James Joyce E Dubliners: l\'analisi dell\' opera di Joyce, con attenzione a temi e personaggi PDF

Title James Joyce E Dubliners: l\'analisi dell\' opera di Joyce, con attenzione a temi e personaggi
Author claudia giusti
Course Letteratura inglese
Institution Libera Università Maria Santissima Assunta
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l'analisi dell' opera di Joyce, con attenzione a temi e personaggi. introduzione delle figure utilizzate da Joyce!...


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JAMES JOYCE E DUBLINERS Per molti critici, la short story entra nella sua fase moderna con la pubblicazione di Dubliners di J Joyce, in particolare per il principio estetico e strutturale dell’epifania, per l’uso insistito del discorso indiretto libero in luogo della narrazione in terza persona pura, e per uno stile espressivo improntato a una “scrupulous meanness”. Il fatto che il testo sia stato pubblicato nel 1914 sembrerebbe farlo collocare nel periodo Modernista prebellico, dal punto di vista cronologico è così. Tuttavia dobbiamo considerare che Joyce inizia a lavorare al testo già nel 1904 e che il testo era completo, a parte The Dead, ne, 1906. Dunque, l’ambiente culturale nel quale e rispetto al quale i racconti si evolvono non è quello modernista ma la letteratura dell’Irish Cultural Revival e l’avanguardia britannica fin-de-siècle. Lo stimolo iniziale per il progetto giunse da George Russell, figura di spicco nello Irish Cultural Revival, il quale invitò Joyce a fornire due racconti per lo Irish Homestead, una rivista mainstream rivolta a un pubblico di famiglie e organo dello Irish Agricultural Organization Society. Il suggerimento di Russell era che Joyce scrivesse qualcosa di “simple, rural?, livemaking?, pathos?”. Joyce presentò un racconto che in realtà sovvertiva le attese del pubblico, il tenore e i canoni della norma della rivista. Negli ambienti del decadentismi, la short story era divenuta il sito in cui gli scrittori sperimentavano le possibilità estetiche della brevità, allontanandosi dal modello della short story aneddotica orientata al plot, come la detective fiction, o la short story sentimentale, orientate a u gusto popolare, per produrre strutture narrative aperte, irrisolte e prive di trama.

Mentre i racconti che di solito venivano pubblicati appartenevano ancora a una tradizione didattica e fornivano delle lezioni di vita moralmente edificanti, Il racconto che Joyce fornì, intitolato The Sisters, non solo destabilizza il senso di una chiara demarcazione e di un chiaro orientamento morale perché è pieno di allusioni, possibilità adombrate e ambiguità, ma nega anche la possibilità di finale davvero conclusivo. Il racconto è strutturato intorno alla morte di un vecchio sacerdote, FAther Flynn, narrata da un bambino con cui aveva stretto un rapporto, la natura del quale non viene chiarita da Joyce. Il racconto stimola l’inferenza benché non orienti con precisione l’inferenza del lettore. Il tessuto narrativo crea la percezione di un’ambiguità in modo costante. Ad esempio si dice c’era “qualcosa” di strano in lui, benché non si dica cosa. Sembrava “nervoso” utlimamente, ma non si dice perché. Joyce suggerisce che il sacerdote adombrasse qualche segreto, la cui natura non è chiarita. A questo si aggiunga il mistero del perché la sua salma non sia esposta nella chiesa per la veglia prima del funerale. Tutta la serie di questioni irrisolte che Joyce costruisce intorno a Father Flynn si condensa nel simbolo dell’incidente del calice rotto che lo avrebbe lasciato “a bit affected”. Notare che l’incidente non viene mostrato da Joyce, ma solo richiamato per via di allusione. Quando Joyce revisionò “The Sisters” per la pubblicazione in volume intensificò il vocabolario evasivo e i suggerimenti di disapprovazione che circondano Father Flynn, aggiungendo la parola simony, nella mente del narratore. Insieme a paralysis, e gnomon. In sostanza dunque The Sisters ribaltava i valori di certezza dei racconti precedentemente pubblicati da The Irish Homestead.

Il secondo racconto che Joyce propose alla rivesta fu “Eveline”, il cui target è la fiction che cercava di dissuadere dall’emigrazione, fiction che avvertiva i cittadini irlandesi, soprattutto giovani donne, dei pericoli e dell’infelicità chepotavno nascere dalla scelta di emigrare. Nel racconto di Joyce, Eveline non emigra, ma non lo fa perché resta intrappolata nella sua educazione e nel suo ambiente, dunque non come un esito virtuoso di valutazioni di felicità ma come esisto luttuoso di una morale rinunciataria che la paralizza. La strategia narrativa di Joyce consiste nel rendere le ambiguità della coscienza di Eveline, per cui non è possibile stabilire con certezza se intendesse davvero fuggire con Frank, né quanto abbia mitizzato questa figura, né se questa figura avrebbe potuto liberarla. IL mezzo attraverso il quale Joyce consegna il lettore a un’ambiguità di fondo è il discorso indiretto libero, che mescola i pensieri del personaggio e quelli del narratore: She stood among the swaying crowd in the station at the North Wall. He held her hand and she knew that he was speaking to her, saying something about the passage over and over again. The station was full of soldiers with brown baggages. Through the wide doors of the sheds she caught a glimpse of the black mass of the boat, lying in beside the quay wall, with illumined portholes. She answered nothing. She felt her cheek pale and cold and, out of a maze of distress, she prayed to God to direct her, to show her what was her duty. The boat blew a long mournful whistle into the mist. If she went, tomorrow she would be on the sea with Frank, steaming towards Buenos Ayres. (“If I go, tomorrow I will be on the sea with Frank…”) Their passage had been booked. Could she still draw back after all he had done for her? (Can I still draw back after…?) Her distress awoke a nausea in her body and she kept moving her lips

in silent fervent prayer. A bell clanged upon her heart. She felt him seize her hand: Come! All the seas of the world tumbled about her heart. He was drawing her into them: he would drown her. (“he will drown me”) She gripped with both hands at the iron railing. Come! No! No! No! It was impossible. (“It is impossible”) Her hands clutched the iron in frenzy. Amid the seas she sent a cry of anguish! Eveline! Evvy! He rushed beyond the barrier and called to her to follow. He was shouted at to go on but he still called to her. She set her white face to him, passive, like a helpless animal. Her eyes gave him no sign of love or farewell or recognition. Stabilire con certezza cosa accada in questo momento nella mente del personaggio è molto difficile, per via delle molte ambiguità. La passività che caratterizza Eveline nell’ultimo paragrafo è un esempio di paralisi emotiva causata dal dilemma che si trova ad affrontare. Il narratore di Joyce è esterno, ma conosce e riporta ciò che avviene nella mente del personaggio: ma il fatto che il narratore sposi totalmente il punto di vista del personaggio e comunichi al lettore solo lacerti di pensieri incompleti riguardo a ciò che avviene nella sua mente, relega il lettore alla conoscenza incompleta che il personaggio stesso ha di sé, ai suoi stessi limiti. Questo è un esempio della “scrupulous meanness” di Joyce: potrebbe spiegare al lettore, ma non lo fa perché vuole mantenere il senso di una ambiguità di fondo. E allora, la famosa epifania di Eveline. Come è stato suggerito dalla critica, la lingua che descrive il momento in

cui interviene la paralisi “amid the seas she sent a cry of anguish!” sembra proprio una frase da romanzo romantico, sembra non appartenere al registro ordinario del personaggio e sembra che il personaggio sia quasi ventriloquizzato da un discorso che ha assorbito dall’esterno. Come prima aveva fatto ricorso alla preghiera a Dio, ossia alla morale di osservanza e di acquiescenza che le era stata insegnata, ora Eveline sembra fare ricorso a questo stereotipo per nobilitare in qualche modo il proprio rifiuto a partire e giustificarlo ai propri occhi. In altre parole: menmtre questo potrebbe essere il luogo testuale della rivelazione, Joyce la problematizza, poiché la rende il luogo in cui il personaggio si scherma a se stesso o non accede a un contenuto che invece il lettore intuisce. Ecco perché Dominic Head ha parlato del principio di Joyce come “non-epiphanic”: l’epifania joyciana è il luogo di costruzione di una dissonanza. Joyce scrisse un terzo racconto per lo Irish Homestead, “After the Race”. Ricevette talmente tante lettere di protesta che la rivista rifiutò di accettare altre pubblicazioni da lui. Vediamo ora di capire perché Dubliners rappresenta un momento significativo nell’elevazione della forma della short story nella pratica modernista. E allora dobbiamo esaminare le strategie narrative di Joyce: la “scrupulous meanness” anzitutto. Questo è quanto Joyce scrive all’editoere Grant Richard nella lettera del 5 maggio 1906:

As for my part and share in the book I have already told all I have to tell. My intention was to write a chapter of the moral history of my country and I chose Dublin for the

scene because that city seemed to me the centre of paralysis. I have tried to present it to the indifferent public under four of its aspects: childhood, adolescence, maturity and public life. The stories are arranged in this order. I have written it for the most part in a style of scrupulous meanness and with the conviction that he is a very bold man who has seen and heard. I cannot do any more than this. I have come to the conclusion that I cannot write without offending people. The printer denounces Two Gallants and Counterparts. A Dubliner would denounce Ivy Day in the Committee-Room. The more subtle inquisitor will denounce An Encounter, the enormity of which the printer cannot see because he is, as I said, a plain blunt man. The Irish priest will denounce The Sisters. The Irish boardinghouse keeper will denounce The Boarding House. Do not let the printer imagine, for goodness sake, that he is going to have all the barking to himself. Joyce intende verosimilmente dire che ha inteso ritrarre tutti gli aspetti di Dublino e del modo di vita dei suoi abitanti. Meanness nel senso di imparzialità, non compiacenza. Ma meanness indica anche una estrema parsimonia, e dunqeu Joyce si riferisce al fatto che in Dubliners l’onniscenza del narratore è suggerita ma sapientemente negata e le informazioni sono parcellizate. In luogo di fornire la sicurezza di una autorità metanarrativa, Joyce preferisce lasciare che nel testo circolino liberamente interpetazioni contrastanti, spesso tali da escludersi l’un l’altra e lascia il lettore in balia dei pesnieri e delle illusioni schermanti dei personaggi. Per esempio, in The Sisters, Joyce inserisce una serie di insinuazioni che il narratore non conferma né respinge. Allo stesso modo abbiamo visto come in Eveline non abbiamo alcuna voce autoriale imparziale che ci orienti tra le interpretazioni contrastanti evocate dal racconto. La tecnica di Joyce consiste nel permetter al lettore un

accesso ai pensieri e ai moventi dei suoi personaggi, per ritirare il narratore a una posizione di osservazione limitata al momento decisivo. La scrupulous meanness è un deliberato ritrarsi del narratore al momento decisivo, come in Eveline con l’immagine del suo volto e dello sguardo. Il rifiuto joyciano di intervenire o di mediare in quanto narratore onnisciente in Dubliners è ciò che permette all’instabilità della lingua di emergere. L’uso del discorso indiretto libero ne è uno dei principali agenti., perché esso presuppone la soppressione di un punto di vista mediante nel discorso narrativo. Il gioco e la sovrapposizione tra personaggio e voci del narratore è complicata dal fatto di non essere stabile. E questo è il cosiddetto principio dello zio Charles (Uncle Charles Principle), che è attivo in A Portrait of the Artist as a Young Man, ecco perché porta il nome di un personaggio di quel romanzo, ma è già operativo in Dubliners. Ad esempio, l’inizio di The Dead Lily, the caretaker’s daughter, was literally run off her feet. In questa semplice frase, espressa dal narratore (caretaker’s daughter) l’espressioni Literally è una emanazione della voce del personaggio che il narratore intercetta. È quella che userebbe Lily se dovesse descriversi. Iln altre parole il narratore in Dubliners è stato definito tale da lasciarsi attrarre nel campo gravitazionale del personaggio più vicino (Hugh Kenner) così da raccogliere tracce dei suoi vezzi di pensiero o di parola. L’effetto destabilizzante del discorso indiretto libero si può anche apprezzare sulle epifanie inaffidabili di Dubliners. L’idea che l’epifania funzioni come centro unificante, come una sorta di equivalente strutturale della risoluzione dell’intreccio, viene svalutata da Joyce grazie all’uso del

discorso indiretto libero. Molte epifanie sono falsificante o ambigue per questo e in luogo di rivelare una verità momentanea ed essenziale sul personaggio, comunicano piuttosto una mancanza di illuminazione o di accesso al senso e persino una contraddittorietà che risulta dirompente. Raramente in Dubliners troviamo un passo di narrazione in terza persona che non sia distorto dal “campo gravitazionale” dell’uno o dell’altro personaggio. L’effetto è che la maggior parte delle informazioni che riceviamo sui personaggi ci appare come inaffidabile perché piegata dalle loro caratteristiche. La lettura dell’epifania come sudden spiritual manifestation non significa che la manifestazione sia chiaramente limitabile o chiaramente definibile o che appartenga ai personaggi. Il progetto delle epifanie è in realtà alla base di molti testi giovanili joyciani, che ne costituiscno l’evoluzione. Ma alla base di Dubliners, tanto che Joyce in una lettera a CP Curran del 1904 parlò dei primi racconti di Dubliners cone di epicleti, ossia delle invocazioni. Questo termine è stato variamente interpretato in relazione a Dubliners. Si è pensato che Joyce intendesse i racconti come serie di momenti significativi nei quali si rivelasse la “hemiplegia o paralysis” che caratterizza Dublino e i dublinesi. In Stephen Hero, testo interrotto nel 1905 ma prima versione del Protrait of the Artist asa Young Man, Joyce definisce l’epifania come By an epiphany he meant a sudden spiritual manifestation […] Imagine my glimpses of that clock as the gropings of a spiritual eye which seeks to adjust its vision to an exact focus. The moment the focus is reached the object is

epiphanised. It is just in this epiphany that I find the third, the supreme quality of beauty In SH Joyce parla di integritas, consonantia e claritas. E cgià chiosa scrivendo che “claritas is quidditas”. First we recognise that the object is one integral thing, then we recognize that it is an organized composite structure.. finally….we recognize tha it is that thing which it is. Its soul, its whatness, leaps to us from the vestment of its appearance. In seguito in A Portarit of the Artist as a Young Man, Stephen chiarisce che la manifestazione spirituale non presuppone in alcun modo un valore metafisico o idealista ma si gioca tutta sul piano immanente della storia: “I thought he might mean that claritas is the artistic discovery and representation of the divine purpose in anything…But that is literary talk […] You see that it is that thing which it is and no other thing… the whatness of a thing. Dunque, per tornare all’epifania, in essa brilla la claritas ossia la rivelazione di ciò che la cosa è. Joyce trascrisse delle epifanie per un progetto intorno al 1900-1903. Alla fine del 1902 avevano raggiunto lo status di una raccolta che circolò tra i suoi conoscenti pria che Joyce partisse per Parigi. Un esempio di epifania è il seguente: [Dublin: in the house in Glengariff Parade: evening] Mrs Joyce – (crimsn, trembling, appears at the [,,,] door)… Jim! Joyce – (at the piano)… Yes?

Mrs Joyce – Do you know anything about the body?... What ought I do?... There’s some matter coming away from the hole in Georgie’s stomach… Didi you ever hear of that happening?? Joyce (surprised) … I don’t know… Mrs Joyce – Ought I send for the doctor, do you think? Joyce – I don’t know. What hole? Mrs Joyce – (impatient)… The hole we all have here (points= Joyce – (stands up) March 1902 La scena compare, alterata, in Stephen Hero. Come si vede essa è già un racconto, ma tutto compresso. Le parole di Mrs Joyce manifestano tutta la sua educazione moralista e la sua ignoranza. L’atteggiamento del figlio è di sorpresa, impazienza e infine di allarme. Il dialogo manifesta la passività e l’indifferenza con cui Georgie si spegne, nonostante il nomignolo indichi affetto e premura. Senza che un dottore sia stato chiamato. Come si vede, l’epifania è ambigua. E’ una manifestazione ma non è riconducibile a un significato preciso. E difatti questo è ciò che notiamo dell’applicazione dell’epifania come principio costruttivo in Dubliners. Nel punto in cui il momento epifanico interviene, esso non funzione acome un momento di illuminazione o di comrensione unificante o tale da svolgere una funzione risolutiva. E’ piuttosto un campo nel quale le tensioni si incontrano. “tension-filled environment”. E difatti c’è un’altra importante indicazione che Joyce dissemina nel testo che è lo gnomon. Tecnicamente lo gnomon identifica un parallelogramma incompleto, ottenuto tagliando un altro parallelogramma. Il

parallelogrammma mancante puù però essree ricostruito oimmaginato intero. In Joyce sunque, il principio invocato è quello di una fonamentale incompletezza del testo e di una necssaria ricostruzione. Lo gnomon è una metafora della tecnica compositiva: il significato e la cartterizzazione possono essere rintracciati con un processo di ricostruzione, allo stesso modno in cui da uno gnomon si ricostruisce il parallelogramma originale con l’aiuto di un righello e di un compasso. Come scrive Philip Herring: adopting a gnomic perspective helps us to see more clearly the nature of Joyce’s embitteres social criticism… the interplay of presence and absence from the viewpoint of a subversive artist with a social conscience. Readers alerted to the implications of the three key words from the first [are] trained to read the stories skeptically. […] Gnomon therefore has the effect of enlisting a reader as co-creator in the production of meanings that are in harmony with the author’s … concerns. (Herring, quoted in Dominc Head, The Modernsit Short Story , pp, 47-48)....


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