sanzioni però sono diverse. Nel caso del furto di animali Saturnino basa la distinzione tra furtum e abigeatus sul modo della quantitas (numero di animali sottratti). Ma sulla base dei brani di Paolo e Ulpiano viene considerata la qualitas e la quantitas (specie di animali funzionali all'economia agricola e pastorale e numero). 2) Crimini e criminali Tredici dei 16 titoli della Collatio hanno un profilo esplicitamente penalistico (tranne 9,10 e16). Un dato che si inserisce con la tendenza, iniziata dal 4 secolo, di spostare l'attenzione dalla definizione del crimine astratto (plagium, stuprum, incendium), a quella del criminale, ovvero della persona responsabile (plagiarius, stuprator, incendiarius). E il titolo XI della Collatio (De abactoribus), si inserisce chiaramente in questa tendenza alimentata da una concezione religiosa del malfattore come peccatore, meritevole di essere individuato e classificato e poi corretto. – Capitolo quarto : Rubare terra. 1) De termino amoto. Il 13 titolo della Collatio è il più breve di quelli riportati dell'opera. Oltre alla consueta citazione mosaica il brano contiene un piccolo frammento di Paolo e un brano più consistente di Ulpiano. *Paolo afferma che se qualcuno avrà abusivamente rimosso i termini dovrà essere giudicato attraverso cognito extra ordinem (processo fiscale). *Ulpiano fa riferimento ad uno scritto dell'imperatore Adriano, volto a punire la rimozione abusiva del termini : chi rimuove i cippi di confine deve essere adeguatamente punito. *La pena, però, dovrà essere graduata sulla base dello status personale del responsabile e l'intenzione del gesto : nel caso di persone di rango elevato (splendidiores), che certamente hanno compiuto il fatto con l'intento di appropriarsi di terra altrui, queste dovranno essere relegate in insulam, per una durata di tempo commisurata alla propria età : più a lungo i giovani, più brevemente gli anziani. *Se i colpevoli saranno soggetti di rango inferiore, andranno assegnati ai lavori forzati per due o tre anni; se i termini verranno sottratti per sbaglio, o in modo accidentale, sarò sufficiente fustigarli. 2) Possessio tua. Il brano biblico riportato nella Lex Dei riproduce in modo approssimativo un passo del Deuteronomio. Nel testo “originale” si insiste sul fatto che i confini sono posti a delimitazione e tutela della terra che Dio ha “dato per ereditarla”; ma nella versione dello stesso brano riportato nella Lex Dei, non compare il concetto di eredità ma di possessio. Questo concetto, però, è sottolineato dalla Vulgata Editio, la traduzione biblica realizzata da San Girolamo tra la fine del IV e inizio del V secolo. “L'eredità,

data per essere ereditata”, diventa in Girolamo la possessio (concessa per essere posseduta). Si presume, dunque, che l'autore della Collatio conoscesse questo testo e ne abbia tenuto conto per la sua approssimata trascrizione del brano biblico. Questo fa supporre che la Collatio sia un'opera nata probabilmente nell'alto Medioevo. 3) Il titulus. La sigla di “De termino amoto” non compare in nessun testo, se ne parla solo nei digesta in un brano intitolato “De termino moto”. Questo fa pensare che l'autore non abbia inventato il titolo ma che abbia riprodotto l'intitolazione giustineana : indizio che l'opera sia stata realizzata dopo Giustiano (forse due secoli e mezzo dopo). Allora perché nella Collatio non vi è un riferimento al Corpus iuris civilis? Non è detto che l'autore non avesse intenzione di metterla in seguito – visto che la Collatio si sa è un 'opera incompleta -, e in ogni caso non è detto che dovesse inserirlo per forza. – Capitolo quinti : L'ottavo comandamento. 1) Decalogo e collatio. Corrispondenza tra l'ordine e i contenuti dei 16 titoli della Lex Dei e quelli del Decalogo biblico, in particolare della seconda Tavola della Legge, a cui si attribuiscono i principali doveri verso il prossimo, mentre nella prima quelli verso Dio. Ma questa seconda tavola è quella tramandata dalla tradizione ebraica e non quella di Sant'Agostino (cattolica) dove il primo Comandamento è stato trasformato in una sorta di premessa e il decimo è stato scorporato in due precetti per conservare il numero 10. Qui il collazionatore sembra forzare il XIII titulus con l'VIII comandamento. 2) Comparazione e manipolazione. Il collazionatore dunque cerca di forzare la mano sulla comparazione tra diritto romano ed ebraico : in primis, sul piano tematico, dando l'idea che ebrei e romani abbiano conosciuto le medesime fattispecie criminose; in secundis sul piano disciplinare cercando di dimostrare che le sanzioni per i vari delitti sarebbero più o meno simili. ...


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